Questo mese Nadir è dedicato al fotografo Francesco Giusti.
Sono un fotografo documentarista indipendente orientato all’investigazione di contemporanee quali le migrazioni, il lavoro, le tensioni sociali, i conflitti e le questioni legate all’identità.
Negli ultimi venti anni ho esplorato diversi approcci: dal saggio fotogiornalistico al ritratto a progetti fotografici più personali e di lunga durata; cercando sempre una voce personale e fuori dal coro.
Ho lavorato principalmente in Africa, nella regione Mediterranea, nella zona dei Caraibi (Haiti, Cuba, Jamaica) e in Sud e Centro America.
La mia serie di ritratti “Sapologie”, sul mito dell’eleganza tra i dandies del Congo e membri della SAPE, ha ricevuto il World Press nel 2010.
“In Case of Loss”, una serie del 2011 sui lavoratori migranti in fuga dalla Libia, è stata ampiamente pubblicata ed esposta.
Recentemente ho ricevuto il Voies Off Arles - Prix de la Critique 2016 con la serie “The Rescue“
una raccolta di fotografie sull’isola di Lesbos in Grecia.
I miei lavori sono stati esposti in gallerie, istituzioni pubbliche e private e festival internazionali di fotografia quali Arles 1999, Perpignan 2000, Roma 2006, FotograficaBogotà 2010, HoustonFotofest 2011, 4thFotofestivalGermany 2011, FIFVValparaisoChile 2013, GetxoPhotoSpain 2015, VoiesOff Arles 2016, tra gli altri.
Ho pubblicato su Internazionale, l’Espresso, Time Lightbox, Courier International, OjodePez, GUP, Colors, Leica Magazine, Russkij Reporter, l’Europeo, Photonews, KwartalnikFotografia.
Ho tenuto workshop in Italia, Egitto, Kenia, Colombia e Cile.
Come raccontare il dramma contemporaneo dell’esodo di migliaia e migliaia di migranti?
Spesso i media ci inondano di immagini più o meno toccanti o cariche di pathos, dove si vedono sbarchi notturni sulle coste di Lampedusa o dell’isola greca di Lesbo, barconi stracarichi di persone e bambini disperati, colonne e colonne di gente in marcia… Si tratta certo di fotografie che documentano eventi tragicamente reali, ma che rischiano spesso di trasformare tali migranti in folle anonime e senza volto. Immagini che, proprio per questo, a volte vengono usate da una destra populista e senza scrupoli per fomentare la paura di una supposta invasione dell’Europa da parte di “milioni” di migranti.
Per sfuggire a questa dinamica perversa Francesco Giusti ha invece consapevolmente scelto altre vie per raccontare tali esodi. Anziché concentrarsi sulla tragicità degli sbarchi (come hanno fatto la maggior parte degli altri reporter), Giusti, giorno dopo giorno, fotografa e raccoglie gli oggetti che tali migranti hanno perso e che lui ritrova quasi ovunque: decine di foto-tessere e fotografie di famiglia, più o meno corrose dalla salsedine e dalle intemperie; poi pantaloni mezzo affondati nella sabbia; passaporti abbandonati; lettere... Il suo lavoro, grazie a simili reperti recuperati (che l’autore fotografa con cura proprio lì dove li ha trovati) ci invita a vedere i migranti non più come ombre anonime e minacciose, ma come Persone con storie e affetti spesso simili alle nostre; ci spinge a immaginare la loro vita normale prima dei tragici eventi che li hanno obbligati a fuggire. Evocative, anticonvenzionali, intense e al contempo delicate, le sue immagini ci dimostrano come sia oggi possibile e sempre più necessario creare ricerche fotografiche che escano dalla logica ristretta dell’evento da documentare: immagini che spingono a chiederci “chi sono questi esseri umani?”, e non più soltanto “quanti ne stanno arrivando da noi?” .
Gigliola Foschi
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Fotografia
Pantaloni abbandonati da un migrante sulla strada che porta al campo profughi dopo l’arrivo sull’Isola di Lesbos.
Grecia, Novembre 2015.
Dalla serie: "The Rescue", 2015 |
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Altre foto dei miei lavori e notizie su mostre: QUI
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