L’ospite accanto a me è Andrea Bernagozzi. Astrofisico.
Nato a Milano nel 1969, dopo la laurea in fisica all’Università degli Studi di Milano ha conseguito il Master in Comunicazione della Scienza alla Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. Da oltre dieci anni è impegnato in iniziative di diffusione di cultura scientifica rivolte alle scolaresche e al pubblico generico. Ha collaborato con varie istituzioni, come il Museo Astronomico-Orto Botanico di Brera e il Civico Planetario “Ulrico Hoepli” a Milano, la Fondazione per la Scuola di Torino, la Fondazione di Venezia. È autore dei volumi La Fantascienza a test (Alpha Test, Milano 2007) e con Davide Cenadelli Seconda stella a destra. Guida turistica al Sistema Solare (Sironi, Milano 2009). Attualmente è ricercatore con Borsa di Ricerca UE-FSE all’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d'Aosta, dove studia i pianeti extrasolari nell’ambito di un progetto in collaborazione con l’INAF-Osservatorio Astronomico di Torino.
- Benvenuto a bordo, Andrea…
- Wow, sono sull’Enterprise e stiamo viaggiando a curvatura 6? Come quei fan nel film “Galaxy Quest”, posso dire «Lo sapevo che era tutto vero, lo sapevo» - o almeno mi piace pensarlo per quest’incontro a cavallo tra il XXI e il XXIV secolo... Forse l’entusiasmo mi ha fatto perdere un po’ di contegno. Recupero il bon ton, anche in ossequio alla patria del Capitano Picard, e comincio ringraziando per l’invito. Ero informato dell’esistenza del Bar di Prora, dove lavora Guinan, ma non immaginavo che ci fosse anche una vineria a bordo dell’Enterprise. È davvero immensa!
- Contribuiscono a rifornirla Antonella Ferrari e Miriam Mareschi, sfavillanti patronnes del ristorante La Piazzetta del Sole a Farnese. Per questo viaggio, mi hanno consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo bianco laziale “Poggio della Costa” 2008 di Sergio Mottura.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo “a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Andrea secondo Andrea…
- Precisato che il Capitano Picard sa bene come condurre un’astronave, accetto l’invito alla prudenza. Ecco quindi il mio ritratto interiore, sperando che non diventi troppo presto un testamento spirituale! Direi che sono una persona curiosa, che s’interessa a tante cose, pure troppe. Come capita spesso, infatti, il nostro miglior pregio è legato al nostro peggior difetto. Nel mio caso, la voglia di imparare cose nuove è un fattore positivo, ma proprio perché m’interesso di qua e di là posso essere dispersivo, che è un fattore negativo. Quello che posso aver fatto finora di buono lo devo assolutamente alle tante, meravigliose persone che mi sono trovato accanto. È grazie a loro che ho imparato a comprendere quando è il momento di badare al sodo, di concentrare le energie sulle questioni davvero importanti. Invece i pasticci che ho combinato sono tutta farina del mio sacco.
- “All’Osservatorio astronomico della Valle d’Aosta vivono e operano i nipoti più accorti di Talete”, ha scritto Silvia Veroli in un suo articolo. Quale la principale ricerca cui vi dedicate?
- Ringrazio Silvia Veroli per l’accostamento con Talete. L’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta si trova a circa 1700 m di altezza nel villaggio di Lignan, frazione del Comune di Nus, nella valle di Saint-Barthélemy. L’Osservatorio dipende da enti locali e non da centri accademici, però dal 2006 collaboriamo con l’Istituto Nazionale di Astrofisica. Al momento siamo impegnati in quattro progetti di ricerca scientifica, che vanno dallo studio dell’atmosfera del Sole a quello degli asteroidi del Sistema Solare, dalla ricerca di pianeti extrasolari alla misura della luce emessa da galassie lontane miliardi di anni luce.
Come l’equipaggio dell’Enterprise, si può dire che anche noi viaggiamo per il cosmo, ma con i telescopi e non il motore materia-antimateria. Facciamo anche visite guidate per pubblico e scuole, se qualcuno ci vuole venire a trovare siamo contenti!
- Hai un principio filosofico generale cui ispiri le tue ricerche?
- Il mio approccio verso la scienza deriva dalla... fantascienza. Da piccolo mia mamma non mi leggeva fiabe, ma i racconti dell’antologia Le meraviglie del possibile. Il “senso del meraviglioso” di quelle storie mi ha avvicinato, per quanto possa sembrare paradossale, al fascino dell’indagine sistematica. Aggiungiamo il fascino dello spazio et voilà, ora sono all’Osservatorio a indagare lo spazio. La fantascienza è alla base anche del principio filosofico con cui svolgo la mia attività di ricerca: se c’è una cosa che ogni vero appassionato di fantascienza sa bene è che la realtà supera sempre la fantasia. Quello che scopriamo del cosmo è sempre più sorprendente di qualsiasi invenzione, anche dell’autore più dotato. Per me questo è davvero incredibile.
- Ora che i miei avventori ti conoscono meglio, passiamo ad altre domande che investono l’area scientifica nella quale lavori. Perché non sappiamo se l’universo è finito o infinito?
- Che onore sentirsi porre la stessa domanda che qui sull’Enterprise è già stata fatta a Margherita Hack! L’accostamento è improponibile, ma provo a dire la mia. Studiamo il cosmo grazie alla luce e alle altre onde elettromagnetiche emesse dagli astri. La luce viaggia a un miliardo di km all’ora: velocità grandissima, ma non infinita. Quindi ci vuole un certo tempo perché la luce di una galassia lontana arrivi alla Terra. Poiché l’universo è nato quasi 14 miliardi di anni fa, la luce di certe galassie ha fatto in tempo a raggiungerci, mentre quella di altre è ancora in viaggio. E magari non ci raggiungerà mai, perché intanto l’universo si espande e la distanza spazio-temporale tra noi e la galassia lontana aumenta. Si parla di universo osservabile, intendendo la porzione di cosmo che possiamo vedere. Che cosa c’è oltre? Hic sunt leones: proprio perché non abbiamo informazioni, possiamo solo immaginare.
- Puoi spiegare in sintesi – affinché perfino io capisca – la differenza tra la visione relativistica e quella quantistica?
- La fantascienza ha reso famosa l’espressione continuum spazio-temporale. Per esempio, Q viene dal continuum. La grande differenza tra la visione relativistica e quella quantistica è che la prima è appunto una teoria del continuo, mentre la seconda del discreto. Penso che molti abbiamo in mente la rappresentazione dell’universo macroscopico come una sorta di lenzuolo sul quale è disegnata una griglia di coordinate; quando vi si appoggia sopra una palla, a simulare per esempio una stella, il lenzuolo si deforma e la distorsione spiega l’attrazione gravitazionale in termini relativistici. Per la teoria quantistica, invece, la struttura microscopica dell’universo è fatta a pacchettini, di materia o di energia, chiamati genericamente quanti. L’universo è un lenzuolone unico oppure tanti mattonicini Lego messi insieme? Ecco una bella differenza!
- S’arriverà un giorno ad un’unificazione tra le due teorie oppure è impossibile?
- Detto che lenzuolo e mattoncini sono metafore per dare un’idea, il contrasto tra le due visioni del mondo è abbastanza, uhm, scocciante. Il navigatore che usiamo per andare in giro in automobile funziona perché calcola la nostra posizione rispetto ai satelliti artificiali che orbitano intorno alla Terra applicando principi della relatività generale. Lo stesso navigatore ha al suo interno circuiti che funzionano con elettroni e fotoni, particelle discrete della meccanica quantistica. No, il GPS non è l’unificazione tra le due teorie, ma così capiamo come sia difficile rinunciare a qualcosa di entrambe: non spiegano tutto, ma molto sì. Deve arrivare qualcuno con un’idea fresca, che ci permetta di vedere le cose da un nuovo punto di vista. Allora forse ci accorgeremo che le due teorie sono le due facce di chissà quale medaglia. E ci chiederemo come abbiamo fatto a non accorgercene prima...
- Duemila anni fa Lucrezio diceva “Tempus item per se non est”, il tempo in sé non esiste.
Prendo spunto da quella affermazione per dire che esistono parole delle quali oggi l’abuso ne ha compromesso l’intelligibilità. Ad esempio, tempo virtuale… tempo reale, ci dai una tua sintetica illuminazione su questa differenza?
- Mi sarebbe piaciuto cominciare citando la classica massima di Sant’Agostino su che cosa sia il tempo… “Che cos’è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so, ma se dovessi spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so”... ma l’ha già fatto Piergiorgio Odifreddi sempre qui sull’Enterprise. Ho detto prima che la luce impiega un certo tempo ad attraversare lo spazio tra l’astro che la emette e noi. Un’importante conseguenza è che la luce che ci arriva oggi da una stella è partita dieci, cento, mille e più anni fa, milioni o miliardi di anni addirittura per le galassie lontane. Quando guardiamo un astro lo vediamo non com’è oggi, ma com’era; più lontano è, più l’immagine ci parla di un passato remoto. Non possiamo sapere com’è adesso una galassia, se non aspettando che la luce ci raggiunga. Nel frattempo, però, il suo aspetto sarà mutato. In questo caso tempo reale e virtuale sfumano uno nell’altro: è più reale il tempo passato dell’astro che vediamo al telescopio o il presente che però non possiamo conoscere se non nel futuro?
- Due domande in una. Lo so, sono ingordo.
David Deutsch, Stephen Hawking, Roger Penrose, Paul Davies, tutti scienziati che hanno affermato la possibilità di viaggiare nel Tempo. La principale difficoltà di creare una “Macchina del Tempo” è teorica oppure tecnologica? E perché, sarebbe più difficile, se non impossibile, viaggiare nel passato invece che nel futuro?
- Ma davvero è impossibile? Paolo Calcidese, mio collega all’Osservatorio a Saint-Barthélemy, studia un particolare tipo di galassie, dette blazar. Sono lontane miliardi di anni luce. Perciò le immagini che riprende al telescopio gli mostrano com’erano quelle galassie miliardi di anni fa. In astronomia si parla di spazio-tempo proprio perché è impossibile considerare in maniera indipendente lo spazio e il tempo. Grazie alla finitezza della velocità della luce, spazio e tempo sono inscindibilmente legati e Paolo può affermare che lui ogni notte viaggia nel tempo... Non è il viaggio del tempo della fantascienza, ma è ancora più incredibile, perché è realtà!
- Ray Kurzweil, con la sua Teoria della Singolarità, sostiene che siamo alle soglie del post-umano, grazie alla crescita esponenziale delle nanotecnologie e delle biotecnologie. In che cosa l’uomo di quel tempo (su cui è prudente non fare previsioni di date), prevedi che principalmente si differenzierà concettualmente da noi?
- Sulla base del mio principio guida, cioè che la realtà supera sempre la fantasia, sono sicuro che qualsiasi previsione potrei azzardare sarebbe superata dagli eventi. Però i millenni sono un tempo grandissimo per la storia, ma un battito di ciglia per i tempi biologici dell’evoluzione. Dagli antichi Egizi a noi l’essere umano non è evoluto in un’altra specie. In qualsiasi modo si manifesterà la possibile Singolarità, sarà certamente una rivoluzione epocale, ma l’essere post-umano non sarà, a mio parere, sensibilmente diverso da noi. Avrà incredibili potenzialità e accesso a chissà quali risorse, ma esigenze, bisogni e desideri come i nostri. Non sono un futurologo, però non penso che ci sarà uno scarto tale da impedirci di comunicare tra umani e post-umani, esattamente come non c’è uno scarto tale da impedirci di comprendere i geroglifici egizi.
- “Non riesco a capire perché le persone siano spaventate dalle nuove idee. A me spaventano quelle vecchie”, diceva John Cage. Perché in molti (non solo fra gli adepti a religioni, specie se monoteiste), ma anche fra progressisti, o cosiddetti tali, hanno paura delle scienze e dei suoi approdi? Da dove viene quel panico?
- In natura ci sono quattro forze fondamentali: forza gravitazionale, forza elettromagnetica, forza nucleare debole e forza nucleare forte. Per me esiste anche una quinta forza: la forza dell’abitudine. E forse è la più potente, perché tutti ci abituiamo a qualcosa e poi abbiamo difficoltà a cambiare. Il panico verso il nuovo potrebbe essere dovuto a questa quinta forza... Non credo però che la fede religiosa giochi un ruolo importante nel processo. Per esempio, i padri della Rivoluzione scientifica tra 1500 e 1700 erano tutti credenti e praticanti: Copernico e Galilei cattolici, Keplero protestante, Newton anglicano di facciata e di credenza ariana in privato. Eppure non si può dire che non siano stati innovatori! Anche i loro avversari, come noto, erano religiosi. Si tratta di questioni complesse, ma per me la lezione che si può imparare è che quel che conta è la persona.
- Qual è il tuo giudizio sulla divulgazione scientifica attraverso i media oggi in Italia?
- Il 2009 è stato proclamato dalle Nazioni Unite l’Anno Internazionale dell’Astronomia, per celebrare i 400 anni passati dalla prima osservazione al cannocchiale di Galileo Galilei, avvenuta nel 1609. A pubblico e classi in visita chiedevamo se sapevano che il 2009 era dedicato all’astronomia: tutti cadevano dalle nuvole, però sapevano che nel 2012 è prevista la fine del mondo. Migliaia di persone che salgono in cima a una montagna per vedere le stelle al telescopio segnalano che in Italia c’è una grande fame di scienza. Dispiace quindi che nella patria di Galileo il servizio pubblico tv mandi in onda trasmissioni come Voyager, che presenta fantasie come quella del 2012 come se avessero riscontri scientifici, quando invece sono totalmente infondate. E c’è il rischio che qualcuno le prenda sul serio e si spaventi, soprattutto bambini e anziani.
- In quali campi artistici… musica, cinema, net art, videogames, eccetera… trovi da uomo di scienza le maggiori corrispondenze con i tuoi primari interessi di studio?
- Nella mia vita professionale sono stato coinvolto in varie attività che avevano a che fare con il rapporto tra arte e scienza. Ho interagito con musicisti, scrittori, poeti, fotografi, film maker, attori e registi teatrali, videoartisti... Il fatto che nel mio piccolo abbia avuto contatti con una così ampia varietà di professionalità è per me una conferma non solo del fascino intrinseco del cielo, ma anche della capacità dell’astronomia di essere una disciplina trasversale, che abbraccia ambiti del sapere apparentemente distanti. Inoltre segnala la necessità per uno scienziato contemporaneo di sapersi dedicare tanto alla ricerca quanto alla comunicazione della scienza, senza preconcetti culturali. Ovviamente tra tutte le arti quelle che preferisco sono letteratura, televisione e cinema di fantascienza, il che sembra indicare che un certo preconcetto culturale ce l’ho eccome!
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Sono un fan accanito di Star Trek, in particolare serie classica e “The Next Generation” -- e non lo dico per piaggeria perché sono a bordo dell’Enterprise. Il Signor Spock e il Comandate Data sono per me due figure di riferimento per la loro maniera di fare scienza. Il motto vulcaniano «infinite diversità in infinite combinazioni» mi ricorda il paragrafo finale dell’”Origine delle specie”, quando Charles Darwin scrive delle «infinite forme, sempre più belle e meravigliose» degli esseri viventi. Non solo scienza, ma anche diritti civili e rivendicazioni sociali hanno trovato spazio in televisione grazie a Star Trek: da appassionato di fantascienza, sono orgoglioso che il mio genere preferito abbia saputo esprimere un prodotto di questo livello. Una critica? Spero che il Capitano Picard non m’ascolti, ma solo in un telefilm di fantascienza si può vedere un francese che beve tè Earl Grey e declama Shakespeare...
- Siamo quasi arrivati a Bernagozzi-A , pianeta abitato da alieni che s’orientano nello Spazio usando esclusivamente la Guida turistica intitolata “Seconda stella a destra”… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “Poggio della Costa” 2008 consigliata da Antonella Ferrari e Miriam Mareschi della “Piazzetta del Sole a Farnese … Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Siamo già arrivati? Caspita come passa il tempo, anzi lo spazio-tempo! Tra l’altro noto che la velocità di curvatura ha avuto su di me un effetto collaterale imprevisto. Ho studiato a Trieste e lavoro in Valle d’Aosta, ma sono clamorosamente astemio. Almeno sulla Terra, perché qui nella vineria dell’astronave, tra una chiacchiera e l’altra, anch’io ho bevuto con piacere qualche bicchiere di questo solare bianco laziale. Sarà per questo che ho parlato a ruota libera? Spero di non aver annoiato troppo e ringrazio ancora per l’invito. Alla prossima occasione, su qualcuno dei tanti «strani, nuovi mondi» che ci sono in giro per la Via Lattea... Magari uno dei pianeti extrasolari che spero di scoprire con i colleghi Mario Damasso e Giorgio Toso!
- Auguri per il vostro lavoro! Ora ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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