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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Paolo Gallina. Docente di Robotica presso l’Università di Trieste.
Dal 2013 è coordinatore, presso lo stesso Ateneo, del Corso triennale di Studi di Ingegneria Industriale.
Nato a Castelfranco Veneto nel 1971, si è laureato a Padova in ingegneria meccanica. Ottenuto il dottorato in meccanica applicata alle macchine, è andato negli Stati Uniti, dove si è occupato di Robotica alla Ohio University.
Ritornato a Padova, vince il concorso per professore associato a Trieste.
È stato volontario internazionale in Sudan tra il 2009 e il 2010, lavorando in una scuola di mestieri nell'ambito dei programmi di cooperazione allo sviluppo.
Nel 2011 ha pubblicato per Mondadori La formula matematica della felicità.
L’occasione per quest’incontro che si svolge in quello che per i terrestri è il maggio 2015, è data da un altro suo più recente libro: “L'anima delle macchine Tecnodestino, dipendenza tecnologica e uomo virtuale” (Edizioni Dedalo, 256 pagine, 16 euro).
Le sue pagine analizzano i meccanismi consci e inconsci con i quali la nostra mente si misura e si adatta ai robot, ai prodotti digitali e agli innumerevoli sistemi di realtà virtuale che ci circondano.
Lo stile dell’autore è di grande scorrevolezza e accanto ai numerosi casi scientifici che cita, nella lettura v’imbatterete, ad esempio, pure in un’intervista a uno studioso dei fumetti manga per capire perché gli scienziati giapponesi investano tante energie nella realizzazione di robot umanoidi.

 

Benvenuto a bordo, Paolo…
Grazie della simpatica ospitalità
La stellata e stellare chef Cristina Bowerman che illumina l’Hostaria Glass di Roma mi ha consigliato di sorseggiare durante la nostra conversazione una bottiglia di Cerasuolo d’Abruzzo 2012 di Valentini… cin cin!
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Paolo secondo Paolo…
E curioso, dovrei darti sette risposte diverse, una per ogni giorno della settimana. Un giorno mi sento appagato dai miei risultati scientifici, quell’altro mi sembra al contrario di avere la testa zeppa di banalità, quell’altro ancora esulto per una nuova idea… Ho la malattia degli insoddisfatti. E’ una bella malattia, tiene lontana la depressione e ha il pregio di farmi invecchiare impedendomi di pensare al fatto che sto invecchiando.
Prima di parlare del tuo più recente libro, ti faccio una domanda alla quale, come tanti, immagino, sono assai interessato.
Leggo: Fe = k dS/dT, sarebbe questa la formula matematica della felicità.
Poiché so quasi nulla di matematica (non me ne vanto, anzi profondamente me ne vergogno), e, purtroppo, anche pochissimo della felicità, ti chiedo di spiegarci in parole quella formula da te ideata…
È solo la traslitterazione matematica del concetto di adattamento. Purtroppo l’evoluzione ci ha dotato di una proprietà: ci adattiamo agli eventi brutti della vita come pure ci assuefacciamo a quelli belli. Nella preistoria il non accontentarsi era un vantaggio. Questo istinto ci è rimasto. La formula dice esattamente questo: siamo felici solo quando incrementiamo uno stato significativo della nostra vita (dS/dT). Ad esempio, siamo felici quando avanziamo in carriera, ma se rimaniamo troppo a lungo nello stesso ruolo, subentra la noia. dS/dT rappresenta la pendenza della stato. Siamo felici quando si va su, cioè quando la pendenza è positiva.
Bene. Ora che ne sappiamo di più su quella formula, passiamo al volume che hai pubblicato per Dedalo. Che cosa si propone il libro “L’anima delle macchine”?
Il libro mi ha chiarito molte idee e sconfessato alcune verità che credevo di sapere sulle macchine. Adesso ho più dubbi di prima, ma è una consapevolezza positiva. In fondo, quasi tutti i miti che parlano di verità nascono da una bugia.
Se c’è un’idea di fondo riconoscibile nel saggio, questa ha a che fare con l’interdipendenza che c’è tra l’uomo e le macchine. Ma non una dipendenza utilitaristica, piuttosto una dipendenza emotiva. Siamo convinti che la nostra razionalità ci sproni a creare macchine perché ne abbiamo bisogno. Non è così. Siamo affamati di sensazioni. E, purtroppo, la natura ne è avara. Costruiamo macchine per compensare l’inadeguatezza della natura.
Quando ti sei accinto a scrivere questo libro qual è la prima cosa che hai deciso era da farsi e quale la prima da evitare?
La prima da evitare? Beh, l’esperto che propone riflessioni inerenti la tecnologia ha sempre il dubbio di apparire troppo banale. Per evitarlo, capita che si lasci andare a riflessioni complicate e barocche, a volte incomprensibili. In questo saggio mi sono sforzato di non cadere in tentazione.
E cos’era da farsi? Quello che ho sempre voluto fare, fin dalle prime pagine, è stato cercare una connessione tra il mondo della tecnologia e i sentimenti. E, in particolare, i miei sentimenti. Per questioni lavorative – come hai ricordato, mi occupo di ricerca scientifica nel settore della robotica – ho quotidianamente a che fare con le macchine. Mi sono reso conto che la razionalità con cui credo di dominare e sviluppare la tecnologia è pregna di sentimenti, istinti e atteggiamenti irrazionali. La cosa sconvolgente è che mi ci sono voluti quarant’anni per capirlo … oltre a due anni in Africa … e a due figli.
Perché – come scrivi in “L’anima delle macchine” – la pornografia è l’esempio più eclatante di come l’uomo sia predisposto alla virtualità?
Il desiderio sessuale è stato istituito dalla natura per rendere la procreazione efficiente. Miliardi di anni di evoluzione hanno affinato il processo. Più si prova piacere, più gli individui sono spronati ad accoppiarsi. Ora, l’uomo, attraverso la tecnologia (la stampa, la digitalizzazione, i video, la realtà virtuale…) ha trovato il modo di aggirare gli ostacoli posti dalla natura al soddisfacimento del desiderio. La pornografia è una sorta di by-pass: permette di soddisfare il desiderio senza dover necessariamente conquistare una compagna/o. Il punto è: perché la pornografia è così diffusa? Lo è perché fa leva sulla predisposizione che c’è in ognuno di noi a simulare mentalmente scenari irreali ricavandone piacere. L’uomo è per definizione insoddisfatto. Da una parte l’insoddisfazione è il motore delle nostre azioni. Dall’altra, fornisce un terreno fertile per quelle tecnologie di realtà virtuale che riescono a strappare la mente dell’uomo dal quotidiano.
Nel condurre le tue tesi a quale corrente filosofica ti senti più vicino o meno lontano?
Non sono un filosofo e non credo di poter essere in grado di inquadrare le mie consapevolezze in un apparato filosofico preciso. Credo tuttavia che il saggio, in più punti, strizzi l’occhio ad alcune correnti della filosofia della mente, in particolar modo, al riduzionismo.
La maggior degli scienziati che si occupa di intelligenza artificiale è convinta che, prima o poi, la tecnologia riuscirà a produrre una “mente sintetica” in grado di “avvicinarsi” a quella di un uomo in carne e ossa. Per certi versi credo sia possibile. Ma credo anche che i dibattiti che questo tema scatena siano alimentati da una mancata condivisione di definizioni. Quando si afferma che un robot umanoide potrà un domani essere simile a un uomo si dà per scontato cosa sia un uomo. La scienza, al di là degli aspetti biologici, non lo sa ancora.
Kevin Warwick studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chips nel proprio corpo e pensa a nuove tappe del Cyborg Project dall'Università di Reading; secondo alcuni studiosi – specie tra i Postumanisti – in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli… quale uomo uscirà da queste acquisizioni, quale sarà l'atteggiamento esistenziale che più lo differenzierà da noi?
Per estrapolare una risposta dal passato si potrebbe pensare che una comunità di “homo habilis” si rivolga la stessa domanda, qualcosa del tipo: – “in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo a scrivere, inventeremo la lente, diventeremo esploratori, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli… quale uomo uscirà da queste acquisizioni, quale sarà l'atteggiamento esistenziale che più lo differenzierà da noi?” La risposta è facile: l’atteggiamento esistenziale che emergerà è quello che abbiamo noi ora! Ed è facile intuire che l’homo habilis non ha avuto alcuna possibilità di immaginare un futuro così.
Il punto è che non abbiamo dati sufficienti per capire quel che diventeremo. Siamo nelle stesse condizioni dell’uomo preistorico in termini di capacità di prevedere le nostre frontiere della consapevolezza.
Semir Zeki – docente di Neurobiologia all’Università di Londra – prospetta, nel suo libro “La visione dall’interno”, la nascita di una neurologia dell’estetica e scrive: “…esprimo l’impressione che le teorie estetiche diventeranno comprensibili e profonde solo quando saranno fondate sul funzionamento del cervello, e che nessuna teoria estetica che non abbia una forte base biologica può essere completa e profonda”.
Sei d’accordo con quest’affermazione? Se sì, oppure no, perché?
Non del tutto. È chiaro che qualsiasi sentimento umano è riconducibile a una sequenza di causa-effetto all’interno di una struttura neuronale. Ad esempio, sono consapevole che, quando la mia piccolina di nove mesi si addormenta sulla mia spalla a bocca aperta ingolfandomi il cervello di sentimenti amorevoli, in realtà un esercito di neuroni si è messo a trasmettere segnali elettrici avanti e indietro secondo un ordine preciso. Ora, sapere quali neuroni siano e perché, soddisfa la curiosità dello scienziato. Ma non per questo si può arrivare alla conclusione che la consapevolezza biologica offra appigli per sentimenti paterni più profondi.
In quali campi artistici… musica, video, net art, eccetera… trovi da uomo di scienza le maggiori corrispondenze ai tuoi interessi di ricerca?
La letteratura principalmente. Credo che la scienza abbia bisogno della letteratura e la letteratura della scienza. Soprattutto nella saggistica italiana esiste uno scollamento intenso tra i due mondi, uno scollamento che sarebbe auspicabile colmare.
Per quanto riguarda la ricerca, occupandomi di robotica, vedo la tematica riproposta nel cinema e nella letteratura. Spesso la fantasia degli artisti si spinge così in là rispetto alla tecnologia contingente che la realtà risulta insipida. La grande sfida del divulgatore scientifico è riuscire a commuovere parlando di ricerca vera. Ma, per farlo, deve trasformarsi in un artista.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Alle elementari disegnavo robot e aerei fantascientifici inventandomi meccanismi che non esistevano. Fu allora che decisi di diventare un ingegnere meccanico e di occuparmi di robotica. Guarda caso, sono diventato un ingegnere meccanico e mi occupo di robotica. Non credo che a sette anni si possa essere così lungimiranti. Sono state le massicce dosi di Goldrake, Mazinga Zeta e Star Trek a riempirmi il cervello di entusiasmo ed emozioni. Se crediamo che le esperienze infantili non abbiano influenze sulle competenze professionali possedute da adulti ci sbagliamo di grosso. Tutto, prima o poi, riemerge. Con ogni probabilità, senza aver conosciuto la “freddezza” di Spock, a quest’ora non starei completando un romanzo sulla robotica…
Siamo quasi arrivati a Robotika, pianeta abitato da alieni che vivono da tempo in epoca post-umana… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Cerasuolo d’Abruzzo 2012 di Valentini, consigliata dalla chef Cristina Bowerman del Glass di Roma… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
Di sicuro! Se non avessi la possibilità di “contaminare” la mia attività di ricerca con la fantasia sarei un uomo triste. E io non voglio essere un uomo triste.
… ed io ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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