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Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.

 

Quelli che rompono il capo

Scommettiamo un Campari che ho trovato un’enigmografia italiana con soluzioni finora ignote?... non ci credete? Ho le prove.  Dall’epoca del famoso “indovinello veronese”, tre righe tracciate verso l’anno 800 nello scriptorium della scuola capitolare di Verona fino agli enigmisti d’occasione del ‘400 e del ‘500 ad altri grandi del ‘700 e oltre ancora…che dite?... leggere gli indovinelli?... nooo, non se ne parla… visto che ora è?... come?... m’offrite una birra alta?... se è così… ma pochi pochi, eh… intesi?

Questo è dovuto a Guittone d’Arezzo, composto forse nel 1250, che nella XII delle sue “Canzoni d’amore” nasconde un enigma fra rime equivoche a bisticcio:

Va, canzon, s’el te piace, da mia parte
al bon Messer Meglior, che dona e parte
tutto ciò che l’uomo ha testa in ‘esta parte

Secondo alcuni l’ascoso riferimento è “il vertice del membro”, in altre parole  “testa di cazzo”.
A quei solutori s’oppone il dotto monaco Hurologus che vi legge, invece, il nome d’un messere briccone satireggiato da Guittone e che pare avesse per nome “Turigliatto”.


C’è anche chi sostiene che il Divin Poeta abbia mascherato talvolta oscure allusioni, in pratica quasi indovinelli, nella sua più grande opera. S’osservi  qui di seguito:

… perché fuor negletti / li nostri vóti e vòti in alcun canto(3 – 3 – 57)

La tradizionale interpretazione data a quei versi, secondo il Commento Scartazziniano, parlano “di un grado di beatitudine, che par tanto basso, ma ci è assegnato da Dio, perché i nostri voti non ci stettero a cuore quanto e come dovevano, e in parte rimasero inattesi”. Ma insorge l’erudito Modiano che, nelle sue carte, afferma trattarsi di un, sia pur velato, riferimento alla voce di due dannati, scansati da Dante nell’Inferno, i cui nomi – sepolti nelle tenebre di lontane cronache –  sarebbero Ferdinando (detto Fernando) Rossi e Franco Turigliatto artefici di un tradimento d’arme.

 

Ma passiamo a qualche altro esempio meno fosco.
Nemmeno il grande Donato di Angelo di Pascuccio, detto il Bramante (1444-1514), sdegnò d’intingere la penna nel calamaio della Sfinge. Ecco un suo indovinello dalla duplice soluzione.

Dimmi qual fiera è sì di mente umana
che s’inginocchia al raggio della luna
e per purgarsi scende alla fontana.

Per tutti quell’animale è la “jena ridens”. Ma la risposta non soddisfa l’occhialaio Coppelius, finissimo enigmista, che pur condividendo la soluzione che rimanda a uno dei “Bestiari” in voga nell’epoca, ravvisa uno sberleffo del Bramante diretto ad un ‘bestial garzone’ di nome Ferdinando (ma per tutti Fernando) Rossi.

 

Andiamo ora tra gli Arcadi.
Tra i cosiddetti ‘custodi’ dell’Accademia che si sono succeduti durante la vita del Bosco Parrasio c’è Gian Vincenzo Gravina (1664 – 1718).  Un suo enigma.

Nasce ascoltando sol voci muliebri
e mai carezza avrà dal padre suo.
Nasce deriso e infin inviso muore
compiendo malefatte a tutte l’ore.

E’ il cosiddetto figlio di padre ignoto.
Eppure l’arcade vicentino Amèno Tortore ritiene che nonostante la soluzione sia sostanzialmente esatta, al tempo stesso gli appare mutilata di un più preciso bersaglio. Egli, infatti, immagina che il Gravina nella sua criptica composizione pensasse a un certo malfattore dell’epoca e scrive: “Colui somiglia al tratto del tutto a Turigliatto”.


In epoca meno lontana dalla nostra, il <dottore bibliotecario> Carlo Mascaretti (1855 – 1928), autore noto con lo pseudonimo di Americo Scarlatti, indimenticato autore di “Et ab hic et ab hoc”, si produsse in deliziosi chiapperelli. Eccone uno.

Gemelli son ma non siamesi
in vita lor passeggiano sospesi.

Naturalmente sono i due coglioni. In una disfida enigmistica, Ardito Cavallotti, valente enigmografo, incrociò duello verbale con un altro gareggiatore e rispose ratto: “Quei due sono Fernando Rossi e Franco Turigliatto”.
La giurìa, all’unanimità, nonostante la risposta non fosse quella pensata da Americo Scarlatti, gli concesse però ugualmente la vittoria nel certame ritenendo che Cavallotti avesse usato un’espressione sinonima.

Mo’ basta così.


Ma che ora s’è fatta?... ‘azzo!… domattina ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno.
‘Notte… buonanotte a tutti.

 


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