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Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.

 

Il bidet di M.me Sémongèn

 

Scommettiamo un Campari che ho scritto una ministoria del bidet?... Accadde tanti anni fa. Mi fu commissionata da Radiorai – nel 1992 o ’93, non ricordo bene - una serie sulla storia di oggetti domestici, episodi curiosi capitati a personaggi famosi, stramberie. Fu così che m’interessai alla storia del bidet.  Quel testo fu recitato su Radio 3 (e pure replicato) dall’ottimo attore Giancarlo Cortesi… come dite?... leggere mo’ quel testo?... non se parla nemmeno!... visto che ora è?... m’offrite una birra alta… se è così non posso rifiutare… però ‘na cosa veloce.

 

Il  30  agosto  1740, Madame  Sémongèn, nota  maîtressedi una parigina casa di lusso del tempo, annota nel suo diario: “Oggi ho acquistato dal signor Remy Peverie cinque oggetti igienici di grande utilità, dallo stesso Peverie inventati l’anno scorso e da lui  chiamati bidets”.
In queste poche righe, appare per la prima volta il nome di Peverie, l’inventore di quell’attrezzo igienico progettato allora per un pubblico femminile e adottato soprattutto, almeno in quei primi anni, nei più raffinati bordelli dalle tenutarie (come la Sémongèn) e dalle loro giovani collaboratrici.
Bidet - che nel Dizionario di Alfredo Panzini (tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti) suona terribilmente anche come bidetto -  deriva da baudet, ovvero asinello, e non sfugge la goffa motivazione equestre a causa dell’uso a inforcatura.
Considerati i luoghi nei quali l’attrezzo conobbe il suo primigenio uso, non sorprende che presto ebbe una piccante fama di proibito. Ad esempio, nel romanzo Thérèse philosophe  - attribuito al Marchese d’Argens, amico di Federico il Grande e autore di scritti galanti -, c’è un capitolo intitolato “Utilité des bidets” dove la protagonista Thérèse, fuggita da un convento  - come in quella letteratura si conviene a tutte le peccatrici -  impara  i segreti e le malizie dell’oggetto acquatico da una maîtressein pensione. Nel libro, Thérèse è anche vista mentre riposa (alquanto scomodamente, credo) su quello che lì viene definito violino, laddove si esce dalla metafora ippica per entrare spericolatamente in quella musicale; immaginiamo con poca gioia dei violinisti che così rischiavano di trasformarsi in virtuosi di uno strumento ben diverso da quello concertistico.
Peverie, ottenuta una buona riuscita, progettò anche una versione a due posti, ma la cosa non gli funzionò: il troppo stroppia.
Intanto il bidet, grazie all’abilità commerciale del figlio di Peverie, Antoine, e poi del nipote, Jacques, sconfinò dai bordelli per conquistare le regge. E, più tardi, con la Rivoluzione francese, anche i bagni della neonata borghesia.
Il cinico scrittore Paul Dusprenel, disse che, vista la moralità praticata nei nuovi siti dove era stato installato, mai si era mosso dal primo luogo d’uso.
Sia come sia, il successo varcò le frontiere e i Peverie, ed altri, vendettero a Roma, Vienna, Madrid, ma non a Londra: gli inglesi resisteranno indomiti a quella pratica acquatica per moltissimo tempo.
Un dispaccio dell’Agenzia France Press, ha informato di recente che oggi solo una stanza da bagno su dieci viene costruita con l’accessorio inventato da Peverie e gli imprenditori francesi del settore in un comunicato della loro associazione hanno confermato, (tra le lacrime, giusto per non allontanarsi dai liquidi) la notizia.
E’ la doccia la nuova regina dell’igiene. Dopo due secoli, il suo irruente getto ha sconfitto il bidet.
Tutto scorre.

 

Grazie di questi applausi… troppo buoni!... ma che ora s’è fatta?... ‘azzo è proprio tardi e domattina ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno. Buona notte a tutti. Ci vediamo domani sera.

 

 


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