L’ospite accanto a me è Mario Bortolotto. Musicologo e storico della musica.
Nato a Pordenone nel 1927, laureato in medicina, ha compiuto gli studi musicali presso il Conservatorio di Venezia, laureandosi anche in Lettere e Filosofia.
Tra le sue pubblicazioni “Fase seconda”, “Il cammino di Petrassi” e altre ancora rintracciabili QUI.
Si è sempre interessato dei rapporti tra musica e storia della cultura collaborando anche con diverse riviste e periodici sia in Italia sia all'estero. Ha tradotto scritti di Adorno e Stockhausen.
Dal 1966 al 1972 ha diretto la rivista «Lo spettatore musicale».
È accademico effettivo di Santa Cecilia, una delle più antiche istituzioni musicali al mondo.
Di recente, in occasione del suo ottantesimo compleanno, gli è stato dedicato un volume, edito dalla Edt, “Vivere senza paura”, in cui da varie personalità del mondo musicale italiano e straniero, gli viene tributato un omaggio critico.
Trovo molto interessante quanto su Bortolotto scrive Guido Zaccagnini in quel libro: QUI.
L’occasione di quest’incontro, è dato da una duplice uscita presso Adelphi: “La serpe in seno”, sottotitolo: ‘Sulla musica di Richard Strauss’, e una traduzione di “Confessioni e anatemi” di E.M. Cioran.
- Benvenuto a bordo
- Grazie per l’invito.
- Nicola Batavia, chef e patron del ristorante 'L Birichin di Torino mi ha consigliato d’assaggiare proprio durante la nostra conversazione nello Spazio questo “Rosefuir" 2005 di Ermanno Costa; mi ha scritto in Spacefax, leggo:… “Il vino che vi consiglio proviene da San Defendente di Canale, zona del Roero. Un Brachetto vinificato a secco con dei profumi ineguali. Da dio con il pesce... se poi accompagna il tonno rosso conosce il suo trionfo”.
Fin qui Nicola Batavia… qua il bicchiere…
Il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che lei trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il suo ritratto… interiore…insomma, chi è Mario Bortolotto secondo Mario Bortolotto?
- Non lo saprei davvero. Difficile conoscere se stessi. Il vecchio adagio “Conosci te stesso” quasi lo proibisce.
- Ma c’è un ritratto che le hanno fatto in cui si riconosce?
- …Mah!... sì… forse… c’è un libro recente che mi hanno dedicato… “Vivere senza paura” … in cui ci sono alcune osservazioni veritiere... Ad esempio, il Maestro Vidusso di Trieste, che mi conosce molto bene, ha scritto alcune osservazioni molto calzanti…
- Grazie alla tecnologia di bordo dell’Enterprise, richiamo quel libro dal pianeta Terra… eccolo già sul maxivisore in 3D… andiamo alla pagina che contiene la dichiarazione di Vidusso... pagina numero 43… trovata… leggo: "Squisito e sgarbato, accademico e rivoluzionario, ascetico e gaudente, passa la vita a studiare, ma a volta la nonchalance di certi suoi giudizi estremi lo fa sembrare un dilettante che vuol fare il professionista, mentre è evidentemente il contrario”.
- Sì, sono quelle le definizioni alle quali mi riferivo.
- Nello scrivere “La serpe in seno / Sulla musica di Richard Strauss”(Adelphi, Milano, 2007) qual è stato il principale obiettivo che si è posto? Tra gli altri, forse, voler ampliare e argomentare una revisione – iniziata, mi pare, con la seconda edizione dell’”Introduzione al Lied romantico" pubblicato da Adelphi nel 1984 – delle sue posizioni di un tempo, su Strauss, d’ispirazione adorniana?
- Questo libro è il frutto di un lungo rimuginìo. Quello che mi pare abbastanza evidente, rispetto a quei discorsi così bellicosi, così fragorosi, e che molti nell’ambiente di Darmstadt condividevano, è che il concetto di avanguardia abbia perso completamente significato.
Le persone che erano i rappresentanti di quella tendenza… Stockhausen, Boulez, Kagel, ed altri… erano semplicemente eccellenti compositori. Va da sé che un compositore che valga qualcosa non adotta il linguaggio di trenta o quarant’anni anni prima, ma ne crea uno nuovo. Posta la questione in questi termini, si finisce col non capire che cosa sarebbe l’avanguardia rispetto alla retroguardia. II caso di Strauss - che ha tenuto fede, ad esempio, al principio tonale fino agli ultimissimi giorni, pervenendo a risultati straordinari - induce a pensare che la questione linguistica sia assolutamente secondaria: e ciò perché viene potenziata, caricata di energia, dal talento del compositore. Parlando una volta col Maestro Aldo Clementi – che certamente non è sospettabile di scarsa attenzione al linguaggio di oggi – gli chiesi se, a suo parere, certe scelte formali, stilistiche… dovessero considerarsi davvero proibite. “Proibite?”, mi rispose “Dipende da chi le fa! Se uno ci sa fare, le quinte parallele vanno benissimo anche in un linguaggio palestriniano. Bach, in alcuni casi, ha previsto quinte parallele: con risultati straordinari! Eppure, se a scriverle è uno scolaro, vengono giustamente segnate come errori, con la matita a colori rosso e blu.
- Richard Strauss arriva fino alla metà del ventesimo secolo non deflettendo dalla tonalità. Poi, negli anni ’50 e ‘60, da Darmstadt in poi, si pensava che si fosse aperta una strada (attraverso la musica seriale, elettronica, stocastica, eccetera). All’inizio del terzo millennio, come si possono valutare le eredità tanto di uno Strauss quanto di opere come “Gruppen” di Stockhausen, “Structures” di Boulez, che pure sembrano essere oggi lettera morta…
- Sebbene siano più belle che mai!... Credo che, oggi più che mai sia d’importanza decisiva il problema della comunicazione, della destinazione. A chi sono destinate le partiture che nascono oggi? Certi musicisti, anche giovani, ritengono che talune strade, tanto quelle di Darmstadt quanto quelle intraprese da autori di tutt’altra temperie compositiva, possano trovare un punto d’accordo. E’ evidente che in tanto mareggiare di musica, trovano inevitabilmente spazio isolotti che ricordano un mondo antico.
- Si può prevedere, stante il panorama odierno, che funzionino insieme l’anima straussiana e quella darmstadtiana?
- Se la domanda è storica, dirò che questo connubio non mi risulta ancora.
Ad esempio, i compositori neo-romantici – in un paese come l’Italia in cui non è mai esistito un autentico Romanticismo – hanno conseguito risultati penosI.
Se la domanda è teoretica, non escludo che tali esperimenti, peraltro molto ardui, siano stati tentati: ma, direi, restando a livello progettuale piuttosto che approdare felicemente a uno stadio di realizzazione.
Insomma, i concetti di qualità e di linguaggio sono due cose completamente diverse.
- Qual è l’immagine che ha nel suo ricordo di Darmstadt?
- C’è da premettere che i corsi a Darmstadt esistono ancora e mi dicono che siano ancora ben frequentati, talvolta anche da compositori di un certo rilievo.
Certo, è lontano il tempo in cui per andare a Darmstadt si pativa anche la fame.
Eppure – sono cose che succedono una sola volta nella vita – ci si andava: pur di ascoltare le lezioni di Adorno, Boulez, Cage, e altri. C’era un grande senso di responsabilità verso la musica, era una parata di rigore.
Oggi non so quanti si sottoporrebbero a quei sacrifici. Ci si dà molto da fare per essere eseguiti, stampati; ma, in media, non si va molto aldilà di questo.
- Di recente, come dicevo in apertura, Adelphi ha pubblicato una sua traduzione di “Confessioni e anatemi” di Émile-Michel Cioran.
Quale il principale interesse che lei prova per quell’autore?
- E’ uno straordinario moralista… non è facile trovare qualcuno che sappia scrivere in francese con quella perfezione né che abbia espresso sulla vita etica riflessioni tanto profonde.
Con Cioran… abitava in una soffitta a Parigi a due passi dal Teatro Odéon… ho passato moltissime ore a parlare di tante cose, ma non di musica. Aveva la casa piena di pile di dischi - allora erano ancora long-playing evidentemente - e scopersi che il suo autore preferito era Brahms: un dato, questo, che aumentò del cento per cento la simpatia che già provavo per lui.
- La nostra epoca, contrassegnata da utopie e distopie, trova parole per la speranza e la disperazione. Mi sembra che Cioran esca da questi schieramenti di pensiero per porsi oltre l’aspettazione e ben oltre la sfiducia, ponga le sue riflessioni su di un altro territorio.
Se ciò la trova d’accordo, come definirebbe quel territorio?
- Trovare un termine è arduo. Forse potrei individuarlo in un cinismo intellettuale che va oltre la disperazione stessa.
Non sottovaluterei inoltre il fatto che fu un uomo sofferente per lunghi anni d’insonnia.
- Nonostante un fortissimo ancoramento al paese d'infanzia, Cioran, arrivato a Parigi nel 1937 sceglie il francese come lingua di scrittura, pubblicando il suo primo saggio in questa lingua (Précis de décomposition) nel 1949. Lei in che cosa rintraccia un possibile motivo di questa scelta?
- Cioran uscì dalla Romania per ragioni strettamente politiche e il francese lo conosceva già. Una lingua che sembrava fatta apposta per lui: una lingua di conversazione, estremamente precisa ed estremamente secca, pungente, in cui non è possibile fare della retorica. Non è un caso che il francese sia la lingua dei grandi moralisti.
- Aldilà della musica, in quale delle aree espressive…arti visive, letteratura, teatro, etc. …nota oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
- In architettura mi sembra di vedere cose nuove. Ho visto in Brasile, a Fortaleza, degli alberghi stupefacenti, in cui nessuna parete era diritta, ma ondulata, non perpendicolare. Questo mi ricorda una riflessione di Boulez il quale affermava che per realizzare determinati progetti è necessario un progresso delle tecniche e delle tecnologie. Infatti, si ha un bel disegnare pareti curve ma se non esistono nuovi procedimenti tecnici e nuovi materiali che ne permettano la costruzione e la staticità…
Per quanto riguarda la musica, novità sconvolgenti non riesco a vederle.
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel suo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- ?????
- Capisco.
Siamo ora quasi arrivati a Bortolottyo, pianeta abitato da alieni che almeno una volta nella vita hanno visitato Darmstadt… se deve scendere, le conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “Rosefuir" 2005 consigliata da Nicola Batavia patron e chef del ristorante ‘L Birichin di Torino.
La saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
È possibile l'utilizzazione
di queste conversazioni citando
il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuto.
Vi preghiamo di non richiedere alla redazione recapiti telefonici, mail o postali dei nostri ospiti che non dispongano di un sito web; non possiamo trasmetterli in ottemperanza alla vigente legge sulla privacy. |
|