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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Luca Barra. Storico dei media.

É assegnista di ricerca presso l'Università cattolica di Milano, dove insegna Economia e Marketing dei Media e Costruzione dei palinsesti televisivi.

Collabora con il Ce.R.T.A. - Centro di Ricerca sulla televisione e gli Audiovisivi - dello stesso ateneo e si occupa, inoltre, del coordinamento didattico del master "Fare TV. Gestione, sviluppo, comunicazione".

Le sue ricerche si sono concentrate sulla circolazione internazionale dei prodotti mediali, sulla storia della televisione italiana e sulle evoluzioni dello scenario mediale contemporaneo.

Ha scritto "Risate in scatola. Storia, mediazioni e processi distributivi della situation comedy americana in Italia" (Milano, 2012).

E' consulente editoriale della rivista di studi sui media "Link. Idee per la televisione".

L’occasione per quest’incontro – che avviene in quello che per i Terrestri è il mese di marzo 2015 – è data dal suo recente volume “Palinsesto. Storia e tecnica della programmazione televisiva” edito da Laterza. Un libro imperdibile per comprendere l’elemento principe della grammatica televisiva e i suoi sviluppi futuri.

 

Benvenuto a bordo,  Luca…
Grazie, bentrovato.
La stellata e stellare chef Cristina Bowerman che illumina la Glass Hostaria di Roma ci ha consigliato di sorseggiare durante la nostra conversazione una bottiglia di Pinot Nero Clos de la Roche prodotto da Jean-Claude Boisset… cin cin!
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Luca secondo Luca…
Domanda impegnativa, difficile rispondere soprattutto quando si è introversi e piemontesi. Restando un po’ larghi, diciamo che negli anni Novanta ho cominciato a guardare “I Simpson” e molta altra televisione, crescendo mi sono accorto che tutto questo era molto più serio e importante di quanto sembrasse, e allora ho provato, e tuttora sto provando, a trasformare alcune mie passioni, la tv e in generale i media, in un lavoro. Guardo, studio, scrivo, insegno. A volte è difficile “staccare”, ma sarebbe ingiusto lamentarsene…
Ora che i miei avventori ti conoscono meglio, cominciamo nel modo probabilmente più ovvio ma non meno necessario. Una tua definizione di palinsesto…
A voler essere il più possibile completi, si tratta di una sequenza ordinata di programmi e di altri contenuti televisivi (spot, promo, eccetera.), disposti all’interno di una griglia temporale (stagionale, mensile, settimanale) seguendo obiettivi, logiche e criteri diversi e spesso in contraddizione tra loro, e servendosi a volte di strategie di lungo periodo e altre di tattiche e aggiustamenti di più corta gittata. Ma in fondo il palinsesto è il luogo dell’incontro e dell’accordo (o dello scontro) tra la rete televisiva e il pubblico a cui si rivolge. Uno strumento che deve dare l’impressione di non esistere, e quindi scomparire, ma che è essenziale per dare valore (simbolico ed economico) a un insieme spesso raffazzonato di contenuti vari e disomogenei, che solo così trovano un senso (e magari il successo…)
Scrivi che il palinsesto è un macro-testo, un mosaico, un discorso, un dispositivo, uno strumento, e anche un’arma. Prosegui affermando che, in termini generali, tutto ciò opera su tre livelli. Quali sono?
Quando si parla della costruzione di un palinsesto, si intendono insieme sempre almeno tre cose: la disposizione degli elementi e dei programmi in un ordine e una collocazione precisa (quello che potremmo definire il livello sintattico); la consapevole costruzione di un significato ulteriore, che si aggiunge a quello dei singoli testi, proprio attraverso l’ordine, la selezione, l’accordo a un’immagine e un’identità di rete (il livello semantico); e ancora il tentativo, a volte riuscito e a volte meno, di creare un dialogo continuo con gli spettatori, di convincere il pubblico a seguire la proposta della rete e a tornare sul canale anche nei giorni, o mesi, oppure anni, successivi (il livello pragmatico, per così dire). Il fatto che questi obiettivi vadano perseguiti assieme, in un sistema caratterizzato da altri vincoli e altri scopi, complica parecchio le cose. Ma in fondo è anche questo il bello del palinsesto!
 La tv, in Italia, debutta il 3 gennaio 1954. Nelle tue pagine ricordi che i primi palinsesti risentono principalmente di quelli della radio. Con il 1958, si ha una riorganizzazione della griglia oraria, ma la svolta per parlare di un palinsesto “scoperto in tutta la sua forza e sfruttato con attenzione” si ha quando il 5 gennaio 1961 Ettore Bernabei assume della Rai la direzione generale e la conserverà per 13 anni creando il 4 novembre ’61 il Secondo Programma.
Che cosa accadde allora?
Diciamo che con Bernabei l’attività di composizione del palinsesto perde la sua ingenuità originaria. Se nei primi anni della televisione l’intento della griglia dei programmi è soltanto pedagogico, e intende accompagnare lo spettatore lungo la giornata senza attrarlo troppo, in seguito a questo obiettivo si affianca quello, più politico, di portare avanti una particolare visione della società, vicina ai partiti e alle correnti di riferimento. Bernabei centralizza il controllo del palinsesto, e così – attraverso scelte ponderate, piccoli spostamenti, scontri tra un programma forte e uno più debole sul secondo canale – ne scopre la capacità di rafforzare alcuni programmi e di indebolirne altri. Come notano molti critici del tempo, in particolar modo da sinistra, il valore del singolo programma conta poco, e il palinsesto da solo può costruire successi e fallimenti basandosi sull’abitudine e l’inerzia del pubblico…
Le reti berlusconiane. Quali alle origini le caratteristiche del loro palinsesto? Se ne rintracciano segni ancora oggi oppure quel primo volto, complice involontario Dorian Gray, è cambiato?
Le tv commerciali sono forse il primo momento in cui l’attività di costruzione del palinsesto diventa una vera scienza, basata su una serie di tecniche e di operazioni importate dalla tv statunitense e adattate al contesto italiano, e sull’impiego sistematico dei dati di ascolto e delle vendite pubblicitarie. Tale “passaggio di sistema”, stimolato dallo stesso Berlusconi e messo in pratica da maestri come Carlo Freccero, è il lascito più duraturo di questa fase, un passo da cui l’industria televisiva non può (e non deve!) tornare indietro. Al contrario le singole strategie sono molto cambiate: se nei primissimi anni Ottanta bisognava marcare una differenza, e quindi le reti Fininvest erano canali “all’americana”, pieni di film e serie, già a partire dal 1984 la concorrenza con la Rai si fa spietata, e nazional-popolare. Insomma, le scelte si modificano, mentre la tecnica è rimasta, e rimane tuttora.
Il palinsesto di Raitre, dopo i primi otto, incerti, anni di vita, nel 1987, con la direzione di Angelo Guglielmi assume una nuova fisionomia. A quali criteri s’ispirava?
Perché, pur appartenendo alla Sinistra, ebbe critiche da alcune voci del Pci?
La Raitre di Guglielmi costituisce un progetto editoriale compiuto, in parte deciso a tavolino e in parte sviluppato ex post, per dare rilevanza a una rete allora minore attraverso la “tv verità”, con il ricorso a generi inediti, a volti nuovi e a un contatto diretto con il pubblico. Un progetto riuscito, se pensiamo che tuttora alcune tracce di quella programmazione restano (e sono grandi successi di pubblico, come “Chi l’ha visto”). Dal punto di vista del palinsesto, è interessante notare la trasversalità del disegno, che andava oltre i singoli programmi ma innervava interamente l’identità della rete, così come la scelta di utilizzare anche contenuti più brevi, ma dalla serialità potente, disseminati ovunque, a partire da “Blob”.
La rete che ne è risultata era difficilmente inquadrabile secondo logiche partitiche, ma proprio per questo, probabilmente, più vicina alle necessità e ai bisogni del pubblico.
Il tuo denso libro tratta tanti altri temi (per citarne uno solo: la tv musicale), ma qui lo spazio è tiranno e arriviamo ai nostri giorni. Che cosa è cambiato con le nuove tecnologie che permettono al telespettatore di costruire un palinsesto sganciato da quello proposto dalle tv?
Con la digitalizzazione e la convergenza, si sono messi in moto fenomeni complessi, che attraversano non solo la televisione ma l’intero sistema dei media. Rispetto al palinsesto, è come se ci fossero contemporaneamente due tipi di forze. Da un lato, una forza centrifuga che porta lo spettatore a fare a meno delle reti e degli orari, a scegliere nell’abbondanza dei contenuti cosa vedere e quando vederlo: i siti web, il grande deposito di YouTube, i vari servizi on demand e “non lineari” come Netflix vanno in questa direzione. Dall’altro, però, ci sono anche forze centripete, che proprio nell’esatto momento in cui il palinsesto sembrerebbe superato e “finito”, invece, ne ribadiscono la centralità e l’importanza: basti pensare alla moltiplicazione dei canali digitali, e alla necessità di imporsi sul mercato (e di convincere lo spettatore) con brand, proposte e linee editoriali efficaci…
Bruce Sterling – ai più distratti ricordo che insieme con William Gibson è uno dei fondatori del filone letterario cyberpunk – ha detto che “la tv in un non lontano futuro sarà come il teatro, una cosa di nicchia, con un pubblico molto ristretto rispetto a quello di oggi, anche se culturalmente di livello meno alto del pubblico teatrale”. Sei d’accordo oppure no?
Non molto. Molti profeti della “fine della televisione”, già negli anni Novanta, si sono lasciati trascinare un po’ troppo dall’entusiasmo per le nuove tecnologie digitali… Sono passati più di vent’anni e la televisione è ancora lì, e il palinsesto pure. Certo sono acciaccati, certo devono confrontarsi in un mercato (anche dell’attenzione) più complicato, certo a volte ripetono in modo stanco antiche formule, certo sono costretti a ridefinirsi e a tenere conto di uno scenario mutato radicalmente. Ma, allo stesso tempo, la tv continua a soddisfare alcuni nostri bisogni importanti, individuali e sociali: scandire il nostro tempo comune, darci qualcosa di cui parlare con amici e colleghi, farci conoscere cose che non sospettiamo ancora ci possano piacere… Bisogni che internet può coprire solo in parte, e solo per alcuni. E questa è la migliore garanzia, continuare a essere utili!
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… come sai, Roddenberry ideò il suo progetto avvalendosi non solo di scienziati ma anche di scrittori, e non soltanto di fantascienza, tanto che ST risulta ricca di rimandi letterari sotterranei, e talvolta non troppo sotterranei… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Non sono un esperto di Star Trek, lo devo ammettere, a parte qualche visione sporadica. Ma senz’altro rappresenta una di quelle serie televisive dalle molteplici stagioni e dai numerosi episodi che hanno costituito una sfida impegnativa per più di un programmatore, e che hanno popolato i palinsesti nazionali a partire dalla fine degli anni Settanta, nella fase di “abbuffata” di telefilm e di sitcom sulle reti commerciali (e non solo). Un esempio di abbondanza e creatività, anche di riflesso alla televisione italiana, insomma!
Siamo quasi arrivati a Barra-L, pianeta abitato da alieni che della tv hanno lo stesso ricordo che noi abbiamo dei libri prima di Gutenberg… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Pinot Nero Clos de la Roche prodotto da Jean-Claude Boisset consigliata dalla chef Cristina Bowerman del Glass di Roma… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
Volentieri, alla prossima occasione!
… ed io, ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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