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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L'ospite accanto a me è Giuseppe Neri. Scrittore

Lo spunto per l'incontro è l'uscita de "Il sole dell'avvenire" pubblicato dall'editore Manni nell'appena trascorso anno terrestre 2003. Libro di forza fotografica dalla drammatica pastosità in bianco e nero che evoca, tra le luci di un'alba socialista, atmosfere e speranze di personaggi realmente esistiti, ora rivissuti dalla scrittura in un paese immaginario del sud chiamato Colleforte, attraversato da figure storiche che lampeggiano nelle pagine, quali Gramsci e Pellizza da Volpedo.

Mi piace ricordare che l'invogliante copertina s'avvale della riproduzione di un lavoro - "Manifestazione" - della pittrice Francesca Gargano.

Tra i giudizi su questo libro cito quello di Massimo Onofri sul Diario : "Giuseppe Neri ha scritto un libro antico e provocatorio che ci racconta l'apparizione d'un astro luminosissimo, quello dell'utopia socialista e umanitaria, osservato già nel presentimento del suo incenerimento",

Giuseppe - Peppino per gli amici e, quindi, per me - ha debuttato presso l'editore Bastogi, nel 1983 con il romanzo dalla scrittura sperimentale "L'uccello di Chagall" finalista al Premio Viareggio opera prima; "il testo sembra governato" - come notò Franco Cordelli - "da una sorta di furore lessicale che s'impossessa della pagina e sommerge ogni possibilità di raccontare fino a spezzarsi nell'ultima parola rimasta tronca".

Nel 1987, per Rusconi, ha pubblicato "Verso il terzo Millennio", interviste ancora attuali, veloci, ma non per questo meno pensose, a 25 filosofi e scienziati.

Nel '90, da Sansoni, uscì "L'ultima dogana" - Premio Selezione al "Piero Chiara" - che s'avvalse di un'entusiastica presentazione di Giampaolo Rugarli: ".9 bellissimi racconti, che si muovono sul filo del paradosso, sempre attraversati da una sottile ironia. i materiali di narrazione sono trasalimenti, bagliori, ectoplasmi. la scrittura ha la sensualità e la levigazione del barocco berniniano, un narratore autentico".

Sul sottofondo delle note ipnotiche di Ravel, è narrata la crisi esistenziale di uno scrittore, personaggio protagonista di "Bolero", stampato da Marsilio nel '99; per una scheda sul libro: http://www.marsilioeditori.it

E' stato anche collaboratore da giovanissimo de "Il Mondo" di Pannunzio, e successivamente di "Tempo Presente", Nord e Sud", critico letterario de "Il Messaggero" di Roma.

Accanto all'attività di narratore e saggista, ha svolto un importante ruolo nella programmazione della Rai, dirigendo il settore cultura delle tre reti radiofoniche dal 1988 al 2000. Tra le più importanti trasmissioni da lui ideate e guidate - non a caso ricordate nella Enciclopedia della Radio di Garzanti da poco in libreria - figurano "Il Paginone" e "Lampi" che hanno visto sfilare al microfono tutti i nomi più noti, ma anche molte giovani voci, della cultura italiana dei nostri anni.

 

Benvenuto a bordo, Peppino.
Grazie. Ti trovo in splendida forma, Armando. L'altitudine, evidentemente, ti giova.
E' probabile. Ora voglio farti assaggiare questo bianco frizzante Chardonnay Doc Colli Piacentini di Torre Fornello . qua il bicchiere. ecco fatto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però noi nello spazio stiamo, schizziamo "a manetta", prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra, come sempre chiedo iniziando la conversazione con i miei ospiti, il tuo ritratto. interiore.insomma, chi è Peppino secondo Peppino.
Questo tipo di domande contiene sempre qualche rischio e cioè che si dia la risposta che da te si aspettano i tuoi interlocutori. Detto questo, mi considero un intellettuale (anche se la parola è ormai alquanto screditata) che tenta di leggere la realtà attraverso il filtro dell'intelligenza, che non crede nelle verità rivelate e dunque antepone il dubbio alle certezze. Da buon Capricorno, sono schivo, poco cerimonioso, di parco eloquio. Credo di essere leale, fedele alle amicizie, tenace nei sentimenti. Non tollero gli stupidi, anche perché sono pericolosi.
Abbandona pure ogni forma di modestia e dì ai miei avventori che cosa si perdono a non leggere“Il sole dell'avvenire”…
Si perdono innanzitutto la possibilità di verificare la differenza che passa tra un'opera letteraria e un prodotto di consumo; tra un romanzo che scaturisce da un autentico bisogno di raccontare una storia, infischiandosene delle mode, delle tendenze e delle direttive editoriali, e uno dei tanti esemplari della romanzeria ufficiale che quelle tendenze, direttive e mode tenta disperatamente d'inseguire e realizzare. Insomma i tuoi avventori che non leggeranno “Il sole dell'avvenire” avranno persa l'occasione di capire la differenza che corre – mi hai incitato tu all'immodestia – tra la letteratura e il suo surrogato, tra una scrittura elaborata, screziata, avvolgente, persino barocca e la lingua di plastica con la quale vengono confezionate molte, troppe opere contemporanee.
In quelle tue pagine, come peraltro in precedenti occasioni, si nota un accanito lavoro sull'impianto linguistico, un uso di termini d'origine vernacolare che, più che colorare, accalorano la lingua nazionale. Quali i motivi e le finalità di questa tua ricerca?
Ho sempre pensato e sostenuto che la scrittura è l'elemento più importante in una costruzione letteraria. E' la scrittura che invera e legittima ogni narrazione. Ne “Il sole dell'avvenire”, sia la materia sia la natura dei personaggi mi hanno consentito di spingere più avanti la mia ricerca linguistica sul versante dell'espressionismo, mi hanno permesso degli innesti lessicali, dei recuperi dialettali, delle sprezzature di stile e tutto questo lavorio ha lo scopo di vivificare, di rinsanguare, di conferire nuovo vigore espressivo alla trama di una lingua resa sempre più inerte e inespressiva dall'uso, spesso sconsiderato, che ne fanno i mass-media.
A proposito, l'Associazione La bella lingua , ha redatto tempo fa un manifesto in difesa della lingua italiana sottoscritto da molti autori e operatori culturali; per citarne solo alcuni: Guido Ceronetti, Francesco De Gregori, Ernesto Ferrero, Vittorio Sermonti, Luciano Violante, e tanti altri. Da chi e da che cosa, secondo te, va difesa oggi la lingua italiana?
Prima di rispondere devo fare una breve premessa. La lingua è un organismo vivo, in continua evoluzione e dunque non può essere ingessato da ferree regole e divieti, non le si possono applicare interdetti e censure preventive, per preservarne la purezza o il purismo, che dir si voglia. La lingua marcia con la vita e dà voce alla vita. Detto questo (ma il discorso sarebbe molto più lungo), diventa persino ovvio reclamarne un uso corretto, biasimare quelle persone che per darsi un tono (e non si accorgono di cadere in un provincialismo pacchiano) ricorrono al termine straniero quando avrebbero a portata di lingua l'equivalente italiano. Da chi e da che cosa va difesa la lingua italiana? Innanzitutto dai politici (mediocri) e dai mass-media: i primi perché ne fanno un uso, meglio un abuso, vacuo e infruttuoso, riducendola a una ragnatela di parole per coprire, mascherare spesso la mancanza di idee; i secondi perché praticano una lingua omogeneizzata, standardizzata, senza nerbo, o degradata a chiacchiera, a cicaleccio. Infine – e non sembri un paradosso – da certi scrittori, i quali, anziché lavorare la pagina, elaborare un efficace strumento espressivo, ricorrono più semplicisticamente ad una lingua di plastica.
Che cos'è secondo te che distingue – o dovrebbe distinguere – la letteratura dalle altre forme di comunicazione artistica, oggi?
Tra le varie forme della comunicazione artistica, credo che quella letteraria sia la più complessa. La letteratura (quella alta, s'intende) ha la capacità di allargare l'orizzonte della conoscenza. Diceva il vecchio Engels che aveva imparato più storia dai romanzi di Balzac che non da tutti i testi degli storici di professione. In un'opera letteraria riuscita sussistono sempre diversi livelli di lettura e inoltre la parola ben calibrata ha sempre una valenza polisemica che difficilmente posseggono i segni delle altre arti.
E' nella letteratura oppure in altre aree – arti visive, teatro, video, musica, fumetti, eccetera -, che credi ci siano i lavori più interessanti nella ricerca di nuove modalità espressive?
Non ho una conoscenza approfondita di tutti i vari linguaggi artistici e inoltre credo che nel campo dell'espressività conti molto la ricerca individuale. L'artista – pittore, musicista o scrittore che sia – lavora in solitudine e l'innovazione del linguaggio deve scaturire dall'interno del suo lavoro. Detto questo, bisogna dire che, per esempio, l'uso della tecnologia può favorire l'insorgere di nuove modalità espressive nel campo delle arti visive, della musica, del teatro ecc. La letteratura può fare affidamento solo al suo antico strumento: la parola. Eppure questo antico e usurato strumento, manipolato con spregiudicatezza e sapienza, può diventare esplosivo, rivoluzionario. Penso, per fare solo due esempi, all'uso che ne seppero fare Carlo Emilio Gadda e Louis Ferdinand Céline.
Il rimprovero - se ne hai più d'uno, qui lo spazio è quello che è, ti chiedo di scegliere il più grave - che rivolgi all'editoria italiana…
La grande editoria – grande per mezzi e capitali – è diventata sempre più un'industria tout court . Il suo scopo principale non è produrre cultura, ma vendere merci. Questa logica non solo ha portato a considerare il libro come un qualsiasi altro prodotto, ma a privilegiare la pubblicazione del romanzo di consumo perché più facilmente collocabile sul mercato. Il risultato è una produzione standardizzata, omogeneizzata, mediocre. Esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere la letteratura. Fino a qualche anno fa, alcuni editori avevano qualche “collanina” aperta alla sperimentazione, alla ricerca linguistica, alle voci diverse. Oggi anche questi piccoli spazi sono spariti. Oggi se non scrivi secondo gli standard imposti, non trovi udienza presso gli editori maggiori. Ho il sospetto, mica tanto infondato, che persino un Gadda o un Landolfi, di questi tempi, farebbero fatica a collocare le loro opere.
Voglio ricordare un dato: Manzoni vendette duecentomila copie dei “Promessi sposi” in 13 anni, e si era ai primi dell'800.
A proposito di best seller, Giuliano Vigini dice che In Italia i successi di vendita nascono per caso. Mario Spagnol, invece, è del parere che il best seller oggi va programmato.
Il sociologo Mario Peresson afferma che “Gli autori italiani vogliono vendere milioni di copie ma anche entrare nella storia della letteratura; le due cose, assai spesso, non sono compatibili”.
Un tuo parere sul libro di successo. è possibile prefabbricarlo? Oppure no?
In prima battuta mi verrebbe da dire di stare alla larga dal libro di successo. Ma tu mi chiedi: è possibile prefabbricarlo? Credo che un romanzo per aspirare a diventare un best seller non deve possedere alcune qualità e deve invece essere scritto in una lingua neutra, deve strizzare l'occhio al lettore, deve essere vagamente consolatorio, deve contenere quello che il pubblico si aspetta. Un libro di successo non è mai urticante, ma è sempre gratificante. Naturalmente questi ingredienti, indispensabili, da soli non bastano. Poi interviene il caso o il colpo di fortuna a stabilire che sia questo anziché quel romanzo di pronto consumo a diventare un best seller.
Due domande in una. Qual è secondo te la funzione della critica letteraria oggi? E, inoltre, serve oppure non serve all'affermazione di un libro?
Oggi la critica che, una volta, aveva la funzione di scoprire un autore e l'autorità d'imporlo, è del tutto scomparsa. Al suo posto c'è un'informazione culturale, fatta quasi sempre da giornalisti dipendenti dagli stessi gruppi editoriali che pubblicano i libri segnalati. Certo, non mancano eccezioni lodevoli, ma la situazione è questa. Forse una bella recensione su un grande quotidiano riesce a far vendere una manciata di copie in più, ma non ad indirizzare le scelte dei lettori. Oggi è la grancassa pubblicitaria a imporre il libro-merce sul mercato. Volendo, un editore, può trasformare in best seller persino le pagine gialle!
A qualche domanda sul mezzo radiofonico, non scampi.
Nello scenario dei media, quale ruolo attribuisci oggi alla radio?
Sono un ostinato ottimista o mi fa velo la lunga frequentazione avuta con questo medium, ma penso che la radio ha ancora un ruolo, una funzione primaria nel settore dei mezzi della comunicazione di massa. La parola, il suono che apparentemente nascono dal nulla e lievitano nello spazio, hanno una suggestione che nessun altro mezzo potrà mai raggiungere. La forza della radio risiede nella sua cecità , come scrisse con grande intuizione, un pioniere di queste cose: Rudolf Arnheim. Quasi ciclicamente si parla della crisi della radio, ma anche della crisi del libro: però l'una e l'altro sono insostituibili perché soddisfano esigenze primarie dell'uomo che non possono essere colmate dagli altri media.
Come sai, oggi la radio pubblica, nel complesso delle sue reti, è in crisi d'ascolti rispetto ai principali network privati. Qual è, secondo te, la principale pecca della programmazione di radio Rai?
Se la radio pubblica è in crisi di ascolti è perché ha dimenticato o ha affievolito di molto la sua missione che è quella del servizio pubblico. Già da alcuni anni Radio Rai insegue la chimera del Mercato, così la sua programmazione, nella speranza di fare proseliti nel pubblico giovane, ha cominciato ad imitare moduli e stili che non le sono propri, che non appartengono alla sua storia. Ma così programmando, la sua immagine si è impallidita, la sua Identità si è fatta meno visibile. E qual è stato il risultato? Non solo non ha catturato nuovi (giovani) ascoltatori, ma ha perso e sta perdendo anche quelli che erano i suoi vecchi abituali fruitori.
Prima di lasciare i miei ospiti di questa taverna spaziale, li costringo crudelmente a fare una riflessione su Star Trek, non necessariamente elogiativa… che cosa rappresenta quel videomito nel tuo immaginario? Ammesso che qualcosa rappresenti, s'intende…
Devo essere sincero, anche a costo di darti una delusione? Il mio immaginario è gremito di molti miti letterari, di qualche mito cinematografico, teatrale e musicale, ma da nessun videomito, neanche da Star Trek: Confesso la mia colpa, anche se del nostro immaginario noi non siamo pienamente responsabili.
Siamo quasi arrivati a Nèrya, pianeta di cellulosa abitato da alieni che s'abbronzano al sole dell'avvenire. se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista, anche perché è finita la bottiglia di bianco frizzante Chardonnay Doc Colli Piacentini di Torre Fornello . Però torna a trovarmi, io qua sto.intesi eh?
Certo che torno, magari per annunciarti che il sole dell'avvenire è spuntato per davvero!
Vabbè, ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

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