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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Altra.tv (1)


700 partecipanti accreditati, 74 relatori a confronto con videomaker e editori digitali in 38 incontri differenti: questi i numeri registrati da Punto It Le Italie digitali fanno il punto, il meeting nazionale delle web tv e dei media digitali locali promosso dall'Osservatorio e Network delle web tv italiane Altratv.tv con il sostegno di Google, Eutelsat, Telecom Italia e con il patrocinio di Regione Emilia Romagna, Università e Comune di Bologna.
Il meeting è stato realizzato in media-partnership con Rai5, Nòva24-Sole24Ore e Unitag/l'Unità e ha visto l'humanitarian partnership di Emergency e la food-partnership di Alce Nero-Mielizia.
QUI tutti i partners dell'evento.

Per tre giorni si sono riuniti a fine aprile, a Bologna, centinaia di editori digitali e videomaker che hanno riflettuto sulla TV del futuro, rappresentata oggi anche da web tv, videoblog e portali di informazione locale che informano, denunciano ciò che non va, creano un filo diretto tra cittadini e amministrazioni dialogando con la propria community. Una nuova generazione di video partecipazione, detta “dal basso” (ma tale dizione va letta esclusivamente come sinonimo di “popolare”, di “collettiva”, perché quella partecipazione vede fior d’ingegni), espressione di cittadinanza attiva digitale, che accende web tv e riparte da social network e devices mobili. Nel primo trimestre 2012 Altratv.tv ha mappato 642 web tv in tutta Italia (erano 590 soltanto a fine 2011, con un tasso di crescita rispetto al 2010 del +11%). Ad oggi si stima un fatturato di 10 milioni di euro per 10.000 addetti tra operatori diretti e indotto.
Punto.it ha visto il lancio della campagna video online Cinque buone ragioni, promossa da Emergency e prodotta da Altra.tv per incentivare la donazione del 5 per mille alla ONG che in diciassette anni ha curato oltre quattro milioni di persone in tutto il mondo.
Al meeting è avvenuta anche la prima presentazione ufficiale di Reporter, il nuovo progetto di crowdsourcing promosso da Repubblica.it. Riccardo Staglianò di Repubblica ha illustrato ai videomaker italiani il progetto di “ingaggio” video e di selezione per Academy, la scuola di videogiornalismo realizzata dalle firme del giornale.
Durante la tre-giorni Piero Gaffuri di Rai Nuovi Media ha presentato il nuovo portale RAI per l’estero, frutto della collaborazione fra RAINet e RAI World, mentre Carmen Lasorella, direttore generale di SMtv San Marino, ha illustrato il nuovo format “Wiki: la Rete ci salverà”, online e on air da venerdì 27 aprile su Smtvsanmarino.sm e su SMtv San Marino.
Durante il convegno si è discusso di regolamentazione, nuovi modelli di business e sostenibilità, linguaggi e formati per il web. Nell'àmbito della plenaria promossa con Google, CNA Giovani Imprenditori e Unione Comunicazione e Terziario Avanzato si è dibattuto del potenziale della rete per il business delle comunità e per le piccole e media imprese del territorio: sono state presentate sei storie di successo di giovani imprenditori ora anche digitali.
Il meeting ha premiato anche le più belle web-series con il contest “TV fai-da-web”, promosso dalla cattedra di semiotica dei nuovi media dell'Università di Bologna, da Altra.tv e da Studio28TV, con il sostegno della Fondazione Cariplo. Ad aggiudicarsi il premio di 1.000 euro per il miglior format già realizzato è stata la milanese MacchéTV con la web-series Lo schiavetto, che affronta con ironia la quotidianità lavorativa.
Si è aggiudicato il contributo di 2.000 euro come miglior format da realizzare la modenese Fuori Tv con “Indovina chi viene a cena?”, che affronta il tema dell'inteculturalità attraverso la differenti tradizioni culinarie.

Per saperne di più su Altra.tv, segue una nota che ne illustra in sintesi origini e attività.


Altratv.tv (2)

Altratv.tv® (in foto il logo) è il primo osservatorio sulle web tv italiane e sui media locali posizionati in Rete.
Fondato a Bologna nel 2004 da Giampaolo Colletti su ispirazione di Carlo Freccero, oggi coinvolge ricercatori italiani ed esteri che analizzano le evoluzioni del citizen journalism e della “cittadinanza attiva digitale”. Attualmente mappa 642 web tv, oltre 30 media universitari e 815 media locali. Sono esperienze di citizen journalism in un'ottica di cittadinanza attiva digitale: informano le comunità locali, denunciano ciò che non va, creano un filodiretto con l'amministrazione comunale.
Altratv.tv® è una meta-tv: direttamente dall'home page si possono navigare le web tv italiane geolocalizzate. L’obiettivo del progetto è mappare e far conoscere il fenomeno italiano della videopartecipazione dal basso in rete e della cittadinanza attiva. I ricercatori di Altratv.tv curano due ricerche ogni anno: il rapporto Netizen (dedicato agli Internet Citizen, ovvero ai cittadini videomaker creatori di web tv, la ricerca esce ogni fine anno) e il rapporto Watchdog (dedicato ai canali di denuncia “dal basso”, la ricerca esce ogni metà anno).
Dal 2010 Altratv.tv® propone trasmissioni “a rete unificata”®, in altre parole dirette video in simultanea diffuse, grazie ad uno stesso codice di trasmissione, su un network composto di oltre 2000 piattaforme web (territoriali, tematiche e di testate giornalistiche) con un totale potenziale di 5.000.000 di utenti.
Prima esperienza è stata "Rita101", la diretta per i 101 anni di Rita Levi Montalcini trasmessa il 22 aprile 2010 da Bologna e che ha seguito di un mese il banco di prova di "Rai per una notte" con Santoro. "Rita101" è stato il tributo della rete a Rita Levi Montalcini, la donna che più di ogni altra incarna la ricerca e la sete di conoscenza. Un modo per discutere sul tema della ricerca e portare all'attenzione del pubblico le storie dei tanti ricercatori che ogni giorno dedicano il proprio impegno al progresso scientifico.
Altratv.tv® ha ideato e coordina i Teletopi, gli Oscar delle web tv italiane. Il nome nasce dal concetto del mouse, elemento simbolico della navigazione. Il contest, nato nel 2007, mette in gara le “antenne” spostando i riflettori sulla Rete, dove si moltiplicano da anni le esperienze di videopartecipazione. Le web tv sono giudicate da una giuria di critici ed esperti della comunicazione presieduta dalla giornalista Carmen Lasorella. Il contest ha avuto negli anni come presidenti di giuria Carlo Freccero (2007), Silvia Tortora (2008), Irene Pivetti (2009) - mio commento: si sa, non si può essere sempre perfetti - e Carmen Lasorella (2010 e 2011).
Inoltre, Altratv.tv® ha ideato e coordina Punto.it, il meeting nazionale delle web tv italiane e dei media digitali italiani, già denominato negli scorsi anni “Paese che vai”. Il meeting è giunto nel 2012 alla V edizione.

Per informazioni: l’Ufficio Stampa di Altra.tv è guidato da Simona Salvi.
Recapiti: simona.salvi@altratv; 340 – 05 50 751.


Gola


Anche i grandi possono dire delle baggianate, ad esempio, un giorno Socrate disse: “Ti pare che un vero filosofo possa curarsi di piaceri come quelli del mangiare e del bere?”.
Non sappiamo se questo suo dire fu l’ennesima causa dei rimproveri che gli muoveva la collerica moglie sua Santippe; in questo caso, però, mi sento di dare ragione alla signora.
Il libro che presento oggi è in argomento.
E’ pubblicato dalle Edizioni Dedalo, titolo sintetico:Gola, ma sconfinato per argomento come anche il sottotitolo indica Storia di un peccato capitale.
Ne è autore Florent Quellier, storico, professore incaricato all’Università di Tours e titolare di una cattedra di 'Storia dell’alimentazione nel mondo moderno' presso il Centre National de Recherche Scientifique. Nel 2007 ha pubblicato “La table des Français. Une histoire culturelle”.

“A differenza di altri peccati capitali” – scrive Philippe Delerm in Prefazione – “la Gola è sempre stata trattata con estrema attenzione sul piano filosofico, religioso e sociale, nella sua duplice forma di eccesso e moderazione”.
In questo libro – splendidamente stampato per impostazione grafica e che si avvale di 58 illustrazioni a colori – Quellier non si limita a tracciare storia e influenza della Gola solo sul versante delle raccomandazioni religiose (ad esempio, dalla repressa voluttà cattolica all’ostentata austerità protestante) ma del suo saggio ne fa l’occasione per un viaggio che va dalla letteratura al teatro al cinema.
Attraverso i capitoli si compie un percorso originale e rigoroso, osservando un panorama di questioni che ci fanno riflettere sul rapporto tra eros e cibo, natura e cultura, soggettivo e oggettivo, etica ed estetica, forma e materia, in pratica uno scenario filosofico.
E se vi pare eccessivo accostare la filosofia alla cucina, sono pronto a offrirvi un’autorevole smentita che viene dal filosofo Nicola Perullo che intervistai tempo fa. Gli chiesi il motivo dell’accostamento da lui fatto tra filosofia e alimentazione. Così mi fu risposto: “Mi sembra un avvicinamento naturale, quello tra gastronomia e filosofia. Negli Stati Uniti, peraltro, i rapporti tra “food and philosophy” sono oggetto di attenzione da qualche tempo; qui da noi, in Italia, invece, è più difficile. La complessità proposta dai problemi del cibo è enorme: il piacere, la fame, la cultura, l’industria, l’artigianato, la natura, la glocalizzazione”.

Quellier scrive – con tratti spesso umoristici – della Gola attraverso i secoli notandone, dall’antichità ai giorni nostri, le modificazioni prodotte dalle varie epoche, ma spazia anche attraverso la visione che della Gola hanno le varie età dell’uomo dall’infanzia alla senilità, e attraverso i sessi. A quest’ultimo proposito, particolarmente interessante il capitolo che dedica alle donne notando come “… per lungo tempo l’atto creativo è stato una prerogativa esclusiva del mondo maschile…” perché “si è fondato su trattati scritti da uomini; bisognerà attendere il 1795 perché un libro di cucina, francese, sia attribuito a una donna […] in compenso, al di là della Manica”, ci sono donne che pubblicano fin dal XVII secolo”, ma lì, sospira Quellier, “la cucina non è diventata un’arte”.
Ecco un libro che può fare felici non soltanto gli appassionati di enogastronomia, e questo perché le sue pagine investono plurali campi dell’umano rispetto alla nutrizione, al gusto, ai presunti vizi e alle autentiche virtù della tavola. Un libro che consiglio anche vivamente ai più raffinati chef poiché potranno venire loro gustosi (è il caso di dire) spunti per idee ed invenzioni leggendo i golosi passaggi offerti da Quellier.
Chiudendo questo delizioso libro è lecito chiedersi che ne è oggi della Gola e quale il suo futuro strettamente gastronomico. Credo che la migliore risposta si trovi in un profetico scritto del celebre cuoco francese Auguste Escoffier, il quale affermava già nel 1907 in Le Guide Culinaire: “La cucina, senza smettere di essere un'arte, diventerà scienza e dovrà sottomettere le sue formule, purtroppo ancora troppo empiriche, a un metodo e a una precisione che non lasceranno nulla al caso”.
Mi pare proprio (si pensi alla cucina molecolare) che Escoffier ci abbia preso.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Florent Quellier
Gola
Prefazione di Philippe Delerm
Traduzione di Vito Carrassi
Pagine 224, Euro 22.00
Edizioni Dedalo


La voce dell'arcobaleno


Nello scenario musicale contemporaneo, una valorosa originalità è rappresentata da Roberto Laneri.
Un’occasione per ospitarlo di nuovo in queste pagine web (QUI una sua intervista di anni fa), è data dalla nuova edizione, arricchita di nuove pagine, di un libro diventato introvabile e di cui ora può disporre chi lo ha invano finora cercato.
E’ intitolato La voce dell'arcobaleno Origini, tecniche e applicazioni pratiche del canto armonico.

Dalla quarta di copertina.
Il canto armonico consente di udire, produrre e controllare particolari vibrazioni sonore di elevato potere, sviluppate da antiche tecniche di guarigione fisica e spirituale. Un tempo diffuse in tutto il mondo e confinate poi in ambienti sciamanici ed esoterici, queste tecniche sono state recentemente riscoperte da etnomusicologi, da musicisti e da un numero crescente di persone che praticano il canto armonico per il proprio benessere e la propria elevazione spirituale.
La voce dell'arcobaleno rappresenta un testo unico nel suo genere, che ci aiuta a leggere il cammino della civiltà orientale e occidentale in chiave sonora e secondo una filosofia "armonicale". Questo libro potrà dunque rappresentare uno strumento di riferimento e di studio non solo per i musicisti, ma anche per tutti coloro che desiderino leggerlo da un punto di vista storico e antropologico. Il testo è infatti in primo luogo un libro sul suono, che tratta di tecniche vocali antichissime non insegnate nei conservatori e nelle scuole di musica, e che fornisce una lettura della civiltà in chiave sonora
.

Cliccare QUI per visitare il sito web dell’autore dov’è possibile anche ascoltare in mp3 alcune sue produzioni musicali.

Roberto Laneri
La voce dell'arcobaleno
Pagine 288, Euro 14.90
Edizioni Il Punto d'Incontro


Un libro, un quartiere


Mentre sorgono dappertutto i fiori velenosi delle scuole di scrittura creativa che minacciano di mettere al mondo nuovi poeti e romanzieri, ecco che va segnalata in modo esclamativo l’iniziativa presa a Roma da un gruppo che ha per obiettivo la diffusione della lettura.
Fra le organizzatrici, noto un’amica di questo sito, Maria Teresa Carbone, della quale sono assiduo lettore della sua rubrica “Ex Press” su ‘il Manifesto’ del sabato e insieme con lei ho fatto anni fa una traversata spaziale - se non ci credete cliccate QUI - parlando di una trasmissione tv (che poi la Rai soppresse perché era fatta troppo bene), di traduzioni, di leggende metropolitane, di fantascienza, ed altro.

L’iniziativa di cui dicevo è intitolata Un libro, un quartiere - (in foto il logo) - e le dà vita l’associazione culturale “Monteverdelegge” nata nel 2008 come esperienza di scambio e confronto dalla pratica della lettura, per iniziativa di un gruppo di cittadine e cittadini del quartiere di Monteverde, nel XVI Municipio del Comune di Roma.
Il progetto si fonda su una comune passione per la lettura, e sulla convinzione che l’esperienza individuale possa essere non solo comunicata ad altri, ma anche arricchita profondamente da tale confronto. Si è pertanto consolidata, nel tempo, una pratica di reciproco ascolto basato sulla lettura, mentre le attività dell’associazione si consolidavano: oggi, si organizzano incontri con autori italiani e stranieri, letture a domicilio presso anziani del quartiere, corsi di alfabetizzazione per donne straniere in difficoltà, cineforum, presentazioni di nuovi libri.
Il progetto “Un libro, un quartiere” prende spunto dall’analoga iniziativa “One City One Book”, avviata da oltre dieci anni negli Stati Uniti per promuovere la lettura, oggi esportata con successo in diversi Paesi. Il progetto viene tuttavia riadattato a un contesto diverso, e si propone come un modello replicabile in altri quartieri di Roma e nei centri abitati di tutto il Lazio.

E’ dunque un’esperienza di lettura collettiva di un testo letterario a scelta. L’idea è che un intero territorio sperimenti, in un lasso di tempo definito, la lettura di un libro, alternando l’esperienza individuale a quella collettiva, nella convinzione che queste si arricchiscano a vicenda.
E', quindi, la lettura il punto di partenza, accessibile a tutte/i, da cui partire per poi allargarsi su altri canali comunicativi ed espressivi, attraverso l’attivazione non solo di gruppi di lettori, ma anche di laboratori, progetti nelle scuole e con le famiglie, attività nel territorio.
La partenza è stata data dalla lettura del volume “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini.
Le ragioni alla base di questa scelta sono da ricondursi al legame con il territorio di Monteverde che il testo presenta: il libro si apre, infatti, nominando le case popolari di via di Donna Olimpia (i “grattacieli”), nel cuore del quartiere, e continua chiamando in causa altri luoghi importanti, come l’area della stazione Quattro Venti. La ricerca che connota l’opera di Pasolini è strettamente legata a questi territori, all’epoca marginali, e offre pertanto ottimi agganci con il presente. Com’è noto, inoltre, Pasolini ha vissuto a lungo a Monteverde, e la sua esperienza ha lasciato tracce percepibili, seppure non vistose. La scelta di un testo molto “sentito” nei territori che saranno interessati dal progetto è dunque anche un modo per avvicinare con più facilità i destinatari.

Cliccare QUI per il blog dedicato in Rete.

monteverdelegge@gmail.com è la mail per chi volesse mettersi in contatto con le organizzatrici e gli organizzatori di "Un libro, un quartiere”.


I capi della città su fino all'etere

La Galleria modenese Mazzoli ha pubblicato I capi della città su fino all’etere di un autore poco noto in Italia, ma che ha una sua sfarzosa presenza nella letteratura nordamericana: Jack Spicer.
Nato a Los Angeles il 30 gennaio 1925, morì alcolizzato a San Francisco il 17 agosto 1965.
Mai seppe, quindi, che il suo nome e il suo cognome sarebbero stati omonimi a quello di uno dei personaggi cattivi (pallido, coi capelli e occhi rossi, vestito sempre di nero) della fortunata serie tv statunitense di cartoons “Xiaolin Showdow”.
Christy Hui – ideatrice di quella serie – sapeva dello scrittore Spicer e ha messo apposta quel nome a una delle sue creature? Non sono in grado di negarlo né affermarlo.

Spicer fu tra gli esponenti più importanti del movimento letterario “San Francisco Renaissance” di cui Kenneth Rexroth e Madeline Gleason ne sono considerati fondatori; quel movimento (o “fermento culturale” come preferisce definirlo Paul Vangelisti) si distinse per essere animato dai primi americani tesi ad esplorare tradizioni giapponesi come l’haiku e ad essere al tempo stesso influenzati dal jazz.

Le pagine di I capi della città su fino all’etere sono scandite da disegni di Luigi Ontani e sue due maschere compaiono in copertina e back cover.
La traduzione dei testi è stata affidata a Nanni Cagnone (il suo website QUI), scrittore finissimo, con il quale anni fa ebbi il piacere di compiere insieme (ci crediate o no) una traversata spaziale.
Estraggo un passaggio dalla sua postfazione, intitolata “Jack the Joker”: Spicer è imperiosamente visionario, improvvisamente spiritoso, e pensa nel migliore dei modi (in modo ellittico) […] I congegnati libri di Spicer forse dicono che la natura del linguaggio continua a preoccuparci: in luogo di cose, abbiamo parole, opacità di parole. Ne deriva una fondamentale nostalgia, o un rammaricato elogio della finzione (si consideri l’insistente occorrere di ‘as if’ e ‘metaphor’, ambasciatori dell’ ars rhetorica), a cui un temperamento come il suo dovrà dare una coloritura festevole e rissosa, lodando-insultando il linguaggio.
C’è qualcosa di caotico nella turbolenta immaginazione di Spicer, ma lo stile indiscutibile e il ritmo imperterrito architettano ogni sgrammaticata fantasia
.

L’elegante book design è dovuto al traduttore e a Sandra Holt.

Jack Spicer
I capi della città su fino all’etere
A cura di Paul Vangelisti
Traduzione di Nanni Cagnone
Disegni di Luigi Ontani
Pagine 206, s.i.p.
Edizioni Galleria Mazzoli


L'Ateo


L'autore di famose "sintesi futuriste", Rodolfo De Angelis, fu anche cantante e compositore, nel suo più noto brano Ma cos'è questa crisi? (1933) dava semplici ma saggi consigli a tanti che si lamentavano della solita crisi. C’è, però, chi sulle crisi specula e invece di bonari consigli s’inventa formule che apparentemente sagge – e, a prima vista, perfino ispirate a bontà – si rivelano trappole per i più deboli e affari per i più furbi.
“Il business della miseria si chiama, al giorno d’oggi, sussidiarietà”, così scrive Maria Turchetto nel suo editoriale del bimestrale "L’Ateo" dell’Uaar (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti) da lei diretto.
Proprio ad una critica al Principio di Sussidiarietà è dedicata larga parte di questa rivista con illuminanti interventi di Raffaele Carcano, Francesco D’Alpa, Marco Mangani, Marco Accorti, Nicola Fiorita, e Valentino Salvatore il quale si sofferma sullo smentire che sia stata la Chiesa ad inventare il volontariato perché quello laico (nato nel 1848) era ispirato alla solidarietà e non alla carità a differenza di quanto avverrà con la Rerum Novarum di Leone XIII (promulgata nel 1891) con la quale fu fondata la moderna dottrina sociale cristiana affermando la “Necessità delle ineguaglianze sociali” e che “… togliere dal mondo le disparità sociali è cosa impossibile […] contro la natura delle cose”.
Naturalmente anche sulla “Sussidiarietà” si sono tuffate tante organizzazioni cattoliche che nuotano fra onde dorate come documenta cifra su cifra il sito www.icostidellachiesa.it

Altri articoli su altri temi provengono da Nicola Colaianni, Laura Beani, Luciano Franceschetti, Federico Favilli, Giuseppe Corbisiero, Luca Alessandro Borchi, Giovanni Grossi, Daniele Mucci, Simone Ricciardelli.
Nel numero non mancano recensioni a libri che ovviamente mai troveremo segnalati nei supplementi letterari e scientifici dei quotidiani e, inoltre, una serie di divertenti vignette di grandi firme e di giovani autori emergenti.

La rivista "L'Ateo" è in vendita nelle seguenti librerie al prezzo di 2.80 euro.

Si avvicina il momento di redigere i moduli per le tasse e ricordo che è possibile dare il “cinque per mille" all’UAAR riportandone il codice fiscale: 92051440284


Dante s'incazza


E non ha torto.
Non mi pare, infatti, abbia suscitato la risonanza che meritava la notizia che al Politecnico di Milano arrivino dal 2014 lezioni esclusivamente in inglese per il biennio e per i dottorati.
Dopo il triennio gli studenti non avranno possibilità di scegliere tra l’inglese e l’italiano, ma l’offerta formativa magistrale sarà esclusivamente in lingua inglese.
Nessuno mette in dubbio che l’inglese sia una grande lingua e che rappresenti oggi un grande veicolo di comunicazione sia in campo scientifico sia in quello umanistico, ma quella “esclusività" riservatale suona come un tic da provincia dell’Impero.
Proibire in Italia anche il solo accoppiamento dell’italiano all’inglese in una area di studi, giustamente famosa, qual è il Politecnico di Milano, via, è un po’ troppo!
Da qui lo scatto della Società Dante Alighieri che - attraverso le parole della sua Presidenza diffuse dall'Ufficio Stampa – afferma: Ci siamo battuti per il rispetto della nostra lingua nell’Unione Europea e ogni giorno più di 500 Comitati della “Dante” impegnati in Italia e all’estero lavorano generosamente per valorizzarne il prestigio e la dignità. Non possiamo accettare, dunque, che la presunta internazionalizzazione delle Università italiane comporti il sacrificio di uno degli elementi fondamentali del nostro patrimonio culturale e storico .

Anche il linguista Tullio De Mauro, ha fatto sentire la sua voce esprimendo forti riserve sul fatto che la decisione sia estesa a un intero corso di laurea e per giunta di un ateneo pubblico aggiungendo che tale scelta crea effetti negativi per l’intelligenza.

Aveva ragione Roberto Vecchioni quando anni fa diceva: “L'italiano, tra non molto, sarà la più bella tra le lingue morte”?


Dia.foria per Cage


Ricorre quest’anno il centenario della nascita del compositore statunitense John Cage - (In foto)) - nato a Los Angeles il 5 settembre 1912, morto a New York il 12 agosto 1992).

Daniele Poletti è tra i promotori di un maiuscolo ricordo dell’artista prodotto dal sito dia.foria – in collaborazione con il musicologo Michele Porzio autore di Metafisica del silenzio. John Cage, l'Oriente e la musica.
Il ricordo è costituito da un originale saggio articolato in 100 brevi interventi (la forma richiesta: max 1001 caratteri, spazi inclusi), di musicisti, scrittori, musicologi, registi, saggisti di letteratura e teatro, artisti visivi che hanno risposto alla domanda: "Cosa ti rimane e/o cosa ti manca di John Cage?".

Ecco come Cage racconta una delle principali motivazioni della sua poetica: All’inizio degli anni Cinquanta, presi la decisione di accettare i suoni che esistono nel mondo. Prima, ero così ingenuo da pensare che esistesse una cosa come il silenzio. Ma quando entrai nella camera anecoica della Harvard University a Cambridge, sentii due suoni. Pensai che ci fosse qualcosa di sbagliato nella stanza, e dissi all’Ingegnere che c’erano due suoni. Mi chiese di descriverli e lo feci: ‘Bene’ – disse – ‘quello più acuto è il suo sistema nervoso in funzione e quello più grave la sua circolazione sanguigna’. Questo significa che c’è musica, o c’è suono, indipendentemente dalla mia volontà.
Questa considerazione fa scrivere a Gianfranco Bertagni: “Sappiamo tutti la composizione che fu per Cage l’espressione più pura del silenzio: quel brano che prende il titolo della sua durata, 4’33’’, un brano di assoluto silenzio. Piccola nota: forse non tutti sanno il motivo di questa durata: 4 minuti e 33 secondi fanno in tutto 273 secondi e lo zero assoluto in temperatura è -273°C (=0°K). Si tratta del suo pezzo più importante, lui stesso lo dice. Ci ha lavorato sopra, per quanto strano possa sembrarci, per ben quattro anni. Non solo; dice: “Mi piace pensare che tutta la musica che ho scritto successivamente non abbia mai fondamentalmente interrotto quel pezzo”.
Quindi un pezzo completamente silenzioso, nessuna nota sul pentagramma. Però è comunque un brano per pianoforte. Nei concerti, il pianista volta le pagine dello spartito lasciando presagire un cambiamento di atmosfera. È insomma un brano silenzioso chetenta di mostrare l’inesistenza del silenzio. I colpi di tosse o gli sbadigli degli spettatori, i rumori occasionali nella sala da concerto, qualsiasi movimento del pianista... tutto funge
da corredo sonoro. Solo perché sul pentagramma non c’è scritto niente, non vuol dire che regni il silenzio. Metti sul giradischi 4’33’’ e senti il rumore della puntina. Metti il cd e restano i rumori all’interno e all’esterno della stanza. Lo metti nell’ipod quando cammini per strada e sei esposto ai rumori della strada”.

QUI il musicista in un’intervista rilasciata a Francesco Bonami.

CLIC per visitare il website dedicato a Cage.


Sorvegliati speciali (1)

“Fare la spia? Bisognava ingoiare dei microfilm e il mio medico me l'aveva sconsigliato”. Woody Allen ha trovato così una facile scusa per non spiare, altri, invece, non hanno trovato quel medico ma neppure hanno dovuto ingoiare microfilm, ma solo aguzzare lo sguardo, origliare, sguinzagliare informatori e poi battere sui tasti per stilare rapporti da inviare ai loro superiori.
E quante tastiere in Italia sono state messe (e sono) al lavoro!
Di quelle che crepitarono dal dopoguerra ce ne parla un libro, edito da Longanesi, che in particolare documenta e interpreta come fu tenuto sotto osservazione un particolare ambiente.
Titolo: Sorvegliati speciali Gli intellettuali spiati dai gendarmi (1945 – 1980).

Ne è autrice Mirella Serri docente di Letteratura e giornalismo presso l’Università La Sapienza di Roma. Collabora alla Stampa e Ttl, e al settimanale ‘A’ con una rubrica di letteratura.
Ha curato il Doppio diario. 1936-1943 di Giaime Pintor.
I suoi più recenti libri sono: Il breve viaggio. Giaime Pintor nella Weimar nazista (2002); I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte1938-1948 (2005); I profeti disarmati. 1945-1948, la guerra tra le due sinistre (2008) e nello stesso anno è tra le firme del libro collettaneo Amorosi assassini.
E’ stata anche protagonista di un viaggio spaziale (se non ci credete cliccate QUI) durante il quale ho conversato con lei sui suoi libri e anche di altro.

Dalla quarta di copertina di Sorvegliati speciali: “Nessuno si aspetterebbe di ritrovarli in mattinali e rapporti riservatissimi della polizia. Eppure, i più importanti scrittori, pittori, registi, attori, filosofi, giornalisti italiani sono stati spiati per decenni. L’incredibile vicenda prende avvio nel dopoguerra e s’intensifica in epoca scelbiana quando si lavora intensamente per schedare l’intellighenzia di sinistra, che è ritenuta non solo un covo di potenziali sovversivi ma anche la longa manus della propaganda dei partiti dell’opposizione, i tentacoli di una polipesca operazione socialista e comunista per conquistare consensi. Emerge così dai rapporti di polizia il resoconto insolito di riunioni riservate, assemblee e conventicole che impegnano i più noti intellettuali di sinistra, dagli anni in cui si genuflettono al mito dell’Unione Sovietica agli incontri più carbonari e segreti degli anni Settanta.
Lavorando su archivi fino a oggi mai esplorati, l’autrice riporta alla luce non solo la sotterranea caccia all’intellettuale scatenata dai governi a maggioranza democristiana ma anche il profilo nascosto della storia della cultura di sinistra in Italia, con le sue grandi illusioni e i suoi atroci abbagli”.

Il libro, dalla lettura avvincente quanto quella di un grande giallo, si avvale di particolareggiate note che rimandano alla posizione d’archivio dei documenti nonché di un indice dei nomi di spioni e spiati.

Segue ora un incontro con Mirella Serri.


Sorvegliati speciali (2)


A Mirella Serri, (in foto), ho rivolto alcune domande.

Nell’introduzione scrivi, a proposito delle investigazioni di commissariati e questure, che si tratta di uno spiegamento di forze “parallelo ma non da confondersi con l’intelligence dei servizi veri e propri”. Perché? Quale la differenza?

Nei “Sorvegliati speciali” ho pubblicato i rapporti inediti di commissariati e questure (che si dedicano all’ordine pubblico a differenza dell’intelligence dei servizi segreti veri e propri che come principale obiettivo hanno il controspionaggio). Si tratta di migliaia di pagine per lunghi anni secretate. In questi dossier polizieschi finiti nell’oblio e recuperati c’è di tutto: si va dalle più riservate notazioni di costume e sulla lotta politica spicciola, campanile contro sezione, circolo contro parrocchia - che oggi possono far sorridere come un racconto di Giovannino Guareschi -, alle note sulle più ristrette riunioni nelle segrete stanze di Botteghe Oscure, per arrivare al monitoraggio dei giornali, riviste, premi e associazioni “culturali” legati alla sinistra e alle sue articolazioni sul territorio. La “cultura del sospetto” dei questurini nei confronti delle teste pensanti affondava le sue radici nell’eredità fascista: per l’Ovra e per i poliziotti in camicia nera l’obiettivo prioritario era stato lo smantellamento della rete clandestina dei partiti di sinistra, dei loro fiancheggiatori e dei loro agit prop. Lo spionaggio nei confronti dei cervelli di sinistra e la lotta anticomunista sarà l’eredità lasciata ai ranghi polizieschi del dopoguerra: a seguito della mancata epurazione e del colpo di spugna sui trascorsi in epoca littoria gli agenti e i dirigenti dei servizi informativi, quasi senza nemmeno cambiare sedia o scrivania, erano traslocati armi e bagagli al servizio delle rinnovate istituzioni. Così uno degli uomini chiave del regime, Guido Leto, ex direttore della Divisione di polizia politica del ministero dell’Interno poi approdato nella Rsi - e con lui molti altri veterani dell’Ovra, dal questore Gesualdo Barletta a Ciro Verdiani - dopo un breve periodo di traversie giudiziarie nel 1946 rientra trionfalmente nei ranghi.

A te, docente di letteratura e giornalismo, qual è l’elemento linguistico che hai notato comune a quei rapporti dei gendarmi? Come ti sei immaginata quei redattori?

All’erta, pronti a riferire sulle manifestazioni pubbliche o semipubbliche dell’opposizione ai governi diccì, non vi furono solo questurini-spioni “laureati”. Al fianco dei “professionisti” in questa attività incessante e capillare si colloca anche tutta una galassia di “mestieranti”, di avventizi. Si tratta di scrittori, giornalisti, artisti, uomini di spettacolo che si sono assunti il compito di farsi occhio e orecchio della polizia: a volte infatti sono proprio i “consanguinei” a riferire sulle idee e le proposte di altri intellettuali che le formulavano ritenendo di essere, in quei momenti, tra compagni e fratelli di fede, autorizzati ad esprimersi senza troppe remore. Per decenni si è così attivata un’infiltrazione metodica, con super esperti e spie dilettanti mescolati tra la folla di una megaconvention o nel pugno di ascoltatori che seguivano un dibattito all’Istituto Gramsci, alla libreria Feltrinelli, nella cantina romana Beat ‘72, rifugio d’avanguardia. I segugi - travalicando sempre senza troppo preoccuparsene i compiti istituzionali delle forze di pubblica sicurezza - schedano inclinazioni sessuali, lavori, patrimoni e lo fanno pure di mogli, amanti, fratelli, dedicandosi agli intellettuali iscritti al Pci, ai “simpatizzanti” e successivamente all’intellighenzia che sposa le cause “a sinistra della sinistra”.

Sbaglio oppure mi pare che chi spiava abbia colto quanto alla fine degli anni ’60 stava avvenendo a sinistra del Pci con maggiore tempestività dei dirigenti di quel partito?

Il risveglio dell’antifascismo di massa nelle strade e nelle piazze all’inizio degli anni Sessanta, la sensazione che il contesto culturale e politico stia radicalmente cambiando, è registrata dai poliziotti. Ma anche dal Pci. Per mettere un freno ai frazionismi e alle critiche “da sinistra” al Pci, gli spioni, per esempio, registrano la presenza del giovane dirigente della Fgci Achille Occhetto che accompagnato da Tortorella, leader molto seguito dall’intellighenzia di sinistra, vuole bloccare l’uscita della rivista “Nuova Unità”. E ricordano ai neo marxisti-leninisti che verranno cacciati via dal partito anche perché molti di loro “girano con le bombe in tasca”. Eppure spauracchi e misure disciplinari non servono a molto. Un rapporto segreto del 1965 stima che i simpatizzanti filocinesi (Min. dell’Int., Gabinetto del ministro, 1967-1970, b. 3, Prefettura di Roma, 26 marzo 1965) siano in crescita, sono circa 12 mila in tutta Italia, e rileva che a Reggio Emilia ci sono pure i vigili urbani con il libretto rosso in tasca.

Quando sarà tolto “il velo di Stato”, leggeremo di nuove schedature? L’era informatica come prevedi abbia cambiato i comportamenti di chi spia?

Oggi vi sono le intercettazioni molto più funzionali dei rapporti scritti. Di ‘Sorvegliati speciali’ ve ne sono ancora tanti e ne vedremo e ne sentiremo delle belle.

Mirella Serri
Sorvegliati speciali
Pagine 288, Euro18.00
Longanesi


Il silenzio degli uomini (1)

E’ in libreria un prezioso volume per capire le ansie che attanagliano i maschi nel mondo dei nostri giorni in cui il biologico e il sociale più non sono alleati (nel bene e nel meglio o nel male e nel peggio) e fra loro collidono con il risultato di vedere noi uomini precipitati in un drammatico mutismo.
L’autrice che ha colto quest’impegnativo tema è Iaia Caputo scrivendo un saggio di grande potenza intitolato Il silenzio degli uomini pubblicato da Feltrinelli.

Un estratto dal quarto di copertina: “E’ in questo silenzio che Iaia Caputo coglie una "condizione tragica del maschile", che nella dismisura di una sessualità incapace di evolvere e nella scorciatoia della violenza ha le sue derive più preoccupanti. Così, l'autrice indaga sui padri che uccidono i figli ma anche sulla nuova paternità che ha scoperto la gioia della cura e della prossimità dei corpi; decodifica i gesti che hanno caratterizzato la politica e la sfera pubblica negli ultimi vent'anni, mettendone a fuoco l'arroganza, la volgarità e l'urgenza di costruire e denunciare un nemico; riflette sulle forme del desiderio maschile attraverso l'esemplarità del caso Marrazzo o dell'affaire Strauss-Kahn – passando, evidentemente, per il ‘ciarpame senza pudore’ dell'era berlusconiana. Ma vi è in queste pagine anche l'elogio di una delle più grandi ricchezze del maschile, quello dell'epica: una narrazione che ancora oggi permette di rintracciare la possibile bellezza d'essere uomini, le sue contraddizioni e la sua complessità. Forse, il maschile potrebbe avviare una sua tardiva trasformazione solo rinunciando al privilegio di un silenzio che lo protegge ma gli toglie interi pezzi di vita. Perché le cose esistono solo quando impariamo a nominarle”.

Iaia Caputo è nata a Napoli (1960) e vive a Milano.
Giornalista, ha collaborato con Il Mattino di Napoli, con la Rai e diverse testate giornalistiche nazionali. Redattrice di Marie Claire per dieci anni, si è poi occupata di libri, come titolare della rubrica per Flair, e scrivendo sia per Il Diario, sia per il supplemento ‘D’ di Repubblica.
Ha pubblicato diversi saggi, tra cui Mai devi dire sul tema degli abusi sui minori in famiglia, Conversazioni di fine secolo (con Laura Lepri); Di cosa parlano le donne quando parlano d'amore; il romanzo Dimmi ancora una parola; il saggio Le donne non invecchiano mai (2009) arrivato alla quarta ristampa.

Segue ora un incontro con l’autrice.


Il silenzio degli uomini (2)

A Iaia Caputo (in foto) ho rivolto alcune domande su “Il silenzio degli uomini”.
Perché in un’epoca come la nostra nella quale la comunicazione è diventata più ampia, molteplice nei suoi temi, più fluida attraverso la Rete, noi maschi ci rifiutiamo (come nota anche Biondillo in una pagina del tuo libro) di parlare di noi?

La parola maschile, così come si è costruita nel corso di una cultura millenaria basata sulla divisione dei ruoli, è pubblica, nomina e definisce il mondo, norma, stabilisce, ma è stata sempre lontanissima (tranne che per i poeti e gli artisti), dalla dimensione intima, che è stata scissa e affidata alla cura delle donne, poiché rinchiusa nell'ambito del privato. Di questa scissione, credo che oggi paghino un prezzo altissimo proprio gli uomini, che certamente mantengono l'antico privilegio di venire giudicati e apprezzati esclusivamente nella propria dimensione pubblica, tuttavia, ancora lontani dalla capacità di trovare le parole per esprimere emozioni, sentimenti, paure oggi corrono il rischio di una vera e propria afasia.

Dalla sessuofobica tv bernabeiana al "ciarpame senza pudore" (per usare una tua giusta espressione) esibito da quella berlusconiana, com’è cambiato il tipo di offesa al corpo femminile e alla sua immagine sociale?

Credo che quel che drammaticamente non è mai cambiato da allora a oggi è la misoginia della società italiana, incapace di trasformarsi carsicamente e di riformarsi nelle culture, nelle leggi, nel mondo del lavoro e della politica adeguatamente ai vertiginosi cambiamenti delle donne. Questo enorme ritardo ha portato addirittura a un arretramento, quasi a un corto circuito tra arcaicità ed estrema post-modernità. Così, se la televisione degli anni Sessanta, sessuofobica e pudibonda, nascondeva, la tv del nuovo millennio ha finito per esibire corpi femminili come carne da macelleria: però resta uguale la mortificazione delle intelligenze, dei talenti e delle competenze delle donne, comunque viste nella parzialità.

Si ha la netta sensazione che i casi di maltrattamento fino a quelli più gravi di omicidio siano aumentati in questi ultimi anni.
E’ così? Oppure la violenza c'è sempre stata ed ora ci appare più frequente soltanto per una diversa percezione dovuta al moltiplicarsi dei mezzi d’informazione?

Il fenomeno della violenza è estremamente complesso e dice più di ogni altro quella che ho definito "la condizione tragica del maschile". Certo, gli uomini hanno sempre usato violenza verso le donne, ma se il gesto della sopraffazione resta nella memoria del genere, tutto intorno a noi è vorticosamente e radicalmente cambiato. Fino a pochi decenni fa, un uomo che uccideva la propria compagna aveva la consapevolezza di esercitare un diritto al possesso, che veniva ribadito persino dal Codice Penale, il quale prevedeva attenuanti fortissime al delitto passionale e al delitto d'onore. Quell'uomo, inoltre, si percepiva come soggetto forte che usava il proprio potere verso un soggetto oggettivamente più debole. Cosa sta succedendo oggi? Che certamente assistiamo a un ritorno dell'arcaico: lo scorso anno è stata uccisa una donna italiana ogni tre giorni da ex partner, mariti o fidanzati; non c'è dubbio che vi sia un aumento degli omicidi di donne. Ma il rapporto di forza è completamente capovolto: gli uomini che uccidono attualmente compiono un antico gesto di sopraffazione e potenza proprio perché si sentono del tutto impotenti dinanzi alla libertà e alla capacità di autodeterminazione delle donne che colpiscono.

Iaia Caputo
Il silenzio degli uomini
Pagine 208, Euro 16.00
Feltrinelli


Seduti In Rete


“L'uomo non fu creato per rimanere inchiodato a una sedia. Ma forse non meritava di meglio”, così ha scritto Emil Cioran.
E Fernando Pessoa: “Un uomo, senza saper leggere, senza parlare con nessuno, se possiede la vera sapienza, può godere l'intero spettacolo del mondo seduto su una sedia”.
Due modi di guardare al mondo in cui c’entra la sedia.
Elemento di arredo dall’origine che si perde nella notte dei tempi, passa da immagini dell’antichità alle forme attuali modificandosi attraverso le abitudini e gli usi delle varie epoche tendendo verso l’ergonomico raggiunto ai giorni nostri e trascorrendo attraverso momenti di relax e ludici: dalla sdraio a quella a dondolo fino a quella meno rilassante e meno giocosa attraversata dall’elettricità.

Proprio intorno a una particolare sedia – la “Webs”, disegnata dai fratelli Edi e Paolo Ciani nel 2007 prodotta dal Gruppo Sintesi – inaugura prossimamente a Milano (in occasione del Salone Internazionale del Mobile) una mostra curata da Boris Brollo che propone esercizi di stile sulla seggiola vista da 50 artisti.
L’esposizione, intitolata In Rete, è imperniata sul concetto meno funzione più emozione; non allarmatevi, l’oggetto regge il peso di chi vi si siede, ma è stato richiesto ai partecipanti invitati un omaggio alla “Webs”, proponendo attraverso l’unicità del loro intervento, un originale nuovo esempio.
Il comunicato stampa, tra l’altro, afferma: “Oggi la rete, da qui il titolo della mostra In Rete, come una qualsiasi rete neuronica non risiede più in un’unica centrale bensì raccoglie il contributo di tante centrali organizzate dalla rete medesima che si è estesa e contiene in sé tutte le informazioni necessarie ad una visione globale”.

Tra i tanti nomi noto anche quello di Matilde Domestico che, patriottismo di sito a parte, ricordo con particolare piacere mia ospite nella sezione Nadir in un suo intervento del dicembre 2008.

"In Rete"
A cura di Boris Brollo
Galleria Trasparente
Stazione P.ta Venezia del Passante Ferroviario,
Info: Anna De Ros - +39 0427519372 - anna.deros@gruppo-sintesi.com
16 Aprile - 16 maggio 2012
dalle 15.00 alle 20.00


Officina Urbino

A Modena, alla Biblioteca civica d'arte Luigi Poletti è in corso la mostra Officina Urbino La tradizione del contemporaneo nelle edizioni d'arte della Scuola del libro di Urbino.
L’esposizione è stata inaugurata alla presenza del raffinatissimo Giuliano Della Casa (in foto) e di Antonio Moresco perché “Otto preghierine per una nuova vita” è un loro comune lavoro che rappresenta una delle più recenti edizioni della Scuola del Libro ed occupa uno spazio speciale della mostra.
Si tratta, infatti, di un libro particolare. Perché, a differenza di quanto succede solitamente, sono state le immagini dell'artista modenese a ispirare i testi dello scrittore.
Otto animali, immaginati da Della Casa, ai quali Moresco rivolge delle preghiere, anzi delle “preghierine” (sostantivo con diminutivo che Moresco meglio avrebbe fatto a risparmiarsi), affinché ciascuno di essi possa insegnargli, secondo le proprie caratteristiche, a vivere meglio la vita. Evitando, ad esempio, di usare la parola "preghierine".

Qualche notizia sulla Scuola del Libro.
La presenza ad Urbino, nel Palazzo del Duca Federico da Montefeltro, di un’importante biblioteca ricca di codici miniati e, dal 1861, dell'Istituto Regio di Belle Arti, creò le premesse per la sua nascita, nel 1923, all'interno dello stesso Palazzo Ducale.
Da allora la scuola, adesso liceo artistico, si è avvalsa degli insegnanti più prestigiosi negli ambiti dell'illustrazione, dell'incisione artistica, della grafica e dell'animazione.
All'inizio degli anni trenta vennero create le sezioni dedicate alle diverse tecniche incisorie, alla composizione illustrativa, alla tipografia e alla fotoincisione; venne anche attrezzato un laboratorio di legatoria.
All'inizio degli anni sessanta fu poi istituito, all'interno della Scuola, il Corso Superiore di Arte Grafica - che si trasformerà in Istituto Superiore Industrie Artistiche – e la sezione di Fotografia artistica intesa come tecnica fondamentale sia nell'ambito dell'illustrazione libraria, sia in quello della comunicazione pubblicitaria.
Dal 1983 progressivamente la scuola uscì dal Palazzo Ducale per trasferirsi nella nuova sede progettata da Giancarlo De Carlo.

Officina Urbino
Biblioteca civica d'arte Luigi Poletti
Palazzo dei Musei
Viale Vittorio Veneto 5, Modena
Infomail: biblioteca.poletti@comune.modena.it
Infotel: 059 – 20 33 372
Fino al 19 maggio ‘12


Il Maestro del Giudizio universale


Mi pare che, fatta eccezione per “Di notte sotto il ponte di pietra” (ed. e/o), dobbiamo la conoscenza in Italia dello scrittore e drammaturgo ceco, naturalizzato austriaco, Leo Perutz solo all’Editrice Adelphi che, inoltre, da poco ha mandato in libreria Il Maestro del Giudizio universale.
Precedentemente, infatti, Adelphi ha pubblicato: Il marchese di Bolibar (1987); Il cavaliere svedese (1991); Tempo di spettri (1992); Turlupin (2000); Dalle nove alle nove (2003).

Leopold Perutz, nato a Praga (il 2 novembre 1882), in una famiglia agiata è il maggiore di 4 fratelli, da ragazzo sarà uno studente non troppo encomiabile, presterà il servizio militare da volontario nei vigili del fuoco, prenderà una laurea in matematica, dal 1907 vivrà a Trieste, impiegato come statistico presso la società Assicurazioni Generali, la stessa compagnia assicurativa per la quale, nello stesso periodo, nell’agenzia praghese lavorerà Franz Kafka con analoghe mansioni.
Nel 1918 sposerà Ida Weil, di 13 anni più giovane; avranno tre figli: due femmine e un maschio. Proprio poco dopo la nascita del terzogenito Ida muore e comincerà da lì il declino fisico, psicologico e, per un certo tempo, finanziario, di Perutz. Conoscerà un secondo matrimonio, viaggerà molto, anche in Italia, sarà in Israele fra non poche incomprensioni. Colpito da edema polmonare, morirà il 25 agosto del 1957 a Bad Ischl nella regione del salisburghese, al confine tra Austria e Baviera.

Per quanto riguarda il suo percorso letterario, nasce sotto l'influenza di Karl Kraus, lo scrittore austriaco autore di un monumentale dramma satirico contro la guerra: “Gli ultimi giorni della umanità” (in Italia messo in scena da Luca Ronconi). Karl Kraus, infatti, fonda e dirige in quegli anni la rivista “Die Fackel” della quale Perutz è un fedele lettore. Alla sua cerchia di conoscenze appartengono però anche altre personalità importanti della cultura mitteleuropea di quegli anni: Peter Altenberg, Hermann Bahr, Oskar Kokoschka e Alfred Polgar.
Nel marzo del 1907 viene pubblicata sul Sonntags-Zeit la sua prima novella: ‘Morte di Messer Lorenzo Bardi’, ambientata nell’Italia rinascimentale.
Gli anni tra il 1918 e il 1919 sono molto produttivi, e decisivi. In questo periodo, difatti, Leo Perutz pubblicherà il suo primo grande successo editoriale (“Dalle nove alle nove”), un romanzo che sarà accolto con grande favore, poi sei altri romanzi che saranno tra i più apprezzati da pubblico e critica. La sua produzione si estenderà anche ai racconti brevi, alle novelle e a sceneggiature.
Perutz, come ricorda Luigi Forte, "... è Lo scrittore, che Ian Fleming, il padre di James Bond, definì un genio e Borges non esitò a inserire "Il Maestro del Giudizio universale" nella sua collana dei più importanti romanzi gialli del Novecento".
Si tratta di una tinta gialla alquanto particolare, laddove a tratti lampeggia il sulfureo di mondi spettrali in un’opera che – com’è detto in un sito italiano a lui dedicato da Peter Patti – vede prevalente “la ricerca dell'identità perduta (ricerca che sempre si abbina a temi attuali: ad esempio, nel giallo psicologico Il Maestro del Giudizio Universale si parla anche dell'alterazione della coscienza attraverso l'assunzione di droghe […] Il "Giudizio Universale" del titolo è la terribile visione che hanno le vittime poco prima di morire, visione che nel momento estremo si tinge di un rosso scuro che in natura non esiste (in tedesco, il nome di questo colore ideato da Perutz è Drommetenrot).

Per una scheda sul libro: CLIC!

Leo Perutz
Il Maestro del Giudizio universale
Traduzione di Margherita Belardetti
Pagine 191, Euro 18.00
Adelphi


Giocate!


Ogni uscita di un nuovo libro di Franco Bolelli è un appuntamento con l’intelligenza. Da anni lo leggo con gioia come mi è accaduto anche per questo recente Giocate! edito da add.
Gioia letteraria perché scrive in modo allegramente sapiente senza livori linguistici e inganni cosmetici; gioia di pensiero perché è complesso e mai complicato, riesce ad unire fra loro temi serissimi spaziando dal basket al sesso all’energia dei Red Hot Chili Peppers mentre cantano sulla Piazza Rossa “Blood Sugar Sex Magik”; gioia (ma stavolta anche amarezza) politica perché dice tutte, ma puntualmente tutte, le cose che la sinistra da decenni non ha capito e ogni giorno rinnova le premesse per non capirle.

Bolelli (1950) è nato e vive a Milano. E’ filosofo nel senso più precipuo della parola, vale a dire indagatore dell’Essere come sostantivo e come verbo.
Contemporaneo che va oltre la contemporaneità – vale a dire rifiutandone le mode e accettandone con entusiasmo innovazione e rischi – da sempre si occupa di ciò che in noi cambia contro le resistenze che in tanti vi oppongono, parla di mondi creativi, sostiene nuovi modelli umani.
Ha pubblicato molti libri, tra quelli meno lontani nel tempo: Più mondi (2002); Con il cuore e con le palle (2005); Cartesio non balla (2007); Viva tutto con Jovanotti (2010).
Ha progettato e messo in scena festival sperimentali e pop, come “Frontiere”, tra filosofia, rock e nuove tecnologie.

Questo suo Giocate! – strutturato in undici comandamenti – affronta uno dei temi più complessi: come far crescere un figlio.
Un sottotitolo di lunghezza settecentesca, infatti, recita: Niente è più importante che crescere il tuo bambino con fierezza, fiducia, coraggio, carattere, generosità.
Crescere.
Non educare, quello lo fanno gli aspiranti secondini.
Non allevare, quello lo fanno gli zootecnici.
Non studiarli, quelli lo fanno i pugili con gli avversari nelle prime riprese.
Crescere.
Questo di Bolelli è un libro singolare perché lontano da una pseudoscienza come la psicanalisi, e lontano dalla sociologia e dalla gemella antropologia. E’ un libro che sfida regole e comportamenti suggeriti da una pluralità di autori tanto saccenti quanto sussiegosi, basti pensare che troverete in quelle pagine una gemma come questa che cito: "Un bambino deve imparare che non è il centro del mondo". Quando sento qualcuno che dice così non riesco a trattenere uno sguardo sprezzante, anzi proprio vorrei fargli male, molto male. Perché se tuo figlio non si sente il centro del mondo, tu sei un genitore fallito. Perché se non si sente il centro del mondo quando è piccolo, è probabile che da grande farà molto più felici gli spacciatori di rassicurazioni ideologiche, spirituali, sociali, psicanalitiche, che non le persone intorno a lui (quanti guai - individuali e antropologici - scaturiscono da una labile autostima). E poi perché se non lo metti al centro del mondo, quel bambino che l'hai fatto a fare?

Bolelli a giugno sarà ospite della mia taverna spaziale sull’Enterprise, allora con lui tornerò a parlare di questo libro e sarà l’occasione anche per un viaggio nel suo pensiero: un’astronave mi pare un luogo adatto a tale cosa.

Franco Bolelli
Giocate!
Pagine 80, Euro 6.00
Add Editore


Titanic


Quest’anno ricorre il centenario di una delle più grandi tragedie del mare: l’affondamento del Titanic avvenuto la notte del 14 aprile 1912, dopo che il transatlantico – nella sua rotta inaugurale da Southampton (Regno Unito) verso New York – urtò alle 23.40 contro un iceberg; delle 2207 persone a bordo se ne salvarono solo 705.
La casa editrice Garzanti ricorda l’avvenimento mandando in libreria una nuova edizione del migliore volume (fu scritto nel 1959) che sia mai stato pubblicato su quel drammatico avvenimento: Titanic La vera storia e mai sottotitolo fu più vero: si tratta del testo cui hanno fatto riferimento tutte le ricostruzioni letterarie e tutti i film (al momento, 16) prodotti su quel disastro, compreso quello famoso di James Cameron del 1997, secondo incasso di tutti i tempi al botteghino.
L’autore è Walter Lord (1917- 2002), laureato in legge a Yale, ha militato durante la seconda guerra mondiale nei servizi segreti americani. Autore di diversi libri di argomento storico, con Garzanti ha pubblicato anche Le due ore di Pearl Harbor (1957) e L'incredibile vittoria (1967).

E’ incredibile come Lord sia riuscito a ricostruire, minuto per minuto, le ore della tragedia, senza mai cedere al romanzesco, senza nulla inventare, tutto puntualmente, e puntigliosamente, teso a fare precisi ritratti dei protagonisti, a cominciare dal Capitano Edward John Smith; per lui, quel viaggio costituiva l'ultimo comando prima del pensionamento, e rappresentava il coronamento di una lunga e brillante carriera durata oltre 40 anni.
Ma non solo del comandante Smith e dei suoi ufficiali si occupa il libro, ma attraverso documenti e interviste ai superstiti e agli inquirenti saltano fuori tantissimi nomi dei viaggiatori, molte delle loro storie private, frasi – spesso contraddittorie – da loro riferite ai commissari che condussero l’inchiesta, citazioni di errori (molti) e di fatalità (poche), né mancano notizie particolareggiate su come proseguirono le vite di chi si salvò, e neppure strane coincidenze che mai mancano nei grandi avvenimenti gioiosi o luttuosi.
Ad esempio, è ricordato che nel 1898, quattordici anni prima della tragedia, uscì un romanzo dal titolo “Futility, or the Wreck of the Titan” di un certo Morgan Robertson noto oggi solo perché scrisse la storia di un transatlantico chiamato Titan, il più grande mai costruito e considerato inaffondabile, che nel mese di aprile finisce in rotta di collisione con un iceberg nel Nord Atlantico affondando in poche ore. Molti dettagli appaiono incredibilmente simili alla tragedia del Titanic come la stazza (46.000 tonnellate), la lunghezza (243 metri), la velocità di collisione (25 nodi), l'ora (intorno a mezzanotte), il numero dei compartimenti stagni (19), lo scarso numero di scialuppe di salvataggio.
Le scialuppe: una delle cause della morte di tanti. Perché erano insufficienti già alla partenza rispetto al numero dei passeggeri, potevano contenere, infatti, solo 704 persone.
Secondo la la compagnia armatrice, della prima classe si salvò quasi il 100% di donne, l'86% dei bambini e il 32% degli uomini (in totale più del 60% dei passeggeri imbarcati), della seconda classe, tutti i bambini, l'86% delle donne e l'8% degli uomini, mentre della terza classe si salvò solo il 46% delle donne, il 34% dei bambini e il 16% degli uomini.
Il libro nulla trascura e, naturalmente, indaga anche su uno degli episodi più tristi e famosi del naufragio: fu veramente suonata una musica durante la tragedia alla quale nessuno degli orchestrali scampò? Sì. Vero. Fu suonato dall'orchestra un inno religioso: “Nearer, My God, to Thee”.
La copertina del libro riporta la pubblicità della saponetta “Vinolia Otto” usato a bordo del Titanic, dubito che altre navi, dopo la tragedia, si siano rifornite nelle loro traversate di quello stesso sapone.

Walter Lord
Titanic
Traduzione di Carla Verga
Pagine 192, Euro 11.60
26 illustrazioni fuori testo
Garzanti


Fanny & Alexander

Fu fondato a Ravenna nel 1992 da Luigi de Angelis e Chiara Lagani uno dei gruppi più interessanti della scena contemporanea: Fanny & Alexander.
Il nome scelto - in omaggio all’omonimo film di Ingmar Bergman – “li ha portati” – come scrive giustamente Maria Grazia Gregori – “a privilegiare nel loro percorso i rapporti fra sogno e realtà, fra mito e vita, sviluppati anche grazie a una profonda esigenza di confrontarsi con una letteratura che - fantastica o realistica che fosse - riuscisse a trasformarsi in teatro. Coniugando così, nello stesso tempo, la tensione verso la scena alla dimensione onirica di un ficcante occhio cinematografico, aprendosi non tanto alla realtà quanto alla dimensione di una realtà parallela attraverso la quale rappresentare e rappresentarsi dentro un mondo immaginario che si costruisce a tappe più che con una sintesi immediata”.
Mi piace ricordare anche il loro Atlante di un viaggio teatrale pubblicato da Ubulibri cui dedicai un’intervista con Chiara Lagani: QUI .

In questo 2012, in occasione del ventennale della Compagnia (CLIC per visitare il sito web), e per la prima volta in Italia, Bologna ospita un progetto speciale appositamente concepito dalla compagnia per la città, scelta dal gruppo come sede ideale per festeggiare uno snodo emblematico del suo percorso artistico.
Il progetto speciale, ideato da Fanny & Alexander e Elena Di Gioia, ruota intorno alla storia del Mago di Oz, attorno alla quale la compagnia ravennate, ha prodotto dal 2007 spettacoli, laboratori, mostre e percorsi espositivi. Oltre ai più importanti spettacoli di Fanny & Alexander, prenderanno vita nel corso di circa tre settimane nel mese di aprile, nuove diramazioni ideate per l’occasione.

Dal comunicato stampa: ”Il progetto – il cui Prologo è stato accolto dalla Cineteca di Bologna durante Sotto le stelle del Cinema in Piazza Maggiore nell’estate 2011 - già metafora articolata di un viaggio teatrale in cui lo spettatore è protagonista di una speciale avventura che lo porta a spostarsi, sulle tracce della protagonista Dorothy, di luogo in luogo, di tappa in tappa, disegna a Bologna una mappa fantastica di appuntamenti trasformando la città nel cuore di una nuova geografia dell’immaginario che fa dell’intreccio tra i più significativi luoghi della scena artistica e teatrale della città la sua naturale nervatura.
Un viaggio dunque che è anche un dialogo tra la ricerca artistica di un gruppo, Fanny & Alexander e una città, Bologna.
Nella storia del Mago è proprio una città, quella di Smeraldo, a diventare fulcro, motore, punto di arrivo e partenza di un viaggio. E così Bologna diventa nel progetto, sfaccettato orizzonte, mappa molteplice di un percorso che è il frutto di una straordinaria condivisione di teatri e istituzioni culturali della città intorno ad un unico obiettivo.

Dal 5 al 21 aprile 2012 tra i teatri e i principali luoghi culturali di Bologna, alcuni dei quali già in passato hanno ospitato gli spettacoli di F&A, si svolgerà il sentiero di mattoni gialli della storia, in una costellazione di spettacoli, performance, mostre e incontri”.

Cliccare QUI per il programma.

Informazioni per la stampa:
Marco Molduzzi – Fanny & Alexander citizenkane@fannyalexander.org ; 349 - 77 67 662.


Sulla sinestesia


Con il termine "sinestesia" si fa riferimento a quelle situazioni in cui una stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi.
Fu Francis Galton, cugino di Charles Darwin, ad accorgersi nell'Ottocento che alcune persone associavano a specifiche note particolari colori e viceversa, in una sorta di quella definita allora “confusione sensoriale” chiamata da Galton sinestesia.
“Oggi” - come ha scritto di recente Elena Meli sul Corsera – “due studiosi dell'università della California, analizzando soggetti con questa caratteristica, sono arrivati a stabilire che la sinestesia non è stata eliminata nel corso dell'evoluzione perché regala capacità cognitive ‘speciali’, una sorta di marcia in più”.
Non c’è, quindi, da sorprendersi se questa caratteristica neurologica si riscontri fra molti artisti, quali Kandinsky, Hockney, Nabokov, Rimbaud, Liszt e anche scienziati come il fisico Richard Feynman.
In Italia, il primo a studiare, in area estetica, questo fenomeno è stato il poeta verbovisivo Lamberto Pignotti che oltre a imperniare fin dagli anni ’60 sulla sinestesia molte sue performances si è prodotto da allora in vari saggi sull’argomento fino alla pubblicazione di “Sine Aesthetica Sinestetica” (Empiria, 1990).

Su questo fenomeno sensoriale/percettivo la casa editrice Clueb ha pubblicato un ottimo volume intitolato Sulla sinestesia Passato e futuro.
Ne è autrice Antonella De Blasio.
E’ dottore di ricerca presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.
Per Archetipo, nel 2011, ha curato (con Stefano Calabrese) il testo di Walter Benjamin Bambini, abbecedari, giocattoli.
A lei ho rivolto qualche domanda per saperne di più su quest’architettura cerebrale.

Dapprima su pagina, poi con le immagini pittoriche, infine, ad esempio, con le neoavanguardie – poesia verbovisiva e cinema sperimentale – cambiando medium si trasforma, oppure no, l’effetto sinestetico?

Le associazioni sinestetiche dei poeti simbolisti, quelle che hanno ispirato artisti come Kandinskij nascono da esigenze e sentimenti relativi a un determinato contesto storico-sociale. I processi creativi, infatti, sono frutto di attività cognitive e immaginative che attingono dalla realtà concreta, rispecchiano il nostro modo di percepire, reagire agli stimoli esterni, osservare il mondo ed entrare in relazione con esso. C’è però un elemento costante, il corpo, che sente il mondo trasformandolo in un sistema intelligibile, produce significati, traduce una realtà che solo la carne può cogliere. Le ricerche condotte in ambito neuroscientifico rivelano che le modalità sensoriali non si attivano separatamente, ma al contrario i meccanismi percettivi sono basati sulla loro interazione. La sinestesia, dunque, costituisce un aspetto fondante della percezione e rivela che i dati dell’esperienza influenzano il nostro sistema simbolico, modellano la produzione di significati.

Quale caratteristica assume la sinestesia con le nuove tecnologie, con gli ambienti immersivi?

Gli ambienti videoludici e quelli creati dalla realtà aumentata sono in grado di offrire nuove esperienze polisensoriali. Il corpo del giocatore viene mappato e proiettato sullo schermo in maniera mimetica, simulandone i movimenti. La corrispondenza tra il giocatore e il suo simulacro si realizza anche a livello pragmatico, le azioni vengono attualizzate sia all’interno della rappresentazione che in uno spazio di percezione/azione reale. Un sistema di realtà aumentata arricchisce di elementi virtuali la scena del mondo reale pur garantendo all’utente un senso di presenza nel proprio contesto. Come spiega Derrick de Kerckhove, gli strumenti tecnologici fanno sì che alla percezione del mondo si sovrappongano immagini che non solo modificano il dato reale, ma ne trasformano l’esperienza dando vita a nuovi “alfabeti percettivi”, a nuovi modelli interpretativi. In questo modo l’esperienza sinestetica teorizzata dalle avanguardie storiche, che la mancanza di una tecnologia adeguata non premetteva di realizzare concretamente, viene pienamente attivata nei sistemi immersivi di ultima generazione.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Antonella De Blasio
Sulla sinestesia
Pagine 274, Euro 19.00
Casa Editrice Clueb


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