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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Renato Stella. Sociologo.
Insegna Sociologia delle comunicazioni di massa presso l'Università di Padova.
E’ autore di “Box populi” (Roma 1999); “L'immagine della notizia” (Milano 2004); “Media ed Etica” (Roma, 2008); ha curato con Pina Lalli e Mario Morcellini il volume “Spazi comunicativi contemporanei” (Roma 2008).
Attualmente si occupa delle nuove forme di produzione e diffusione della cultura di massa.
Nel 1991, quando studiare la pornografia, le sue motivazioni, le sue espressioni, sembrava – specie al mondo accademico – qualcosa lontanissima da uno studio serio pubblicò L'osceno di massa.
Fu il primo in Italia ad occuparsi di quel tema oggi tanto diffuso e dibattuto in plurali ambienti scientifici. Furono in molti a dargli addosso.
Com’è chiaro quei parrucconi avevano torto, ed ecco che Stella proseguendo nei suoi studi, ha dato alle stampe – sempre presso Franco Angeli che fin dal ’91 aveva coraggiosamente, e con felice intuito culturale, mandato in libreria ”L’osceno di massa” – un suo nuovo lavoro: “Eros, Cybersex, Neoporn nuovi scenari e nuovi usi in Rete”.
E’ lo spunto per quest’incontro che avviene in quello che per i Terrestri è il febbraio 2012.

 

Benvenuto a bordo, Renato
Grazie, sono sempre felice di iniziare un viaggio.
I tre fratelli, Massimiliano, Andrea, Jacopo Arcioni del Centrovini Arcioni, stellare enoteca romana in Via della Giuliana 13, hanno consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo Garda Doc Classico: “Rosso Negresco” prodotto dalle Cantine Provenza … cin cin! Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Renato secondo Renato…
Sono negli anta di mezzo, non dico mai quali (ma il 15 gennaio è il mio compleanno), capricornico di testa dura, sociologo per caso, invischiato nelle ricerche sui media per vocazione. Esploro e vago in spazi molto più ristretti dei tuoi, ma con la stessa curiosità di scoprire cose. Per esempio forme aliene di identità o di relazione che si nascondono dentro i computer o in tv, e di tanto in tanto ci riesco. Quando non ci riesco mi imbroncio, ma dura poco, riparto quasi subito a testa bassa e ci riprovo.
Quando fu pubblicato “L’osceno di massa” successe un putiferio.
Puoi, in sintesi, dirci che cosa accadde e che cosa ti costò?
Il libro provocò un certo scandalo in una parte dell’Accademia, il mio nome cominciò a circolare in negativo. Mi si rimproverava di non aver preso una posizione netta “contro”, che è quello che invece si aspettavano. Io mi ero affidato coscienziosamente a centinaia di articoli presi da riviste internazionali, visto che dovevo parlare per la prima volta di pornografia in Italia. In giro per il mondo l’approccio non era “contro” o “a favore”, ma cercava di valutare il fenomeno per come si presentava. Le femministe, per esempio, non accolsero male il libro, quantomeno si confrontarono. Però persi un concorso da professore associato (ma ho recuperato più tardi). La cosa che mi stupì di più fu l’assenza di dibattito tecnico da parte di coloro che esprimevano la condanna, che infatti era solo ideologica. Ero giovane e pensavo alle sorti magnifiche e progressive delle scienze sociali indipendentemente da quel che avrei studiato, poi mi son dovuto ricredere.
A vent’anni da “L’osceno di massa” quale la principale motivazione che ti ha spinto a questo nuovo lavoro?
Ho scritto questo libro per completare un percorso di ricerca e per rispondere alla stessa domanda che mi ponevo allora. Perché si sia giunti a una diffusione di massa così ampia di materiali pornografici. Oggi la risposta è più semplice che in passato, anche se necessariamente più complessa. Internet e il web 2.0 hanno trasformato una parte non piccola di consumatori in produttori di materiali “hard-core”. Al punto che forse non è nemmeno più il caso di chiamare foto e video che si trovano nei vari siti amatoriali “pornografia”, dal momento che non sono realizzati solo al fine di mostrarsi ed esibirsi, ma sempre più spesso per allacciare rapporti, scambiare esperienze, mettere in moto processi eminentemente sociali che connettono tra loro individui che si riconoscono in nicchie sottoculturali a volte piccolissime. Tante minoranze messe in insieme che “prendono la parola” non fanno naturalmente una maggioranza, ma cominciano a essere un numero cospicuo di persone che non si può far finta di non vedere. Il cuore del libro è un’esplorazione di questa dimensione del desiderio e della sessualità, a volte anche dell’affettività, che sancisce il superamento dell’industria pornografica degli anni ’70-’90, per lasciare uno spazio nuovo all’iniziativa di uomini (soprattutto) e donne capaci di mettersi in gioco spudoratamente e oscenamente. Il tutto in un quadro di secolarizzazione e di normalizzazione del pornografico che in occidente è ormai una cifra ineludibile della nostra contemporaneità.
Quale il principale segno che è cambiato sul piano della fruizione - rispetto alla pornografia stampata (scritta o fotografica) - con l'avvento della pornografia audiovisiva?
Più che di segni parlerei di pratiche. Intanto ne fruisci a casa tua senza doverne rendere conto a un edicolante o a al gestore di un videoshop. Il che non è poco visto che comunque per molti il senso di colpa è parte integrante dei rituali di consumo del porno. D’altro canto però è venuta emergendo anche una dimensione  “pubblica” della fruizione, nel senso che chi passa nei siti porno può esprimere giudizi, valutazioni, commenti, eccetera sul video e la foto che guarda o replicare con un video e una foto suoi. Nascono così quelle relazioni comunitarie di cui parlavo prima, per alcuni insomma la “fruizione” diventa “interazione” ed è questa una delle grandi novità.
Che cos'è accaduto poi con l'avvento della Rete?
Il web 2.0, cioè la possibilità di interagire a livelli diversi con il medium (cosa che non puoi fare con un dvd o con una rivista) ha trasformato molti consumatori in produttori, ha poi reso accessibile gratuitamente da casa tantissimi materiali, sia amatoriali che industriali; ha creato una enciclopedia universale delle pratiche sessuali più completa, anche se più disordinata, di un manuale sessuologico. Naturalmente ha accentuato anche alcuni rischi e aperto la strada a esibizioni bordeline che violano la legalità e il rispetto che si deve agli altri. Il punto è che qui, come in molte manifestazioni di internet, una risorsa in grado di aumentare la libertà individuale di una parte della popolazione, può essere abusata per creare l’effetto contrario, per minacciare o mettere in pericolo. Con le precedenti forme di pornografia questa eventualità era quasi inesistente.
Puoi darci, con la capacità di sintesi che possiedi, una definizione di “Neoporn”?
“Neoporn” è una parola che mi sono inventato per sottolineare la novità della pornografia, cosiddetta amatoriale, cioè realizzata da persone comuni, che un po’ ricalca i canoni della produzione industriale precedente, ma che presenta anche alcune novità. Stilistiche innanzitutto: non sono più necessari corpi bellissimi, dotatissimi, efficientissimi, ma vanno bene anche le bruttine e i cicciotti pelati; le riprese possono essere poco meno che improvvisate con camera fissa, colori approssimati; i suoni lo stesso, come gli ambienti. Insomma una dimensione domestica che abbandona buona parte delle convenzioni precedenti e che non si vergogna di essere dilettantesca e oscena nei linguaggi quanto lo è nei contenuti. In cambio però offre una forma nuova di iperrealismo, perché nel Neoporn non si finge, non si sta impersonando un ruolo, non si è attori in senso cinematografico, ma attori in senso sociale: coloro che agiscono consapevolmente e di solito divertendosi.
 …e di “Cybersex”?
Il “Cybersex” comune, cioè quello normalmente praticato, non è la cosa che ci si immaginava qualche anno fa sull’onda dell’euforia prodotta da internet, quando si pensava che quasi tutto il corpo sarebbe stato impegnato per poter fare del sesso a distanza usando vari accessori: caschi, guanti, tute, e altro. Banalmente invece è un’attività erotica che comprende due o più persone le quali attraverso il web si “mostrano” (utilizzando una cam) e si “parlano” (per mezzo di una chat o con un microfono), impiegando questi strumenti per eccitarsi reciprocamente e raggiungere l’orgasmo. Il piacere sta nel poter contattare più persone in una stessa sessione, nell’arrivare subito al “dunque” (visto che si è lì per quello) saltando i preliminari, nel poter vivere l’esperienza in condizioni di totale sicurezza, perché basta un “click” del mouse e la cosa finisce. Ne esiste anche una versione più antica e “cieca”, cioè senza immagini o suoni, ancora utilizzata per avviare fantasie sessuali a due che possono sconfinare ovunque, sia nelle pratiche perverse più estreme, sia nell’immaginare e nell’immaginarsi con corpi, età e abilità straordinarie.
Si parla spesso di "pornografie". Non esiste, quindi, una sola pornografia?
Sei d’accordo con quel plurale? Se sì oppure no, perché?
Si può parlare di pornografie e non di pornografia al singolare, sia perché esistono, come dicevamo, supporti diversi (i dvd e le riviste non sono scomparsi) ciascuno con le proprie specificità di uso e i propri linguaggi, sia perché ci sono forme produttive differenti (l’industria o le persone comuni), sia perché i soggetti e le situazioni rappresentate sono pressoché infiniti, tanto da rendere quasi impossibile stilare un catalogo che li descriva. E poi grazie al web 2.0 ciascuno singolarmente può costruire il suo archivio personale fatto non solo dei video e delle foto che ha trovato e che gli interessano, ma anche di montaggi e ibridazioni che sono proprio solo i suoi, unici e irripetibili. Anche per questa via infatti si diventa “produttori”.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Più che alla letteratura naturalmente io penso alla sociologia. Star Treck è un vastissimo archivio di situazioni in cui si combinano tolleranza e imperialismo. L’Enterprise arrivava sui mondi più diversi, veniva in contatto con le forme di vita più strane e improbabili, nel suo stesso equipaggio vi erano uomini e donne di “razze” terrestri o extra-terrestri differenti; vigeva poi la regola di non interferire con le culture che si incontravano per non modificarne la storia. Una straordinaria dose di tolleranza e di apertura mentale per l’epoca in cui fu fatto (io mi riferisco alla prima stagione  - anni  ’60 - che mi son rivisto più di una volta). Poi però, nonostante tutto, la nave spaziale interveniva con le sue armi e i suoi uomini e qualcosa la cambiava sempre, raddrizzando torti, riparando ingiustizie, evitando catastrofi e ciò sulla base di criteri, diremmo in sociologia, “etnocentrici”, fino all’happy end finale di stampo hollywoodiano. Era impossibile insomma non stare dalla parte di Kirk, ma più che da capitano Kirk agiva da generale plenipotenziario o da imperatore, e questa cosa mi lasciava un vago sospetto e un po’ di amaro fin da ragazzo.
Siamo quasi arrivati a Stella-R, pianeta abitato da alieni che nelle loro scuole hanno per testi obbligatori “L’osceno di massa” e “Eros, Cybersex, Neoporn”… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di “Rosso Negresco” delle Cantine Provenza consigliata dai fratelli Arcioni dell’omonima enoteca romana.
Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
Non so dire se per il vino, per la compagnia o per il viaggio, ma di sicuro ci torno.
Ed io saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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