8 Marzo. La data è meno festeggiata d’un tempo. Tanti i motivi. Quasi tutti indegni. Ne hanno scritto già altri, e meglio di quanto potrei fare io qui. Sto zitto allora? No.
Voglio ricordare una donna. Assassinata. 1590 anni fa. L’otto marzo 415 d. C. (era un lunedì, per la precisione), fu uccisa Ipazia d’Alessandria d’Egitto: pagana, matematica, astronoma, filosofa.
E pure, strafica. Mo’ qualcuna s’incazza perché ho detto così. Fa male, è un complimento. E prima di me glielo ha rivolto Voltaire in “Questions sur l’Enciclopèdie”… l’ho piazzato il colpo, eh?
Da chi fu scannata Ipazia? Da ferventi cattolici. Fu rapita, trascinata in una chiesa e lì uccisa a colpi di pietra, poi fatta a pezzi, e i pezzi furono bruciati. Già, hai visto mai si fosse ripresa dall’indisposizione? Ad eseguire materialmente il delitto fu un monaco, Pietro il Lettore (…ma che leggeva?... Libero non era stato ancora fondato…i libri di Baget Bozzo non ancora stampati…mah!) che guidava un gruppo di pii religiosi sanguinari; mandante immorale: il patriarca Cirillo.
Pietro il Lettore mai fu condannato, continuò indisturbato a leggere. Neppure Cirillo. Anzi, fu fatto santo. Da Leone XIII, nel 1882, che quell’anno santificò anche Cirillo di Gerusalemme, il nome Cirillo evidentemente gli piaceva mucho.
8 marzo: Ipazia, una donna da ricordare.
Per approfondire: Margaret Alic “L’eredità di Ipazia”, Editori Riuniti, 1989; Armanda Guiducci “Perdute nella storia”, Sansoni 1989; Gemma Beretta “Ipazia d’Alessandria”, Editori Riuniti, 1993; Augusto Franchetti (a cura di) ‘ Roma al femminile’, Laterza; Adriano Petta – Antonino Colavito “Ipazia d’Alessandria”, Lampi di Stampa 2004.
Intervista. Capita d’essere fermati per strada da ragazzi che chiedono d’intervistarti.
Dicono così perché la parola “intervista” fa sentire importanti ed è più facile che i gonzi cedano.
Di solito, dico subito “Che cosa vuole vendere?”. L’altra/o, fingendo stupore, replica “Nulla”. Insisto. Messo alle strette, ammette che lei/lui niente vende, ma lavora per una committenza che…
Quest’importuno modo di vendere prevede la risposta a varie domande che vertono spesso su gusti editoriali. Giorni fa, ho accettato un’intervista stradale. Perché, da gonzo, mi dicevo vediamo questo stupido dove vuole arrivare. Giunto il questionario alla domanda “Quali romanzi preferisce?” Rispondo che detesto i romanzi e non li leggo (d iceva Manganelli: “ Basta che un libro sia un <romanzo> per assumere un connotato losco”).
Il ragazzo, mi guarda sinceramente sorpreso e dice: “Ah… così lei non è romantico?”.
Psicofarmaci. Quando parte la brocca, come dicono a Roma, si corre ai ripari.
I più disarmati vanno dal neurologo, temine che non fa pensare al manicomio e, quindi, rassicura. Quelli così così dallo psicologo, i più acculturati dallo psicanalista. Più raro trovare chi va dallo psichiatra. Perché alla gente va di parlare e sentir parlare. Di sé, naturalmente.
Il potere della parola è grande. Può occultare, svelare, ferire, uccidere. Ma guarire mai.
Per quello ci sono gli psicofarmaci. Al momento non abbiamo farmaci dall’effetto troppo duraturo, perciò dopo un certo periodo d’assunzione, s’abbioccano.
Le parole no, non s’abbioccano, continuano a far danni.
Psicoterapeuti, per favore, un po’ di silenzio. Lasciateci impazzire in pace.
Scoop. Gianluigi Paragone, assumendo il primo marzo la direzione del quotidiano leghista “La Padania”, nel suo primo giorno da direttore, ha debuttato intervistando Umberto Bossi.
Diavolo d’un giornalista! Come ci sarà mai riuscito? Ragazzi, questo sì che si chiama uno scoop!
Esco e chiudo. Se qualcuno mi cerca sto al bar.
|