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Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.

 

Svarioni di un archeologo

 

Scommettiamo un Campari che non sapete la faccenda della “letteratura del megatone”?... no eh?... nessuno?... lo immaginavo,  in questo bar si legge solo il Corriere dello Sport.
Ne raccontai anni fa a Radio Rai, dove scrivevo un programma con la finalità d’illuminare aspetti meno noti di certi episodi della storia e della cronaca. Pezzi brevi, 2’ o 3’00”, recitati da Giancarlo Cortesi su musiche di Guido Zaccagnini.
Come?... recitare io adesso quella storia?... non se ne parla proprio… visto che ora è?... mi offrite una birra alta?... se è così, non posso rifiutare. Allora ascoltate.

 

 

Nel numero del 27 giugno 1955, il mensile americano di fantascienza Galaxy, pubblicò il racconto di uno scrittore che si celava dietro lo pseudonimo di  Moody  Fear.
La narrazione immaginata dall’autore si dislocava in un lontano futuro, nel   XXV  secolo: il nostro pianeta era stato completamente sconvolto duecento anni prima da una terrificante guerra termonucleare che aveva cancellato quasi completamente ogni memoria storica degli umani.
Molti testi di fantascienza, alla metà degli anni ‘50, s’ispiravano a quell’ambientazione: era chiamata “la letteratura del megatone”. Vicino era il ricordo del bombardamento atomico sul Giappone e, ancora più prossimi i brividi della guerra fredda; allora, infatti, si fronteggiavano minacciosamente le truppe del Patto Atlantico stipulato nel ‘49   e quelle del Patto di Varsavia firmato  nel maggio del  1955.
Moody Fear, raccontava di un congresso di archeologi intenti a ricostruire i dati sulle culture d’un tempo, ciascuno presentando le proprie ricerche effettuate fra continenti rasi al suolo.
In quel convegno, si sostenevano interessanti cose: ad esempio, veniva illustrato come in un paese chiamato, forse, Indie, nel 1492, fosse scoppiata una guerra, detta di Secessione, vinta da un ammiraglio di nome Colombo, il quale aveva dato un grande impulso all’industria nautica tanto da permettere, poi, importanti scoperte geografiche;  seguivano, poi, altre dotte comunicazioni.
Giunto il turno di uno stimato archeologo, la cui relazione era da tutti molto attesa, il professore si schiarì la voce, e con malcelato orgoglio disse che era venuto a capo delle religioni d’un tempo.
“In una città, fino al 2000 circa, chiamata Lutezia”, così affermò l’insigne studioso, “lì scavando, ho trovato alquanti materiali che mi hanno convinto, aldilà di ogni ragionevole dubbio, dell’esistenza di due religioni al principio contrapposte: la religione Cristiana e quella di Dio.
Avendo ciò accertato, ho dedotto, da altri documenti, che esse, poi, si unirono tra loro. Mancava, però, ancora una testimonianza certa  di questo fondamentale avvenimento.
Ora sono in mio possesso reperti che attestano come gli adepti di quelle religioni portassero un distintivo per manifestare l’avvenuta unificazione”.
Si fermò per creare più suspense, poi mostrò degli abiti bruciacchiati sui quali c’era, e ben visibile a tutti, la prova della giustezza delle sue conclusioni.
Su quelle stoffe, c’era infatti scritto: Christian Dior.

 

 

Grazie, grazie, troppo buoni. Basta applausi…. Ma che ora s’è fatta?... ‘azzo!… s’è fatto tardi… domattina ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno… ‘Notte… buonanotte a tutti.

 


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