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Segnalato su Webtrekitalia - Portale di cultura Trek

L'ospite accanto a me è Paolo Nori. Scrittore. Ha pubblicato nel febbraio del 1999 per Fernandel Le cose non sono le cose e, nel maggio del 1999, per Derive Approdi Bassotuba non c'è, ristampato nel marzo del 2000 da Einaudi Stile Libero. Nello stesso anno, sempre per quell'Editrice: Spinosa, poi nel 2001 Diavoli, e ancora Grandi ustionati, la sua prova più recente che fa da spunto per quest'incontro.
Tutti questi libri hanno per protagonista lo stesso personaggio, Learco Ferrari: osservatore e interprete di fatti rigorosamente ordinari, immerso in una quotidianità eccezionalmente comune, lontanissimo dal cannibalismo pratica l'autofagìa.
Le pagine di Paolo non sono afflitte da trama, ma affidate unicamente allo stile di scrittura. Una scrittura tesa a registrare la vita attraverso l'oralità, e del parlato usa colori e tic. Lo ospito quassù perché lo ritengo il meno romanzesco dei nostri scrittori giovani e meno giovani, e quei pochi che mi conoscono sanno quanto io apprezzi e pratichi questa cosa. Se non lo avete ancora fatto, leggete i suoi libri, è un'avventura emozionante. E divertente. E questo è di non poco conto.
Sono stati fatti accostamenti che vanno da Bernhard a Beckett a Celati. Sarà che io non sono un critico, ma mi chiedo perché non accostare Nori a Nori? Dà proprio tanto fastidio ammettere un'originalità? Certo che ogni cosa terrestre, e forse anche extraterrestre, ha dei precedenti, ma siamo proprio sicuri che gli accostamenti siano sempre utili a capire meglio? Chissà…
L'amico Giovanardi, pur apprezzando Nori, ha scritto su Repubblica: " …Il fatto è che si vorrebbe forse poter intravedere, dietro la girandola comica, un qualche modello di mondo, un qualche giudizio non effimero, una qualche "sostanza" sia pur dissimulata su cui riflettere". Bene, il giorno in cui Paolo lo farà, io smetterò di leggerlo. Perché proprio attraverso la leggerezza egli propone modelli e giudizi della e sulla vita. Giovanardi è un ottimo critico, ma spero proprio che quel suo consiglio resti inascoltato.
Chi volesse saperne di più su Nori, oltre a www.einaudi.it, clicchi con fiducia anche su www.raisatzoom.com.

 

Benvenuto a bordo, Paolo…
Grazie Armando, grazie dell'invito.
Voglio farti assaggiare questo Dolcetto Raviole '98 Cantina Terre del Barolo…qua il bicchiere…ecco fatto.
Adesso ascoltami: il Capitano Picard è bravissimo, per lodarne la guida, a Roma direbbero "è un bel manico", però noi nello spazio stiamo, schizziamo "a manetta", prudenza vuole che tu trasmetta sulla Terra il tuo ritratto…
Eh, Nori sono io. Sono nato a Parma, abito a Bologna, ho trentotto anni, uno e settanticinque, una decina di chili di sovrappeso, fumo quaranta sigarette al giorno, non bevo…
…proprio perché ti voglio bene immagino di credere che ti riferisci all'acqua...
…non faccio sport, vado a letto alle sei del mattino. Questo in questo periodo.
Non so se Learco Ferrari sia un tuo alter ego, né francamente m'attira saperlo. Piuttosto mi piacerebbe conoscere una tua definizione di quel personaggio in cinque aggettivi, tanti quante sono le lettere che compongono il suo nome di battesimo, ammesso sia battezzato…
Me ne bastano due, allegro e disperato.
Subito una domanda tozza: che cos'è secondo te che dovrebbe distinguere il traguardo espressivo della letteratura dalle altre forme artistiche, oggi?
Io mi ricordo una volta in Germania, un professore dell’istituto italiano di cultura, dopo che ha sentito una lettura che avevo fatto Tu non vai da nessuna parte, mi ha detto. Intendendo che le cose che scrivevo io rompevano lo schema narrativo occidentale che prevede, appunto, il superamento di un traguardo. Io sono stato contento di questa osservazione. I miei amici russi mi ripetono sempre Non è importante il fine, ma il processo, e questa è una cosa che io ho fatto molta fatica, a capirla, ma adesso mi sembra comincio. Allora per me piuttosto che di traguardi è meglio parlare di processi. La letteratura, il suo specifico, è che è fatta di parole. Non di sentimenti, non di immagini, non di trame, non di colpi di scena. Un libro è fatto di parole, che messa una di fianco all’altra possono suscitare sentimenti, evocare immagini, costruire trame, produrre colpi di scena. Ma se le parole sono balorde, le immagini le trame e i colpi di scena fatte con questo materiale balordo durano poco, dopo un po’ di tempo si sfarinano, come dice un mio amico.
E' nella letteratura oppure in altre aree che credi ci siano oggi i lavori più interessanti nella ricerca di nuovi modi espressivi?
Io sono un po' monomaniaco, non conosco molto bene le altre aree, come dici tu, ma non credo ci sia un area in cui si è andati più avanti e altre di retroguardia, se guardiamo solo alla letteratura c'è gente che fa cose interessantissime e gente che ripete moduli letterari usati senza averli capiti neanche tanto bene, e credo che la stessa cosa succeda nei fumetti, nella musica, nel teatro eccetera.
Dicono quelli colti che sempre più la veicolazione estetica intreccia in sé l'eco dei vari media. Scegliamone uno dei più potenti per diffusione: la televisione. Tu condividi oppure no gli strali di Popper contro la tv?
Io Popper lo conosco poco ma da quel poco che lo conosco mi vien da dire non condivido niente, di quello che dice, nel senso che non condivido il tono che ha che ci spiega così per bene come siamo dove andiamo cosa dobbiamo e non dobbiamo fare. Detto questo non ho la televisione, e quando mi capita di dormire in un posto dove c'è, primo, sono incantato la guardo tutta la notte, secondo, mi sembra che si comportino tutti in un modo stranissimo e innaturale, mi sembrano un po' tutti drogati, terzo, il mattino dopo mi sembra che avrei fatto meglio a dormire.
Molti linguisti affermano che la Rai, un tempo, ha divulgato, unificandola, la lingua italiana nei nostri stessi confini. La Rai, ansiosa, si presenta al tuo esame, la promuovi oppure no?
Credo che sia un dato di fatto, il fatto che a partire forse dagli anni sessanta il processo di unificazione linguistica ha subito una forte accelerazione, e credo che sia innegabile che la televisione è stato lo strumento che ha accelerato questo processo in modo definitivo. Non so però quanto in rai fossero consapevoli di quello che stavano facendo, tu ne sai senz'altro più di me. Da parte mia io ho l'impressione che si tratti di un cosiddetto effetto collaterale.
Il web trasformerà o ha già trasformato la lingua? Se sì, in quale direzione?
Eh, su questo io non ho le idee chiare, non sono un esperto.
Quello che mi sembra, che questo stare seduti troppo davanti a una macchina la impoverisce, la comunicazione. E che la maggior parte del tempo passato a navigare, come si dice, sia tempo sprecato. È un'altra dipendenza, e io francamente non ne sentivo il bisogno. Poi è utilissimo eccetera eccetera, però anche le poste ordinarie funzionavano, a modo loro. Sulla lingua, leggendo qua e là ho l'impressione che i frequentatori del web, quello che fanno ironizzano, sottolineano, enfatizzano, polemizzano, sono sarcastici, acuti, disarmanti, e quel che dicono a me sembra proprio esile, mi sembrano degli accenti, dei toni, come svuotati. Però non sono un esperto non ho una gran pratica, queste sono opinioni superficiali.
Dalla tecnologia alla scienza il passo appare breve, pur non essendo tale.
Zoppicando su questo percorso, ti chiedo: Pierre Lévi in un angoscioso momento libero si è chiesto "Il futuro apparterrà più agli artisti o agli scienziati?". Insomma, il pensiero d'avanguardia si è forse spostato dal campo delle arti a quello della fisica delle particelle? Tu che ne pensi?
Mi sembra che trenta anni fa si potesse immaginare una cosa del genere, mi ricordo il libro di Capra, il tao della fisica, e il grande poeta russo Velimir Chlebnikov che voleva fare poesie solo coi numeri. Oggi, il pensiero d'avanguardia secondo me si è spostato dal campo delle arti a quello del marketing.
Campi anche facendo il traduttore. Ad una domanda sul tema non illuderti di sfuggire.
Poiché detesto le espressioni "quale rapporto fra" e "la funzione di", le eviterò ricorrendo ad una perifrasi: fra il traduttore e il testo su cui lavora quale rapporto fra loro è augurabile e come vedi la funzione principale (oltre a farsi capire) del traduttore?
Qui ci sono due esperienze. La prima, quella di traduttore tecnico, che ho fatto a tempo pieno dal novantasei al novantanove; traducevo manuali di macchine che andavano in Russia. La funzione principale di queste traduzioni era pagare l'affitto, le bollette eccetera eccetera. Era un lavoro orribile, meccanico, anche se ben pagato e che si faceva piuttosto rapidamente.
Adesso ogni tanto mi capita di trovare un autore che mi piace e di proporne la pubblicazione in Italia, e l'anno scorso per un paio di mesi ho lavorato a un'antologia di Daniil Charms che uscirà per Einaudi non so bene quando. In questo caso, nella traduzione letteraria, se l'autore ti piace è un gran bel mestiere, anche se purtroppo pagato malissimo e che richiede molta attenzione. La funzione del traduttore è tradurre in italiano il testo originale producendo nel lettore italiano lo stesso effetto che il testo russo produce nel lettore russo. Una regola semplicissima, però delle volte c'è bisogno di fare un po' i salti mortali.
A tutti gli ospiti di questa taverna spaziale, prima di lasciarci, infliggo una riflessione su Star Trek… che cosa rappresenta quel videomito nel nostro immaginario?
Eh, io mi ricordo le orecchie di Spok, i rodelli, come diciamo noi, del capitano Kirk, e poco altro.
Siamo quasi arrivati a Nòrya, pianeta abitato da alieni tutti cloni di Learco Ferrari…sicché accade loro tutto quanto accade a Learco, perciò sono felici quando lui suona la tromba e tristissimi quando s'ustiona…se devi scendere, ti conviene prenotare la fermata. Stoppiamo qui l'intervista, anche perché è finita la bottiglia di Dolcetto Raviole '98 Cantina Terre del Barolo…
Tra tutti i pianeti che ci sono nella galassia, proprio in questo pianeta, dovevi lasciarmi?
Evidentemente te lo meritavi. Mo' ti saluto com'è d'obbligo sull'Enterprise: lunga vita e prosperità!

 

È possibile l'utilizzazione di queste conversazioni citando il sito dal quale sono tratte e menzionando il nome dell'intervenuto.

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commenti presenti

Comunque, Nori è un grande!!!!

inviato da simona
 

Riguardo la domanda se il web trasformi o no la lingua italiana, ritengo che per conoscere l'evoluzione della nostra lingua si debba studiare soprattutto la "scrittura" via web! Perché? Perché soltanto così (l'ò azzardato in un mio studio: "I Segni nel tempo") si capisce quanto questa "scrittura" imperi, soprattutto nella televisione di RAI e Mediaset. Esse, coi loro programmi, tele-giornali in testa, accettano e promuovono quella che chiamo la "grammatica dei chatter", in cui sono cittadini onorari: superficialità, errori pacchiani (fra cui quelli dei segni grafici), polisemia, ripetitività dei termini, e, quindi - così come riconosciuto anche da Paolo - aridità espressiva.

inviato da Carmine Natale
 

Chissà perché Adolgiso dice che non gli interessa sapere se Learco Ferrari è o no un alter ego di Nori. A me interesserebbe moltissimo. Nembo Kid

inviato da Nelmbo Kid
 

Ho letto Nori. Mi piace. Ma se mi chiedete il perché non lo so dire. Nella presentazione sono dette cose che mi hanno fatto capire meglio. Grazie. Sandro Marvelli

inviato da Sandro Marvelli
 

Sono in disaccordo con quanto sostienequi l'intervento di Carmine Natale. La sola letteratura che mi pare valga la pena di seguire è quella sul web. Non mi riferisco, è ovvio, a quella trascritta dalla pagina al web, ma ai wicki, a quella in cui concorrono altri mezzi (foto, musiche, filmati) in altre parole all'ipertesto nella versione inciè nota come "scrittura mutante". Il resto mi pare terribilmente vecchio. Meglio allora leggere i tanti classici che a ognuno di noi mancano. Fatalmente. Per quanto si possa essere buoni lettori, lettori "forti" come li indicano le statistiche. grazia foresi

inviato da grazia foresi
 

Nori è un autore che non conosco. Mi avete incuriosito con quest'intervista e cercherò di porre riparo alla mia lacuna. Mi pare che non sia uno che se la tira e ciò m'incoraggia as leggerlo Giorgio A.

inviato da Giorgio A.
 

 

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