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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

Gli ospiti accanto a me sono tre: Aimo, Nadia e Stefania Moroni. Patrons de «Il Luogo», uno dei templi del Gusto in Italia.

Mesi fa, nella sezione Cosmotaxi di questo sito, scrivevo: Ad aprile, avrò il piacere di avere Aimo e Nadia ospiti della mia immaginaria taverna spaziale sull’astronave Enterprise e ascolterete dalle loro voci, la loro storia, le loro passioni. Perché ad aprile? No, non ve lo dico. Lo saprete allora.

Nello Spazio, siamo di parola. Però è accaduto che ad aprile starnuti, influenze, e altri contrattempi sanitari abbiano impedito l’incontro. Ora siamo a maggio (per i terrestri, maggio 2005), in fondo il ritardo non mi pare troppo grave, e i Moroni qua stanno.

E non solo Aimo e Nadia, ma anche la loro figlia Stefania che nel locale svolge un ruolo lontano dai fornelli ma ben dentro la storia de il Luogo e dell’immagine culturale che rappresenta. Immagine supportata, ad esempio, da Paolo Ferrari la cui opera scientifico-artistica adorna le pareti con segni, forme, colori, per vie digitali e analogiche interconnesse, in particolare nei pannelli Plotter-paintings . Per saperne di più su quest’artista cliccate su http://www.in-absence.org/mediazione

Non sono certo io a scoprirlo, l’enogastronomia è uno dei grandi campi della cultura materiale, non a caso sono stati spesi fiumi d’inchiostro sul tema da parte d’antropologi e sociologi. E – riprendendo quanto scrivevo in quella nota di mesi fa - ci sono luoghi imperdibili per capire le possibilità creative umane, da splendide architetture a famosi musei, a esposizioni scientifiche. Tra le realizzazioni dell’ingegno ci sono anche a buon diritto le occasioni del palato. Fra questi, uno dei luoghi – il Luogo, appunto, così come si chiama – è quello dei coniugi Moroni, Aimo e Nadia, dove trionfa l’arte gastronomica italiana.
Ad Aimo andrebbe un riconoscimento dei Beni Culturali se fossero – e ahimé non lo sono - ben diretti, perché da lui c’è una fervorosa, accanita, coltissima difesa dei nostri valori del Gusto dalle Alpi alla Sicilia. Ogni piatto è condotto in modo filologico rispettandone le origini e la storia fino alle risorse tecnico-innovative che permettono di presentarlo su di una tavola dei nostri giorni.
E’ questo, tra non pochi altri, il principale merito d’Aimo e Nadia: resistere alle tentazioni delle mode, rinvenire le occasioni smemorate da troppe cucine, studiarne le possibilità realizzative accordandole con la ricerca severa, inflessibile, delle materie prime disponibili. Il tutto senza negarsi a quelle novità che i due ritengono degne d’essere percorse.
Quando parlo di un ristorante con la R maiuscola (pochini, in verità) ripeto, forse troppo spesso, ma mai abbastanza a mio avviso, che non descrivo i piatti gustati, perché un’emozione sensoriale non è descrivibile. Le pietanze vanno assaporate. E più grande è l’altezza del valore dei piatti – come nel caso presente – meno ancora è possibile l’operazione senza cadere in qualche goffaggine o rifugiarsi in un gergo critico oscuro.

Sito web de Il Luogo: www.aimoenadia.com

 

Benvenuti a bordo. Mi avete annunciato che durante questa nostra conversazione nello Spazio, avremmo sorseggiato una bottiglia che vedo avete portato con voi. Di che cosa si tratta? Vuoi dirmelo tu, Stefania?
Abbiamo pensato di gustare insieme un Collio Rosso Riserva 1999 Borgo del Tiglio, a base merlot con un 25% di cabernet-sauvignon, prodotto a Brazzano a pochi kilometri da Cormons. Si contraddistingue per la sua meravigliosa eleganza e pulizia; ha un gusto ricco e composto con nuances di cioccolato bianco e lamponi.
Bene. Ecco i bicchieri. E visto che prima sei stata tu ad intervenire, comincerei proprio con te.
Il Luogo: tracciane sinteticamente la sua storia: quando nasce, quale evoluzione ha avuto, quali i suoi tratti ambientali oggi, le motivazioni delle scelte che vi hanno guidato fin nell’arredamento che, ci vuol poco a capirlo visitandovi, non è per niente casuale…
Il Luogo nasce nel 1997 in seguito al desiderio di produrre un cambiamento significativo oltre che estetico, del nostro storico ristorante. E’ stato sviluppato un progetto, con la collaborazione di Paolo Ferrari e del Centro Studi Assenza da lui diretto, che prevedeva l’inserimento di opere di arte in-Assenza [rimando al sito www.in-absence.org per chiarimenti circa l’asistema in-Assenza] all’interno prima e poi anche all’esterno del locale in modo non solo da connotarlo, ma d’arricchirlo di una nuova forma espressiva che andasse ad interagire con la nostra cucina. Un Luogo dunque, che si propone quale luogo di cultura enogastronomica e non solo, aperto a nuove vie e sottili esperienze della mente e degli affetti
Il 21 aprile, si sa, è il Natale di Roma. Ma (ed è venuto il momento di svelare a chi ci ascolta perché proprio ad aprile volevo ospitarvi in questa taverna spaziale), ricorre anche una data privata assai cara ad Aimo. Ci dirà adesso lui il perché. Così come ci dirà com’è nata la sua vocazione… i primi maestri avuti… cominciando da un certo 21 aprile di qualche decennio fa…
Il 21 aprile 1947 è una data speciale nella mia vita: quel giorno vidi per la prima volta Milano. Avevo solo 12 anni. Milano mi accolse e mi diede l’opportunità di imparare, di crescere, di conoscere un mondo totalmente nuovo. Forse la mia “vocazione” nacque, come credo tutte le passioni, inconsapevole e fortissima: non è certo casuale il ricordo del profumo di alcuni cibi così potente e forte in me, il piacere che sin da piccolo provavo a stare in cucina, regno femminile, dove le donne preparavano con cibi semplici e poveri dei piatti dai sapori memorabili. E gli orti delle case contadine, i brodi e le verdure, gli animali da cortile. Tutto ciò che aveva a che fare con il cibo sin da piccolo mi appassionava. Ed i miei primi maestri forse sono proprio quelle donne contadine, cuoche della necessità di sopravvivenza e dell’amore, prima tra tutte mia madre Nunzia, già cuoca in Francia e a Firenze.
Ora che i miei avventori ti conoscono meglio, illustra loro qual è oggi la linea stilistica della tua cucina, quali le scelte che operi nel tuo locale…
Sicuramente alla base della mia cucina vi è il desiderio di valorizzare la materia prima che vado ricercando con grande cura su tutto il territorio nazionale, animato dal desiderio di far conoscere il nostro grande patrimonio gastronomico. E questo si applica ad ogni ingrediente: non esistono ingredienti più pregiati ed altri meno, è solo una questione di bontà, quindi di qualità dei prodotti. A questo si unisce la freschezza degli stessi ingredienti, il desiderio di proporre sempre ciò che il mercato e la mia fantasia può offrire. Per questo motivo, da sempre i menu cambiano tutti i giorni in alcune loro proposte, assicurando in tal modo la massima freschezza e il più grande piacere di poter lavorare ciò che desidero.
Nadia, qual è, sul piano professionale, il maggior contributo che tu ed Aimo vi siete scambiato?
Venni a Milano nel 1955 per aiutare Aimo che gestiva con mia suocera un locale. Dovevo restare pochi mesi e invece sono passati 50 anni.
All’inizio era solo Aimo ad essere animato da una infinita passione, ma nel tempo mi ha trasmesso tutto il suo entusiasmo. Abbiamo imparato a confrontarci lavorando insieme, spesso ideando lui i piatti ed io eseguendoli, essendo diventata capace nel tempo di capire ciò che lui desiderava ottenere da un ingrediente, e dunque imparando noi stessi ad assaggiare le preparazioni che eseguivamo, primi critici del lavoro dell’altro. Ed Aimo negli anni ha imparato come si potesse ottenere una cucina che non rinunciasse alla sua matrice “femminile”: di grandi sapori, tecniche che si adattano all’ingrediente (e non viceversa) per non sciuparlo.
Stefania, il tuo ruolo nel locale è alquanto insolito in un ristorante. Vorrei che fossi tu a descriverlo
La nostra è un’attività di famiglia con una grande storia alle spalle, una ricca cultura enogastronomica, una consapevolezza del problema di una formazione anche culturale e non solo tecnica dei collaboratori. Dunque prima di tutto si tratta di organizzare e gestire quanto meno questi elementi, oltre al fatto che si tratta di un’attività economica che deve essere seguita in quanto tale. A questo si aggiunge il personale desiderio di portare un ulteriore livello culturale a questa attività già complessa, convinta che le opportunità che si possono sviluppare tra diverse forme del sapere siano fonte di grande ricchezza e di scoperta quotidiana.
E per finire l’attività di divulgazione del nostro lavoro, farci conoscere e porre un punto di vista particolare e specifico. Cerco d’interpretare e comunicare tutto questo.
Auguste Escoffier codificò in «Le livre des menus» del 1912 l’ordine d’ingresso delle portate secondo un principio definito ‘sequenza armonica e intelligente’. Sostanzialmente, lo abbiamo ancora in pratica nella cucina occidentale. Aimo, prevedi che cambierà qualcosa in futuro? E, se sì, intendi proporla tu oppure ritieni che quella regola vada ancora rispettata così come la conosciamo?
Sta già cambiando: le diverse culture gastronomiche nel mondo globalizzato si diffondono, e questo sta accadendo qui come in luoghi lontani. L’ordine proposto da Escoffier partiva da alcune considerazioni sulla cucina legate ad un’idea di “armonia” ed equilibrio che aveva ed ha senso solo in una cultura occidentale. Già nella cucina cinese o in quella molecolare per esempio abbiamo altri tipi di idee e valutazioni che non necessariamente si rifanno ai principi di armonia ed equilibrio così come avevano un senso (e lo hanno tuttora talvolta) alla fine del 1800.
Personalmente provengo da quella cultura ed è stata per me fondamentale la storia della gastronomia, dunque tendo a seguire quello che è un mio principio di armonia ed equilibrio, non necessariamente quello proposto da Escoffier ma che nasce da lì.
Partita dalle beauty farms, la cosiddetta cuisine minceur - menu con meno di 500 calorie - è proposta anche da qualche apprezzato chef, penso, ad esempio, a Michel Guérard in Francia.
E’ possibile fare gran cucina rispettando tali regole? Tu la proporresti nel tuo locale?
La buona cucina è fatta da grandi materie prime. Sebbene sia profondamente convinto che la miglior salsa del mondo sia un eccellente olio extra vergine di oliva, ritengo possibile (e l’ho anche fatto alcuni anni fa per la Spa di un hotel a Capri) realizzare piatti eccellenti che abbiano un basso contenuto calorico.
Altresì non penso di proporlo nel mio ristorante: ci sono appunto i centri benessere che propongono formule complete (e non solo alimentari) adatte per disintossicarsi e dimagrire. Anche perché sono convinto che dovremmo sempre mangiare bene, nel senso che una cucina fatta con materie prime buone e sane è la base per una corretta alimentazione. Se poi normalmente una persona mangia troppo, forse non è con una cena che si possa pensare di risolvere il problema.
La cucina fusion va diffondendosi presentando, talvolta in un solo piatto, elementi di cibi nostrani accanto a quelli esotici. Aimo, come giudichi questo melting pot a tavola?
Ti aspetti nuove rivelazioni? Oppure lo consideri negativamente?
La questione non è tanto mescolare cibi esotici o nostrani… in fondo il pomodoro non era un cibo esotico prima di essere “adottato” e “naturalizzato” italiano? E’ importante conoscere la cultura di origine di un prodotto, avere assaggiato i piatti di quella cucina ed avere dunque una sufficiente conoscenza per poter distinguere e valutare. Dunque introdurre un ingrediente vuol dire fare un’operazione di “ponte” tra due culture, scegliendo cosa e come fare. Quindi la questione è forse come si “fondono” elementi diversi, è cosa si ottiene alla fine, se questo qualcosa propone o no un’identità, realizza una nuova idea o meno. Certo, credo che la fusion in futuro avrà ancora un discreto successo, ma altresì si svilupperanno in modo altrettanto importante le cucine locali, a raccontare di un’identità specifica, di storie che si riscopriranno
Nadia, l’antropologo Lévi-Strauss ne “Il crudo e il cotto” indica in quelle due modalità un passaggio essenziale del rapporto fra Natura e Cultura. Oggi, però, si moltiplicano i cosiddetti “crudisti”, capeggiati dalla chef Roxanne Klein. C’è chi dice rappresenti qualcosa più di una moda o di una scuola culinaria. Il tuo pensiero al proposito?
I fautori del crudo come valore assoluto ci sono da diversi decenni: rammento epoche in cui la salute si identificava con il crudo (crudo = sano), poi con il buono (crudo = sano = più sapore). Credo sia importante porre l’accento sul problema della qualità e dei sapori degli ingredienti originari - in fondo il punto di partenza nostro è lo stesso. Non sono d’accordo nell’assolutizzare: alcuni alimenti non possono essere consumati crudi, il nostro organismo non ne trae beneficio, e non è detto che siano più buoni.
Sul mondo della ristorazione s’affaccia una nuova figura: il food-designer. Nel 2004, al Politecnico di Torino è salito in cattedra lo chef Davide Scabin impugnando un tubo di patatine Pringles, dove la fetta di patata è ricostruita in una sagoma ergonomica che si adagia sul palato e veicola le particelle che determinano il sapore solo sul lato a contatto con le papille gustative.
Su quell’esemplificazione prescelta, vi confesso che ho qualche riserva. Ma tutto ciò finora detto, mi serve per introdurre una domanda che su quel tema verte.
Aimo, qual è l’importanza, oltre l’accertato piacere estetico, che ha la forma sul sapore?
Il sapore e la forma, non mi stancherò mai di dirlo, non possono essere disgiunti, la relazione è stretta, in particolare quando si parla di cucina. L’occhio esperto registra molte informazioni dall’aspetto di un piatto: temperatura, cottura, freschezza, consistenza, oltre a molte altre indicazioni sulla “costruzione” formale del piatto stesso. L’estetica è sempre un fatto culturale: guarnire in stile orientale è completamente diverso che in stile occidentale. I miei piatti rivelano il mio stile di cucina e quando il piatto è, ai miei occhi, “bello” vuol dire che è anche buono. Questo significa che se sono rispettati tutti i parametri di coerenza nelle tecniche di preparazione e culturali nella forma della presentazione, allora il piatto è come deve essere.
Dicevo poco fa di nuove figure nel mondo della ristorazione accennando al food-designer.
Mi piacerebbe sapere da te Stefania se ritieni che in un prossimo futuro c’è posto per l’addetto stampa nei locali di più alto livello. Come, ad esempio, manco a dirlo, il vostro. Lo chiedo a te che curi il profilo culturale de “Il Luogo” che fra i primi in Italia s’è avvalso del sommelier in sala. E, sempre tra i primi, s’è attrezzato con un sito web…
Fino a qualche decennio fa erano sufficienti i contatti interpersonali che ogni ristoratore e chef era in grado di creare nel suo locale. Oggi non è più sufficiente, il mondo si è allargato, le relazioni sono facilitate dalla tecnica. Credo che oramai ogni locale di alto livello abbia un addetto stampa o qualcuno (proprietario, chef, amico) che ne fa le veci e si occupa di far conoscere la propria attività.
Qui io mi occupo da anni di diffondere un modello di ristorazione che sia consapevole della propria proposta culturale, enogastronomica e non solo, consapevole delle difficoltà di proporre qualcosa di differente, che non rinunci alla storia e al patrimonio del nostro passato e che al contempo sia aperto alle istanze più attuali della conoscenza.
Nadia, ritieni praticabile o da evitare una collaborazione fra l’alta gastronomia e l’industria alimentare?
Non credo sia da evitare, come in tutte le cose dipende da molti fattori. Credo che l’industria alimentare e la gastronomia possano trovare un modo di collaborare insieme in modo proficuo: questo è inevitabilmente parte del nostro futuro. Fino ad ora non ho visto grandi risultati, ma forse nessuno ha ancora capito le opportunità che si potrebbero sviluppare. Il punto è quanto l’industria vorrà (e sarà convinta di poterne ricavare un vantaggio) investire in qualità e se riterrà interessante avvalersi dell’esperienza e conoscenza di chi si occupa di gastronomia da anni.
Aimo, fuori dei denti: qual è a tuo avviso il peggiore difetto dei ristoranti italiani? Qual è la cosa che ti fa venire la scarlattina, quando la vedi, o la senti, in un posto in cui vai a mangiare?
Ciò che sicuramente mi disturba è non trovare in alcuni ristoranti la valorizzazione degli ingredienti e dunque della cultura del territorio. Non vuol dire che uno non possa fare una cucina diversa, ma anche in questa cucina si può, se si vuole, trovare uno spazio per inserire in un piatto un ingrediente tipico del luogo.
E’ una fortuna per Milano che voi stiate in città, ma in Italia parecchie altre buone firme dell’alta gastronomia hanno in più d’un caso voltato le spalle proprio alle città trasferendosi in piccoli centri.
Qual è, Nadia, il motivo che ha fatto emigrare molti di voi? E il motivo che, invece, voi non avete praticato quella scelta?
Non desidero generalizzare le scelte dei nostri colleghi, le opportunità e le problematiche (talvolta diverse fra loro) che hanno affrontato e li hanno spinti a lasciare le città. Per quello che ci riguarda quando abbiamo aperto non avevamo molte possibilità: all’epoca il nostro locale era in un contesto industriale che ci consentiva un’affluenza assicurata dai lavoratori. Col tempo la città si è molto ampliata ma non abbiamo mai sentito il desiderio di allontanarci: questo avrebbe significato perdere gli amici e i clienti che in tutti questi anni ci hanno accompagnato e che sono una parte importantissima della nostra storia.
La diffusione di notizie sull’enogastronomia ha contribuito ad elevare conoscenza ed interesse sulla materia presso il pubblico. Eppure siamo un popolo che beve spumante secco su panettoni e dolci. Alcuni consumatori mi sembrano giocatori in grado, talvolta, anche di qualche (raro) raffinato dribbling, ma che falliscono più di un elementare stop perché mancano loro i cosiddetti fondamentali.
In quale direzione, chiedo a te Stefania, dovrebbe meglio muoversi l’informazione stampata, radiotelevisiva, e web? Su quali elementi, insomma, ti piacerebbe (e consiglieresti ai redattori) di soffermarsi meglio e più estesamente?
I media hanno contribuito enormemente a diffondere l’idea di un valore legato al nostro patrimonio gastronomico, che tra l’altro ci identifica come un’unica nazione. Abbiamo scoperto di avere una ricca e viva cultura di cui andare giustamente orgogliosi. E’ divenuto comune parlare, scrivere, occuparsi di cibo, ed è inevitabile per un argomento tanto attuale. Tutto va bene purché richiami un nutrito pubblico, ma a differenza di altre materie in cui facilmente sappiamo distinguere un intrattenimento da un approfondimento, per la gastronomia si hanno spesso idee confuse e chiunque si sente libero di proporre la sua “verità” come la sola e ultima, frequentemente priva di una conoscenza di base necessaria per dare un senso a ciò che si fa e si dice. Forse sarebbe opportuno che alcuni redattori capissero meglio che anche in questo nostro mondo vi sono differenze non banali.
I produttori sostengono di non essere i soli responsabili dei vertiginosi aumenti di prezzo dei vini di qualità. Daniele Cernilli, al Salone del Vino di Torino e poi sulla stampa, ha replicato proponendo loro di bloccare i listini per due anni. In tale modo, si darebbe – sto sempre citando il pensiero di Cernilli – agli esercenti la certezza che l’anno successivo non si troverebbero a vedere vanificati i loro guadagni da aumenti che, in qualche caso, hanno superato il 20%; insomma, di poter effettuare ricarichi ragionevoli, senza avere brutte sorprese quando si ritroveranno a riacquistare l’anno dopo. Che cosa pensi Aimo di quella proposta? Ne hai un’altra migliore?
Forse il problema è di mercato, un mercato che fino ad ora ha avuto pochi competitori (i francesi sono mediamente molto più costosi a pari qualità) e dunque i produttori fino ad ora hanno potuto vendere i loro vini a prezzi che variavano molto di anno in anno e di successo in successo. Ma sta cambiando rapidamente il mondo del vino. Cile, Sudafrica, Australia, anche Cina, si stanno affacciando sui nostri mercati con prezzi estremamente competitivi. Bisognerà vedere come questo modificherà il mercato. Forse bloccare i prezzi per due anni può essere un temporaneo intervento per arginare una situazione difficile, non certo la soluzione a lungo termine.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel vostro immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Cominciamo con te, Nadia
Non so proprio di cosa si tratti.
E per te, Aimo?
So solo che Star Trek è una serie televisiva di fantascienza ma non so altro
E che dice Stefania?
Ne so sicuramente molto di più. Penso che il favore che il pubblico continua a riservare a questa serie e alle numerose varianti prodotte è la dimostrazione che l’idea che ne è alla base è più forte degli stessi attori e dei caratteri che sono via via presentati. Se ciò sia dovuto al fatto che affronta temi che hanno a che fare con i dubbi, le paure, le ansie di tutti non lo so, certo è che potrebbe essere propedeutico per una lettura, per esempio, dell’Amleto, quello originale…
Siamo quasi arrivati a Morònya, pianeta abitato da alieni che si cibano di bytes e frames ma solo se cucinati in un certo Luogo… se dovete scendere, vi conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Collio Rosso Riserva 1999 Borgo del Tiglio…
Ora, vi saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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commenti presenti

Ecco finalmente un modo per fare interessare all'enogastronomia! Una conversazione mai noiosa, specializzata e non specialistica, bravi!

inviato da tiziana margheriti
 

Paradossale il loro sito web, fermo al '97, all'annuncio dell'innovazione con i paintings di Ferrari. Un sacco interessante, ma l'ultima preoccupazione sembra la loro cucina. L'innovazione ferma da otto anni !?

inviato da Paolo
 

Ma se cerco un'idea della loro cucina sul loro sito, trovo solo pippe, aggiornate al '97.

inviato da Bluto
 

E' quasicommovente vedere come Adolgiso tenti di elevare il livello dei suoi interlocutori (con argomenti storici, sociologi, ectc.) che gli rispondono suppergiù sempre le stesse cose: materie prime... ingredienti... ingredienti... materie prime... Certo, è ovvio che una buona cucina deve avvalersi di quelle cose lì di qualità, specie se poi quella cucina fa "alta gastronomia". Adolgiso ha trovate ottime materie prime, specie in fatto di rape.

inviato da Millefoglie
 

Sì è vero, ho appreso più cose dalle domande che dalle risposte. Strano in un'intervista non vi pare? c.m.

inviato da Clara Majorino
 

Non sapevo che Adolgis s'occupasse anche di gastronomia, poi ho visto anche altre interviste sul tema, evidentemente è un gourmet. E anche competente a quanto vedo. Però... si scelga meglio i suoi interlocutori! Qui (e condivido l'opinione di chi mi ha preceduto) s'impegna per far fare bella figura ai Moroni, ma non c'è niente da fare. Adolgiso, mi dispoiace, stavolta hai toppato! Con affetto. Angelo

inviato da Angelo F.
 

 

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