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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Vanni Codeluppi. Sociologo. Docente presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Comunicazione ed Economia. Presidente dei Corsi di Laurea in "Scienze della Comunicazione" e "Pubblicità, Editoria e Creatività d'Impresa".
Direttore del C3 - Centro Internazionale di Studi sulla Comunicazione, la Creatività e i Consumi.
Per conoscere le sue numerose pubblicazioni: CLIC!  
L’occasione per quest’incontro è data dal recente volume “Storia della pubblicità” (Carocci Editore) in cui Codeluppi racconta quanto accaduto dalle origini ai giorni nostri attraverso un’infinità di riferimenti, nomi, episodi, dai quali traspare la storia di centocinquant’anni italiani.
Il libro – corredato da un’amplissima galleria d’immagini che formano con il testo un volume di grande fascino verbovisivo – riserva grande attenzione all’interpretazione di fasi sociali che hanno visto emergere fenomeni quali, ad esempio, il femminismo e l’ambientalismo, e come tali fenomeni siano stati assorbiti e rilanciati dalla pubblicità anche in forme indirette.

Benvenuto a bordo, Vanni… subito un tuo pensiero sulla pubblicità
In pubblicità, come diceva il celebre pubblicitario Bill Bernbach, “Le idee, come il pane, devono essere appena sfornate per stimolare il nostro appetito”.
Lo chef Gabriele Muro e il direttore di sala Paolo De Angelis della romana Enoteca al Parlamento ci hanno consigliato di sorseggiare durante la nostra conversazione questa bottiglia di Ribolla Gialla prodotta da Damijan Podversic… cin cin!
Qual è stato il principale motivo che ti ha fatto dedicare tanti dei tuoi studi alla pubblicità?
Penso che la pubblicità nel nostro Paese sia generalmente stata molto trascurata. Invece rappresenta un pezzo fondamentale della nostra storia sociale. La pubblicità è costume, arte, creatività, commercio e tante altre cose. Ne va dunque conservata la memoria ed essa va studiata attentamente nella sua evoluzione, perché ci dice moltissimo sulla natura della nostra società.
Veniamo al tuo libro “Storia della pubblicità”
È possibile stabilire la data di nascita della pubblicità in Italia?
La concessionaria creata a Milano dal farmacista bresciano Attilio Manzoni è stata la prima azienda ad operare in Italia nel campo pubblicitario. Era il 1863 e possiamo dunque dire che nella seconda metà dell’Ottocento sia nata la prima figura professionale del settore pubblicitario, cioè il venditore di spazi. In Italia, sono stati necessari però ancora diversi decenni perché un settore ancora artigianale come quello pubblicitario diventasse pienamente industriale.
In uno dei capitoli del tuo volume, noti che durante il fascismo ci fu un vistoso rallentamento della cultura pubblicitaria. Eppure Mussolini fu un grande pubblicitario di se stesso e delle sue idee… quale spiegazione dai a questa cosa?
Il regime fascista cercò di reagire alla crisi economica mondiale con una politica di autarchia e fece un massiccio impiego della pubblicità per sostenere le campagne collettive a favore dei prodotti nazionali. Ben presto, anche le singole aziende private imitarono l’attività del governo o delle associazioni di categoria e furono create così in quel periodo soprattutto delle pubblicità basate su una esaltazione dei prodotti «italiani» o «nazionali». In generale, pertanto, l’autarchia adottata dal Fascismo ha notevolmente rallentato lo sviluppo in Italia del linguaggio pubblicitario, che invece all’estero, nei Paesi avanzati, procedeva assai velocemente verso una concezione moderna.
Qual è la caratteristica che sta contrassegnando la pubblicità italiana in questo inizio del terzo millennio? E che cosa ne deduci dopo averla individuata?
L’arrivo di Internet sta indubbiamente comportando dei notevoli cambiamenti nell’ambito pubblicitario. Internet, infatti, spinge verso la pubblicità nuove forme di comunicazione, sempre più “su misura” e interattive. Inoltre, dobbiamo ricordare che Internet ha anche reso possibile acquistare dei prodotti senza muoversi dalla propria abitazione. La quota degli investimenti pubblicitari riservata dalle imprese italiane a Internet è ancora contenuta, eppure non c’è azienda che non sia presente su Internet, nella consapevolezza che la pubblicità via Web diventerà nei prossimi anni fondamentale.
Una pubblicità su Internet che funzioni veramente non è ancora stata inventata.
Così dicono alcuni pubblicitari. E’ proprio così? Se sì, perché?
In effetti, Internet oggi per i pubblicitari si presenta soprattutto come un territorio dove effettuare delle sperimentazioni. Nessuno ha la ricetta in tasca. Le certezze sono poche e tutti provano a fare qualcosa aspettando per vedere l’effetto che fa. Certo investire in messaggi pubblicitari per Internet costa poco, ma anche i risultati ottenuti sul piano dell’efficacia di solito sono estremamente modesti.
Kevin Roberts, amministratore delegato della Saatchi & Saatchi, a Cambridge dove insegna, sostiene che i marchi sono in crisi, il brand muore, quello che conta sono gli stili di vita. Il brand era costruito sul concetto di superiorità: macchina più veloce, telefonino più leggero, lana più morbida, eccetera. Ora è il momento del “lovemark” fatto di tre componenti: mistero, sensualità, intimità.
Fin qui Roberts. Su questo tema vorrei conoscere il tuo pensiero…
Non sono molto d’accordo con il pubblicitario Kevin Roberts. Le marche hanno saputo arrivare al grande successo che ottengono oggi trasformandosi profondamente e puntando proprio sullo stile di vita. Le marche sono diventate cioè mondi complessi e ricchi di significato. Sono mistero, sensualità e intimità, come dice Roberts, ma anche tante altre cose. E grazie a ciò riescono a coinvolgere in profondità il consumatore. Dunque hanno cambiato la loro natura, ma sono sempre marche e perseguono dunque principalmente degli obiettivi commerciali e di mercato.
Faccio appello a tutta la tua sincerità e ti chiedo: qual è una cosa che quando la vedi in pubblicità ti fa venire la scarlattina?
È la pubblicità che mostra chiaramente che è stata concepita pensando che il consumatore sia uno stupido. Cosa che evidentemente non è. Parlo, ad esempio, di quelle gag che non fanno per nulla ridere e vengono interpretate da tanti comici italiani. Non dimentichiamo che uno dei problemi della pubblicità è che viene ripetuta numerose volte. Dunque se la prima volta queste gag si possono sopportare, alla decima non se ne può veramente più.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Star Trek, a mio avviso, rappresenta una specie di archetipo della fantascienza contemporanea. La nostra idea di futuro è stata profondamente influenzata da questa serie televisiva. Forse addirittura più di tanti film di fantascienza importanti. E ciò non succede tanto spesso.
Siamo quasi arrivati a Codeluppi-V, pianeta abitato da alieni che nelle scuole hanno l’obbligo di studiare la storia del loro mondo accanto a quella della pubblicità… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di  Ribolla Gialla prodotta da Damijan Podversic consigliata dallo chef Gabriele Muro e dal direttore di sala Paolo De Angelis della romana Enoteca al Parlamento… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
D’accordo. Aggiungo una cosa nel salutarti. Dobbiamo imparare a perdonare alla pubblicità i suoi eccessi, anche perché, come diceva Hermann Broch “C’è una goccia di kitsch in ogni arte”.
Ed io ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

È possibile l'utilizzazione di queste conversazioni citando il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuto.

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