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Sorci rossi e vermi verdi

 

18. La grande quantità d’informazioni che ci raggiunge allarga conoscenza su cronaca e storia, ma fa dimenticare presto molte cose incalzate e superate da altre sopraggiunte.
Perciò qui voglio ricordarne alcune trascorse, ma che è bene non dimenticare. Ecco la prima.
Oliviero Diliberto è uno specialista in figuracce, ne ha collezionate tante, ma quella recente in cui appare in conversazione con la signora che ostenta una maglietta nera con la scritta “La Fornero al cimitero” è cospicua. Dapprima ha detto di non essersi accorto della lugubre t-shirt, poi è stato sbugiardato da un lungo filmato su YouTube che lo ritrae sorridente (quando Diliberto sente l’odore amarognolo dei crisantemi sorride sempre) accanto all’infausta indossatrice.
Preferisco la maglietta rossa da me ideata con scritto in bianco: “La Fornero s’è laureata col 18”.

 

 
18 barrato. Sarebbe stato necessario e giusto, per decenza sociale, prima d’affrontare la questione dell’articolo 18, aggredire lo scandaloso problema dei morti sul lavoro in Italia che solo nel 2011 – soltanto considerando quelli avvenuti sul posto di lavoro – sono stati ben 663! Senza calcolare quelli deceduti per malattie contratte lavorando in ambienti fuori legge e senza contare gli infortuni non mortali ma che portano a invalidità talvolta anche permanenti.
Fin qui s’è detto di cifre aggiornate al 2011, se volete sapere a quanti siamo arrivati in questo momento che state leggendo cliccate su http://cadutisullavoro.blogspot.it.
Ottimo l’impegno di Monti (cui va tutto il mio plauso) dimostrato contro l’evasione fiscale.
I piccoli evasori, sommati fra loro, determinano un’evasione colossale, così come coloro che contravvengono alle leggi sulla sicurezza sul lavoro sono delinquenti di consistenza colossale. Avrei dedicato loro un pensierino prima di dibattere sull’Articolo 18.

 

 

Pro memoria (1). A chi critica le decisioni del Governo Monti, sfugge spesso una cosa: sono state prese deliberazioni tanto radicali e dolorose (talvolta inique e scarsamente “tecniche”) perché costretti a riparare, in brevissimo tempo, vent’anni disastrati da un rissoso e inconcludente triennio di centrosinistra e da 17 anni d’indecente berlusconismo. Il cavaliere sta cercando di far dimenticare quanto ha combinato sparendo dalle cronache e mandando avanti un altro sapendo bene che non tutti identificano Alfano con il suo famigerato capo di Arcore. Alla fine B. si ripresenterà alla ribalta mostrando agli italiani tutti i sacrifici ora imposti, farà la parte del liberatore, come se mai fosse stato al governo e mai avesse collaborato con le misure in corso.
Quanti ci cadranno?

 

 

Pro memoria (2). Bossi piange, altri leghisti lacrimano, e perfino tra i loro avversari (spesso compagni di merende nel verde) c’è chi, rimproverando la Lega, accusa familiari e collaboratrici di Bossi d’avere approfittato della malattia del capo per rubare.
Le cose non stanno così. Bossi è stato colpito da un ictus l'11 marzo 2004.
Godeva ottima salute nel 1993 quando incassò, come altri, la sua quota della maxi-tangente Enimont (ha preso una condanna, confermata in Cassazione, di 8 mesi) definendo il tesoriere Patelli un “pirla” nell’infilare 200 milioni nelle casse leghiste.
Vispo era pure nel 1998 quando sponsorizzò la Banca Credieuronord che costringerà Bankitalia nel 2004 a indagini sui vertici aziendali che verranno poi solo multati dall'allora ministro Tremonti, mentre molti risparmiatori leghisti ci rimisero un mucchio di quattrini.
Ancora sanissimo nello stesso anno quando amoreggiava con Gianpiero Fiorani il banchiere della Popolare di Lodi poi condannato a 3 anni e 8 mesi di reclusione.
Nel pieno delle sue energie quando nel ’98 si reca con la moglie da un notaio e costituiscono un fondo patrimoniale per blindare gli immobili di famiglia (primo acquisto nel 1994, sua prima elezione al Senato nel 1987) di terreni, fabbricati e appartamenti da eventuali pignoramenti.

 

 

Romba il motor. Il sindaco Pd di Forte dei Marmi, Umberto Buratti, ha dovuto rinunciare a un suo sogno: dedicare una statua a “L’aviatore”. A rappresentare gli aviatori italiani: il figlio del duce, Bruno Mussolini; la scultura era stata commissionata settant’anni fa dallo stesso duce ad Arturo Dazzi, artista caro al regime, per onorare la ‘vita esemplare’ di Bruno, morto in un incidente aereo.
Bruno Mussolini nel 1935 partecipò con il fratello Vittorio, anche lui aviatore, alla guerra di conquista coloniale dell’Etiopia. Le loro gesta sono così descritte da Vittorio: “Le bombette incendiarie davano soddisfazione: era un lavoro divertentissimo. Bisognava centrare bene il tetto di paglia. Questi disgraziati che si vedevano bruciare il tetto saltavano fuori scappando come indemoniati. Una bella sventagliata e l’abissino era a terra”.
Il Buratti ora, travolto dalle critiche, più non vedrà la statua dell’aviatore Bruno a Forte dei Marmi.
Ha riconosciuto di avere commesso una canagliata? No, ha rinunciato “per un senso di responsabilità di fronte alla messa in moto di una macchina della violenza che non ci appartiene” ha detto quel sindaco Pd.
I Sorci Verdi erano l'emblema di una Squadriglia della Regia Aeronautica cui fece parte anche Bruno Mussolini; vinsero pure competizioni sportive. Fatti come quelli di Forte dei Marmi, però, dimostrano che la loro fama corre il rischio d’essere oscurata da nuovi sorci: rossi.

 

 

Traduzioni nuove. Dai nostri governanti tecnici abbiamo appreso che esistono gli “esodati”; solo che proprio i “tecnici” non si erano accorti di loro. Bisogna capirli. Quella parola, infatti, non esiste nel vocabolario italiano. Pare però che un nuovo traduttore del secondo libro del Pentateuco (‘L’Esodo’) così chiamerà (‘esodati’) gli ebrei che guidati da Mosè escono dall’Egitto per andare verso la Terra promessa. Sembra che nella nuova versione si scopra un giallo sfuggito alle precedenti traduzioni: quel popolo in viaggio resta senza Egitto e senza Terra promessa. Tentano in molti di acciuffare Mosè ma lui fugge rovesciando sulla loro testa una “paccata” di comandamenti.

 

Esco e chiudo. Se qualcuno mi cerca, sto al bar.

 

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