Andrea Dojmi, videoartista.
Sono nato a Roma nel 1973, dove ho studiato art-direction e comunicazione. Nel 1995 mi sono trasferito a Milano e ho lavorato per dieci anni nella comunicazione contemporanea come art-director freelance, per le maggiori agenzie pubblicitarie, studi, clienti privati e case editrici. Allo stesso tempo ho perseguito una mia personale ricerca come artista visivo, focalizzata sulla tensione tra età infantile e sistema educativo, natura, dimensione sperimentale, relazione con l’habitat. Utilizzo diversi media, pittura, installazione, video, super8, musica. Nella primavera 2005 ho pubblicato “Aimready”, libro d’arte, edito da Booth-Clibborn editions, Londra; un progetto destinato a svilupparsi nel tempo in forme e dimensioni diverse. Diretta conseguenza di ‘Aimready’, è “Education and protection of our children #2”, lavoro in pellicola e live sound-set in collaborazione con i musicisti port-royal, prodotto dal Netmage festival 2006 di Bologna.
Tra le mie recenti partecipazioni:
“ Education and protection…”, live,a cura di Andrea Lissoni (Xing),Milano;
“Video Invitational#2”, a cura di Milovan Farronato, Milano;
“Cortocircuito”, a cura di Marco Tagliaferro, Novara; “
“ I have been in a beautiful place”, HYPE gallery, Milano;
“Startle Summer”, video, a cura di Silvia Fanti, spazio Raum, Bologna;
“Club”, Locarno film festival 2005, a cura di Noha Stolz;
“Education and protection of our children #1”,a cura di FFWDmag 3≠;
“Aimready”, personale, a cura di Riccardo Lisi, La Fabbrica, Losone, Svizzera;
“Summer Kids Training Camp”, a cura di Riccardo Lisi e Noha Stolz, Locarno;
“Aimready (the Holy Church Of Marmots), a cura di Andrea Lissoni, Milano.
Nei realizzare i miei lavori video utilizzo la pellicola super8, il 16mm, mi tengo lontano da un utilizzo particolare dei nuovi media, segnando in parte la direzione della mia ricerca. Mi piace pensare alla mia produzione video, come ad un documentario, un film “difettoso”, penso alle pellicole super 8 o 16mm scolastico - educative che venivano proiettate a sorpresa a scuola, da bambino. Ho sempre pensato ad un cinema spoglio della narratività che è propria del cinema, appunto, mirando ad un’immagine non ri-creata, ma un set naturale, “trovato”, perseguito, un’esperienza vera, non ricostruita. Le immagini dei laghi, dei boschi o dei “miei” bambini, sono assolutamente instabili e ambigue. Il fuoco sta proprio nell’instabilità che affiora e si cela in queste sequenze. Spesso nel mio lavoro esiste uno strato esatto e sistematico di incastri e rimandi di diversa natura, geografici, scientifici, o semplicemente una gestione numerica dell’insieme, è un sottostrato a parte dove può essere avvincente perdersi e che lavora inconsciamente anche se ignorato, riportando in superficie i livelli del sensibile. Mi interessa l’immagine che l’educazione scolastica e religiosa assume nella sua organizzazione architettonica e spaziale e in quella più grafica, legata al modo in cui viene diffusa, propagandata. Ricordo, da bambino, delle fotografie di natura, animali, visioni sempre in piena luce che venivano utilizzate per portare un messaggio di salvezza e gioia: queste immagini, mi hanno sempre creato un senso di profonda inquietudine. Erano instabili, assolutamente non rassicuranti e mi provocavano un disagio inspiegabile. L’ora di proiezione di filmati didattici in pellicola, a scuola, era un momento di serena inquietudine.
www.aimready.com
www.booth-clibborn.com
www.port-royal.it
http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=285
http://www.teknemedia.net/magazine/speciali/dettail.html?mId=890
I video che presento in questa sede sono delle versioni di un minuto, dalla raccolta “Aimready”, (anche una sequenza da “Education and protection of our children#1”, realizzato per FFWDmag #3 e poi sviluppato per il Netmage festival 2006).
Non sono degli estratti, ma dei moduli indipendenti.
(…) Ho filmato un lago artificiale. Un lago artificiale, tra gli alberi, abeti altissimi.
L’acqua era verde celeste e brillava quasi controluce, in ombra era blue – nero - verde profondo. Un colore bellissimo ma non vero…”Toccata l’acqua con le mani, sentimmo quanto era fredda e capimmo anche quanto era profonda…”. Le fronde degli alberi si muovono in luce, un’estate indiana al contrario. Il vento fresco che deve ancora portare l’estate...mentre quella indiana era…era un vento fresco che ancora portava l’estate e qualcosa che ancora doveva venire…sono 2 cose diverse…direi che nel mio caso era quasi una simulazione dell’estate indiana. Eravamo in 3, fuggimmo dal campo estivo. C’erano tanti bambini come me –io ero diverso –o forse gli altri lo erano…erano felici…io non riuscivo davvero ad esserlo in quel modo, facendo le cose che venivano dette di fare…è come se ridessero senza emettere suono, un incuboin piena luce, luminosissimo…ma il 3, per adesso, era il numero ideale…noi 3 eravamo diversi, felici tra noi. Non era facile scappare, correre via dal campo, in un prato verde, immenso per noi, con le tende canadesi al centro e il bosco ai lati…dovevi arrivarci al bosco e non oso pensare a cosa sarebbe accaduto se la nostra corsa non fosse stata coperta e resa muta dal silenzio insopportabile del sole esagonale di quella estate.
Poi, nell’ombra, al freddo-quasi-freddo, ancora a correre, potevamo correre tantissimo, eravamo fortissimi, velocissimi, finchè lo scuro tra gli alberi divenne verde-blue-bianco. Le sponde di un lago artificale. 3 era il numero perfetto, la metà dell’esagono, ma io volevo stare solo con lei. Sorrideva in modo pauroso…gli occhi come il lago, stesso colore e un sorriso pauroso che io non capivo…lo capivo all’inizio, all’inizio del sorriso, ma dopo diventava qualcosa di diverso…a me piaceva e faceva paura allo stesso tempo…mi piaceva, tanto, tantissimo. E così il lago e le cose che ci dicevano i grandi, al campo, quando parlavano della luce, della gioia, del regno dei cieli e delle regole della comunità…mi facevano paura…mi facevano paura quei bambini al campo…sorridevano senza voce, senza bocca….senza gli occhi. I grandi dicevano che non poteva esserci felicità fuori dal gruppo. “Presentati, questo è il tuo nome questo è il suo, andate a giocare, spiega al tuo nuovo amico la disposizione degli esagoni colorati, dei rami e delle foglie.”
Senza parlare, in luce, mostravo l’educazione del mio gioco. Dovevamo essere felici. Lo eravamo. Soli-felici. La scoperta del lago artificiale era coincisa con una leggera crescita del nostro corpo…sempre bambini…ma le ossa più lunghe, le braccia più lunghe e magre, la pelle più chiara e sentimenti strani quando ci guardavamo…avevo voglia di bagnarmi le mani con l’acqua gelida e stringerti forte i polsi, di parlarti con la bocca vicino alla tua, parlarti forte e sentire l’odore della tua saliva…e del sangue. Eri una bambina selvaggia, ti vedo ancora perfettamente, ti faccio male, i polso gelidi e segnati, ma tu sei forte e ridi. Non hai mai pianto. Avevi il cuore di una bambina e il cervello di un bambino(…).
Poi capimmo. la naturalezza e il desiderio selvatico all’improvviso erano divenute orrore e paura, diverso da prima. Oramai era troppo tardi, noi non eravamo più noi, eravamo passati oltre, attraverso, fuori… pensavamo e ci chiedevamo il perché delle cose, eravamo arrivati in fondo al lago e usciti dall’altra parte. Startles non c’era più, eravamo in 2.
Ci incontrammo tanto tempo dopo, io e lei, silenziosi, avevamo giocato silenziosi sotto al sole, tracciando parabole sul terreno…io potevo vedere la scena da 6 metri, sopra di noi.
Andrea Dojmi
( Il lago artificiale, il campo estivo, la morte di Startles e gli abeti altissimi)
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