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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Alberto Oliverio. Psicobiologo.
Nato a Catania nel 1938, è docente di Psicobiologia presso la facoltà di Scienze Biologiche dell'Università La Sapienza di Roma (Dipartimento di Biologia genetica e molecolare "Charles Darwin") e Direttore dell'Istituto di Psicobiologia e Psicofarmacologia del Cnr di Roma.
Dopo essersi laureato, nel 1962 ha iniziato ha occuparsi di biologia del comportamento ed è stato impegnato in numerosi studi di ricerca nazionali ed internazionali. Ha lavorato presso il Kavolinska Institute di Stoccolma dal 1964 al 1965 e presso l'UCCLA School of Medicine and Brian Research Institute di Los Angeles dal 1965 al 1967.
In quegli stessi anni ha fatto ricerca presso l'Università di Sassari e poco dopo è stato ospitato, in qualità di visiting scientist, presso l'Università del Wisconsin.
E’ autore di oltre 350 pubblicazioni e, inoltre, di saggi professionali e di divulgazione.
Tra i più recenti: “L’arte di ricordare”, “La mente”, “Le età della mente” (con Anna Oliverio Ferraris) per Rizzoli; “Prima lezione di neuroscienze” e “Dove ci porta la scienza” per Laterza.
Mi piace ricordare anche due altri titoli che ho cari sui miei scaffali: “Storia naturale della mente” (Boringhieri) e “Biologia e filosofia della mente” (Laterza).
Alberto Oliverio è un protagonista del mondo scientifico italiano e non solo italiano, le sue principali ricerche sono orientate sui rapporti tra fattori genetici e ambientali del comportamento e ad un approccio evoluzionistico.
Tra i suoi meriti, va evidenziato quello, raro, d’essere capace di comunicare i temi della sua specializzazione anche a lettori e ascoltatori non addetti ai lavori, perciò è preda ghiotta per le redazioni della stampa e delle radiotelevisioni. Di questa sua eccellente qualità di comunicatore, ne ho avuta una recente conferma al Festival “Nuovo e Utile”, diretto da Annamaria Testa, dove, nel maggio di quest’anno terrestre 2005, ha tenuto cinque applauditissime conversazioni sulla creatività, cioè su come interagiscono cervello, mente, emozioni; conversazioni che facevano frequente riferimento ad esemplificazioni tratte dalle arti visive, dalla narrativa, dal cinema, dalla pubblicità, dal web.
Per entrare nel suo sito web, cliccate QUI.

 

Benvenuto a bordo, Alberto…
Bentrovato Armando
Il sommelier Giuseppe Palmieri de “La Francescana” di Modena, diretta dal patron e magico chef Massimo Bottura , mi ha consigliato di farti assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo “Per Cristina” di Clerico, annata 1996, inviandomi anche una nota in spacefax che dice: “E’ un ottimo vino se vi piace la singolarità delle note di cuoio-liquirizia-rosa-china-cioccolato”… qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Alberto secondo Alberto…
Quando si appartiene a campi di confine non si è certissimi di essere l’una o l’altra cosa… Un biologo oppure uno psicologo? Uno scienziato o un divulgatore? Cerco di essere l’insieme di queste cose, oltre a me stesso, il che non è sempre facile. Comunque, non ho sviluppato una scissione della personalità!
Parto proprio da una di quelle tue conversazioni di “Nuovo e Utile” a Firenze cui accennavo prima.
Lì tracciasti una differenza appassionante fra immaginario e immaginazione. Puoi, con la sintesi di cui ti so capace, farla conoscere ai miei avventori?
C’è una notevole differenza tra il mondo dell’immaginario, che ha una sua dimensione estetica e che cattura la vista, e l’immaginazione, cioè la capacità della nostra mente di costruire da sola degli scenari. L’immaginario è una specie di viaggio organizzato, l’immaginazione un percorso che va costruito, passo dopo passo. L’immaginazione non è un processo mentale indotto dalla semplice esposizione all’immaginario, come avviene nel caso di numerosi videogiochi o della TV: essa è legata al pensiero simbolico, alla capacità di saper creare un’immagine di qualcosa, al saper “far finta che”, come avviene in numerosi giochi in cui i bambini si calano in un ruolo e, con la fantasia, simboleggiano una realtà che va oltre l’immediato per cui, ad esempio, un sasso è un’automobilina, un bastone diviene un cavalluccio, delle foglie i piatti su cui viene servito un pasto alle bambole e via dicendo. Più in generale, l’immaginazione occupa un ruolo centrale nel pensiero complesso in quanto ci permette di rappresentare ciò che è sconosciuto e ci fa compiere veri e propri salti ideativi, come si verifica nel caso delle analogie.
Da un articolo di Umberto Galimberti: “La psichiatria organicista riduce tutti i fenomeni psichici ai principi che presiedono la biochimica del cervello; la psicoanalisi riduce le manifestazioni della psiche alla dinamica che presiede la sessualità infantile; le neuroscienze riducono gli scenari psichici alle dinamiche dei sistemi neuronali; la genetica riduce i disturbi psichici alla componente ereditaria e solo in seconda battuta ai fattori ambientali”.
Quale teoria tu ritieni che ci permette di saperne di più sull’uomo?
Nessuna da sola. Anzi, hai dimenticato la letteratura che ha saputo descrivere l’animo umano nei suoi risvolti evidenti e nascosti… Ogni disciplina “riduzionista” ha i suoi pregi e le sue carenze: se si ritiene che la complessità del comportamento umano possa essere descritta esclusivamente alla luce della psicoanalisi, delle neuroscienze o della genetica si sbaglia ma ognuna di queste discipline può darne una lettura che ne chiarisce aspetti spesso ignorati dall’altra. Paradossalmente, abbiamo una grande fiducia nelle discipline riduzioniste, ad esempio nelle neuroscienze, se qualcosa non funziona nel nostro cervello, ad esempio se viene colpita la memoria: ma riteniamo che la nostra memoria, se non siamo malati, non possa essere sondata con gli strumenti delle scienze. Eppure oggi sappiamo molto sulla memoria, l’emozione, il linguaggio, i movimenti, grazie alla psicobiologia: bisogna rassegnarsi, il nostro cervello e la nostra mente non sono scrigni ben chiusi, disponibili solo all’introspezione…
Kevin Warwick studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chips nel proprio corpo e pensa a nuove tappe del Cyborg Project dall'Università di Reading; secondo scienziati di più campi in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli d’esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli…quale uomo uscirà da queste acquisizioni, quale sarà l'atteggiamento esistenziale che prevedi più lo differenzierà da noi?
Già oggi siamo diversi da ieri: certo, le menti di Socrate, di Kant o di Beethoven non hanno avuto bisogno del nostro livello tecnologico per raggiungere le vette che hanno raggiunto, ma le domande che ci poniamo oggi sono un po’ diverse rispetto al passato. Non mi riferisco ai problemi esistenziali ma a quelli legati all’essenza umana. Darwin ha posto in crisi la nostra unicità indicando come apparteniamo al più vasto regno animale, l’era dell’informatica ha posto in crisi alcune concezioni della nostra mente. Alcune delle sue capacità saranno superate dai computer che noi stessi produciamo? Ricorreremo a memorie esterne? Potremo interfacciare il sistema nervoso con dei chip elettronici? Già le prime due domande trovano risposte positive ma anche la terza è sempre meno assurda: alcuni deficit del sistema nervoso potranno avvalersi di protesi elettroniche. In realtà le nuove tecnologie pongono dei dubbi sulla nostra essenza ma anche ci dicono cosa non siamo. Ad esempio, non siamo dei raffinati computer in quanto la nostra è una mente in cui si intrecciano fattori cognitivi, emotivi, desideri, speranze: e che ha stretti rapporti col suo corpo.
T’interessano oppure no le teorie transumaniste di Nick Bostrom e Max More?
Ma sì, numerosi filosofi di matrice anglosassone non si limitano a fare spallucce di fronte all’innovazione o a respingerla in termini catastrofistici. Ne parlano, immaginano mondi diversi, giudicano alcuni aspetti senza necessariamente temere la cosiddetta “china scivolosa”, vale a dire che se diciamo sì a un’innovazione apriremo le chiuse di tutte le innovazioni, comprese quelle negative o pericolose. Ne è un esempio il campo della bioetica che da noi è spesso rétro, improntato alla paura o alla conservazione.
Nel febbraio del 2004 ci ha lasciati Humprey Osmond, psichiatra inglese pioniere dell’uso terapeutico dell’LSD e della mescalina. Tra l’altro – colgo l’occasione per ricordare, non a te, ma ai più distratti fra i miei avventori – che fu l’inventore del termine <psichedelico> (che svela la psiche) in una lettera inviata ad Aldous Huxley nel 1956.
Aldilà degli esiti artistici – arti visive, cinema, letteratura, musica – ritieni che la cosiddetta “generazione psichedelica” sia riuscita, sul piano dei dibattiti e studi suscitati, a fare acquisire un nuova coscienza dei rapporti mente-cervello, rendendo noti temi prima poco conosciuti?
Non credo che abbia avuto un forte impatto sul modo in cui concepiamo i rapporti tra mente e cervello. Ha indicato una dimensione della coscienza diversa, anche se gli effetti del vino e dell’oppio erano ben noti da secoli, quelli dell’assenzio sono stati al centro di movimenti letterari e così quelli dell’hashish. Io penso che la cultura psichedelica sia appartenuta a un momento di contestazione della razionalità classica o della società tradizionale ma penso che abbia lasciato ben poche tracce.
Arte e Scienza. Semir Zeki – docente di Neurobiologia all’Università di Londra – prospetta, nel suo libro “La visione dall’interno”, la nascita di una neurologia dell’estetica, che chiama ‘neurestetica’, e scrive: <…esprimo l’impressione che le teorie estetiche diventeranno comprensibili e profonde solo quando saranno fondate sul funzionamento del cervello, e che nessuna teoria estetica che non abbia una forte base biologica può essere completa e profonda>.
Sei d’accordo con quest’affermazione?
In parte sono d’accordo, Zeki è un grande neuroscienziato e un grande conoscitore dell’arte. Ma anche in passato, Ernst Gombrich e Richard Gregory hanno indicato che percepiamo ciò che occhio e mente ci fanno percepire e che vi sono regole che emergono dalla nostra mente. D’altronde anche la creatività ha aspetti che non possiamo capire se non attraverso la conoscenza di come siamo fatti.
A Vienna, nel manicomio “Maria Gugging” c’è il famoso padiglione “Haus der Künstler” voluto dallo psichiatra Leo Navratil. I lavori di Schmidt, Korec, Garber, Walla ed altri dopo essere stati esposti alla Galerie Nächst St. Stephen, una delle più importanti gallerie austriache, e, alcuni, messi all’asta insieme a lavori di Picasso, sono adesso in 180 musei di tutto il mondo.
Ma l’arte è una malattia o una terapia?
Può essere una malattia, può essere una terapia, può non essere né l’una né l’altra. Per la tradizione romantica l’artista era spesso un “malato” ma l’arte fa parte della natura umana anche se indubbiamente può curare il nostro disagio, “estraniarci” dalla ripetitività o banalità dell’esistenza, indicarci nuove visioni del mondo.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Beh, Star Trek è uno dei capitoli della Bibbia dell’immaginario di questi anni: ci indica che tra immaginario e realtà i confini sono tenui e che la nostra aspirazione ad altre realtà, meglio ad altri mondi, ci dice molte cose su come siamo fatti, su frustrazioni e speranze, desideri e aspettative. Per uno psicobiologo Star Trek è anche il regno delle menti diverse, umane e animali, buone e cattive, presenti e future… Un augurio: che la forza sia con noi!
Siamo quasi arrivati a Olivèryo, pianeta interiore, abitato da alieni che fanno il surf su di un Oceano chiamato SNC… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista… Grazie d’essere salito fin quassù.
Bene, Capitano! Esco dall’Enterprise, mi rituffo nell’oceano ei circuiti neurali!
Ed io ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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