– Distrutta da neonazi la targa dedicata a Yithazak Rabin; apologia del fascismo al Campo X del Cimitero Maggiore; ammessa alle più recenti elezioni di giugno, contro le leggi vigenti, una lista recante il simbolo del fascio littorio; su YouTube torte con svastica per festeggiare compleanni, don Marco Solimena durante un’omelia dice «Dio benedica l’Italia e il fascismo»…
Immancabile lo stupore di quanti dimenticano (e di altri che fingono di dimenticare) che tutto ha un’origine lontana: 22 giugno 1946. Data in cui l’allora Ministro di Grazia e Giustizia amnistiò i repubblichini. Quel Ministro si chiamava Palmiro Togliatti. Lo stesso Togliatti che in quel Ministero assunse l’ex presidente del Tribunale della Razza Gaetano Azzariti destinato poi a diventare Presidente della Corte Costituzionale dopo De Nicola (sic!).
Senza dimenticare il Pci teso a soffocare in campo culturale e artistico ogni voce della Sinistra d’estrazione laica e liberaldemocratica, ogni intellettuale, ogni artista antifascista ma sgradito a Botteghe Oscure… ognuno che criticasse il fascismo e, al tempo stesso, il totalitarismo comunista.
E gli occhi chiusi della Dc e dei suoi alleati durante decenni di manifestazioni in barba alla Legge Scelba del ’52, e – Presidente del Consiglio D’Alema – in tv, su RaiUno, Paolo Limiti presenta un coro (non da documentario d’epoca, ma appositamente convocato) che in camicia nera intona l’inno della X Mas… Che dire? Sigh Heil!
– Polizie francesi, inglesi, tedesche, minuti dopo un attentato islamista dimostrano la loro efficienza: fanno sapere i nomi e gli indirizzi dei colpevoli, mostrano foto scattate durante i pedinamenti effettuati, in tv danno l’audio d’intercettazioni telefoniche e ambientali, visioniamo nascoste riprese filmate di riunioni preparatorie della strage.
Pare che prossimamente faranno di meglio: vedremo i sopralluoghi effettuati dai martiri di Allah prima del botto, li osserveremo in foto mentre indossano i giubbotti esplosivi, e pure il signor Kamikaze ben imbottito di bombe mentre esce da casa e va a fare l’attentato.
Totò, in un film in cui è un maresciallo che toppa goffamente le indagini, diceva con aria astutissima: “A me non la si fa! Non-la-si-fa!”.
– Scrivo queste righe prima del 25 giugno e, quindi, non conosco gli esiti del ballottaggio.
Quelli del primo turno, sì. Al momento, c’è poco da girarci intorno: il centrodestra, protagonista la Lega, ha ottenuto un eccellente risultato, il centrosinistra ha tenuto botta, ma un po’ così così.
C’è un solo sconfitto: il M5S.
Lo sarà pure fra giorni, assente com’è nei ballottaggi di tutte le città più popolose in cui si è votato, ad eccezione di Asti acciuffata per 3 voti ai tempi supplementari dopo uno spareggio.
Gli errori dei grillini sono evidenti.
Oltre a non aver formato, finora, una classe dirigente su basi locali, ce ne sono altri.
Non avere esiliato in Papuasia lo spensierato Di Maio che ha colpe pure più gravi del non conoscere la lingua italiana e la storia contemporanea. Esibire un autoritarismo da operetta che si è visto esercitato a Parma e a Genova. Non avere mozzato il capo (chiamarla testa è troppo) a quanti si oppongono ai vaccini – facendo apparire la Lorenzin come femmina pensante degli umani… la Lorenzin! – oppure parlare di scie chimiche o d’altre scemenze alchemiche.
Chi vi ha votato è in larga parte perché siete il meno peggio. Non abusate di quella mezza fiducia.
Diceva il già citato Totò: “Ogni limite ha una pazienza!”
– Renzi 1 e 2.
1) Da Fondazione Critica Liberale: «Renzi ha scaricato Alfano: "È stato ministro di tutto, non si blocca il paese se non arriva al 5%". Evidentemente il nuovo patto del Nazareno impone che Renzi, in ginocchio, tolga i sassolini dalla scarpa di Berlusconi. Di suo, Matteo ci mette l'insolenza e la solita amnesia menzognera. Però non ha tutti i torti: doveva essere proprio un cialtrone chi ha nominato e imposto Alfano ministro dell'interno e degli esteri».
2) Il furbetto giovinotto manifesta spericolato ottimismo dopo i risultati del primo turno elettorale indicandolo come “momento di svolta della vita politica del nostro paese”.
Eppure prima aveva detto: “I risultati non saranno importanti. Si tratta di un voto locale”.
Prima ancora, illudendoci, aveva promesso: “Lascio la politica se sconfitto al referendum”.
– En marche!
Sono un sostenitore (dopo Gianni Canova, s’intende) del cinema italiano di oggi e dei suoi registi.
Non tutti, certo. Oltre ai più noti Sorrentino, Martone, Garrone (li cito nel mio ordine di gradimento), ce ne sono tanti altri, con plurali ispirazioni, bravissimi ma meno fortunati (li cito in ordine alfabetico): Marco Bechis, Claudio Caligari, Giorgio Diritti, Michelangelo Frammartino, Paolo Grassini, i Manetti Bros, Alessandro Piva, Leone Pompucci, Edoardo Winspeare… e altri ancora che, non me ne vogliano, al momento ricordo i loro film ma non loro nomi.
C’è una cosa, però, che appena la vedo sullo schermo mi fa venire la scarlattina. Si tratta di quelli che c’impongono sequenze interminabili con camminate fatte dai protagonisti delle storie.
Chissà perché sul più bello gli attori prendono a errare muti, a testa china, prevalentemente inquadrati di spalle, e attraversano di seguito vie, piazze, stradoni, angiporti, lungolaghi, vicoli, salite, discese, larghi, campielli, viali… luoghi quasi sempre deserti, anche se è ora di punta… con un inevitabile commento musicale di note meste per strumento a fiato. Passeggiate lunghissime, tanto che puoi uscire dalla sala, comprare i pop-corn e poi tornare a sederti senza che ti sia perso una battuta, tanto quelli lì sullo schermo li ritrovi che camminano ancora inesausti e muti.
A quell’andare è affidato qualche significato che evidentemente mi sfugge.
Mi piacerebbe montare di seguito in una sola, eterna, pellicola tutte quelle scarpinate, forse capiremmo meglio il profondo segno che esprimono quegli afflitti marciatori, oppure scopriremmo inedite interiorità del podismo.
– Paralleli.
"... andate e riferite quello che udite e vedete: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i morti risorgono". (Gesù di Nazareth, da “Il Vangelo secondo Matteo”).
"... anche i muti potranno parlare mentre i sordi già lo fanno" (Lucio Dalla, da “L’anno che verrà”).
– La vittoria di Macron ridando fiato all’Europa rafforzerà probabilmente l’uso e l’abuso dell’espressione “Ce lo chiede l’Europa” anche quando l‘Europa non se lo sogna di chiedercelo.
Ma è una frase ormai diventata famosa come “Domani è un altro giorno”, “Houston, abbiamo un problema”, “Baciami, stupido”.
“Ce lo chiede l’Europa”. Ormai è usata per più occasioni. Quella tale non vuol saperne? Presto fatto, dite con aria severa: “Ce lo chiede l’Europa” e vedrete che cederà.
Poi fatemi sapere com’è andata.
– À madame Marine.
All’apparir del nero / tu, misera, cadesti
Esco e chiudo. Se qualcuno mi cerca sto al bar.
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