L’ospite accanto a me è Oliviero Ponte di Pino. Critico teatrale e direttore editoriale della Garzanti.
Personaggio di spicco del nostro scenario culturale, conduce con Anna Maria Monteverdi un ottimo webmagazine dedicato al teatro, www.ateatro.it , ricco d’informazioni e maiuscolo per interventi e contributi critici.
Per conoscere meglio il suo profilo attraverso le tante cose da lui realizzate, cliccate su: http://www.trax.it/olivieropdp/curropdp.htm
Ci sono molti oggetti di valore, ma qui mi piace ricordare la grande mostra itinerante in Italia e all’estero “Il Nuovo Teatro Italiano 1975-1988” che andò oltre all’esposizione d’eventi e personaggi, non a caso è ancora ricordata come un punto critico imperdibile per la storia espressiva della nostra scena. N’esiste pubblicazione presso la Casa Usher di Firenze (1988).
Oppure, nel 2000 a Milano, “Maratona”: 24 scene di una giornata qualsiasi della metropoli attraverso tre giorni di teatro.
E poi un libro che ho caro sui miei scaffali: “Chi non legge questo libro è un imbecille”: i misteri della stupidità attraverso 565 citazioni, (Garzanti, Milano, 1999).
E questo per dirvi che riesce a fare della cultura sia scienza sia gioco, sia teoria sia pratica.
- Benvenuto a bordo, Oliviero …
- Bentrovato. Sono molto emozionato di essere qui. Anche perché sono da sempre un megafan di Star Trek... La prima serie, se è concesso. Sono cresciuto con il primo equipaggio, e ci sono rimasto affezionato. E a volte mi sento un po’ vulcaniano, devo ammetterlo. Ho persino cercato di imparare un po’ di klingon, nel mio scaffaletto Star Trek c’era anche la prima grammatica klingoniana. Non ci avevo mai pensato, ma forse è da lì che mi è venuto in mente di scrivere un saggetto sulle lingue immaginarie a teatro, qualche decennio fa http://www.trax.it/olivieropdp/lingue.htm
Per vantare un’ulteriore credenziale roddenberriana, sono molto fiero di aver citato una puntata di Star Trek in un serissimo cd shakespeariano a cui ho contribuito qualche anno fa: perché gli sceneggiatori in quella puntata hanno fatto una variazione sul tema dell’ Amleto. Se vi interessa c’è anche una versione online del mio “Secolo Amleto”, dove si parla anche di uno strepitoso Amleto hard: http://www.trax.it/olivieropdp/amleto.htm
Ma già divento noioso...
- Il patron del Web and Wine di Volterra, Enrico Buselli, mi ha consigliato di assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo Rosso di Toscana ‘Camartina’, segnalandomi in Spacefax che, cito le sue parole: “è un Igtdell’Azienda Querciabella, il luogo di produzione è Greve in Chianti, vitigni: 50 % Sangiovese - 45% Cabernet Sauvignon - 5% Merlot e Syrah, l’anno di produzione è il 2001” … qua il bicchiere.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Oliviero secondo Oliviero…
- Ah, saperlo. Ma non mi sembra una domanda particolarmente interessante. Non ho avuto una vita avventurosa tipo andare all’Isola dei famosi, non ho compiuto imprese memorabili come cantare a Sanremo o vincere le Olimpiadi, non sono fidanzato con Martina Stella, non ho mai fatto la pornostar o il terrorista, non sono tagliato per la politica, non ho mai depositato nessun brevetto geniale... In questi primi 49 anni della mia vita, ho sempre abitato nel giro di poche centinaia di metri (Milano, zona Magenta-Sempione, se interessa), da quando ho vent’anni sgobbo in varie case editrici milanesi, più o meno grandi, quando ho l’insonnia scrivo soprattutto di teatro, qualche volta sono andato in Rai, a parlare soprattutto in radio, la sede Rai di Milano sta proprio lì in corso Sempione... E’ una vita piccola, che devo dire? Facendo queste cose ho avuto la fortuna di conoscere gente interessante, questo è vero: ma la vita interessante è la loro, mica la mia. Però, forse, se viaggiassi un po’ sulla Enterprise, qualcosa da raccontare al ritorno ce l’avrei...
- Da Diderot a Grotowsky, sono oltre due secoli che fioriscono nell’epoca moderna teorie sull'attore. Da chi ha indicato i meccanismi di quell'arte a chi nega che sia possibile individuarli scientificamente, tu come la pensi?
- Noi umani siamo da certi punti di vista creature molto semplici, obbediamo a una serie di meccanismi abbastanza prevedibili: i pubblicitari (e anche i politici) lo sanno benissimo. Da un altro punto di vista, qualcosa continua a sfuggire: c’è chi pensa che sia l’anima, qualcuno è convinto che siamo solo ignoranti e prima o poi una qualche formula fisica o chimica riuscirà a rendere conto della nostra complessità, qualcun altro pensa che il segreto dell’anima stia nei quanti e nel principio di indeterminazione, qualcuno magari pensa che respiriamo tutti dell’anima universale... L’attore è semplicemente un uomo che fa finta di essere un uomo, e dunque nel suo lavoro - anche se non lo sa - affronta tutte queste domande, minuto dopo minuto. Allora da un certo punto di vista, poiché certi nostri meccanismi sono semplici e replicabili, è possibile avere un approccio scientifico. Da un altro punto di vista, c’è sempre qualcosa che sfugge, che non si lascia ridurre a legge psicologica, meccanica, fisica, chimica, neurale o quant’altro. Almeno per ora. Così continuiamo a discuterne, a chiederci se davvero c’è qualcosa che ci rende diversi dalla pura materia... E’ anche pensando a Philip Dick e ai sogni delle pecore elettriche (note grazie a Blade Runner) che ho scritto una cosa che si chiama “L’attore nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, un’altra lettura da fanatici: http://www.trax.it/olivieropdp/attore1.htm
Ma sulla plancia di comando della Enterprise si parla spesso di queste cose, se ben mi ricordo....
- Sì, càpita di parlarne. In un tuo intervento hai detto: “Il vecchio paradigma, quello del “teatro come servizio pubblico”, appropriato ed efficace nell’era del welfare, non sembra più sufficiente. Così gli abbiamo accostato – più che contrapposto – un altro paradigma: quello del “teatro come valore”.
Puoi sinteticamente spiegare la differenza fra le due definizioni ai miei avventori?
- Forse ai nostri avventori andrebbe premesso che il discorso va allargato all’intero settore della cultura. Diciamo che il concetto di “cultura come servizio pubblico” si sviluppa e si definisce in parallelo con quello di welfare e di stato sociale: come esseri umani, come cittadini del nostro paese, della nostra “polis”, abbiamo tutti diritto a una vita dignitosa e degna d’essere vissuta, e questo implica scuole, case, ospedali, pompieri. Anche la cultura: non dev’essere privilegio di pochi ma accessibile a tutti, e lo stesso deve avvenire con il teatro: tutti devono avere la possibilità di accedere alla cultura e al teatro.
Tuttavia la prospettiva del welfare è entrata in crisi come modello. E soprattutto la cultura è e deve essere anche qualcosa di più di un servizio: perché ha una sua autonomia. Allora è necessario un diverso modello, il servizio pubblico va bene ma non basta. Dunque si è iniziato a pensare alla cultura e al teatro come valore. Con tutta una serie di domande. Perché “valore” è un termine che ha vari significati, in ambito economico (il reddito che genera, per semplificare), politico (il messaggio che trasmette, ma anche le reti sociali e di conoscenza che crea), artistico (perché c’è una qualità estetica intrinseca delle opere). Questa molteplicità di significati da un lato è una ricchezza, dall’altro può creare - o meglio portare alla luce - le contraddizioni: a cominciare da quelle che nascono nel rapporto dell’artista con il potere. Trovate dosi massicce di queste chiacchiere su www.ateatro.it , se volete approfondire o sprofondare.
- In anni come i nostri in cui si parla di “crollo delle ideologie” (ma sarà poi vero?) qual è a tuo avviso una via per il teatro politico?
- L’arte è sempre - che le piaccia o no - politica, e lo è soprattutto quando pensa di non essere politica: “Il prezzo è giusto” e la Iva Zanicchi solo lì a ricordarcelo. Il teatro, per la sua natura collettiva (nella creazione e nella fruizione), è una delle arti più politiche. Oltretutto in Occidente, nella Grecia antica, il teatro è nato come scena della e nella città, come teatro della “polis” (così spiego quella parola greca che ho detto prima). Il teatro è da 2500 anni lo specchio della città, delle contraddizioni e dei conflitti che l’attraversano. Della politica. Dunque la scena è anche il luogo in cui possono confrontarsi le diversità: o meglio, uno dei luoghi in cui le diversità possono prendere coscienza di sé, rappresentarsi e mettersi in relazione all’intero corpo sociale. In questo sta uno dei valori del teatro come “servizio sociale”, in questo suo stretto rapporto con la diversità. Che è, tra l’altro, un rapporto che affonda le sue radici nelle origini rituali e antropologiche del teatro. Ma questa curiosa coincidenza rischia di portarci moooooolto lontano, troppo lontano. Se avete davvero tempo da perdere, c’è un altro bel mappazzo online, scritto una decina d’anni fa: http://www.trax.it/olivieropdp/mostranotizie2.asp?num=52&ord=61
- Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans… insomma, che cosa vuol dire per te “teatro di ricerca” oggi?
- Oggi va per la maggiore un teatro di consumo, che riproduce modelli televisivi o cinematografici, e che non mi interessa particolarmente: meglio la tv o il cinema. Poi c’è un teatro museo, un po’ come quello che fanno i teatri lirici, dove si preservano i grandi tesori della nostra tradizione. Con una piccola ambiguità: perché un quadro resta più o meno sempre quello, anche se il nostro sguardo cambia; un testo lo mettiamo sempre in scena oggi, con i nostri attori, i nostri spazi, le nostre scene: quella del museo in teatro è una ambizione un po’ ambigua. Ma in generale il teatro oggi è un’attività marginale, che interessa pochi fanatici. I quali tuttavia continuano a interrogarsi sul senso di quello che fanno, sul linguaggio che usano, sul rapporto di quello che sono e quello che fanno con l’intero corpo sociale e con la “mediasfera”. Credo che questo significhi oggi “teatro di ricerca”. fermo restando che ce n’è di buono, di cattivo e di pessimo. La qualità (il valore estetico) non dipende dalla bellezza degli spettacoli (che è una conseguenza) ma dalla radicalità con cui gli artisti si pongono una o più di quelle domande.
- Fra i meriti del nuovo teatro, c’è la creazione di un intercodice fra varie espressività, attirando nella propria area linguaggi che vanno dalla letteratura al fumetto, dalle arti visive alla tv, dalla danza ai videogiochi…è identificabile oppure no un territorio da dove sono arrivati i contributi maggiori per numero e peso?
- Come delirava il vecchio Richard Wagner nei suoi sogni più kitsch, il teatro è un’opera d’arte totale, in grado di inglobare tutte le discipline e linguaggi. Come ci ha spiegato il vecchio Guy Debord nelle sue paranoie, viviamo da tempo nella società dello spettacolo. Credo che l’importante non siano i singoli contributi, quanto queste consapevolezze e queste aperture. Sono state loro a cambiare il teatro, l’atteggiamento degli artisti.
- Molti performers (Sterlac, Orlan, Yann Marussich, per fare alcuni nomi) agiscono i corpi in scena come esplorazione antropologica della fisicità.
Come interpreti quest’interesse per una sorta di neocorpo?
- Perché il corpo è l’ultima frontiera che ci resta. L’ultima cosa che crediamo ancora nostra. Forse non per molto, e forse non è mai stato così. Nemmeno il corpo nudo dell’indio dell’Amazzonia è “naturale”, è già tutto “cultura”. Ma quelli come me, cresciuti negli anni Sessanta e Settanta (e forse orecchiando ancora la fede cattolica della resurrezione dei corpi) davano per scontato che il corpo fosse in qualche misura naturale, spontaneo vero, e che dunque fosse necessario depurarlo e scrostarlo da tutte le repressioni sociali, politiche e soprattutto religiose che lo ingabbiavano. Bisognava fare l’amore e non fare la guerra. Sappiamo com’è finita: prima l’Aids, e adesso la classifica delle parole più ricercate su Google, i massaggi thailandesi e le spam del Viagra (se volete capire meglio, andate a leggervi l’Abiura della Trilogia della vita di Pier Paolo Pasolini). Chi è arrivato dopo sa benissimo che nemmeno il corpo è naturale, che anche quello è un terreno di scontro politico e culturale: così c’è chi va in palestra e magari si bomba come fanno i veri atleti, c’è chi si inchioda piercing e trascrive tatuaggi: la pelle e il corpo diventano un teatro dove si recitano i conflitti che ci attraversano. Anche perché il nostro corpo è sempre più invaso dalla farmacologia, dalla chirurgia bioingegneristica, dall’ingegneria genetica... Del resto ci deve essere un qualche rapporto tra le orecchie a punta dei vulcaniani e le cornine che Orlan si è fatta impiantare sulla fronte e le labbra a canotto di Alba Parietti... Ah, se siete dei fan di Stelarc come me, date un’occhiata qua in mezzo, racconto di quando l’ho incontrato: http://www.trax.it/olivieropdp/attore4.htm
- La tua esperienza di lavoro nell’editoria provoca qui due domande.
La prima: che cos’è secondo te che distingue – o dovrebbe distinguere – la letteratura dalle altre forme di comunicazione artistica, oggi?
- La fede nella parola e nelle storie.
- La seconda domanda: con la concentrazione editoriale che vede spesso lo stesso padrone dietro case editrici e stampa quotidiana e periodica ha ancora una funzione attendibile la critica letteraria oggi?
- “Critica letteraria” è un’espressione generica, che porta a far di ogni erba un fascio. Il vero problema, caso mai, è se questo o quel critico è attendibile (e questo porterebbe a una seconda domanda: “chi lo paga?”). Ma per provare a rispondere alla tua domanda, è vero che la critica ha perso spazio e autorevolezza all’interno dei media, e dunque anche potere economico di conseguenza anche indipendenza. Ovvio. In generale, mi pare che in genere la società non sia oggi particolarmente interessata a una autentica funzione critica. La scarsa autorevolezza della critica è una conseguenza di questo atteggiamento. Per compensare, poverini, gli intellettuali diventano sempre più spesso urlatori, intrattenitori, imbonitori. Curiosate qui: http://www.trax.it/olivieropdp/intellettuali.htm. Questo forse è più divertente, rispetto agli altri mappazzi che vi ho consigliato.
- Siamo quasi arrivati a Dy-Pino, pianeta scenico abitato da alieni che comunicano con segnali di laser solo attraverso battute estratte da copioni… Se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di ‘Camartina’ consigliata dal Enrico Buselli patron dell’Enoteca Web & Wine di Volterra
- Beh, scendere mi spiace un po’, mi piacerebbe discutere delle strutture grammaticali del klingon con qualche linguista trekkiano. Ci sono aspetti davvero interessanti. Ma a quel punto potrei diventare davvero molto molto noioso. Meglio un tunnel spaziotemporale verso corso Sempione, la mia gattina ha fame, la sento miagolare fino in questi spazi intergalattici
- La si soccorra. Ho un gatto anch’io, si chiama Fifì, e mai resisto ai suoi richiami.
Ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
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