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Un bar notturno dove gli avventori si conoscono tutti fra loro. Più per nome che per cognome.
Da un vecchissimo juke-box in fondo alla sala,
provengono le note della canzone che vi aggrada.
In Primo Piano, Adolgiso parla con i suoi amici di sempre, sfaccendati o peggio.

 

Il tamburino olandese

 

Scommettiamo un Campari che non conoscete tutta la storia di una famosa composizione di Händel?
La raccontai anni fa a Radio Rai dove scrivevo un programma che aveva la finalità d’illuminare aspetti meno noti di grandi episodi. Meno noti perché ritenuti di scarso significato oppure perché di dubbia verità. Pezzi brevi, due o tre minuti, recitati da un attore su musiche di Guido Zaccagnini.
Come?... recitare adesso quella storia?... non se ne parla proprio… visto che ora è?... m’offrite una birra alta?... se è così non posso rifiutare. Allora ascoltate.

 

Il  23  febbraio  del 1685, nacque il compositore tedesco Georg Friedrich Händel,  nello stesso anno di Bach, il quale, però, si stufò del mondo prima di lui e a 65 anni lasciò la Terra, con tale fretta di fuggire da abbandonare incompiuta l’Arte della Fuga.
Händel, invece, se la prese più comoda, morendo settantaquattrenne nel 1759.
Entrambi, in giovane età, ebbero una profezia.
Un’indovina predisse a Händel che la sua opera “avrebbe fatto faville”; a Bach  un veggente vaticinò che “avrebbe generato nella sua vita, non meno di venti opere fondamentali”.
E qui non sappiamo se quel tale si riferisse alla produzione artistica di Bach, oppure (il verbo “generare” autorizza qualche ambiguità) al fatto che Bach genererà circa venti figli;  sia come sia: quel mago è un tipo che c’ha preso.
Händel, fra opere, musiche sacre, serenate, oratori, concerti, compose, nel 1749, anche la famosa suite “Musica per i Reali Fuochi d’Artificio”, in occasione della celebrazione della pace di Aquisgrana, avvenuta l’anno prima, che aveva sancito la fine della guerra di successione austriaca.
Tutto ciò avveniva in un momento felice della vita del musicista: era al vertice del successo, s’era ripreso da una paralisi che gli aveva immobilizzato il lato destro, si era liberato del modenese Matteo Bononcini, dapprima socio e poi nemico.
Con animo sereno, quindi, affrontò la nuova composizione.
La suite, nella festa, doveva accompagnare la pirotecnia affidata ad un architetto, Jacques Servandoni, il quale promise di stupire con effetti speciali.
E speciali lo furono per davvero.
Per effetto del vento, ai primi botti, alcune strutture lignee s’incendiarono e mancò poco all’arrosto.
Gli orchestrali si dettero alla fuga, ben prima  d’affrontare i vari momenti fugati presenti nella partitura.
Il gruppo era pure folto: 24 oboe, 9 corni, 9 trombe, 9 timpani, 2 violoncelli, 2 viole e 12 fagotti; in quei tragici momenti, Händel, forse, si sarà dannato pentendosi d’avere impegnato un così massiccio organico, visto che lui, di solito, scriveva per orchestre relativamente piccole.
Anche Jacques Servandoni, si dette alla fuga, laddove questo termine non ha nulla di musicale.
Si venne, poi, a sapere che l’architetto - una biografia lo definisce di temperamento focoso (aggiungiamo noi: et pour cause!)  - questo architetto, anni prima, per vendicarsi della sua amante, un po' frivola, le aveva incendiato la casa. In molti sorse il dubbio che quel tale più che un esperto pirotecnico, fosse più semplicemente un piromane scritturato con deplorevole leggerezza.
Händel, davanti alle rovine fumanti, forse pensò alla  profezia ricevuta un tempo: la sua  opera... “avrebbe fatto... faville”...
Vaticinio del successo avuto nell’arte o previsione di una disgrazia?...

 

Grazie, grazie, troppo buoni. Basta applausi…. Ma che ora s’è fatta?... ‘azzo!… s’è fatto tardi… domattina ho una sveglia terribile, devo alzarmi per mezzogiorno… ‘Notte… buonanotte a tutti.

 

 

 

 


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