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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Stefano Disegni. Disegnatore. Poiché immagino che già in molti si siano esercitati su di lui con riferimenti al tema “Nomen omen”, vi consiglio d’astenervene, giungereste in ritardo.
Perché l’ho invitato qui? Perché è uno degli autori satirici che più mi piace.
Ho detto autore satirico perché non è solo l’elettrico vignettista noto a tutti noi, ma il suo curriculum artistico spazia pure in altri campi: musica, tv, libri. E libri non solo disegnati; ricordo “La coscienza di Zen” edito da Comix, e “Dodici atti impuri”, pubblicato da Mondadori, dal quale fu tratto nel 2001 uno spettacolo teatrale con Tullio Solenghi e regìa di Attilio Corsini. Insomma, non disegna soltanto ma scrive anche, ci sono pure quelli che sostengono che sappia perfino leggere, ma sono una minoranza.
Per la biobibliografia (e discografia) cliccate con fiducia su www.stefanodisegni.com e lì non perdetevi i suoi “Razzi Amari”, performances sonore godibilissime che di Stefano rivelano ottime qualità musicali; non sorprenda, al rock ha dedicato, infatti, molte energie fondando più gruppi musicali: da “Il Gruppo Volante” agli “Ultracorpi”.
Del suo lavoro si sono avvalse tantissime testate, la prima fu Satyricon, poi Manifesto, Paese Sera, Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera, Cuore – di cui è stato anche direttore – Boxer, e di sicuro ne avrò dimenticata qualcuna.
E’ lui l’inventore dello “Scrondo”, personaggio anfibio fra terribilità e innocenza, che ha trionfato su pagine e sullo schermo tv. A proposito di Tv, tanti i suoi successi: da “Lupo solitario” all’”Araba Fenice” a “Convenscion”, a “Mediamente” fino al recentissimo “Visitors”…
Ancora una cosa. In un momento in cui molti suoi colleghi, si sono precipitati in soccorso dei vincitori traslocando le loro matite, Stefano è fra i pochi che continua ad essere coerente con le sue orgini ribelli e, mi pare, abbia trovato nuova forza espressiva osservando l’attuale situazione italiana, e non solo italiana, cogliendone con tratti grafici e verbali, tanto inesorabili quanto irrresistibili, bassezze e tic, lapsus e goffaggini. Quelli che hanno traslocato però non fanno più ridere (in verità, molti di loro non mi facevano ridere neanche prima), ben gli sta; meritano il poco parlamentare luogo in cui sono finiti, Stefano invece la stima umana e l’apprezzamento professionale di cui gode.
Allora, solo applausi per ‘sto ragazzo? Ehm…sì…no…a ben riflettere…non ce la faccio, devo proprio dirvelo! Una macchia ce l’ha. Tifa per una squadra terrestre chiamata Lazio. Ma tanti tanti di noi, nonostante quella sua tragica colpa, gli vogliamo bene lo stesso e continueremo ad essere suoi appassionati lettori e spettatori.

 

Benvenuto a bordo, Stefano…
Grazie, nostromo. Sei un nostromo? O un vivandiere? O un cambusiere? Non ti offendere ma non hai l’aria del comandante intrepido…
…infatti il Comandante è Picard, se guidassi io l’Enterprise sarebbe già finita contro il 38 barrato…
Ah, ecco!...Ora vorrei aggiornarti sugli ultimi accadimenti terrestri, che, essendo tu in orbita tra le galassie da chissà quanto tempo, sicuramente ignori. In particolare ti segnalo che la squadra terrestre di cui parli, la Lazio, ha al momento un pacco di punti in più di un’altra squadra terrestre per la quale mi dicono tu ti scaldi, la Roma, così mi pare che si chiami. O il Trigoria, ora non ricordo bene, trattasi di squadra di quartiere…
…non mi dire! Incredibile! La Lazio sta più su?...certo che in Italia il problena degli arbitri esiste eccome!...checché ne dicano i dirigenti federali!
Spiritoso, eh? Ma veniamo a noi, perché mi convocasti a bordo di quest’astronave scassatella anzichenò?
Innanzitutto per farti assaggiare questo Chardonnay Doc Colli Piacentini di Torre Fornello…qua il bicchiere…ecco fatto. E poi per dirti che il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore…insomma, chi è Stefano secondo Stefano…
Grazie per il vino, ma mi convochi dunque qui per farmi quelle che con una sottile metafora di stampo anglosassone definirei ‘domande del cazzo’?
Sai, se a fare le domande sono io, il rischio c’è…
Già, ma devo ricambiare l’ospitalità e quindi titillerò queste tue attitudini marzulliane: dunque, sono un adolescente protratto, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che la cosa comporta.
Vantaggi: conservazione della curiosità e della capacità di stupirsi, libertà mentale totale (credo) in barba alle convenzioni, alla morale e ai ‘criteri universalmente accettati’ con conseguente voglia inesauribile di conoscere, esplorare, assaggiare e, non ultimo, palpeggiare femmine di razza umana.
Svantaggi: difficoltà di tenuta rispetto alle grandi responsabilità della vita, una certa allegra inaffidabilità sentimentale (‘simpatica carogna’ dico io, ‘brutto stronzo’ ha detto qualcuna), eccesso di autorefenzialità di stampo infantile. Comunque a furia di schiaffoni, sto migliorando.
Sono di sinistra, intendendo per sinistra qualunque visione del mondo che privilegi l’uomo e la sua dignità rispetto al profitto. In ultimo, sono intimamente rokkettaro e non intendo guarire.
In quattordici parole – tante quante sono le lettere che compongono il tuo nome – definisci la tua presenza nel fumetto italiano…
Più che un disegnatore di fumetti mi piacerebbe essere considerato uno scrittore con immagini.
Quando i miei avventori hanno saputo che saresti salito quassù, mi hanno pregato (con modo bruschi, s’intende) di chiederti com’è che una volta lavoravi in coppia con Caviglia e mo’ no. Tu, una sera, in una vineria terrestre, mi spiegasti il perché. Ma loro non c’erano e sono all’oscuro. Spiegaglielo sinteticamente…
E’ stata una separazione affettuosa e consensuale. Massimo da tempo seguiva, diciamo così, un suo percorso interiore, che sinceramente non condividevo, ma rispettavo. Di famiglia ebraica, decise di seguire strettamente le regole dell’ortodossia religiosa e pian piano questa parte della sua vita divenne preminente. Oggi Massimo Caviglia è il Direttore di Shalom, periodico della comunità ebraica italiana e si occupa di tutt’altro che non la satira. Ci furono scambi di punti di vista, scherzosi e a volte incazzosi, ma sempre con affetto. Io sono laico e magnapreti, di qualsiasi confessione. Non potevamo andare avanti. Ci siamo fatti però una reciproca promessa: il primo che va di là (gratta!) torna per dire all’altro chi aveva ragione. Solo che se ho ragione io, non torno e perdo comunque.
Esaurito questo angolo di cronaca, passiamo ad altro.
Nonostante il dizionario dei sinonimi crei equivalenza fra umorismo e comicità (del resto, considera sinonimi di amore termini quali attaccamento, affetto e passione, ma tu dimmi!), in tanti, da Henri-Louis Bergson a Umberto Eco, sostengono una diversità di significati fra quelle due parole.
Qual è per te la differenza fra il comico e l’umorista?
Credo che la differenza sia nella volontarietà della cosa. Il comico può essere involontario, si può far ridere senza saperlo: tu, per esempio, nostromo, sei buffo anche se ti sforzi di non sembrarlo. L’umorista invece, per me, è colui che avendo sviluppato un particolare sensibilità a ciò che ‘fa ridere’, ne riproduce consapevolmente i modi e i tempi a uso divertimento proprio e altrui. Non necessariamente l’umorista deve avere un aspetto comico. Molti umoristi sono persone tristi.
O uomini molto belli, come me.
Un tempo hai lavorato in pubblicità. La pratica di quel linguaggio ti è stato utile nel tuo successivo lavoro? E, se sì, di quali elementi ti sei giovato o di quali hai dovuto liberarti?
Il linguaggio pubblicitario (io facevo il copywriter) è un formidabile allenamento alla sintesi e alla ricerca della massima significanza con la minima verbosità. Ci si educa a sfrondare i discorsi e le proposizioni da inutili fogliami e a riconoscere il ramo principale. In questo la pubblicità mi è stata senz’altro utilissima. Purtroppo tutto questo gran bagaglio tecnico serviva solo a dire delle cagate spaventose, così ho mollato.
I fumetti hanno affrontato anche temi scabrosissimi. Penso, ad esempio, ad Art Spiegelman che con il suo Maus – vincitore di un Pulitzer – raccontò l’Olocausto come una storia di gatti e topi finiti scannati in un posto chiamato Mauschwitz. Suscitò un putiferio. Insomma, Stefano, come la pensi sul politically correct? Ha qualche ragione d’esistere? E’ una forma di censura?
Il politically correct per me non è un confine invalicabile. Se la voglia del momento è pigliare per il culo qualcuno e lo spunto è scorretto e forse disonesto, ma irresistibilmente comico, non sto a farmi scrupoli. Mi faccio scrupolo, piuttosto, di essere coerente con le mie idee. Fare una strip satirica attaccando qualcuno è esprimere una propria tesi, un giudizio personale di cui poi ci si dovrà assumere la responsabilità. Qualcuno potrebbe prendersela, anche parecchio. Qualcuno potrebbe avere voglia di farmi passare un brutto quarto d’ora. Se mando in giro cose che potrebbero scatenare furori da cui dovrò difendermi, che almeno mi possa riconoscere fino in fondo in quello che ho scritto e disegnato.
Hai un attrezzato sito web e lavori anche su Internet, sei il tipo giusto cui chiedere: quali vie si aprono per il fumetto nei nuovi media?
Il mio sito web è in perenne costruzione. Al momento chi va a curiosare nell’archivio non trova una mazza. Sto allestendo il database, ma va tutto a rilento perché il mio webmaster era tanto creativo, ma così creativo che se ne è andato in India a meditare, mortacci suoi. Il fumetto: sui vecchi media la vedo nera. Sono al terzo tentativo fallito di varare un giornale di satira: nessuno mette i quattrini per partire e chissà se c’è anche un pubblico che oggi lo comprerebbe. Forse le grandi stagioni della satira su carta sono definitivamente tramontate, uccise dai costi e dal rincoglionimento berlusconiano. In questo accidenti di paese non c’è più un solo foglio, non dico di satira, ma neanche di umorismo. Siamo unici in Europa e forse nel mondo. Persino in Costa d’Avorio ho trovato un giornale umoristico a fumetti. Qua niente. Quanto ai nuovi media, non so, ci credo ancora poco, pur frequentandoli parecchio. Troppe difficoltà, ancora le macchine per molta gente sono qualcosa di oscuro, di meno facile da gestire di un giornale che si sfoglia e si mette via.
Ci vorrà ancora del tempo prima che i numeri ci dicano che il cambiamento è avvenuto.
Nel frattempo il fumetto langue e non dà da magnà.
A 35 anni dallo Zap di Crumb, esiste, a tuo parere, del fumetto ancora una forma underground?
Non so dirti con precisione, non seguo molto tutto quello che viene pubblicato nei circuiti ‘altri’.
Credo però che ogni generazione abbia nel DNA un istinto a vomitare immagini, suoni e colori che le sono propri, alla faccia dei ‘mezzi di produzione ufficiali’ e dei ‘disegnatori laureati’ di cui, Dio me ne scampi, forse anch’io faccio ormai parte. Io però, stanne certo, nostromo bello, non mi addormento mai e tengo le antenne ben dritte. L’attenzione al nuovo e la sua comprensione è quello che ci tiene vivi. Bella questa, me la segno.
Topolino è nato al cinema, per approdare solo poi sulle pagine dei comics, ma sono molti gli eroi dei fumetti che hanno effettuato il percorso inverso: Braccio di Ferro, Tintin, Peanuts, Spiderman, Batman, Diabolik…Che ne pensi di quella loro avventura nel trasferirsi da un linguaggio ad un altro? Aldilà delle varie produzioni più o meno felici, dimmi della forza…dei limiti…
Denaro e buone sceneggiature. Queste secondo me sono le due uniche condizioni perché un personaggio dei fumetti abbia successo anche al cinema. Non importa quanto famoso fosse su carta. I limiti sono nelle teste dei registi.
E tu quali difficoltà hai dovuto superare nel pensare per la tv?
Il disegnatore è un lavoro solitario. Tu, il foglio, la matita e qualcuno che telefona ogni tanto cui chiedi di chiamare dopo per non perdere concentrazione. Scrivere per la TV è un lavoro di squadra, nel bene e nel male.
Nel bene, ti ritrovi, se se sei fortunato, con gente che apprezzi, che può fornirti ulteriori spunti, che è pronta a sostenerti se un’idea proprio non viene, sicura che tu farai altrettanto. E poi l’irresistibile godimento del vedere umani in carne e ossa, non disegnini, che dicono le cose che gli metti in bocca tu e si vestono come hai immaginato tu e fanno magari ridere con idee che hai avuto tu, ma aggiungendo la loro vis comica. La faccenda ha del miracoloso, almeno per me. Vedere quanta gente si mobilita attorno a un’idea (tecnici, attori, registi, produttori, costumisti) riempie di stupore e perché no, orgoglio.
Nel male, i tempi televisivi sono orrendi! Il minutaggio è tiranno, tutto deve essere veloce per battere sul tempo la voglia di cambiare canale! Un delirio nevrotico di capistruttura che mettono bocca, che fanno tagliare dialoghi, che rimontano da soli quello che tu hai faticosamente realizzato, al grido di ‘lo Share innanzitutto’. E poi la difficoltà di dire cose troppo ‘alte’ (le definiscono così) in base al principio (loro) che la gente è scema e come tale va trattata. Molto seccante. Ma tengo famiglia e a volte mi adatto anch’io, anche se mi chiamano perché, dicono, faccio cose ‘diverse’.
Prima di lasciarci, costringo tutti gli ospiti di questa taverna spaziale ad una riflessione su Star Trek … che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario?
Mi spiace, nostromo, o cambusiere, o vivandiere, o cuoco cinese, o quello che sei. So di dire qualcosa che addolorerà qualcuno e chiedo scusa sin d’ora, ma non ho mai condiviso la passione per Star Trek. Trovavo ridicoli i pigiami e le facce americane dei protagonisti e tutta la faccenda mi suonava troppo casereccia. Adoro la fantascienza, ma di altro tipo. Ho visto Alien sei volte, Blade Runner pure e consiglio di leggere un maestro della fantascienza comica come Frederic Brown. Adoravo Superman e Flash il Bolide Scarlatto. Ma non Star Trek che mi faceva du’ palle. Scusate ancora. Sono comunque disponibile a seguire un corso di rieducazione se magari mi è sfuggito qualcosa.
Siamo quasi arrivati a S-Disegni, pianeta abitato da alieni tutti cloni dello Scrondo, non saranno tanto belli ma è un mondo molto divertente…a differenza, per esempio, dell’Italia del 2003 che è brutta da vedere e per niente divertente…se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Chardonnay Doc Colli Piacentini di Torre Fornello
Meno male, nostromo…un’altra domanda e la bottiglia sarebbe finita sul tuo occipite. Avevi detto due domandine e mancava solo che mi chiedessi il gruppo sanguigno e se riesco a fare la terza. Il gruppo non lo so e la mia vita erotica riguarda solo me. Il viaggio comunque è stato buono e l’Enterprise, anche se scassatella, ha prestazioni migliori di una FIAT Stilo. Lo so, non è un gran complimento. Se rallenti e apri il portellone, mi butto di sotto, ci ho un paracadute bellissimo: si gonfia e si legge Forza Lazio a caratteri cubitali. Ecco, apri…Ora!! Ciaaaaooooooo…
S’è tuffato!...Ma guarda che sbadato…ha lasciato qui il paracadute con la scritta!...Peccato, mi ero già preparato il solito saluto che rivolgo a tutti i miei ospiti, cioè lunga vita e prosperità!, ma stavolta mi sa che forse non è il caso…

 

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