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Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.

 

La camicia del filosofo

Scommettiamo un Campari che non sapete come finì i suoi giorni  un famoso filosofo tedesco?... chi?... Immanuel Kant.
La raccontai anni fa a Radio Rai, dove scrivevo un programma con la finalità d’illuminare aspetti meno noti di certi episodi della storia e della cronaca. Pezzi brevi, 2’ o 3’00”, recitati da Giancarlo Cortesi su musiche di Guido Zaccagnini.
Come?... recitare io adesso quella storia?... non se ne parla proprio… visto che ora è?... mi offrite una birra alta?... se è così, non posso rifiutare. Allora ascoltate.

 

La mattina del 12 gennaio 1802, Immanuel Kant, fu costretto a licenziare il suo cameriere Lampe che lo serviva da moltissimo tempo. Kant allora aveva settantotto anni e morirà due anni dopo.
L’ultimo tratto della vita del grande filosofo fu caratterizzato dal rapido declino delle sue facoltà mentali, e Lampe che per decenni, pur afflitto da inguaribile stupidità, s’era dimostrato fedele e ossequioso, approfittando delle condizioni del padrone, prese a permettersi scatti d’ira, a fare la cresta sulla spesa, ad ubriacarsi spesso, addirittura a maltrattarlo... insomma, fu allontanato.
Prese allora servizio un nuovo cameriere, Kaufmann, il quale s’adeguò lentamente alle abitudini di Kant, tipo difficile da accontentare nelle sue tante rigorose usanze, divenute maniacali (e, peggio ancora, anche mutevoli) a causa del progredire del male.
Il filosofo s’accorgeva drammaticamente del peggioramento delle proprie condizioni e ne soffriva nei suoi periodi di lucidità che poi andarono fatalmente abbreviandosi dando luogo a sempre più lunghe prostrazioni e imprevedibili bizzarrie.
Una delle cose che più lo tormentava, nei rari incontri che aveva in quel tempo con le poche persone ammesse alla sua presenza, era il rischio di ridire cose già dette loro precedentemente.
Egli  ordinò, quindi, a Kaufman di presenziare a quelle riunioni  - mai conviviali -   e di prendere nota dei temi o dei ricordi personali sui quali s’era soffermato, e con quali ospiti.
Quegli appunti, il filosofo era solito trascriverli, in gran segreto, sui polsini della camicia, per consultarli di soppiatto durante le conversazioni onde evitare di ripetersi.
Un giorno, a Kant toccò ricevere più persone di quante ne sopportasse di solito, e, visto il numero dei presenti, a maggior ragione confidò nella sua astuta tecnica. Ma quale non fu la sua sorpresa quando, dopo i saluti iniziali, lanciato uno sguardo sui polsini, li vide d’un bianco immacolato !
Si ritirò precipitosamente colto da un malore (vero o simulato, chissà!), e Kaufmann, saputo del motivo dell’affanno, con un sorriso orgoglioso, affermò che non stava bene che un grande Maestro indossasse in società una camicia sporca, perciò l’aveva inviata senz’indugio in lavanderia !
Kant, per  giorni stette malissimo, e imboccò l’ultimo tratto della via che lo avrebbe portato alla fine.
Quando fu licenziato Lampe, nonostante una generosa liquidazione elargitagli, parlò malissimo del padrone, così fece pure Kaufmann dopo la morte di Kant, raccontando di lui perfino penose intimità.
Aveva detto il Maresciallo de Catinat:  “Nessun grande uomo è tale per il proprio cameriere”.
Due secoli dopo gli risponderà Thomas Mann: “Già, ma la colpa è tutta del cameriere”.

 

Grazie, grazie, troppo buoni. Basta applausi…. Ma che ora s’è fatta?... ‘azzo!… s’è fatto tardi… domattina ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno… ‘Notte… buonanotte a tutti.

 


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