Gli ospiti accanto a me sono i componenti del Teatro delle Ariette. Direzione artistica di Paola Berselli e Stefano Pasquini, al loro fianco, in ordine alfabetico: Maurizio Ferraresi, Gregorio Fiorentini, Claudio Ponzana.
Il loro nome deriva da quello del podere – le Ariette – dove ha sede il gruppo: Castello di Serravalle in provincia di Bologna;
sito web: http://www.teatrodelleariette.it.
Mi sono già tempo fa occupato del Teatro delle Ariette e torno con piacere a parlarne in quest’anno terrestre 2006 perché è uno dei gruppi di vistosa singolarità nello scenario del nuovo teatro italiano.
Svolgono un lavoro che agisce prevalentemente in luoghi non teatrali: nelle case, nei forni, negli ospedali, per le strade, nelle campagne recuperando miti e riti dove la comunicazione tra natura, bestie e uomini è vissuta in modo olistico.
Teatro muscolare e d’emozioni che proviene dalla fatica e dalla memoria, come ad esempio, in “L’estate. Fine” allorché ottennero dal Festival di Santarcangelo un grande campo, lo lavorarono per cinque mesi rendendolo territorio di scena.
Delle Ariette, dice assai bene Massimo Marino su L’Unità allorché nota: "Sta emergendo un nuovo teatro politico. Non è fatto di proclami, non combatte battaglie ideologiche, non incita all'azione. Mette in moto partecipazione e produce distanza per riaprire le frontiere del giudizio. Racconta storie, inclina al dolore per le perdite e le violenze, ma non rinuncia a cercare i bagliori della felicità”.
Il loro lavoro è sostenuto dai Comuni di Bazzano, Castello di Serravalle, Monteveglio, dalla Provincia di Bologna, e dalla Regione Emilia Romagna. Li sentirete rispondere tutti con una sola voce… prodigi della tecnologia dell’Enterprise.
- Benvenuti a bordo …
- Grazie Armando
- I patrons del ‘Web and Wine’ http://www.webandwine.com di Volterra, Enrico Buselli e Federico Frosali, mi hanno consigliato di assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo “ Commendator Enrico” segnalandomi in Spacefax che, cito le sue parole: ”…è un Rosso di Toscana, Tipologia: I.G.T. Azienda: Lornano , Luogo di produzione: Monteriggioni (Siena) , Vitigni: 40% Cabernet Sauvignon, 40%Merlot, 20%Sangiovese. Anno di produzione: 2001”…qua il bicchiere.
Adesso ascoltatemi: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che voi trasmettiate sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, un vostro ritratto.
In un lontano futuro, che cosa vi piacerebbe trovare scritto su di voi da parte di un redattore di un’enciclopedia per lettori allora, probabilmente, transumani?
- Che siamo non soltanto una compagnia teatrale, forse anche qualcosa d’altro: un’esperienza, una pratica quotidiana alla ricerca del “luogo” dove arte, vita e lavoro convivono e coincidono.
- Tema in classe. “Il Teatro delle Ariette: storia del gruppo”. Svolgimento…
- Il Teatro delle Ariette Associazione Culturale è stato fondato il 6 giugno 1996 da Paola Berselli, Stefano Pasquini, Maurizio Ferraresi. La sede è sempre stata a Castello di Serravalle nella nostra casa, in mezzo ai campi dell’azienda agricola “Le Ariette”, dove vivono Paola e Stefano dal 1989. Abbiamo iniziato presentando i nostri spettacoli nella nostra casa. Nell’estate del 1999 abbiamo costruito, in totale autogestione e autofinanziamento, il Deposito Attrezzi (un edificio rurale per il teatro), praticamente il nostro teatro. Dal 1997 realizziamo “A teatro nelle case” ospitando artisti e compagnie presso la nostra sede e in molte altre case e luoghi non teatrali del nostro territorio: la valle del Samoggia. Dall’ottobre del 2000 “A teatro nelle case” è anche Festival d’autunno. Dal giugno del 2001, con il “Teatro da mangiare?” (luglio 2000 Volterrateatro) abbiamo cominciato a girare l’Italia e poi l’Europa, la dimensione piccola si è allargata e la nostra struttura è diventata a tutti gli effetti una compagnia di produzione professionale, ma non abbiamo abbandonato la vocazione originaria di portare e far germogliare il teatro nel nostro territorio.
- Quali i principii culturali ed espressivi sui quali avete fondato il progetto di cui siete protagonisti?
- Il teatro non è un mestiere. Il teatro non è necessario.
Il teatro è uno strumento.
Il teatro non è fatto dagli attori e dai registi, ma dagli uomini.
Il teatro è una domanda, senza risposta. Il teatro è la domanda senza risposta che ronza nella nostra testa.
L’esperienza è l’unica materia che possiamo condividere in teatro.
Il teatro non sostituisce la vita, è una parte di essa. La vita non sostituisce il teatro.
Se in teatro vi parlo di me non è per parlare di me, ma è per parlare con voi, per parlare di noi.
Autogestione e autoproduzione non sono scelte, ma condizioni essenziali del nostro teatro.
- Dall’epoca della fondazione del gruppo ad oggi sono intervenute novità nel vostro progetto?
E qualora non fossero intervenute, che cosa vi ha spinto a non modificare in alcuna parte il vostro profilo?
- Un progetto è un organismo vivente, un po’ come un animale o una pianta. Ha le radici davanti e non dietro di sé. La sua storia è scritta nel suo DNA. Un agnello diventa una pecora, un melo farà mele, eccetera.
Dentro questa prospettiva però, ogni giorno è una novità e il caso è l’unica certezza della nostra vita.
Nella nostra storia la novità forse più significativa è stato il passaggio al professionismo. Cioè quello che prima facevamo spendendo soldi abbiamo cominciato a farlo perché qualcuno ce lo chiedeva e ci pagava per farlo. Così Maurizio ha lasciato il suo lavoro di impiegato, Stefano e Paola hanno continuato a lavorare la terra, ma hanno chiuso l’agriturismo...
Cerchiamo di essere morbidi, accoglienti. Le cose crescono, cambiano, invecchiano, muoiono. Non ci opponiamo alla trasformazione, non imponiamo la trasformazione, la accogliamo quando arriva, la trasformazione è il frutto della dialettica, del dialogo.
La nostra realtà è cambiata, è cresciuta, ma non siamo intervenuti sul nostro DNA.
- Intendete sperimentare per la produzione dei vostri spettacoli futuri una forma di “azionariato popolare”.
Di che cosa si tratta?
- Di una provocazione, una provocazione culturale. Chissà, non raccoglieremo un euro, ma raccoglieremo forse una riflessione sui meccanismi, una piccola e parziale presa di coscienza.
E’ un appunto, una nota per ricordare che ogni creazione artistica, che ogni azione umana vive in un contesto economico e che il contesto economico ne influenza l’essenza.
E’ anche un modo per dire che siamo padroni delle nostre scelte, che siamo artefici del cambiamento, che in qualsiasi momento siamo i protagonisti della nostra vita.
Possiamo comprare un paio di sci, possiamo fare un’elemosina, possiamo uscire a mangiare una pizza oppure possiamo sostenere le Ariette.
Senza dimenticare che possiamo anche non fare nessuna di queste cose.
Vista così potrebbe anche sembrare semplicemente una trovata pubblicitaria!
- Praticate un teatro che rinuncia agli effetti speciali, agli strumenti tecnologici.
E’ un rifiuto programmatico delle nuove tecnologie oppure un obbligatorio derivato del vostro stile scenico?
- Non escludiamo mai a priori l’utilizzo di quello che il mondo ci offre: bestie, frutti, tecnologie, luce...
Non vogliamo nemmeno forzatamente usare bulimicamente tutto quello che abbiamo a disposizione.
Usiamo i materiali che ci sono più vicini in un determinato momento, coi quali abbiamo un rapporto di intimità, di quotidiana frequentazione. Per farti un esempio, il cardine di “Dopo Pasolini” è un computer portatile. A Santarcangelo era il campo.
Rivendichiamo comunque il diritto alla contemporaneità. In questa civiltà conformista anche in termini artistici è contemporaneo soltanto chi usa le nuove tecnologie. Che stupidità!
- Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans… insomma, che cosa vuol dire per voi “teatro di ricerca” oggi?
- Vuole dire non mentire, a sé stessi e agli altri.
Vuole dire non essere mai sicuri di niente.
Vuole dire credere nel dubbio e vuole dire soprattutto avere fiducia: nel teatro, in sé stessi, negli altri.
- Oltre il teatro, in quale delle altre aree espressive credete che ci siano oggi i lavori più interessanti nella sperimentazione di nuovi linguaggi?
- Istintivamente potremmo rispondere in tutte o da nessuna parte.
Potremmo magari anche parlare del giardinaggio o dell’urbanistica oppure delle scienze, della fisica, della medicina che quanto a immaginazione del mondo e della sua forma ne sanno qualcosa.
Anche l’agricoltura è un’area espressiva.
Siamo sempre in cerca di idoli da adorare e poi da abbattere?
- Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa … che cosa rappresenta quel videomito nel vostro immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
- Di Star Trek ricordiamo delle visioni notturne in bianco e nero su un vecchio televisore nella casa in campagna di Paola in affitto, in via della Libertà. Le trasmissioni sull’etere privato avanzavano nella notte, riempivano tempo vuoto, divoravano vuoto e tempo, come quell’astronave abitata da quell’uomo strano con le orecchie a punta, Spok ci pare si chiamasse, il nostro preferito.
- Siamo quasi arrivati ad Aryette-1, pianeta scenico abitato da alieni che sono attori e contadini… se dovete scendere, vi conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “ Commendator Enrico” consigliata da Enrico Buselli patron dell’Enoteca Web & Wine di Volterra … Però tornate a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
- Arrivederci. Al prossimo viaggio.
- Vabbè, vi saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!
È possibile l'utilizzazione
di queste conversazioni citando
il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome degli intervenuti.
Vi preghiamo di non richiedere alla redazione recapiti telefonici, mail o postali dei nostri ospiti che non dispongano di un sito web; non possiamo trasmetterli in ottemperanza alla vigente legge sulla privacy. |
|