L’ospite accanto a me è Claudio Del Bello. Epistemologo, ed editore di Odradek www.odradek.it .
Epistemologo… lo so, è parola tozza. Spiego, soprattutto a me stesso, leggendo nel Dizionario di Filosofia: “Teoria della conoscenza scientifica, con particolare riferimento alla matematica e alla fisica. Mentre nella cultura anglosassone ‘epistemology’ ha il senso di <teoria generale della conoscenza>, o ‘gnoseologia’, in italiano il termine è usato, prevalentemente, nella più ristretta accezione sopra definita”. Non è che adesso tutto mi sia chiarissimo, ma qualcosa in più…
Pur sapendo di Del Bello, sia attraverso l’Editrice che dirige e sia per ammirata eco di chi me ne riferiva conoscendolo, l’ho incontrato di persona solo di recente, nell’anno che per i terrestri è il 2005, nel corso di una cena durante la quale abbiamo cordialmente – e pure allegramente – verificato le distanze che ci separano su molti convincimenti…
Non mi sono arrischiato troppo a dibattere con lui, ha dalla sua una monumentale cultura, ne sarei uscito a pezzi. Sono un pugile professionista, combatto solo gli incontri che sono alla mia portata… come dite?... le becco pure allora?... vabbè, ma non siete troppo carini a ricordarmelo!
Sia come sia, è stata per me una felice serata perché ho conosciuto uno che ha gentilezza di cuore, onestà intellettuale, amore per la risata e il vino. Insomma, per fare l’abusato esempio, buon compagno naufrago su di un’isola deserta. Anche se - spero non s’offenda Del Bello - su quell’isola, alla sua compagnia preferirei quella di Sharon Stone; a conoscenza di teorie filosofiche e piani editoriali, starà pure messa maluccio, però…
Ad ogni ospite, prima che salga su questa taverna spaziale, per meglio presentarlo ai miei avventori, chiedo che mi trasmetta qualche rigo biografico. Claudio, mi ha risposto con un msg in Panicomail in cui diceva: “Caro Armando, mi sono accorto di non avere un curriculum, se non uno del 1980, anno in cui decisero di bocciarmi a un concorso, e in cui io decisi di non partecipare mai più a concorsi, e che stavo benissimo dove stavo”.
Ma, don’t panic please!, troverete sue notizie di sicuro più avanti perché sono intenzionato a riproporgli la richiesta. Così come della Casa Editrice Odradek, qualcosa lo costringerò a dire.
- Benvenuto a bordo, Claudio…
- Spero che questa sia una nave di tolleranza... voglio dire: si può fumare?
- Sì. E poi c’è tolleranza in questo spazio di cui sono il tenutario. Del resto, la serie Star Trek è ispirata alla Tolleranza. Certo, io ho poca di tolleranza solo verso coloro i quali ritengono che un libro solo, laico o religioso che sia, possa spiegare il mondo, e non ho tolleranza alcuna per gli italo-forzuti… ah!… a scanso di equivoci… Pannella e Bonino qui non sono tollerati neppure in ologramma…
- Accendo la mia sigaretta.
- Il sommellier Giuseppe Palmieri de “ La Francescana” di Modena, diretta dal patron e magico chef Massimo Bottura, mi ha consigliato di assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo dolce Torcolato, inviandomi anche una nota in Spacefax che dice “Buon viaggio spaziale con questo vicentino Torcolato di Firmino Miotti 2000, fatto di un incredibile carciofo e una succulenta marmellata di albicocche”. Bene…qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Claudio secondo Claudio…
- Come ti dicevo, dopo che mi fecero arrivare quarto, nel 1980 ad un concorso, non volli farne altri. Sono rimasto Ricercatore.
Erano tempi in cui la borghesia iscriveva i suoi figli cadetti a Filosofia, e in cui qualche proletario curioso riusciva ancora a infiltrarsi. Da filosofo della scienza, quale fui e sono, per circa quindici anni mi sono occupato principalmente di critica della scienza economica. Più recentemente, passato al corso di laurea di Scienze dell'educazione e della formazione della Facoltà di Filosofia, faccio corsi più rispondenti al nuovo corso di laurea, occupandomi di costruttivismo e operazionismo, ritornando cioè ai primitivi interessi.
Cosa fa di me un border line? La considerazione della storia, cioè dei processi, anche nella scienza – in questo rifacendomi a Thomas S. Kuhn che andava giù dur…
- …scusami l’interruzione… per chi, come me, non avesse completato la scuola dell’obbligo, copio e incollo dall’Enciclopedia Spaziale: “Thomas Samuel Kuhn nasce a Cincinnati in Ohio, sul pianeta Terra, nel 1922 e muore nel 1996. Si laurea in fisica ad Harvard nel 1943. Nel 1962 pubblica “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, opera che lo renderà in pochi anni famoso in tutto il mondo filosofico e scientifico statunitense e europeo”.
- Già. Dunque dicevo…
Cosa fa di me un border line? La considerazione della storia, cioè dei processi, anche nella scienza – in questo rifacendomi a Thomas S. Kuhn che andava giù duro aprendo il suo libro più famoso con l'affermazione: “La scienza è la sua storia” – e persevero in tempi in cui la storia viene bandita, e non solo dagli àmbiti specificamente scientifici, perché troppo costosa e soprattutto troppo critica. Si sono detti: non va, un massimo di costi e un minimo di benefici! Mi interessa la rappresentazione dei processi, meglio se accidentati e conflittuali. I processi lineari, mi interessano meno. Sempre che esistano, fuori della lavagna.
C’è sul sito di Odradek che prima hai citato, una breve nota – dedicata a Giordano Bruno – che mi pare possa chiarificare che cosa e perché mi interessa, e in cui ricordo che il Moderno non è soltanto la capacità di manipolare la materia a proprio piacimento, inventarsi la “realtà”, formulare ipotesi, ma anche, la drammatica risposta della “natura” , perché la vita stessa è intelligenza e non informe materia. O l’intelligenza è solo quella artificiale?
- Ricordo che quella nota la si può leggere al link Odradek che ho dato in apertura…
Molti studiosi sono divisi nel giudicare le prospettive del futuro di noi umani.
Al pessimismo, ad esempio, di Katherine Hayles (“Come siamo diventati post-umani”), o di Bill Joy, scienziato della Sun Microsystems, il quale sostiene che “il futuro non ha bisogno di noi”, s’oppongono, per citarne alcuni, Chris Meyer e Stan Davis che nel libro “Bioeconomia” sostengono che la futura complessità non sarà incomprensibile e offrirà molti vantaggi; oppure Andy Clark, docente di scienze cognitive all’Università dell’Indiana, autore di “Natural-Born Cyborgs”.
Tu a quale dei due schieramenti ti senti più vicino, o meno lontano?
Oppure hai altre frequentazioni di pensiero che preferisci a quelle due?
- Armando, non ci casco. “Lei è favorevole o contrario?”, tenta mellifluo l’intervistatore, e uno si ritrova addosso abiti di serie che lo costringono in pose innaturali e alla lunga anchilosanti.
Mi sembrate schizzati…, voglio dire, proiettati in avanti, senza aver risolto alcuni problemucci, da quello degli universali, a quello delle risorse.
A me interessano i limiti, non quelli della fantasia, che sono molto elastici, ma quelli delle condizioni storiche. Tutti affascinati dall’infinito potenziale, e quello attuale? Comunque, non voglio deluderti. La mia risposta è: io un catastrofista? Ma per carità, sono risolutamente un crollista.
- Semir Zeki – docente di Neurobiologia all’Università di Londra – prospetta, nel suo libro “La visione dall’interno”, la nascita di una neurologia dell’estetica, neurestetica la chiama, e scrive: <…esprimo l’impressione che le teorie estetiche diventeranno comprensibili e profonde solo quando saranno fondate sul funzionamento del cervello, e che nessuna teoria estetica che non abbia una forte base biologica può essere completa e profonda>.
Sei d’accordo con quest’affermazione? Se sì, oppure no, perché?
- Ma dài, questo è puro Dada, per sorridere con qualche brivido. Sennò è delirio. Per quanto mi riguarda l’estetica è contestualizzazione, è educazione a collocare e a collocarsi. O, se vuoi, ri-costruzione. Non ho mai pensato a formulare teorie estetiche, né ci provo, ma posso dire che quando fruisco – si dice così? – i segni che sono portato a cogliere sono tanti e di diverse famiglie. Ma anche in questo caso, i limiti del mio mondo artistico sono i limiti del mio linguaggio, del linguaggio che io conosco. Ma forse l’ha già detto qualcun altro…
Comunque, di’ ai neurobiologi di Londra che, se ci tengono, e non hanno fretta, potranno sezionare il mio cervello con agio e scoprire per quale ingorgo neurale presento una simile resistenza. Ma non avranno modo di spiegarmelo, temo.
- Diceva Braque: “L’arte inquieta, la scienza rassicura”. E’ ancora vero oppure oggi è il contrario?
- Armà, tutta questa inquietudine, in Braque, non mi ricordo di averla mai trovata. Nell’arte, dipende. Che la scienza rassicuri era un luogo comune del suo tempo, purtroppo è rimasto nella testa di quelle oche giulive dei giornalisti scientifici. Ricordo la battuta di un vecchio operaista. A chi flautava “Hanno inventato una nuova scienza”, rispose: “Contro chi?”. Come avrai capito, di mio, sono un comunista conservatore. E per me, arte e scienza, sono funzioni sociali da riguardare con attenzione, rispetto e sospetto.
- Alcune cose che amo: la rockpoetry, il video, i fumetti, la web art, il cyberpunk.
Tu hai interesse per qualcuna di queste espressioni?
- Sui fumetti – o meglio, sui loro estimatori – ho scritto un articolo rancoroso che non ti troverebbe d’accordo neanche un po’. I fumetti hanno attraversato la mia generazione come una ola, e io non ho mancato di mostrare qualche entusiasmo. Se mi capita in mano qualche cimelio, lo sfoglio senza commozione; quando penso che da grande sarebbe diventato un manga, lo richiudo e basta.
Per quanto riguarda l’arte fatta a macchina, non so che dirti. Però, provo a immaginare che cosa diventerà, se insisti.
- Non insisto. Veniamo ad una tua creatura di cellulosa: Odradek.
Tre domande in una. Quando è nata? Dove nasce quel nome? Il suo significato, che ora ci spiegherai, quale relazione ha con la vocazione dell’Editrice?
- Odradek è nata nel 1996.
Il nome è tratto da un breve racconto di Kafka, e più precisamente da “Le preoccupazioni di un padre di famiglia”. Significati: la marginalità, il limite che si sposta. Per Kafka, Odradek è una presenza domestica angosciosa – un rocchetto informe di fili – e noi ci abbiamo visto il rimosso che ritorna, che preoccupa i padri, e da cui non ci si libera. Mai. Hai presente la guerra civile?
Pubblichiamo: due riviste di storia: “Giano”, di storia e geopolitica e “Zapruder”, storie in movimento: molto bella, ma siccome Paola, socia e grafica, si è scapricciata un po’ troppo, non posso leggere più di un articolo alla volta. Pena il mal di mare. Però piace ai giovani.
Due collane di storia: “Collana blu”, di Storia e politica e “Collana verde”, di Storia orale, storia dal basso.
Siamo revisionisti storici convinti, però di sinistra. Revisionisti, perché la revisione è l’abito di tutti i giorni dello storico. Ci mancherebbe. Di sinistra, perché è necessario “sanare paradigmi feriti da furbastri e inetti uniti nella subordinazione ideologica al Potere", come direbbe il mio amico Felice Accame.
Facciamo storia dei margini nella “Collana rossa” di Culture sul margine, e nella “Collana gialla - La macchina da prosa” raccontiamo storie indecenti.
Con Lunetta, Muzzioli e Sproccati facciamo l’ Almanacco. Una volta si chiamava Avanguardia, ma siccome è diventata una parolaccia, l’abbiamo dedicato alle “scritture antagoniste”.
- Qual è lo spazio di mercato su cui punta Odradek?
- Ah, saperlo. Con questa crisi, che non è congiunturale, mi pare che siamo in piena ritirata. Il lettore di riferimento rimane quello curioso, cólto, esigente, disperso e nascosto. Generazionalmente trasversale. Quando non si tiene più, ci scrive lettere appassionate.
- Come selezioni le proposte che t’arrivano?
- Senza lettera di raccomandazione, nemmeno sfoglio i manoscritti. Senza cioè qualcuno che mi dia un giudizio motivato e autorevole sul valore del testo. Ho quattro casse di manoscritti non richiesti e non letti, una grandezza che può variare da cinquanta a centomila cartelle. Tieni conto che non sono un letterato, quindi onnivoro, ingordo e cursorio. Che mi rifiuto di leggere l’incipit, pagina 7, 34 e il brano finale, come mi si dice si faccia abitualmente. Sono lento, a qualsiasi genere appartenga il testo in cui m’immergo – alla lettera. D’altra parte, se è vero che come editore appartengo alla categoria delle puttane, purtroppo mi trovo assegnato al sottoinsieme delle puttane che si innamorano dei clienti. Una disgrazia.
- Il print-on-demand è nei tuoi programmi? Se sì oppure no, perché…
- E’ dietro l’angolo. Per un po’, prima di sparire, ingrasseremo anche questo neologismo esotico.
- Ho notato sul sito di Odradek la mancanza di una Sezione destinata all’Ufficio Stampa e Comunicazione. E’ una provvisoria assenza oppure una raccapricciante scelta?
- E chi lo fa? Ho molti cappelli (da fattorino, da fine dicitore, da magazziniere) oltre alla visiera da redattore (in tinta con le mezze maniche); cappelli che cambio velocissimamente, ma quello da piazzista-comunicatore mi manca. Ti ho risposto prima, il nostro è un lettore curioso, prima o poi ci trova e s’invischia.
- Secondo te, perché mentre il cinema s’avvale di esercizi che con i locali d’essai riesce – e anche con risultati spesso commercialmente apprezzabili – a presentare opere sgradite alla grande distribuzione, non avviene altrettanto con le librerie?
- Questa è un’idea di cui ti sono debitore: l’editrice con tessera. Ma sarebbe la mia sconfitta.
Io credo nel mercato, senza ideologismi, – cioè in quel sistema di relazioni che esiste da almeno tremila o quattromila anni, a far tempo dal mercato muto – così come credo nell’aria che respiro. Ma se ti rendono l’aria irrespirabile, se l’offerta controlla definitivamente la domanda, se nelle loro librerie non prendono più i tuoi libri, se non li mostrano e invece costringono vecchi e nuovi lettori a non vedere nel libro una merce (che è cosa buona e giusta) ma un evento, non un pezzo della propria formazione individuale, ma un momento di conformizzazione, beh, non sono un editore di testimonianza... Potrei dormire di più il giorno e rendermi disponibile per crociere notturne. Arma’, conosco un posto…
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Facilitazione collettiva, “svagellamento”, direbbe Maria Turchetto, nonnismo culturale, collezionismo basso, complicità da ultimo banco. Lo riconosco, perché al liceo quello era il mio luogo abituale. E ti voglio raccontare un aneddoto. “Del Bello, vai fuori”, sentenziava la prof. spazientita. Caracollavo tra due lunghe file di banchi e guadagnavo la porta, che trovavo già aperta dal capo classe, quello del primo banco, e che mi sorrideva. Un sorriso indefinibile di adesione e solidarietà, non ho mai capito se con me o con la prof. Era uno di quelli che hai già intervistato su questa nave…
- Siamo quasi arrivati a Delbellø , pianeta di cellulosa abitato da alieni che hanno tutti l’aspetto di rocchetti di filo… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Torcolato, Firmino Miotti 2000, consigliata dal sommelier Giuseppe Palmieri de “ La Francescana” di Modena… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Qua dove?... A proposito, chi mi riporta a casa?
- Sei fortunato. Sta proprio ora tornando sul Pianeta Terra un neurobiologo londinese, da me assai stimato, sul quale ti sei espresso sul suo pensiero nel corso di questa nostra conversazione. T’affido a Semir Zeki. Ti va?
- Non ho scelta, spero solo che non si lasci andare a pratiche cruente.
- Ai miei occhi, ciò appare come un trascurabile dettaglio.
Ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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