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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Gianni Canova. Critico cinematografico.
Dizione corretta, ma che per Canova è restrittiva perché opera, insegna e spazia su tutte le  estetiche visuali della contemporaneità.
Non è un caso che lo spunto per questa conversazione nello Spazio sia dato dalla recente – e imperdibile – mostra da lui ideata e allestita alla Triennale di Milano: “Annisettanta. Il decennio lungo del secolo breve”.

Per una biobibliografia (spero esaustiva, ma non ne sono certo) del cinemaniaco  cliccate QUI.

Cinemaniaco, già. Perché così si chiama la rubrica sulla piattaforma Sky condotta dal Nostro,  con felice composizione visiva, acutezza critica, gioia di racconto; roba molto diversa, insomma, dalle rubriche tenute da certi sofferti critici che sembrano prede di coliche renali quando appaiono in video e fanno scendere un velo di mestizia nelle case. A chi mi riferisco?... per favore! Ho già tante grane, non ho proprio bisogno di crearmene di nuove… grazie per la comprensione.

 

Benvenuto a bordo, Gianni…
… che le immagini siano con noi!
Nicola Batavia, chef e patron del ristorante 'L Birichin  di Torino mi ha consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questa Barbera 2004 di Aldo Conterno aggiungendo in Spacefax le parole che leggo: “Serietà e capacità di vinificare. Questo per me è l'emblema di Conterno. Una ‘vera’ barbera, da urlo!”.
Fin qui Nicola Batavia… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Gianni secondo Gianni …
Se sapessi rispondere a questa domanda probabilmente non sarei qui.
Nel senso che alla mia più non verde età, ci sono tanti me stesso che indossano di volta in volta maschere differenziate: l’appassionato di romanzi polizieschi, il padre di una bambina di tre anni, il cinofilo maturo, il direttore di una rivista che si chiama “Duellanti”, l’allestitore di una mostra sugli anni settanta.  Come dire… sono identità plurime, diverse, e non necessariamente coerenti l’una con l’altra, ma credo che la coerenza sia una virtù dei santi o degli ingenui… io non appartengo ai primi né ai secondi. Sono un peccatore e sono anche sufficientemente cinico da sapere che nell’era della contemporaneità ognuno di noi ha a che fare con più avatar di se stesso ed è forse bene non conoscerli tutti profondamente altrimenti ci si potrebbe pure spaventare.
Accennavo in apertura alla mostra “Annisettanta” che fornisce l’occasione per quest’incontro.
Che cosa rappresentano per te quegli anni?
Io mi ritengo un ragazzo degli anni Settanta. Perché molte cose sono accadute allora, e tutte fondamentali nella mia vita. In quel decennio sono stato al liceo e all’università, in quel decennio ho perso mia madre, in quel decennio mi sono innamorato sul serio per la prima volta, in quel decennio, come tanti, pensavo di cambiare il mondo e credevo che fosse una cosa relativamente semplice crearne uno migliore; quegli anni rappresentano quelli della formazione, della giovinezza, del sogno.
E credo che il segno di quel tempo mi sia rimasto addosso, per una certa radicalità – non in senso politico o culturale – ma come segno della passione, della volontà di andare alla radice delle cose, di coglierne l’essenza aldilà delle mode e degli aspetti più effimeri dell’esistenza.
Nell’allestire la mostra, qual è stata la prima cosa che hai deciso d'evitare?
Allestendo la mostra Anni settanta, avevo chiarissima una cosa: non volevo fare una mostra vintage, evitare l’effetto nostalgia, il come eravamo, i rimpianti, l’adunata dei reduci, dei veterani.
Sapevo che questo comportava un rischio, cioè che a molti dei miei coetanei la mostra così concepita non piacesse. Cosa che è puntualmente accaduta. In genere, la mostra, infatti, non piace a chi ha cinquanta e più anni perché non ritrovano la loro giovinezza, ma la giovinezza, per fortuna, è cosa individuale e non socializzabile.
Piace, invece, la mostra ai ventenni, ai venticinquenni, ai trentenni, a quelli che allora non c’erano e provano piacere a perdersi dentro un particolare allestimento labirintico ideato dall’architetto Mario Bellini, provano piacere a percorrere un decennio che non è riassumibile con etichette giornalistiche perché ricco e pulsante d’energie e in questo ha il suo grande fascino, la sua grande attrazione.
Bene. Tutto ciò lo si può vedere fino al 30 marzo dell’anno che per i terrestri è il 2008.
E’ cosa da non perdere.
Ora, prima di parlare di cinema e tv, voglio porti una domanda sullo sguardo oggi.
Baudrillard definisce “estasi da Polaroid” quella voglia tutta contemporanea di possedere l’esperienza e la sua oggettivazione. E il digitale?... il tuo pensiero?
La Polaroid di recente ha dichiarato che presto smetterà la produzione. E’ stato un segno epocale l’idea di disporre d’una tecnologia di riproduzione rapidissima che permettesse di avere istantanee uniche della nostra vita, il gusto di portarsele a casa immediatamente, esprimeva il grande sogno novecentesco di conservare qualcosa fermandolo nel flusso del tempo che passa.
Il digitale cambia in parte lo scenario, lo cambia perché si ha l’impressione che le immagini, perfette e immediate, possano fare a meno del mondo, non siano l’impronta di ciò che le ha generate. Pur bellissime, non siano, come dice un francese, la Sindone del mondo impregnata del sangue, del corpo del mondo, come lo erano un tempo quelle della vecchia Polaroid.
Hai detto in tv una cosa sul cinema che mi trova entusiasticamente d’accordo.
Ecco la trascrizione: “Non credo che il cinema debba smascherare alcun che. E quando pretende di farlo è ideologico e quindi finto. È a sua volta in maschera e non mi interessa, a volte irrita. Credo che il cinema non debba smascherare, ma debba metterci in maschera, cioè debba fare provare anche a noi che cosa si prova entrando in una certa situazione. Il cinema non ci deve dire verità definitive sui destini ultimi dell'universo e del mondo. Deve usare la propria capacità mediatica per farci sperimentare maschere che nella nostra vita quotidiana non ci metteremmo mai, perché non ne siamo capaci, perché non immaginiamo neanche che possono esistere mondi come quello.
Che succede allo spettatore terminata la visione del film?
Il cinema spinge a sperimentare maschere diverse. Ma di fronte al cinema non siamo massa indifferenziata, amorfa, siamo spettatori. Cioè portatori di una libertà che consente a ciascuno un proprio momento emozionale, percettivo. Sta allo spettatore, alla fine della proiezione, quando si toglie la maschera che il film gli ha dato e si rimette la sua, trarre le proprie conclusioni..
La “In-Stat Research”, think-tank americana sui media, sostiene che entro il 2010, il mercato delle sale sarà marginale. La fruizione dei film sarà prevalentemente casalinga con un mercato immaginato sui 50 miliardi di dollari interessando il 41% delle famiglie negli Usa, mentre in Giappone la media sarà ancora superiore. Gli stessi analisti pensano che in altri paesi asiatici e in Europa saranno, invece, i portatili-telefonini, i players Mp4, i palm-computer ad essere i più usati.
Quale conseguenza pensi che tutto ciò possa avere sull’ideazione e produzione dei film?
Conseguenze… credo che accadrà al cinema quanto è già accaduto al teatro, assumerà un ruolo residuale, ma importante.
Il cinema è uscire di casa, sedersi accanto a degli sconosciuti e guardare verso l’alto immagini più grandi di me, che mi sovrastano. Se guardo, invece, un’immagine grande quanto un francobollo, appaga la mia volontà di potenza, come prima mi appagavo nella mia voglia di perdermi, insomma è un altro piacere.
Dal cinema alla tv. Breve: la tv generalista ha i minuti o i secoli contati?
Tv generalista?... Perché esiste ancora?... mi avevano detto che gli avevano già fatto il funerale…
Ci avviamo alla conclusione di quest’incontro e, pensando prevalentemente alla Rete, chiedo: credi che oggi siano le relazioni sociali a guidare le tecnologie o viceversa?
Sono le tecnologie a guidare le relazioni sociali. Non è cosa di ieri, lo è da sempre. Checché ne dicano le ideologie, le politiche. Le tecnologie sono sempre in prima fila.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa…che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Non parlo mai di questioni intime. Non parlo dei miei amori, né dei miei odi.
Siamo quasi arrivati a Canòvya, pianeta  abitato da alieni che sono tutti cinemaniaci… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Barbera Conterno 2004 consigliata da Nicola Batavia patron e chef del ristorante ‘L Birichin di Torino… ora ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

È possibile l'utilizzazione di queste conversazioni citando il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuto.

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