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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L’ospite accanto a me è Franco Bolelli. Filosofo.


Scrittore di vertiginosi saggi, vive a Milano dov’è nato nel 1950. E’ filosofo nel senso più precipuo della parola, vale a dire indagatore dell’Essere come sostantivo e come verbo.
Contemporaneo che va oltre la contemporaneità – vale a dire rifiutandone le mode e accettandone con entusiasmo innovazione e rischi – da sempre si occupa di ciò che in noi cambia contro le resistenze che in tanti vi oppongono, parla di mondi creativi, sostiene nuovi modelli umani.
Ha pubblicato molti libri, tra quelli dopo il 2000: “Più mondi” (2002); “Con il cuore e con le palle” (2005); “Cartesio non balla” (2007); “Viva tutto!” con Jovanotti (2010); “Giocate!” (2012).
Ha progettato e messo in scena festival sperimentali e pop, come “Frontiere”, tra filosofia, rock e nuove tecnologie.
Il web è ricco di suoi interventi, se accendete i motori di ricerca troverete suoi interventi e interviste, sia scritte sia audiovisive, rilasciate ad alcuni webmagazine.

 

Benvenuto a bordo, Franco…
Qui si vola alto, Armando!
Io so soltanto che i tre fratelli, Massimiliano, Andrea, Jacopo Arcioni del “Centrovini Arcioni”, stellare enoteca romana in Via della Giuliana 13, ci hanno consigliato d’assaggiare durante la nostra conversazione nello Spazio questo Verdicchio Castello di Jesi Classico Riserva prodotto dalla Casa Santa Barbara  di Stefano Antonucci… cin cin!... Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero “è un bel manico”, però noi nello spazio stiamo, schizziamo ”a manetta”, prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto… interiore… insomma, chi è Franco secondo Franco…
Mi sento uno che ha sempre tentato – prima inconsapevolmente, adesso programmaticamente – di essere in contatto con la vita: ovvero con l’evoluzione della vita, con le imprese, le conquiste, gli slanci inventivi. Con la pienezza della vita, perché davvero credo che la cosa più buona della vita non sia la bontà (né l’etica, né l’intelligenza, né alcuna delle virtù classiche) ma la vita stessa.
Siamo in quello che per i Terrestri è il giugno 2012 e il fine che mi propongo in quest’incontro nello Spazio è quello d’illustrare il tuo pensiero, per farlo ho scelto di orbitare intorno ai tuoi libri più recenti.
Comincio da Più mondi del 2002 che suggerisce "come diventare 'globali' dando vita a nuove forme mentali, sentimentali e comportamentali pur lontani dal predominio del mercato".
Quali premesse e qualità sono necessarie per realizzare in tal modo la globalizzazione?
Essendo sempre sfuggito a qualunque identità delimitata e schema ideologico, della globalizzazione ho sempre visto la possibilità di proiettarci al di là di tutti i vecchi confini. Grazie alla globalizzazione, noi siamo il primo gruppo di umani nella storia a ritrovarci al di là del tempo e dello spazio, in contatto con tutto ciò che è stato prodotto da qualunque cultura in qualunque epoca. Ci sono disfunzioni, nella globalizzazione? Certo che sì. Ma chi vede soprattutto le disfunzioni, non vede l’evoluzione, cioè è miope o stupido. Ogni evoluzione è la conquista di qualcosa attraverso la perdita di qualcosa, inutile far tante storie.
Con il cuore e con le palle è del 2005. Quei due siti anatomici oggi si sono scollegati?
Quale nuova, possibile, identità maschile è quella che proponi?
Non riesco a concepire il maschile staccato dal senso dell’impresa. Quello che si compie nei grandi slanci e progetti, ma ancora di più quello che si esprime nelle scelte quotidiane, nelle relazioni sentimentali, in migliaia di piccoli gesti e azioni. Il maschile che ho in mente – e che vedo in non pochi esemplari – è come Stairway To Heaven, la ballata dolce e lo stacco potente, la capacità di trascinare e quella di carezzare. Coraggio e sensibilità in indissolubile matrimonio.
Cartesio non balla  ha un sottotitolo eloquente: “Definitiva superiorità della cultura pop (quella più avanzata)”. Puoi tracciare in sintesi i valori che riconosci alla cultura pop?
Tanti, tantissimi, Innanzitutto la capacità di coniugare ricerca innovativa e spinta energetica, sperimentazione e comunicazione. La cultura pop – quella più coraggiosa e indipendente e inventiva – segna il passaggio dal pensiero critico al pensiero di creazione, dalla mente binaria a quella connettiva.
Ovvio chiederti a questo punto qual è l’accusa che lanci alla cultura accademica…
La cultura accademica non la accuso: constato che è defunta e non lo vuole ammettere. Gli insegnamenti culturali che racconta non sono ovviamente in discussione: ma il modello di pensiero, la forma mentale che esprime, è non soltanto superato ma nocivo e molesto. In un mondo dove tutto si connette con tutto, tutto ciò che trasmette sistemi mentali logici, lineari, meccanici, binari, è quanto mai dannoso. E poi le solite questioni: la cultura accademica nasce lontana dal corpo e cresce devitalizzata.
E del 2010 Viva tutto! Nasce da uno scambio di mail fra te e Jovanotti durato nove mesi.
In quelle mail romba il motore di Valentino Rossi e risuona la musica di Rossini, sfilano le acrobazie filmiche di Robert Rodriguez e i versi dell’Ariosto; riflessioni sulle religioni, sul rock, sul femminile e sul maschile, sulla perdita di senso oggi nel parlare in politica di “destra” e di “sinistra”.
“Viva tutto!” può sembrare un titolo ottimista, ma credo che non sia proprio così, che si tratti di altro. Che cosa ci dici a questo proposito?
Viva Tutto! non è un titolo ottimista: è un titolo vitale.
Viva Tutto! vuole raccontare che il senso della vita è la vita stessa, che a dispetto di tutti i problemi e i drammi la vita non fa altro che espandersi. Vuol dire anche che la vita va vissuta tutta intera, abbracciandone le diverse spinte. E vuol dire pure che la stessa evoluzione tecnologica s è modellata su un metabolismo assolutamente biologico.
Non potevamo davvero trovare altro titolo, per un manifesto vitale di 480 pagine.
Siamo al tuo libro più recente: Giocate!
Quali le principali motivazioni che ti hanno spinto a scrivere sui bambini che crescono e su cosa gli adulti sono chiamati a fare?
Questo piccolo libro-manifesto ho deciso di farlo in onore di Isabella, la piccola bimba di mio figlio. Perché i bambini, oggi ancora di più, sono l’unità di misura stessa dell’evoluzione. Perché credo che crescere un bambino con forte senso di sé, con fierezza e coraggio e carattere, sia il gesto più politico, più culturale, più innovativo di tutti. Perché credo che quella combinazione di senso di responsabilità e senso del gioco con cui si deve crescere un bambino sia poi perfetta anche per noi stessi, per i nostri progetti.
Il tuo pensiero riflette spesso sul concetto di innovazione.
Hai scritto: “… l'innovazione non è avanguardia né creativa stravaganza: l’innovazione è un'inevitabilità”.  In che cosa consiste per te quella necessità?
L’innovazione è la manifestazione naturale di ogni organismo sano. Vale per il corpo, per noi stessi, per le nostre relazioni, per i progetti e le idee, per le squadre, per le aziende, per tutto quanto: quando si smette di innovare si appassisce inesorabilmente. La nostra stessa evoluzione – antropologica, ancor più che scientifica e tecnologica – è il prodotto di uno slancio innovativo.
Mentre intorno a noi vanno prendendo forma le immense potenzialità del futuro, la Rete ha compiuto una rivoluzione che nulla ha da invidiare a quanto avvenne con Gutenberg, si profilano nuovi modelli che s’affacciano sul post-umano, eppure in tanti arretrano di fronte al nuovo.
Da dove viene quel panico?
Credo che quella fra sperimentazione e conservazione, fra dinamismo e stasi, sia la vera grande separazione antropologica, oggi più che mai. Oggi l'evoluzione è così impetuosa e travolgente che molti ne sono spaventati e spiazzati. Ne è spaventato e spiazzato (e reagisce o con risentimento o con rassegnazione) chiunque non è assolutamente indipendente, chiunque non sa scegliere fra così tante opzioni, chiunque è legato alle vecchie identità, chiunque è abituato a cercare le soluzioni nel passato. Non tutto il nuovo è buono, ma gli umani non hanno alcuna chance di farcela nel nuovo mondo connesso e globale senza un'attitudine di apertura verso il nuovo. Oggi è tempo di identità espanse, di sintesi personali, di conoscenza ed esperienza a tutto campo.
Terribile per alcuni, entusiasmante per altri.
Mi dispiace per i primi, ma è con i secondi che ci si diverte e si fa la storia.
Ci avviamo alla conclusione di questo nostro incontro.
Quale dev’essere per te il compito primario del filosofo che si affaccia sul XXI secolo?
Credo, anzi no sono assolutamente certo, che la vera grande missione sia quella di mostrare come noi esseri umani siamo sempre stati capaci di essere più grandi di tutte le disfunzioni e le porcherie che noi stessi provochiamo. Oggi ancora di più: oggi abbiamo possibilità di scelta inconcepibili fino a pochissimi anni fa, oggi non possiamo più davvero pensare, comportarci, come facevamo fino a pochissimi anni fa: se un filosofo non ci racconta tutto questo, e non ci racconta in qualche modo come fare, quel filosofo è perfettamente inutile.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s’intende…
Ai miei occhi, il suo valore è proprio quello di aver adottato un modello dove scienza, tecnologia, fiction, letteratura, pensiero, sono la stessa cosa, funzionano meglio uniti piuttosto che divisi.
Siamo quasi arrivati a Bolelli-F, pianeta abitato da alieni che vivono con il cuore e con le palle vite clonate su più mondi… se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l’intervista, anche perché è finita la bottiglia di Verdicchio Castello di Jesi Classico Riserva prodotto dalla Casa Santa Barbara consigliata dai fratelli Arcioni dell’omonima enoteca romana… Però torna a trovarmi, io qua sto… intesi eh?
Voglio fare il frequent flyer, qui!!
… ed io ti saluto com’è d’obbligo sull’Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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Absolutely there's not one Center or big man in the league at penrset who could stop Shaq in his prime at that moment. Tim Duncan; during his prime and Dikembe Mutombo at that time were about the only players who had a chance at that time. With Dikembe retired, and Duncan on the decline it's safe to say that Shaq would eat the current crop of mediocre Centers for lunch.Oh yeah, Kobe Bryant was a pretty good scorer to go along with him in 2001; and the roleplaying crew they had was fantastic as well (Fisher, Horry, Fox, etc)

inviato da ywUjOwRDEwsOSeSL
 

 

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