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Gli atti degli apostati

 

Estate. Riprendo queste note dopo la pausa estiva, lo ammetto, me la sono presa comoda.
Scarse le novità dell’estate italiana appena trascorsa. Gli operai continuano a tuffarsi dalle impalcature, la corruzione và, i difensori della vita sono per la condanna a morte, si stupra qui e là, gli stranieri vengono pestati o talvolta sbrigativamente mitragliati, qualche leghista va a un convegno neonazista, la Zanicchi al Parlamento europeo vuole di nuovo le case chiuse, la Carfagna inorridisce dinanzi a “quelle che vendono il proprio corpo”, si grida all’ordine e alla polizia i fondi vengono tagliati, ai giudici vogliono tagliare qualche altra cosa, imputati eccellenti fanno leggi per sbiancare la propria fedina penale (“si lavicchia”, diceva Totò scassinatore in ‘I soliti ignoti’) e Veltroni contro tutto questo, da statista qual è, ha capito come condurre una dura opposizione: raccogliere firme.
Uffà, che noia! Sempre le solite cose!
E gli italiani? Santamente, navigano poetando. E sognano un paese dove realizzare il loro più grande sogno civile, politico e culturale: possedere un Suv.

 

 

Fru fru. Intervistato da Eugenio Occorsio, Paul Samuelson, Premio Nobel per l’economia nel 1970, non ha risparmiato una stoccata all’Italia. Definendo la vice di McCain ‘almost a joke’ (cioè una barzelletta), ha poi aggiunto “…voi italiani, del resto, non avete un Parlamento pieno di soubrette?

 

 

Idea. Fu un lampo! Al ministro l’idea attraversò il cervell… la testa. Perché non fare indossare agli allievi un grembiule nero? Con le aule a lutto e il maestro unico sul catafalco, i ragazzi si concentrano meglio, illuminati da una nuova lux. Perpetua, s’intende.
Il ministro, dopo avere dato disposizioni per realizzare quell’idea, tornò all’impegnativa lettura da lei sempre preferita: “Tutto uncinetto”.

 

 

Monnezza. Cucù sto QUI!

 

 

Pansanate. Giampaolo Pansa, si sa, s’è dato a severi studi sul periodo italiano ’43-’45.
Da buon giornalista qual è, ha intuito prima d’altri suoi colleghi che era il momento d’analizzare quegli anni sanguinosi.
Così dalle sue pagine, giustamente, sono venuti fuori tanti episodi che non fanno troppo onore alla Resistenza; ad onor del vero, alquante di quelle stesse cose le aveva già scritte nei suoi libri il repubblichino Giorgio Pisanò, ma essendo un fascistone era stato letto solo da quelli della parte sua.
Pansa, però, studioso serio, probabilmente quei libri li ha consultati.
Mo’ su L’Espresso dell’11 settembre scorso (sarà un caso, ma si è dimesso poco dopo passando a “Il Riformista”), concedendosi una pausa nel suo impegno di storico, c’informa che era reduce da Rimini invitato al meeting di CL. Riferisce che molti lo aspettavano fuori… come?... no! Per favore, niente battute maliziose… cito: “molti mi aspettavano fuori per ringraziarmi, stringermi la mano, per incitarmi ad andare avanti”. E fin qui non vedo che sorpresa ci sia, che altro potevano fare i ciellini se non congratularsi con Pansa? Ma poi, travolto dall’emozione, il giornalista nel prevedere la vittoria di CL (come se già non fosse avvenuta), indica tra le cause “un’Italia strozzata dal relativismo”. E noi, ingenui, che pensavamo il paese strozzato dalle leggi ad personam, dai conflitti d’interesse, dalla malavita, dall’intolleranza, dalla precarietà in cui vivono le più giovani generazioni, da un Parlamento in cui siedono 18 condannati con sentenza definitiva e 70 tra condannati in primo o secondo grado, indagati, imputati rinviati a giudizio (… ma si profilano guai per loro, Veltroni sta raccogliendo firme)… errore!... Ci siamo sbagliati
L’Italia, signori, questa è la tragedia, è strozzata dal relativismo.

 

 

Teatri d’Italia. Durante l’estate tanti i Festival di nuovo teatro.
Diversi i cartelloni, ma c’è una cosa che li rende simili: i programmi di sala. Indecifrabili più della tavoletta di Huruk
Dal basso dei miei oltre trent’anni di Enpals e varie rassegne allestite, mi permetto di consigliare vigilanza su quei testi. Straripano di “ironico”, di “onirico”, “frammentato”, “astratto”, “rivisitato”, “sezionato”, roba che pare si tratti sempre dello stesso spettacolo cui viene solo cambiato il titolo per rubricarlo in Siae. Che dire poi dello spreco di “anti”? Un vero scialo.
Di uno spettacolo, ho letto in una scheda che è un “antispettacolo” in cui “l’approccio è antidrammaturgico” che “l’opera diviene antiregistica ed antinterpretativa”, insomma un’ “assoluta antimacchina” che vive in un’ “antiscenografia”.
Mi sono rifiutato di vederlo. Sono un antispettatore.

 

Esco e chiudo. Se qualcuno mi cerca sto al bar.

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