L’ospite accanto a me è Rita
Cirio. Autrice e critica teatrale. Meglio chiarirlo subito: sono uno
dei suoi fans (non siamo pochi), se la cosa non vi garba, cambiate
taverna
spaziale.
Anni fa ho avuto la gioia di averla alcune volte ospite di mie trasmissioni
a Radio Rai, ammirando la sua capacità di possedere una versatilità verbale
per nulla inferiore a quella della scrittura, eloquio polemico tenero e
feroce, immaginate una che possa disputare nel salotto dei Guermantes e
litigare altrettanto efficacemente con un camionista ubriaco. Da anni su
L’Espresso ne leggiamo gli articoli che rappresentano molto di più di
recensioni sugli spettacoli, perché tracciano una storia ragionata
dei testi di ieri e di oggi ed una teoria sul fare teatro e fare
critica teatrale.
In quest’incontro con lei parlerò, com’è giusto
o forse fatale, anche di critica, ma desidero porre in primo piano
la Divina nel suo ruolo di autrice.
Nel 1974 insieme a Emanuele Luzzati, Tonino Conte, Aldo Trionfo, Giannino
Galloni e un gruppo di attori fonda a Genova la compagnia teatrale
'Il Teatro della Tosse' che prende il suo nome forse in maniera canzonatoria
dal disturbo delle vie aeree superiori che terrorizza spettatori e
teatranti,
ma pure in modo banalmente toponomastico dalla sua prima sede che si
trovava alla Salita della Tosse. Il lavoro della compagnia www.teatrodellatosse.it si
distingue ancora oggi per la libertà dei percorsi artistici,
della scelta dei testi e dell'uso degli spazi. In quel teatro, nel 1991,
e replicato per più stagioni, fu allestito da Filippo Crivelli il
testo di Rita “12 Cenerentole in cerca d’autore”, stampato
da Quadragono libri (poi ripubblicato da Nuages, Milano) con illustrazioni
di Lele Luzzatti. Questi parteciperà alla messinscena e, a testimonianza
del successo dello spettacolo, fu anche tenuta una Mostra di costumi e
bozzetti di scena alla Galleria “Il Vicolo” di Genova.
In epoca più recente, nel 2000, ha portato in scena "Frammenti
di un discorso amoroso" di Roland Barthes, al Festival di Palermo
sul Novecento per la regia di Piero Maccarinelli con Massimo De Francovich,
e poi in tournée.Ha scritto Susanna Battisti: “Ristrutturare
in una solida intelaiatura drammaturgica un testo-saggio atipico come "Frammenti
di un discorso amoroso" di Roland Barthes è un’impresa
più che ardua. Confermando il suo gusto per la sfida e per il
paradosso, Rita Cirio affronta la prova mettendo in scena i meccanismi
dell’innamoramento
nell’era del cyber sex, ma soprattutto ridando voce ad un grande
maestro di vita e signore dei segni come Barthes (i termini non contrastano)
in un momento in cui l’intelligenza colta sembra destinata all’impopolarità” http://www.kwlibri.kataweb.it/teatro/teatro_010301.shtml.
Il testo, godibilissimo, lo si trova nelle edizioni Sellerio (a proposito,
l’Editrice siciliana dispone da poco di un suo sito in Rete: www.sellerio.it).
Chi non lo avesse fatto, acquisti quel libro nelle cui pagine Rita
attraversa,
da dominatrice dotta e sorniona della scrittura qual è, sospiri
e spasimi calandoli nelle atmosfere e nelle scansioni del melodramma.
Altri titoli li trovate cliccando, ad esempio, su http://www.teche.rai.it/biblia/index.html.
Segnalo anche www.kwlibri.kataweb.it dov’è possibile
leggere suoi interventi anche in ambito extrateatrale, ad esempio sulle
arti visive,
il logo della rubrica è l’immagine di guanti neri di satin
che battono su d’una tastiera di computer.
- Benvenuta a bordo Rita…voglio
farti assaggiare questo AnnaMaria Clementi del ‘96 Cà del
Biosco…ecco fatto.Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo,
per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”,
però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”,
prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando
la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma,
chi è Rita secondo Rita…avvicinati e dimmelo…
- Rita scende le scale di Wanda Osiris cantando “Sentimental” ma è vestita
come Rita Hayworth , abito e guanti neri di satin disegnati da Jean
Louis.
“Sentimental” dissolve nel motivo conduttore di “Vertigo” scritto
dal grande Bernard Hermann per il film di Hitchcock , uno dei più belli
della storia del cinema. La musica resta in sottofondo durante tutta la conversazione.
- Ho capito. Mi pare un’ottima maniera, più delle parole,
per comunicare ai miei avventori chi sei.
Ora, un esercizio crudele. In meno di 9 parole, tante quante sono
le lettere del tuo nome, componi un telegramma nel quale sia riassunta
la tua figura d’autrice teatrale…
- Oltre la IV (parete)
- Hai portato in scena in un solo spettacolo tante Cenerentole quante
necessarie per accoppiarsi con gli Apostoli. Perché tante?
E che cosa combinano?
- Sono quante bastano per ripercorrere la storia del teatro, dai greci
alla commedia musicale, passando per Shakespeare, Goldoni,
Beckett, Tennessee Williams, eccetera. Ne combinano di ogni tipo, incarnandosi
nelle eroine
e nelle trame dei vari autori, magari mescolandole insieme.
E raccontano
tutti i vizi e i tic delle messinscene degli ultimi trent’anni.
- Qual è stata la principale difficoltà che hai incontrato
nel trasferire sul palcoscenico i “Frammenti di un discorso amoroso”?
E attraverso quale intuito l’hai superata?
- Pensando a come doveva essere nato, da un seminario anche affettuoso
di un professore con i suoi allievi prediletti (anch’io sono stata
professore all’università). Dopo che l’avevo scritto,
ho ritrovato negli appunti di Barthes (di cui sono stata allieva e amica)
qualche riga proprio sulla genesi dei “Frammenti”. Il
resto lo ha fatto la tenerezza, oltre che la devozione, che ho avuto
per
Barthes, la sua grandezza di anticipatore, la sua finezza. E sono
cose che penso
siano percepibili nello spettacolo andato in scena, come tu hai prima
ricordato, con la regia di Piero Maccarinelli.
- Accennavo in apertura ai tuoi interventi in Rete in ambiti anche
non teatrali. In quale delle altre aree espressive credi che
ci siano oggi
i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi
linguaggi?
- Prima che critico, sono architetto, laureata al Politecnico di Milano.
Il teatro e l’architettura, quando riescono bene, sono sintesi
di tante altre arti ed esigenze. Chi fa teatro deve saper spaziare senza
confini tra visivo, letterario, musicale, e non solo aggrapparsi a un
puro testo come all’unica zattera della Medusa.
- Qual è la cosa, la modalità, che ti fa venire la scarlattina
quando la vedi in scena? D’accordo, ce ne sarà più d’una,
ma intendo quella che più di altre ti provoca eruzioni cutanee?
- Gli attori che fanno finta di aver capito le parole che dicono (e
non è vero
e si sente subito). I registi che si credono più intelligenti
del testo che hanno scelto di rappresentare, ma anche gli attori troppo “intelligenti”.
In scena, come nella vita , mi piace la generosità (di idee,
di se stessi) anche se imperfetta.
- “Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con
i fatali prefissi neo, post, trans…” – la frase appartiene
ad una che scrive di teatro che forse conosci – insomma, che cosa
vuol dire per te “teatro di ricerca” oggi?
- Si torna alla generosità di prima, senza tante etichette. A volte
c’è più ricerca in uno spettacolo apparentemente
classico e “normale” che in quelli catalogati come d’avanguardia.
- Perché, assai spesso, l’attore italiano di teatro non
funziona al cinema e viceversa?
- Hai mai visto le riprese televisive di spettacoli teatrali anche
bellissimi? Gli attori, in primo piano, sembrano usciti dalla neurodeliri.
A volte
poi si aggiunge il tocco ineluttabile del regista televisivo che
non contento di filmare e basta, ci mette del suo, e allora è meglio
che il teatro resti confinato nei teatri e basta. Quanto agli attori
di teatro, ricordo quando Gassman mi raccontò in “Il mestiere
di attore” che…
- …t’interrompo per ricordare a chi ci ascolta che si
trova nelle edizioni Marcom…
- …sì…Gassman, dicevo, mi disse come ci vollero diecine
di film prima che sfondasse nel cinema, cosa che avvenne solo quando
decise con coraggio e generosità di dare l’addio al suo
ego teatrale per inventarsene uno diverso al cinema. Ancora una volta
la generosità, unita ovviamente a un minimo di tecnica acquisita
adatta al mezzo. Quanto al viceversa, l’Italia è uno dei
pochi paesi dove certi attori di cinema non sanno cosa sia recitare e
troppo spesso non hanno mai fatto teatro. In Francia, Inghilterra, Germania,
e non solo, non è così. E si vede.
- So che sei molto legata ad un tuo libro, mi riferisco a “Il mestiere
di regista”, edito da Garzanti, dedicato a Fellini. Perché è uno
dei tuoi titoli preferiti e come nacque l’idea di farlo?
- E’ proprio sul set dei suoi ultimi film e spot che è maturata
l’idea de “Il mestiere di regista” da lui voluto fortemente.
Io volevo fargli l’ennesima intervista per L’Espresso.
Lui volle un libro. Decisi di percorrere trasversalmente la sua carriera
passando per il racconto di tutti i produttori e di tutti gli interpreti
conosciuti nella sua vita. E di li nacque anche l’idea dello speciale
sugli attori che lui stava per realizzare. C’è un ricordo
molto tenero legato a quel libro. Dopo che Fellini se ne andò,
nell’ottobre del 93, un giorno mi chiamò il suo avvocato,
Patrizi, “Perché non vuol fare il libro Rita? Federico ci
teneva tanto. Venga a trovarmi, devo mostrarle qualcosa “. Io avevo
perso anche il contratto. Lo ritrovai da lui, firmato anche da Federico,
con l’aggiunta di una pagina su cui Federico aveva già disegnato
la copertina con il titolo. “Ma non la faccia vedere a Rita, altrimenti
si preoccupa” aveva fatto promettere Federico nel giugno 93, prima
di partire per Zurigo e subire quell’ intervento e le complicazioni
successive che scatenarono l’ictus che se lo portò via.
Mi commossi, neanche un parente ha in genere tanta delicatezza. Non mi
restava che trascrivere, fedelmente dalle registrazioni, tutto quello
che c’eravamo raccontati in tante domeniche nella sua casa di via
Margutta, con Giulietta che ci portava il caffè. Mi piacerebbe
che per i dieci anni dalla morte di questo regista e personaggio incommensurabile,
qualcuno rileggesse quel libro. Non voleva esserlo, ma è diventato
una sorta di testamento.
- A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci,
infliggo una riflessione su Star Trek… che cosa rappresenta
quel videomito nel tuo immaginario?
- Sai, mi fa una grande tenerezza vedere invecchiare gli interpreti,
le loro sopracciglia tenute su ormai con notevoli sforzi…mi ricordano
gli attori d’una compagnia che vidi recitare a Mosca…avevano
in scena “L’uccellino azzurro” di Maeterlinck nella
stessa edizione allestita prima della Rivoluzione…”ogni tanto” – mi
raccontarono – “qualcuno di noi se ne va all’altro
mondo, tocca sostituire chi faceva il pane o altri ruoli”…
- Siamo quasi arrivati a Cyryo, pianeta abitato da alieni monoteisti
che adorano una sola dea chiamata Rhytha, clone d’una divinità terrestre…se
devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista,
anche perché è finita la bottiglia di AnnaMaria Clementi
di Cà del Bosco… Però torna a trovarmi, io qua
sto…intesi
eh?
- Sfuma la musica di “Vertigo”. In terra sono rimasti
i guanti neri di satin.
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