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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Il Morandini 2011


Giusto vanto della Casa Editrice Zanichelli, il Morandini Dizionario dei film anche per il 2011 si presenta con un imponente corredo di documentazione dai Lumière ai giorni nostri, confermandosi prezioso strumento per tutti quelli che lavorano nel cinema o del cinema sono appassionati spettatori, e, ovviamente, per le redazioni della carta stampata, delle radio-tv, del web.
E’, inoltre, il Natale si avvicina (o incombe, fate voi), una soluzione per fare un regalo che, specialmente con la numericamente grande programmazione dei film nelle Tv può risultare gradito a molti anche se non frequentatori abituali delle sale cinematografiche.
Quello che particolarmente colpisce in questa meritatamente fortunata pubblicazione – uscì per la prima volta nel 1999 – è come in pochissime righe, accanto ai dati filmografici (titolo originale, nazionalità, anno d’uscita, regista, principali interpreti, durata, sintesi della trama), sia tracciato un coinciso, ma non per questo meno articolato, giudizio critico di sapiente spessore. E, inoltre, si trovi spazio anche per riferire d’interessanti, e talvolta divertenti, lampi aneddotici.
Tutto questo è frutto di un paziente lavoro, culturalmente ben attrezzato, come si può notare in questa conversazione con Morando Morandini che ebbi tempo fa a bordo dell’astronave Enterprise.
Una videointervista rilasciata a Marco Chiani durante la quale l’autore parla anche del suo “Dizionario dei film” la potete trovare QUI.

In quest’edizione, la copertina è dedicata a Greta Zuccheri Montanari, giovanissima protagonista del film di Giorgio Diritti “L’uomo che verrà”, e, come accade ogni anno, la copertina è anche un’indicazione critica di Morandini che, infatti, riserva a quell’opera un’entusiastica nota.
Il Morandini 2011 comprende 24.000 film usciti sul mercato italiano dal 1902 all’estate 2010, di cui più di un migliaio prodotti specificamente per l’home video o la televisione.
Di ogni film, anche quest’anno, seguendo una collaudata formula editoriale, oltre al titolo italiano, l’opera dà: titolo originale, Paese di produzione, anno d’uscita, regista, principali interpreti, una sintesi della trama, una concisa analisi critica, durata, suggerimenti sull’opportunità di visione per i ragazzi, indicazione grafica sul giudizio della critica (da 1 a 5 stellette) e, unico nel suo genere, sul successo di pubblico (da 1 a 5 pallini).
Un’opera indispensabile da tenere accanto al lettore di Dvd, al televisore e al videoregistratore.
Interessanti nelle Appendici una selezione di recenti cortometraggi, in particolare italiani, che abbiano avuto segnalazioni nei vari festival italiani e stranieri; una sitografia; una cronologia dei Premi Oscar.

Il Morandini
Volume (Pag. 2052) con Cd-Rom per Windows e licenza annuale online individuale a privati: 36.60 €
Volume con licenza annuale online individuale a privati: 29.20 €
Edizione in Cd-Rom per Windows con licenza annuale online individuale a privati: 16.60 €
Versione per iPhone, iPad, iPod Touch: 14.98 €
Licenza annuale online individuale a privati: 9.00 €

Zanichelli


Al Manganelli ulteriore


Vent’anni fa moriva Giorgio Manganelli, uno dei nomi che fanno grande la letteratura italiana; gli piaceva la parola "ulteriore", non a caso una delle sue opere s'intitola Agli dèi ulteriori qui presentato da Italo Calvino.
Nell’occasione, la figlia Lietta (in foto col padre) ha rilanciato un’interessante iniziativa che desidero proprio ne prendiate visione… in fondo che vi costa, basta un CLIC sul suo nome che ho disposto in link.

Ora si annunciano tre appuntamenti.
Il primo a Milano il 2 dicembre – al Citofono 10, Via Cappuccio 18, ore 18.30 – promosso dall’Editrice sedizioni (la ‘esse’ minuscola l’hanno messa loro, non è una mia scortesia) che inaugura una finora inedita mostra fotobiografica dello scrittore attraverso 100 immagini.
Sarà presente Lietta Manganelli.

E troviamo ancora Lietta il giorno dopo, venerdì 3 dicembre, a Bologna dove presenterà, con Jean Talon e Filippo Milani, il suo libro Album fotografico di Giorgio Manganelli edito da Quodlibet: ore 18, presso la Libreria delle Moline, Via delle Moline 3.

La presentazione, si replica ore dopo, alle 21.00, presso lo Spazio Bartleby (Via San Petronio Vecchio 30/a, Bologna); a fianco della figlia dello scrittore ci saranno Ermanno Cavazzoni e ritroveremo Filippo Milani.


Il cimitero dei pazzi


Ha scritto Céline in “Viaggio al termine della notte”: Tutto quello che è interessante accade nell'ombra, davvero. Non si sa nulla della vera storia degli uomini.
Quante, infatti, le storie occultate, quante le dimenticate!
Su di una storia a lungo obliata e per molto tempo occultata si sofferma Il cimitero dei pazzi I quattromila dimenticati di Cadillac, pubblicata da Infinito Edizioni.
Ne è autore Francesco Zarzana, giornalista, scrittore, autore teatrale. Con Susanna Miselli ha scritto La scure su Davide. Le leggi razziali del 1938 (Franco Angeli, 2005), Il pascolo dei cammelli (Infinito Edizioni, 2006); per il teatro: “La grande volata”, “Con Buona Pace” e “Il fuoco di Hanifa”.
È fondatore e curatore della rassegna teatrale T… come Teatro e ideatore di Buk – Festival della piccola e media editoria di Modena. Dal 1999 è presidente dell’Associazione culturale ProgettArte.
Ecco un autore che ha fatto di tutto nelle prime trenta pagine per dissuadermi ad andare avanti. Nell’introdurre il suo volume, infatti, ricorre a una sorta di fiction lontanissima dai miei gusti. Poi, ecco che le pagine s’illuminano, diventano un rigoroso documento storico estremamente ben scritto – con fitta e puntualissima documentazione – su di un certo castello dell’Aquitania diventato un atroce asilo per malati di mente e presunti tali: il castello di Cadillac.
Quel castello ha un cimitero dove sono sepolti in tombe anonime circa quattromila pazienti indigenti i cui corpi mai sono stati reclamati da parenti o amici. C’è di più, Cadillac rappresenta anche un angolo dello sterminio di circa quarantacinquemila internati morti di stenti e di fame sotto il governo filonazista di Vichy.
Zarzana rintraccia pure storie di alcuni lì seppelliti e attraverso quelle microstorie s’intravede la grande storia di terribili anni che travolsero milioni di uomini.
Scrive Angelo Lallo nella postfazione: “Il cimitero dei pazzi di Francesco Zarzana, con l’intreccio di dolorose storie personali ed eventi storici realmente accaduti nei luoghi dell’antico asilo di Cadillac sur Garonne, recupera in modo esemplare dati e fatti e li consegna alla memoria sociale. La ricostruzione dei momenti di vita quotidiana delle persone chiuse nell’istituzione totale di Cadillac, espropriate del proprio corpo e individualità, ha dato dignità a persone dimenticate”.

A Silvana Mazzocchi che ha chiesto all’autore com'è nato “Il cimitero dei pazzi”, Zarzana ha così risposto su ‘Repubblica’: "Mi ha incuriosito un articolo di Le Monde riferito a questo piccolo paese dell'Aquitania, che parlava di uno strano cimitero con quattromila sepolti, tutti malati di mente e senza identità e che il sindaco locale voleva abbattere per farne un parcheggio. E di come un piccolo gruppo di cittadini, guidati dal noto psichiatra Michel Bénézech, avesse intrapreso una vera e propria battaglia per difendere quel luogo e la sua memoria. Ci sono riusciti. Se avessero perso, quelle povere persone sepolte lì avrebbero subito l'ennesima beffa dalla vita.

Lo psichiatra e criminologo Michel Bénézech alla testa dell’Associazione “Les Amis du Cimitière des Oubliés de Cadillac”, ha ottenuto il 26 aprile di quest’anno che quel cimitero diventasse monumento nazionale francese.

Per una scheda sul libro: QUI.

Francesco Zarzana
“Il cimitero dei pazzi”
Introduzione di Michel Bénézech
Conclusioni di Angelo Lallo
Pagine 128, Euro 11.00
Infinito Edizioni


Ritratti del potere (1)

In tre anni, da quando cioè aprì i battenti a Firenze a Palazzo Strozzi nel 2007, il CCCS (Centro di Cultura Contemporanea Strozzina) è diventato un palcoscenico su cui sfilano i più interessanti avvenimenti delle arti visive in Italia. Per compiutamente rendervene conto date un’occhiata all’Archivio delle mostre fin qui prodotte grazie alla felicissima direzione artistica di Franziska Nori.
Anche nell’esposizione ora in corso, è stato centrato, come già altre volte è accaduto, un tema di grande attualità qual è la rappresentazione iconica del potere oggi, e quel tema è stato articolato attraverso impeccabili scelte di nomi e stili.
Il titolo della mostra: Ritratti del potere Volti e meccanismi dell’autorità.
Si tratta di una rappresentazione del potere e della sua immagine attraverso le diverse visioni della politica, dell'estetica e dell'antropologia.
La mostra, infatti, sviluppa un’analisi sul ritratto e la rappresentazione del potere politico, economico e sociale nel mondo contemporaneo attraverso le opere di artisti d’oggi. Ritratti di celebri figure politiche, indagini su vita e costumi delle classi sociali elevate, ma anche investigazioni sulle strutture del potere di istituzioni internazionali.

In foto un angolo dell’installazione di Fabio Cifariello Ciardi; sul link una scheda illustrativa dell’opera.

Il percorso espositivo segue tre principali prospettive: l’analisi del potere come espressione del carisma di uomini e donne che sono diventati icone o simboli del loro tempo, l’indagine sul potere di istituzioni o modelli sociali che si rappresentano o che sono criticamente rappresentati, l’investigazione sui meccanismi nascosti delle autorità.
Ritratti del Potere è un progetto del CCC Strozzina, con la consulenza scientifica di Peter Funnell (National Portrait Gallery, Londra), Walter Guadagnini (progetto “UniCredit & Art”), Roberta Valtorta (Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo), con il coordinamento di Franziska Nori (CCCS, Firenze).

Artisti: Tina Barney, Christoph Brech, Bureau d’études, Fabio Cifariello Ciardi, Clegg & Guttmann, Nick Danziger, Rineke Dijkstra, Jim Dow, Francesco Jodice, Annie Leibovitz, Helmut Newton, Trevor Paglen, Martin Parr, Wang Qingsong, Daniela Rossell, Jules Spinatsch, Hiroshi Sugimoto, The Yes Men.

Come tutti i progetti espositivi concepiti dal Centro di Cultura Contemporanea Strozzina, anche “Ritratti del Potere” s’avvale di un catalogo bilingue (Italiano/Inglese) che propone una serie di saggi prodotti da autori internazionali provenienti da diversi àmbiti e discipline, come ideale approfondimento della tematica della mostra.
In questo volume – stampato da Silvana Editoriale – scritti di Michael Clegg and Martin Guttmann, Stephen Duncombe, Peter Funnell, Franziska Nori.

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Nel cortile di Palazzo Strozzi, sempre a cura del CCCS, per tutta la durata di “Ritratti del potere” è esposta un’installazione di Michelangelo Pistoletto.
Metrocubo d'Infinito in un Cubo Specchiante è un cubo ricoperto esternamente di opache lastre in acciaio e all’interno rivestito completamente di specchi. L’opera darà vita a un percorso nel quale il pubblico potrà vivere l’esperienza di un luogo senza limiti, che si estende all’infinito. Al centro dello spazio è collocato il Metrocubo di Infinito (1966), storica opera dell’artista, costituita da superfici esternamente opache ma specchianti verso l'interno, facendo giungere al culmine le possibilità di rifrazione.
“Lo specchio” – afferma Pistoletto – “espande le caratteristiche dell’occhio e la capacità della mente fino a offrire la visione della totalità”. L’opera diviene un luogo laico di raccoglimento spirituale, in cui ciò che ha davvero valore è l’uomo con la sua capacità d’immaginare.
Con la partnership di Castello di Ama per l’arte contemporanea.
Con la collaborazione di Cittadellarte – Fondazione Pistoletto; Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Le Moulin; Carlo Falciani


Ritratti del potere (2)


Il successo del CCCS si deve ai felici intuiti della sua direttrice; per la sua bio e alcuni suoi enunciati teorici CLIC!
E proprio a Franziska Nori (qui in una foto scattata da Cesare Cicardini), ho rivolto alcune domande.
Com'è nata l'idea di questa mostra?

Punto di partenza nell’ideazione di “Ritratti del potere” fu l'idea di far entrare la mostra tematica del CCCS in dialogo con l’esposizione che si svolge parallelamente al Piano Nobile, dove hanno luogo le mostre storiche di Palazzo Strozzi, in questo caso “Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici”. Nell’àmbito della sua vasta e complessa produzione, questo artista rinascimentale è rimasto celebre anche per i ritratti dei potenti del suo tempo, soprattutto dei suoi mecenati, la famiglia Medici, che egli effigiò in pose classiche, con abiti e gioielli di rappresentanza. Questo riferimento storico ci sembrò offrire lo spunto per una riflessione sulla rappresentazione del potere oggi, nella società dei media e della comunicazione.

Qual è la principale caratteristica iconica che contraddistingue oggi il Potere?

Ancora oggi sono attuali le domande che hanno connotato storicamente il binomio arte / potere: che cos'è realmente il potere? dove si manifesta e come viene rappresentato? Questi interrogativi corrispondono al problema generale che impegna mezzi di comunicazione visiva ed espressione artistica: come tradurre in immagini le complesse informazioni e relazioni che caratterizzano il mondo globalizzato e interconnesso. Nella moderna società occidentale democratica, il potere non è più solo prerogativa di singoli individui o famiglie, ma è distribuito in sistemi complessi e organismi politici ed economici che si condizionano reciprocamente. Di conseguenza, oggi il rapporto dell'artista con la rappresentazione del potere è profondamente ambivalente e differenziato. Certamente esiste ancora il lavoro su commissione, ma la libera arte si sente soprattutto impegnata in un discorso criticamente autonomo a livello produttivo e concettuale.
Determinante ieri come oggi è l'ambivalenza del rapporto tra artista, soggetto ritratto e osservatore. Storicamente, l'artista era al servizio di un potente con il compito di realizzare per lui, con finalità diverse, ritratti di rappresentanza in cui elementi centrali erano spesso esaltazione e affermazione del personaggio protagonista. Per i potenti di oggi non è più fondamentale essere ritratti da un artista. Al suo posto ci sono esperti di pubbliche relazioni, cosiddetti “spin doctor” e uffici stampa altamente specializzati che elaborano campagne mirate per i diversi canali di comunicazione. Il ritratto artistico si è così separato dall'immagine strategicamente costruita. Da una parte, la rappresentazione autoreferenziale del potere ha assunto forme più sottili e complesse, dall’altra il ruolo dell’artista ha cambiato la sua collocazione all’interno della società
.

Baudrillard definisce “estasi da Polaroid” quella voglia tutta nostra contemporanea di possedere l’esperienza e la sua oggettivazione. A tuo parere, questo desiderio che assilla (o anche delizia) l’uomo d’oggi è, oppure non è, all’origine del nuovo consumo delle immagini?

Credo che i recenti sviluppi delle tecnologie digitali hanno in particolare creato un rapporto diverso tra immagine e utenti al livello sia della fruizione che della produzione. Coloro che un tempo erano i destinatari, oggi sono diventati gli artefici di un certo tipo di comunicazione visiva. La webcam, la fotocamera del telefono cellulare o la macchina fotografica digitale sono diventati accessori onnipresenti nella vita quotidiana, il cui uso non richiede elevate competenze tecniche e che dunque una vasta fascia di utenti può utilizzare per documentare momenti di vita privata o pubblica. Elemento chiave di diffusione è internet. Questi contenuti sono spesso 'postati' su piattaforme digitali come blog, social network e siti personali che ormai hanno raggiunto pari rilevanza dei media e dei canali di informazione tradizionali. Viviamo in una società dell'immagine in cui la comunicazione non avviene più tramite la parola scritta ma prevalentemente tramite immagini che possono essere prodotte e diffuse, ovunque e in qualsiasi momento.


Belle anime porche


La casa editrice Feltrinelli ha pubblicato nella sua valorosa Universale Economica un libro di gran qualità: Belle anime porche di Francesca Ferrando.
Si tratta di una ripubblicazione di quel titolo – uscito dapprima autoprodotto e poi pubblicato da altre piccole e sapienti sigle editoriali – e questo torna a maggior gloria di chi alla Feltrinelli ha capito che “Belle anime porche” andava sostenuto, meritava una più ampia distribuzione, fosse da far così conoscere ad un più vasto pubblico.
Pagine toste, atmosfere torride, linguaggio secco, violento quanto gli ambienti e i personaggi che li attraversano, uno stile tagliente che nulla concede a nessuna cosmetica letteraria.
Di quel libro me ne accorsi anni fa e lo recensii proprio in Cosmotaxi, se volete sapere che cosa ne dissi, cliccate QUI.

L’autrice (in foto), torinese, nata nel 1978, è uno di quei rari esempi di attraversamento veloce e vorace di plurali campi dell’esistere e del manifestarsi. Dopo aver lavorato dal 2003 al 2008 come webmaster presso il CirsDe (Centro di Ricerca e Studi delle Donne dell’Università di Torino) e aver tenuto seminari di Studi di Genere presso lo stesso Ateneo, dal 2008 è Dottoranda in Filosofia presso l’Università di Roma Tre, occupandosi di Postumanesimo, Teoria Cyborg, e lavorando sul tema dell'Intelligenza Artificiale con il Prof. Kevin Warwick (definito il primo cyborg della Storia) presso l'Università di Reading, Inghilterra; ecco un'intervista della Ferrando con il CyberProf.
Dal 2010 è Visiting Scholar presso la Columbia University (New York). Poteva bastare? Ad altri sì, a Francesca no. Ed eccola prodursi come videoartista, bellydancer, opinionista in Tv (La7, Odeon, TimeWarner/Cable Vision, New York), autrice – su richiesta della produzione di Vasco Rossi – del brano “Vasco, facci godere” nel libro di accompagnamento al cd di Vasco "Il mondo che vorrei".

Leggete “Belle anime porche” e credo proprio che mi darete ragione (se non amate la Tamaro, s’intende) nel sostenere come faccio da tempo che la Ferrando è una rivelazione.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Francesca Ferrando
Belle anime porche
Pagine 288, Euro 7.50
Feltrinelli


La radio nel mondo


La nota di oggi su Cosmotaxi è dedicata a un importante studioso dei mezzi di comunicazione qual è Giovanni Cordoni.
Nato a Ebingen, Germania, nel 1974, caporedattore dell’Enciclopedia della Radio (Garzanti, 2003), a cura di Peppino Ortoleva e Barbara Scaramucci, è autore di vari saggi sui mass media. Redattore e regista per trasmissioni di Rai-Radio 3, ha condotto con Ortoleva la serie “Torino. 50 anni di televisione e cultura” su Raisat Premium. Curatore, ancora con Ortoleva, della mostra itinerante (e del relativo catalogo) “Radio FM 1976-2006. Trent’anni di libertà d’antenna” (2006-2007), è tra i curatori della mostra “Anni Settanta” (Triennale di Milano, 2007-2008) di Gianni Canova. Direttore delle ricerche per la mostra sui 50 anni della RAI TV, “Luci del teleschermo” (Torino, Palazzo Carignano, 2004-2005), si è occupato anche della sonorizzazione di varie mostre (ad esempio “A ferro e a fuoco”, Dalmine, 2006).
Project manager di Mediasfera, ha condotto numerose ricerche, tra cui quelle per l’Osservatorio Culturale del Piemonte su industria discografica, radio e televisione (2006-2008). Collaboratore di testate (da “Punto Com” a “Exibart”), si è occupato della revisione della terza edizione dell’Enciclopedia del Cinema (Garzanti) a cura di Gianni Canova. Docente per l’Università Cattolica di Milano e per L’Università dell’Aquila presso vari master dedicati alla comunicazione, ai media e agli eventi culturali, è stato relatore in più convegni, soprattutto sui temi della radio e dell’industria discografica.
Da ottobre collabora con l'Accademia della Crusca sui contenuti del portale "Vivit: Vivi Italiano", in particolare occupandosi della parte sui mass media.

Tra i suoi lavori più recenti segnalo l’ottimo saggio che ha firmato per l’Enciclopedia Treccani del XXI Secolo intitolato La radio nel mondo.

A Giovanni Cordoni (in foto) ho rivolto alcune domande.
Quale ruolo recita nello scenario dei media, oggi, la radio?

Il suo ruolo continua a essere di primissimo piano: la radio si conferma infatti tra i mezzi più seguiti in tutti i paesi del mondo e in varie aree il suo ruolo è addirittura preminente rispetto agli altri media. Dopo aver superato indenne l’avvento della TV prima e di Internet poi, la radio ha dato prova di un’estrema capacità di adattamento che le permette di rinnovarsi continuamente per preservare il proprio appeal sia nei confronti dei giovani che degli adulti. La radio, poi, è l’unico mezzo che possiamo seguire ovunque (in auto, nei negozi, sui computer, sui telefonini), permettendoci nel frattempo di fare altro (guidare, lavorare, sbrigare le faccende domestiche, eccetera) e questo le conferisce una forza che gli altri mezzi possono solo invidiarle. Un aspetto singolare del suo ruolo nel sistema dei media risiede inoltre nella sua presenza sulla piattaforma televisiva (soprattutto in relazione all’offerta satellitare), dove si propone sia nel suo contenuto originale (solo audio), sia nella veste di radio da guardare.

Radio pubbliche e radio private. Quali le connotazioni principali che distinguono i loro palinsesti?

Le distinzioni rimangono sostanzialmente quelle classiche, con la radio pubblica dedicata principalmente all’informazione e alla cultura e la radio privata, indirizzata prevalentemente all’intrattenimento. Qualcosa però è cambiato. Alcuni network privati, spinti anche dai gruppi editoriali alle loro spalle, hanno cominciato a sfidare le reti di stato proprio sul terreno dell’informazione e della cultura, mentre in alcuni paesi (come la Gran Bretagna), la radio pubblica ha moltiplicato la propria offerta, cercando di attirare tutti i target possibili con emittenti tematiche, in concorrenza diretta con le reti private.

La radio pubblica italiana, fra quelle di altri paesi, come se la passa? Quali a tuo giudizio - se esistono -i suoi principali difetti?

Proprio in relazione al processo di differenziazione e moltiplicazione della radio pubblica in vari altri paesi occidentali, è possibile constatare che in Italia prevalga un certo immobilismo. Nel Nord Europa, pullulano emittenti pubbliche locali, regionali e tematiche, che mettono in difficoltà la radiofonia privata. In Italia, invece, si continua a insistere su un modello centralistico che avvicina il nostro sistema più a quelli presenti in Russia, Bulgaria e Turchia, che non a quelli di Gran Bretagna, Germania, Spagna e Francia. Tre emittenti, nell’era della sovrabbondanza propria di Internet, sono sicuramente troppo poche per rispondere con efficacia alle richieste di un pubblico molto segmentato, che non a caso in Italia preferisce di gran lunga le private.


La Bibbia e il Fucile

“Portavo sempre una pallottola di fucile nel taschino all'altezza del cuore. Un giorno qualcuno mi ha tirato una Bibbia e la pallottola mi ha salvato la vita”, così Woody Allen.
C’è da sperare che l’America porti nel taschino quella pallottola perché molti sono dei suoi stessi abitanti a volerla far secca tirandole addosso una Bibbia.
Talvolta ci sono riusciti impallinando più di un presidente e votando per governi reazionari, talvolta no, e si sono avuti grandi avanzamenti della democrazia.
Qual è oggi il presente e quale potrà essere il futuro di quel grande paese?
Per capirlo, c’è un ottimo libro di Joe Bageant pubblicato da Bruno Mondadori: La Bibbia e il Fucile Cronache dall’America profonda.
Bageant è autore di una rubrica online che raggiunge milioni di contatti ed è un punto di riferimento dei progressisti americani: www.joebageant.com.
Nato nel cuore del sud povero, veterano del Vietnam, ha vissuto in una comunità hippy, marxista e buddista, ha girato il mondo scrivendo reportage per poi tornare a Winchester, Virginia, dove vive.
Ci racconta l’America che si trova attraversandola da costa a costa, viaggiando tra fanatici conservatori. Quelli che amano gli animatori dei Tea Party dove troneggia Sarah Palin che strilla contro Obama insieme con il presbiteriano Rand Paul, il battista John Boozman, la metodista Nikki Haley, il mormone Mike Lee e altri personaggi livorosi.
Costoro bevono il bollente the di una rivincita alle prossime elezioni del 2012 tra ambienti ricchi credendosi eleganti mentre cadono in sfarzose cafonaggini. Puntano le loro possibilità di vittoria sul popolo dei rednecks (proletari bianchi, così chiamati perché s’immaginano con i colli rossi dovuti all’esposizione al sole) che ruttano rabbia asserragliati nei bar dove scoppiano di birra e di rancore parlando di armi che, naturalmente, adorano. E disprezzando ogni forma di progresso, richiamandosi spesso a improbabili tradizioni malintese.
Gente che ricorda per più tratti i leghisti nostrani.

Bageant, oltre a descrivere aspetto, vita e abitudini d’alcuni di questi rednecks che incontra nei chiassosi ritrovi di Winchester, ne analizza le origini sociali, la loro volontà isolazionista, l’ossessione di Dio da quelli assai temuto e per questo assai amato.
Interessanti, specie per noi italiani, sono le critiche che l’autore rivolge all’ambiente liberal degli Stati Uniti accusandolo di non aver trovato le parole per parlare a questa parte di società, apparendo, o forse essendo, alquanto snob.
Ancora una cosa del libro di Bageant mi ha colpito, una sua riflessione sulla televisione: “Che sia di destra o di sinistra, l’americano medio passa circa un terzo della sua vita davanti al televisore. Gli effetti sul piano neurologico sono rilevanti. E’ famosa la ricerca di Herbert Krugman che ha dimostrato come la tv rende l’emisfero del cervello destro due volte più attivo di quello sinistro, rilasciando in gran quantità gli oppiacei naturali del corpo umano con effetto sedativo sugli stessi recettori del cervello. Altre ricerche evidenziano una sospensione del pensiero critico […] La tv regola l’umore nazionale, accendendo la passione patriottica, una vigilanza ansiosa contro terroristi invisibili, la tv risponde all’attacco al World Trade Center con il messaggio ‘Continuate a comprare’, pronunciato dal presidente Bush”.
Caro Bageant, anche in Italia ne sappiamo qualcosa.

Per una scheda sul libro e l’Indice: QUI.

Joe Bageant
La Bibbia e il Fucile
Traduzione di Fabio Galimberti
Pagine 240, Euro 18.00
Bruno Mondadori


Diario di un esploratore

La Casa Editrice Corbaccio ha pubblicato una raccolta di scritti di un grande ambientalista: Tim Flannery.
Titolo del volume: Diario di un esploratore.
L’autore, australiano, oggi cinquantaquattrenne, ha scritto diversi libri, tra cui “The Future Eaters”, bestseller sulla storia ecologica dell’Australia. Ha insegnato a Harvard, è stato per sette anni direttore del South Australian Museum e attualmente è docente alla Macquarie University, dove segue un progetto di ricerca sui cambiamenti climatici. Presidente dello State Science Council e della Sustainability Roundtable, un organo consultivo sullo sviluppo sostenibile, Flannery è anche rappresentante australiano della National Geographic Society.
In due precedenti pubblicazioni in italiano – “I signori del clima” e “L’ultima tribù” – entrambi in catalogo Corbaccio, già aveva dato ampi resoconti della sua vita avventurosa di esploratore: un corpo a corpo con un pitone enorme, guadi di torrenti in piena, dove mettere un piede in fallo significa quasi certamente la morte, attacchi da parte d’indigeni ostili, incontri ravvicinati con tribù che praticano ancora il cannibalismo; questo e tant’altro capitatogli nel corso delle sue numerose visite in Nuova Guinea durante le quali ha scalato montagne sulle quali nessun occidentale era mai salito, è penetrato in grotte mai esplorate ed ha riscoperto animali che si ritenevano estinti dall'ultima glaciazione.

In Diario di un esploratore troviamo scritti che abbracciano circa vent’anni della sua ricerca scientifica, divisi in tre parti.
La prima riguarda il periodo che lo vide impegnato in ricerche sui canguri, sui fossili e sulla storia dell’ambiente australiano, le sue esperienze nelle foreste pluviali della Melanesia alla scoperta di animali sconosciuti e accenni a suoi studi sull’ecologia della foresta.
La seconda è dedicata a scritti di altri autori, biografie, recensioni di libri.
La terza è un ragionamento scientifico e politico sulle trasformazioni del clima del nostro pianeta.
In quale modo il riscaldamento globale influenzerà la nostra vita? Il processo che si è messo in moto è inevitabile? Tutti i paesi del mondo sono colpiti dal riscaldamento globale e al tempo stesso ne sono responsabili, seppure in misura diversa. Ma, soprattutto, gli uomini di tutto il mondo condividono la medesima situazione: il futuro della civiltà umana è nelle nostre mani. Quante speranze abbiamo d’essere capaci di vincere la sfida su avvenimenti che solo in parte la natura ha determinato, ma che, invece, in larga parte, quella più nociva, noi stessi abbiamo contribuito a creare? Basti pensare che il 30% delle emissioni di anidride carbonica, cui si devono i mutamenti del clima, è dovuto alle nostre cattive abitudini.
Flannery – nominato il 31 maggio del 2007 Presidente del Consiglio di Copenaghen per il clima – si dimostra fiducioso e scrive: Nulla – né io stesso, né il movimento ambientalista, né l’economia o il mondo – è uguale oggi come era soltanto due anni fa. Ora abbiamo cominciato ad affrontare la grave minaccia costituita dal mutamento climatico, e siamo diventati consapevoli di essere in gara contro il tempo. Ma c’è speranza, perché insieme ci stiamo muovendo per ridurre l’inquinamento, la causa del problema.
Pecca d’ottimismo l’illustre scienziato? Forse un po’ sì. Ma sta di fatto che il tema è diventato popolare, a differenza d’un tempo, e assai avvertito (parecchio meno dai governi); n’è testimonianza in Italia in questi giorni la mostra itinerante (Milano, Venezia, Napoli) intitolata “2050. Il pianeta ha bisogno di te”.

Per una scheda sul libro: QUI.

Tim Flannery
Diario di un esploratore
Traduzione di Tullio Cannillo
Pagine 288, Euro 19.60
Corbaccio


Lo schermo dell'Arte (1)


I protagonisti della terza edizione del Festival Lo schermo dell'arte che si terrà al cinema Odeon di Firenze dal 22 al 25 novembre prossimo saranno come nelle precedenti due volte i film dedicati alle grandi figure delle arti contemporanee. Da Jean-Michel Basquiat a Shirin Neshat; da Antony Gormley a Francesca Woodman; da Vik Muniz a Olafur Eliasson; da Renzo Martens a Phil Collins.
Infine un tributo al grande architetto Oscar Niemeyer che compirà il prossimo dicembre 103 anni.
Lo schermo dell'arte film festival 2010 e' dedicato all'artista Ai Weiwei recentemente costretto agli arresti domiciliari dalle autorità cinesi per il suo ennesimo gesto di indipendenza e per il suo impegno politico che già gli era costato l’anno scorso un pestaggio da parte della polizia (vedi QUI) dal quale episodio trarrà anche un’opera esposta in Italia: CLIC!

Il Festival è diretto da Silvia Lucchesi.

Saranno presentati 14 film tra corti e lungometraggi provenienti da tutto il mondo, di cui 7 prime italiane, che sono una selezione di film e documentari sui maggiori artisti, architetti e fotografi di oggi. Raccontare le esperienze creative del nostro tempo attraverso lo strumento popolare del cinema: questa la formula di successo dello Schermo dell’arte. Ne è conferma il numero di 3500 spettatori che lo scorso anno hanno affollato la sala dell’Odeon.
Il programma comprende tre sezioni: “Sguardi”, film dedicati ai principali protagonisti delle arti contemporanee; “Cinema d'artista”, realizzazioni di artisti che hanno scelto il cinema come strumento espressivo; “Festival Talks” dedicata ad incontri con autori, curatori ed esperti di arti contemporanee.
Nell’àmbito di quest'ultima, mercoledì 24 novembre alle ore 10.30 al Museo Marino Marini, si terrà una tavola rotonda dal titolo “Il documentario nella pratica dell’arte contemporanea”. Un incontro che intende riflettere sul crescente interesse mostrato in questi ultimi anni per questo genere espressivo che sta riemergendo dopo aver vissuto un periodo di opacità; il cinema, infatti, viene sempre più usato come strumento narrativo di eccellenza per comprendere, raccontare e comunicare gli eventi politici e sociali di cui il mondo dell’arte è testimone.

Ad inaugurare il festival la sera di lunedì 22 novembre alle ore 21.00 sarà il lungometraggio “Jean-Michel Basquiat – The Radiant Child” di Tamra Davis, in anteprima italiana.
E’ un'intervista inedita all'artista americano girata nel 1986, poco prima della sua prematura scomparsa, montata insieme a materiale d'archivio della New York degli anni '80.

I momenti del Festival saranno scanditi dalla sigla filmata di Francesco Ozzola; per vederla: TIC!
Cliccare QUI per il programma.

Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web, l’Ufficio Stampa è guidato da Ester Di Leo, Tel. 055 – 22 39 07; email: esterdileo@gmail.com

Lo schermo dell’arte Film Festival
Terza edizione
Cinema Odeon
Piazza Strozzi - Tel: +39 055 – 214 068
Firenze
22 -23-24- 25 novembre 2010


Lo schermo dell'arte (2)


Come detto nella nota precedente, il Festival è diretto da Silvia Lucchesi.
Storica dell'arte, ha pubblicato libri, saggi e ha curato mostre di arte contemporanea. Ha realizzato il film “Senza titolo. Viaggio nell’arte moderna e contemporanea delle istituzioni pistoiesi” (2009). Ha collaborato con il Festival dei Popoli, curando la sezione Cinema e Arte (1992-1998, 2005-2007). Ha guidato rassegne video tra le quali Atlanti Futuri (Firenze, 2008), e cinematografiche dedicate alle arti visive contemporanee (Pistoia 1995, “Artecinema”, Napoli” 1996-97). Con la sua società ‘Silvy Produzioni’ ha prodotto il film “Perdere il filo” di Jonathan Nossiter (2000), presentato in festival internazionali e messo in onda da RaiSat e Sundance Channel (USA).

A lei, in foto, ho chiesto: quale la principale finalità espressiva del Festival?

Quella di raccontare l’arte attraverso il cinema, svelando l’universo creativo, e soprattutto umano dei protagonisti delle arti del nostro tempo. Lo straordinario successo della passata edizione del Festival dimostra che si tratta di una formula assai efficace per avvicinare un pubblico sempre più allargato alle forme e ai linguaggi del contemporaneo. Per questo motivo, abbiamo inserito nell’edizione di quest’anno una serie di nuovi appuntamenti, distribuiti in quattro giorni di proiezione, tra cui tre incontri con artisti e presentazioni di film d’artista, allargando così la tradizionale sezione di documentari dello “Schermo dell’arte”. In un’ ottica sempre più estesa di partecipazione e di riflessione.

Si sa che in Italia c’è scarsa attenzione verso questo tipo di produzione, ad esempio, i network tv italiani latitano. Hai una proposta che possa favorire la distribuzione di quei lavori aldilà dei Festival e occasionali proiezioni in Gallerie?

Guardo ai network tv satellitari, e a internet come un importante veicolo di comunicazione, in continua evoluzione, e confido che in questi contesti, tali film abbiano sempre più spazio, proprio come strumento educativo e di conoscenza, non solo rispetto all’arte ma in generale alla contemporaneità. Su tutti i livelli pesa il problema, sostanziale, degli alti costi di produzione e della difficoltà che tali opere possano trovare adeguati canali di distribuzione. Per rispondere alla difficoltà della diffusione, “Lo Schermo dell’arte” ha deciso di mettere a frutto la propria esperienza e la fitta rete di contatti per lavorare ad una serie di progetti tematici tesi proprio a favorire la circolazione dei film, a partire da quelli proposti nell’ambito del Festival, che rischiano altrimenti di non essere più visti. L’idea è di provare ad innescare un circuito virtuoso, quanto più esteso possibile soprattutto sul piano del coinvolgimento di enti e istituzioni.


Il Tibet di Maraini


Il MuVi (Musei Viadana) è patrocinato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Viadana e guidato da Afro Somenzari per la Fondazione Daniele Ponchiroli.
Nelle sue sale è in corso una mostra dedicata a fotografie, scattate in Tibet nel 1927 e nel 1948, da Fosco Maraini (ritratto qui accanto) .
Nato a Firenze nel 1912 (dove morirà nel 2004), scoprì il fascino della fotografia giovanissimo esponendo a soli 18 anni alla Mostra Nazionale di Fotografia Futurista di Roma. Il viaggio fu la sua condizione di vita e la fotografia divenne per lui una sorta di diario dei ricordi di tanti luoghi lontani da lui visitati; in particolare il Giappone dove visse a lungo, ma anche Turchia, Israele, Pakistan, India, Nepal, Thailandia, Cambogia, Cina e Corea.
Per una sua completa biografia: QUI.

Nel catalogo che accompagna la mostra, la figlia, la scrittrice Dacia Maraini, così lo ricorda: “Vedere mio padre sul letto di morte è stata una esperienza prima di tutto di sgomento e stupore infinito. L’ho sempre visto giovane e ardimentoso, pronto a un nuovo viaggio a una nuova avventura. Mai stanco, mai domo, mai segnato dalla fatica. Come poteva quel corpo ancora dritto e muscoloso, trovarsi disteso su un letto, incapace di muoversi ?
Nei sogni lo rivedo sorridente e pronto a ripartire. E’ il sorriso di chi non dubita della propria piccolezza di fronte agli spazi e ai tempi dell’universo, di chi crede in un pacifico e crudele interrogarsi sulle ragioni della vita: perché nascere? perché crescere? perché capire per poi dimenticare, perdere tutto e morire? La risposta non è data. E per quanto ci provino in tanti a suggerirla, e rivelarla e formalizzarla, in realtà rimane sfuggente e arcana. Si può dire che il suo sguardo di fotografo porta con sé quel sorriso di dubbio e di pensosa interrogazione. Così gli occhi giovani di Fosco guardavano il mondo, cercando di capirne l’essenza fumosa, cercando di svelare i piccoli segreti che accendono la fantasia, cercando una risposta alle domande più profonde dentro una nuvola, una roccia, un volto umano, un paio di mani, uno strumento musicale, una impronta sulla terra morbida.
Sono felice che, al di là del suo corpo giovanile tradito dalla morte, siano rimaste le testimonianze di quello sguardo, di quei moti del cuore che oggi parlano di lui dalle bellissime fotografie di un Tibet perduto
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MuVi
Galleria Civica d’Arte Contemporanea
Via Manzoni 2, Viadana (Mn)
Venerdì, sabato e domenica dalle 15.00 alle 19.00
Info: 0375 – 82 09 01 (negli orari di Galleria)
Fino al 9 gennaio 2011


L'atmosfera e l'effetto serra


Tra le pochissime case editrici che in Italia sanno fare letteratura scientifica per ragazzi, c’è la Dedalo con la Piccola Biblioteca di Scienza diretta da Elena Joli.
E' laureata in fisica teorica a Bologna con una tesi di gravità quantistica sui buchi neri. Ha continuato poi i suoi studi a Parigi con il DEA in Fisica Teorica (Ecole Normale Superieure, Paris VII Denis Diderot a Jussieu) e a Trieste alla SISSA (Scuola Internazionale di Studi Avanzati), dove ha conseguito il Master in Comunicazione della Scienza discutendo una tesi sul ruolo delle metafore nel linguaggio scientifico. Insegna fisica part-time in un istituto di scuola superiore, collabora con la casa editrice Dedalo di Bari in qualità di editor scientifico e con la Zanichelli di Bologna. Ha pubblicato come coautrice manuali di fisica e materiali multimediali. Di lei, ricordo ai più distratti, Le parole di Einstein insieme con Daniele Gouthier. Fa parte della compagnia di scrittura Officine Tinsuac – racconti di scienza.

Il più recente titolo, da poco in libreria, è L’atmosfera e l’effetto serra di Valérie Masson-DelmotteMarc Delmotte con illustrazioni di Charles Dutertre e grafica di Isabelle Dumontaux.
Libro ben concepito su uno dei problemi più d’attualità: l’aria che respiriamo.
Di che cosa è fatta l’aria? Cos’è l’effetto serra? Qual è l’origine dell’anidride carbonica? Perché l’anidride carbonica continua ad aumentare? E’ possibile ridurre il riscaldamento globale? Questi i titoli dei capitoli di un agile volumetto che si avvale di divertenti illustrazioni e di apparati che indicano ai ragazzi come fare semplici esperimenti, suggerimenti per approfondire gli argomenti in classe o a casa, un glossario dei termini usati nel libro.

A Elena Joli ho chiesto: nella collana da te diretta, qual è la prima cosa che ti sei proposta di fare e quale la prima che hai deciso d’evitare?

Platone nel ‘Teeteto’ diceva che “può dirsi saggio solo chi si meraviglia davanti al mondo”. Credo che i bambini siano capaci di provare e manifestare lo stupore e la meraviglia più toccanti, anche di fronte alle grandi domande della scienza di oggi, che sono le grandi domande di ognuno di noi. Per questo, la collana "Piccola biblioteca di scienza" è stata concepita per dare a bambini e ragazzi informazioni scientifiche di qualità e tentare di rispondere a tutte le loro piccole e grandi domande.
Volevamo coniugare la massima affidabilità scientifica dei contenuti a una chiarezza e semplicità dell’esposizione, evitando che i giovani lettori aprendo i nostri libri dicessero “Ah, la scienza è difficile, non capisco!” Gli autori sono scienziati di professione che hanno ascoltato e raccolto le domande e le curiosità dei bambini e dei ragazzi sulla scienza, e risposto in modo chiaro, conciso e divertente. Le storie raccontate fanno sempre appello all’esperienza collettiva e quotidiana dei giovani lettori in quanto ad ambientazione e riferimenti, vigilando sempre a restare coerenti con l'obiettivo prefissato, cioè quello di soddisfare i loro bisogni e le loro richieste
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Con "L’atmosfera e l’effetto serra", citato prima, ho notato, rispetto ai precedenti titoli una diversa impostazione del format editoriale.
A che cosa è dovuta questa scelta? Quali obiettivi si propone?

La collana è stata inaugurata quattro anni fa, e fin da subito ha suscitato l’interesse di insegnanti di scuola primaria e secondaria inferiore. Alcuni titoli sono stati letti in classe e sono serviti come valido supporto didattico: penso per esempio a temi come la gravità, la luce, l’ecologia, l’avventura della vita. Grazie anche all’esito di indagini condotte presso numerosi insegnanti, ci siamo resi conto che era necessario rinnovare la veste grafica, rendendola più congeniale a ragazzini sempre più abituati a sfruttare i supporti informatici e multimediali, dove i contenuti sono segmentati, interrotti da box di curiosità, rimandi a glossari e rubriche di approfondimento. Con “L’atmosfera e l’effetto serra”, i libri della collana conterranno quindi un testo più asciutto e una ricca sezione finale con consigli bibliografici, numerose proposte di esperimenti da fare a casa con commenti sui risultati ottenuti, e una sintesi dei concetti scientifici e delle parole più significativi.
I piccoli libri, che non superano mai le 80 pagine, sono come al solito illustrati da disegnatori e fumettisti professionisti, per dare risalto agli aspetti umoristici e immaginativi, e rendere così più facile la veicolazione dei contenuti scientifici che ci stanno a cuore
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Per una scheda sul libro: CLIC!

Valérie Masson-Delmotte
Marc Delmotte
“L’atmosfera e l’effetto serra”
Traduzione di Marcello Di Bari
Pagine 64 illustrate a colori
Euro 6.50
Edizioni Dedalo


SudLab


Ricevo un comunicato che volentieri rilancio.
Si tratta di una mostra d’arti visive a cura di Gabriele Perretta coadiuvato dai consulenti artistici Juan Puntes, Susie Lim.

"SudLab Italia è lieto di presentare - vernissage il 20 novembre '10 - Mediamorfosi 2.0 Act_01 Contributi alle lingue dell’arterità Between images, experiences and contexts.
La mostra si inserisce all’interno di un ciclo di tre eventi espositivi che hanno come motivo conduttore l’indagine e la documentazione delle ricerche artistiche contemporanee, espressioni della poetica mediale.
Attraverso il partenariato tra SUDLAB Italia e la prestigiosa galleria WHITEBOX di New York. Mediamorfosi 2.0 Act_01 accoglierà i lavori-video e le installazioni di artisti internazionali.

Opere di: Cesare Accetta, Hans Peter Adamski, Karin Andersen, Doris Bloom, Giovanna Brogna Sonnino, Elle Burchill, Rita Casdia, Cast, Daniela Cignini, Matteo Cremonesi, Fabrice De Nola, Gabriele Di Matteo, Anita Fontaine, Clemens Fürtler, Richard Garet, Piero Gatto, Raymond Harmon, Fathi Hassan, Ali Hossaini, Rosaria Iazzetta, Carlos Irijalba, Giuliana Laportella, Lello Lopez, Marko Mäetamm, Miltos Manetas, Antonello Matarazzo, Vedova Mazzei, Antonella Mazzoni, G.P. Mutoid, Henrich Nicolaus, Astrid Nippoldt, Derek Ogbourne, Fabrizio Passarella, Giulia Piscitelli, Christian Rainer, Franco Silvestro, Carl Skelton, Nello Teodori, Lucio Tregua.

Gli artisti invitati a partecipare all’evento sono accomunati dall’utilizzo, nei loro percorsi di ricerca, dei linguaggi e delle forme mediali come modalità di espressione, ibridazione e/o comunicazione.
Mediamorfosi 2.0 Act_01 esamina il mutamento nella storia dell’arte mediale attuale cercando di scattare una foto di gruppo su un’area work in progress. Il primo effettivo punto su cui si basa la verifica della rivoluzione mediale è data dal fatto che la moderna società sta diventando una società delle reti (TCP/IP) e che quindi una tale struttura condiziona, direttamente o meno, la disposizione stessa della pratica artistica ed estetica. Nell’era di Internet e dei social network cosa bisognerebbe fare? Si possono distruggere le radio e le televisioni e si possono bruciare i libri e i giornali? Oppure esistono altre soluzioni, che consentano di muovere dal piano della negatività e del rifiuto al piano della costruttività e dell’azione? La mostra vuole esporre con chiarezza, concisione, precisione e decostruzione le forme, le immagini, le esperienze e soprattutto i contesti che permettono all’arte contemporanea di autogestire e convivere con i tratti più radicali della mediamorfosi.

SUDLAB è un centro di Ricerca e Sviluppo Locale attraverso le Arti contemporanee e le Nuove Tecnologie della Comunicazione e dell'informazione applicate alla Cultura. Spazio aperto in continuo divenire. Un laboratorio aperto di ricerca artistica e culturale ad alto coefficiente tecnologico; spazio multiplo ideato per favorire le interazioni creative, la comunicazione delle espressioni e delle culture glocali, attraverso forme inedite di aggregazione interdisciplinari, utilizzo creativo e generativo dei nuovi media, supporto di progetti giovani ed innovativi".

Programme Manager: Antonio Perna
Web Art Director: Rosaria Millo
Ufficio Stampa: Diana Caccavale, Clementina Crocco, Francesca Di Fraia

SUDLAB: II Viale Melina 4-6, 80055 Portici (Napoli)
info@sudlab.com
Tel. +39 081 – 27 47 63
Mob +39 392 – 08 53 880


Real Sex


E' uscito l’atteso libro di Sergio Messina: Real Sex Il porno alternativo è il nuovo rock’n’roll.
112 vertiginose pagine con illustrazioni a colori, 9.70 Euro.
Edizione Tunué che con questo libro inaugura la nuova collana “Frizzz”.
Prefazione di Carlo Antonelli, direttore di Rolling Stone

Oltre che in libreria, è ordinabile: QUI.

Prossimamente, in Cosmotaxi, un’intervista all’autore di “Real Sex”.


Imperial bedrooms

Lungamente atteso dai tantissimi lettori di Bret Easton Ellis (qui la sua biobibliografia) è finalmente uscito Imperial bedrooms per la casa editrice Einaudi.
Questo suo più recente lavoro si caratterizza come il seguito del primo romanzo Meno di Zero che descriveva la cronaca delle vacanze di Natale del giovane Clay, eroe di un mondo senz’anima ed estremo. Quel libro portò Easton Ellis alla ribalta delle cronache letterarie quando aveva appena 21 anni, oggi ne ha 46. Il nuovo volume nasce dal desiderio di sapere come sono cresciuti e che cosa fanno, oggi a Los Angeles, i personaggi di quelle sue prime e lontane pagine i quali si muovono, o forse vengono agiti, in una città di cui l’autore dice … ti forza a diventare la persona che sei veramente. Non penso che sia quel tipo di città che ti permette di reinventarti. Puoi avere tanti amici, e una grande vita sociale, ma quella città ti isola. Spesso sei da solo. E non ti è permesso nasconderti.
Epifania metropolitana che porterà Clay, alla fine di questo romanzo, a misurarsi con la parte più oscura di se stesso.
Lo stile narrativo non deluderà i fans dello scrittore perché ricorda non solo “Meno di zero”, di cui è un sequel, ma, a volte, anche quello praticato in “American Psycho” da cui fu tratto, con qualche edulcorazione, l’omonimo film.
A proposito di quel libro, dirà l’autore: Gli attacchi violenti contro American Psycho furono causati dal mood ultraconservatore di un'era che metteva al bando i video di Madonna e chiudeva le mostre fotografiche di Robert Mapplethorpe. Fu un libro pionieristico, mi fecero a pezzi perché con la pretesa di scrivere della mia generazione, ero uscito dalla traiettoria trasformandomi in uno stomachevole Dr. Jekyll-Mr. Hyde. Se lo stesso libro fosse stato pubblicato da un'oscura casa editrice underground, nessuno avrebbe fiatato.

Ma chi è Bret Easton Ellis secondo Bret Easton Ellis?
Ecco alcuni passaggi tratti da un’intervista rilasciata ad Alessandra Farkas un anno fa.
Il padre: “Fu una relazione tormentata e sofferta la nostra, che ha segnato la mia intera esistenza. Quando morì all'improvviso d'infarto non ci parlavamo da tempo. Il libro Lunar Park è stato la terapia per riconciliarmi con lui. Penso a lui un giorno sì e un giorno no, e la sua ombra è sempre presente”.
L’amicizia con lo scultore Michael Wade Kaplan, il più grande amore della sua vita: “Fu stroncato da un ictus mentre tornava nel suo studio di Brooklyn, dopo una visita a casa mia. All'inizio ero certo che fosse colpa della droga, di cui entrambi facevamo uso. Ma il medico legale smentì la cosa”.
La letteratura gay. “Non so neppure cosa significhi il termine letteratura gay. Quando in libreria c’è una sezione di gay fiction, non ci faccio molta attenzione”.
L’autore preferito: “Mi piace David Leavitt. Ho letto tutti i suoi libri”.

In Imperial Bedrooms, ovviamente, ci sono molti riflessi di tutto questo.

Per visitare il sito dell’autore: CLIC!
Per una scheda sul libro: QUI.

Bret Easton Ellis
Imperial bedrooms
Traduzione di Giuseppe Culicchia
Pagine 148, Euro 18.00
Einaudi


Divorzio all'islamica


Per le Edizioni e/o (editrice che ha gran fiuto nella narrativa italiana e straniera) è uscito un libro delizioso: Divorzio all’islamica a viale Marconi. L’ha scritto un autore che un grande critico qual è Enzo Golino ha definito “il più originale degli immigrati che scrivono in italiano”: Amara Lakhous.
Nato ad Algeri nel 1970 vive a Roma dal 1995. Laureato in filosofia all’Università di Algeri e in antropologia culturale alla Sapienza di Roma, in questa stessa università ha conseguito il suo dottorato di ricerca con una tesi dal titolo “Vivere l’Islam in condizione di minoranza. Il caso della prima generazione degli immigrati musulmani arabi in Italia”. Nel 1999 ha pubblicato il suo primo romanzo, “Le cimici e il pirata” (Arlem Editore) in versione bilingue arabo/italiano, e nel 2003 ha pubblicato in Algeria il secondo romanzo in arabo, “Come farti allattare dalla lupa senza che ti morda”, successivamente riscritto in italiano con il titolo Scontro di civiltà per un ascensore in Piazza Vittorio (Edizioni e/o 2006). Con questo romanzo, tradotto in varie lingue, ha vinto nel 2006 il premio Flaiano per la narrativa e il premio Racalmare – Leonardo Sciascia. Nel maggio 2010 è uscito l'omonimo film, diretto da Isotta Toso.
Un interessante saggio sulla scrittura di Lakhous, a cura di Grazia Negro dell’Università di Salisburgo, si può trovare sul web QUI.
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“Divorzio all’islamica a viale Marconi” è una commedia nera con angoli di raffinato umorismo, ed è anche – come ha notato Paolo Fallai sul Corriere della sera – “Altro che novella d’immigrazione… Amara Lakhous parla di noi”.

E proprio a Amara Lakhous ho rivolto alcune domande.
Da quali tue osservazioni della realtà è nata l’idea di questo libro?

Ho abitato a viale Marconi quattro anni, questo romanzo è frutto di un'esperienza vissuta in prima persona. I temi del libro riguardano la comunità immigrata musulmana in Italia dopo gli attentati del'11 settembre 2001. Ho avuto modo di studiarla ed osservarla da vicino durante le mie ricerche accademiche alla Sapienza di Roma. Non posso raccontare una realtà prima di conoscerla bene. La letteratura si basa soprattutto sui dettagli. In questo senso l'improvvisazione non produce una buona narrativa.

Volendo associare il tuo romanzo ad un genere letterario, lo definiresti un giallo? Un eroicomico? O altro ancora?

Quando scrivo non mi pongo mai la questione del genere letterario. Non spetta a me, ma ai critici e ai lettori di farlo. Tuttavia, é vero che uso il giallo come sfondo per creare una trama. Sono un allievo di Leonardo Sciascia. Inoltre, mi piace molto la commedia, che io definirei nera perché fa ridere e piangere nello stesso momento. Per questo mi sento molto vicino ad un altro maestro: Ennio Flaiano.

Quali sono i temi e gli stili che oggi sono in primo piano nella letteratura algerina?

La letteratura algerina non é molto diversa dalla letteratura italiana di oggi, nel senso che non ci sono le grandi scuole o corporazioni di scrittori (spesso ideologiche) come nel passato recente. Ci sono esperienze individuali, non collettive. Troviamo autori che preferiscono il romanzo storico, altri il romanzo intimistico, e cosi via.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Amara Lakhous
“Divorzio all’islamica a viale Marconi”
Pagine 192, Euro 16.00
Edizioni e/o


Si riparano bambole

Sono trascorsi trentaquattro dalla morte di Antonio Pizzuto – nacque a Palermo nel 1893 e morì a Roma nel 1976 – uno fra i più grandi autori italiani del secolo scorso..
Eppure di lui in pochi sanno, e noi della setta pizzutiana mai saremo grati abbastanza a Gianfranco Contini che ebbe il merito di scoprire per primo questo scrittore, e, tra gli stranieri, a Michel Butor che ne fu grande sostenitore.
Perché Pizzuto non è noto? I motivi sono molteplici.
Pubblicò negli anni ’50 (prima troviamo solo la novella “Rosalia” nel 1912 e poi “Sul ponte di Avignone” nel ’38, addirittura firmato con uno pseudonimo: Heis), anni in cui la sinistra favoriva il realismo nazionalpopolare e avversava lo sperimentalismo; non solo in letteratura, pure nelle arti visive, nella musica, nel teatro.
Né certamente giovò a Pizzuto il fatto che avesse lavorato in polizia durante gli anni del fascismo, pur non risultando a suo carico colpe politiche.
E ancora: si diffuse intorno a lui la fama di praticare una scrittura incomprensibile, cosa questa che faceva fuggire molti editori.
Certo facile Pizzuto non è, eppure poiché la sua è una pagina musicale, se il lettore entra in quel ritmo, di colpo gli s’apre dinanzi uno scenario ch’è per niente impenetrabile.
A me pare, invece, piuttosto ostile una pagina tamarriana (la doppia ‘erre’ l’ho messa apposta) perché la Susanna con la sua panna mi fa ronfare già a pagina 3 stordendomi d’incenso. E, poverina, non è la sola a tormentarmi con libri che gli editori mi propongono in lettura per le recensioni che scrivo. Ce ne sono parecchi altri.
Alcuni documenti sullo scrittore li trovate sull’ottimo sito letturalenta guidato da Luca Tassinari. La sezione dedicata a Pizzuto (lettere, polemiche, curiosità, interventi critici) contiene anche un prezioso documento sonoro: la voce di Carmelo Bene (ardente ammiratore dello scrittore) che legge pagine tratte da “Signorina Rosina”.
Propongo anche un filmato in cui viene raccontato da Vanni Scheiwiller un gustoso aneddoto e lo stesso Pizzuto che legge un brano da un suo libro QUI.

Ora, Bompiani ha il grande merito di aver ripubblicato un capolavoro di Pizzuto: Si riparano bambole (1960).
Su quest’opera, Eugenio Montale disse: “E’ un libro che merita di essere letto e raccomandato, tanto acuto è lo sguardo di Pizzuto, ricca la sua esperienza di scrittore, penetrante il suo umorismo”.
Il volume esce a cura di Gualberto Alvino, uno dei massimi studiosi di Pizzuto, e s’avvale di una nota di Gianfranco Contini.

E proprio a Gualberto Alvino – autore, lo ricordo ai più distratti, del recente Là comincia il Messico – ho chiesto: qual è l’importanza di Pizzuto nello scenario letterario italiano.

Nessuna, nella maniera più assoluta. Ed è bene che sia così. Ogni epoca ha gli autori che si merita. Il tempo del Vecchio Cinese (così lo chiamavano i suoi amici Albino Pierro e Gianfranco Contini) è ancora di là da venire. Ricordi l'incipit di “Spegnere le caldaie”?: "Come spere a orza vagantile flussi ondose o tratte sinistrorso affondo sonoro vortice il banco avido, pur lattina calciata strenuo monellaccio, qui rotolare esse monotono su giù per tubulature dissecche or dado svitatosi, invisibile in borboglio, addentro una nerezza totale." Pizzuto (intendo ovviamente il Pizzuto estremo, essenziale, leggendariamente impenetrabile dell'ultima stagione "pagellare") è autore da assumere a piccole dosi, possibilmente in edizione critica, meglio se genetico-evolutiva, con armamentari di saperi e competenze da disgradarne un Leonardo. Credi davvero che ci sia posto per un siffatto gigante nell'attuale scenario letterario italiano, popolato di ‘scriventi-entertainers’ padroni di non più di venticinque parole?

Sono d’accordo. Nell'opera di Pizzuto quale rilievo ha “Si riparano bambole”?

È l’ultimo romanzo “leggibile” e compiutamente “figurativo” — come provano le sue molte, fortunate edizioni — col quale lo scrittore siciliano chiude definitivamente i conti con la tradizione narrativa e si prepara all’atroce scalata, quasi volesse disfarsi, dissipandolo in una vera e propria veemenza agglomerativa, del materiale eccedente la problematica ormai divenuta centrale nel suo progetto di letteratura: il linguaggio. Poi verrà “Ravenna” (1962), a segnare il punto di non ritorno nell’evoluzione stilistica pizzutiana, il compimento d’un’orbita e insieme il collaudo decisivo d’un modo di formare irreversibilmente proiettato verso gli esiti estremi delle ‘lasse’ e delle ‘pagelle’. Come credo d’aver dimostrato, “Bambole” è al tempo stesso un’opera godibilissima, a tratti esilarante, e una pietra miliare nella storia del genere romanzo.

Per una scheda sul libro: QUI.

Antonio Pizzuto
Si riparano bambole
a cura di Gualberto Alvino
con una nota di Gianfranco Contini


L'Ateo


E’ il bimestrale dell’Uaar che s’avvale della direzione di Maria Turchetto.
A dire il vero, stavolta bisognerebbe chiamare quella pubblicazione L'Atea perché la prima parte del periodico è dedicata a ritratti e storie di alcune donne molto combattive. Dall’alessandrina Ipazia (in uno scritto di Federica Turriziani Colonna ) alla russa Aleksandra Kollontaj (ne scrive Sabrina Faller), da Simone de Beauvoir (in un ritratto di Matteo Tuveri che intervista Claudine Monteil sulla scrittrice francese) alla tedesca Rosa Luxemburg (profilata da Maria Turchetto), alla russa Anna Politkovskaja (vista da Annapaola Laldi). Chiudono lo “special” articoli – ma meglio sarebbe definirli microsaggi – di Francesco D’Alpa “Il posto della donna nel creato”, di Marco Accorti “Un velo pietoso” sulla condizione della donna presso gli islamici, “La trappola del relativismo culturale” di Debora Picchi, un’intervista di Cam McGrath alla femminista egiziana Nawal El-Saadawi.
Il numero prosegue con altri articoli, recensioni, notizie dell’attività laica in Italia.
Ottima quest’impostazione del bimestrale nel dedicare ad un argomento centrale il numero (senza privarlo di una seconda parte dedicata a plurali interessi in rima con i problemi e i traguardi della laicità) perché permette di avere in casa su quel tema scelto interventi difficilmente reperibili altrove, perfino sul web.

L’abbonamento annuale costa 15 euro, per le modalità cliccate QUI.
Sono 15 euro spesi benissimo.


Parlando parlando

Il linguaggio del corpo è il più antico dei linguaggi. E’ il linguaggio non verbale.
Prima che le bocche degli uomini imparassero ad articolare il più rudimentale degli alfabeti, infatti, i corpi già parlavano in modo eloquente. L’attenzione alle parole, però, ha indebolito e offuscato la comprensione istintiva che ne avevamo un tempo. Insomma, il corpo parla, come sostiene Julius Fast in un lontano saggio che ebbe molto successo.
E’ molto loquace e parla di tutto, di aggressività, di potere, di sesso, anche quando tenta di mascherare ciò che passa in quel momento per il cerebello.

La casa editrice TEA ha mandato in libreria un volume di Thorsten Havener, proprio su questi temi, intitolato So quel che pensi.
L’autore, nato a Saarbrücken nel 1972, tiene conferenze, organizza seminari, conduce un programma tv in Germania, illustrando come sia possibile un’interpretazione del prossimo e di ambienti sociali attraverso pratiche che nulla hanno di magico, ma che a molti magiche appaiono. Questo accade perché tanti di noi credono d'osservare dati di una realtà oggettiva, ma finiamo col vedere e sentire ciò che i nostri sensi e i nostri convincimenti culturali sul mondo preferiscono notare.
Ne sanno qualcosa avvocati, giudici, detective alle prese con testimoni che, in buona fede, credono di aver visto un certo avvenimento e ne danno, invece, una descrizione distorta.
Fenomeni studiati in particolare dalla psicologia sociale, e dal costruttivismo.

Havener, nel suo libro, pur occhieggiando qua e là a qualche simpatia per fenomeni quali, ad esempio, lo sciamanesimo, con onestà intellettuale ammette che tanti fenomeni associati al paranormale tali non sono.
Cospicua è la documentazione – anche attraverso esempi ed esercizi proposti – di come sia possibile capire se chi ci sta dinanzi stia dicendo la verità o stia mentendo, su come praticare un discorso a due, oppure davanti a una platea, con una tecnica che porti efficacemente in primo piano l’argomento che più ci sta a cuore pur non apparendo, a chi ascolta, questa l'intenzione del parlante.
Non è un caso che tante aziende - per non dire dei messaggi pubblicitari - istruiscano i venditori attraverso corsi tenuti da specialisti della comunicazione.
Del resto, già Georg Friedrich Hegel nel 1816 diceva: “La lingua è il corpo del pensiero”.
Il linguaggio, verbale e non, crea la realtà.

Thorsten Havener
So quel che pensi
Traduzione di Alessandra Petrelli
Pagine 158, Euro 9.00
Tea


NWOISB

Quest’acronimo misterioso non diventa più tale quando si viene a sapere che sta per New Wave of Italian Spaghetti Bomb.
E’ questo il titolo di una mostra di Enrico De Carlo in corso a Torino al Mirafiori Motor Village.

Enrico De Carlo, trentacinquenne torinese, ha frequentato il Liceo Artistico e l’Accademia Albertina di Belle Arti, si è poi dedicato allo studio delle nuove tecnologie grafiche.
Nel 1999 entra a far parte dello Studio Nespolo di Torino come grafico/illustratore e contemporaneamente vara il progetto d’arte visiva che chiama Spaghetti Bomb.
Si tratta di un mix di tecnologia e tecniche classiche che si avvale di programmi di grafica vettoriale e 3D e di pennelli e bombolette spray su vari tipi di superfici, dalla classica tela, fino agli oggetti più disparati.
L'uso dissacrante d’icone classiche, mescolato alla creazione di personaggi da cartoon, sono gli ingredienti della realizzazione, la quale è coadiuvata dall'utilizzazione di colori violenti, fluorescenti e a volte accecanti.
Il linguaggio utilizzato da "Spaghetti Bomb" è un linguaggio popolare, che trae le proprie origini dalla pubblicità e i suoi copywriters, dagli anime giapponesi ai cosiddetti Art Toys, alla vena ludica dei videogames.
Nella mostra è esposta una parte delle opere realizzate per il progetto “Spaghetti Bomb”: circa trenta soggetti, dipinti con colori ad acrilico, bombolette spray, smalti e makers, provocando un incontro fra il passato e il surrealismo del XXI secolo.
L’artista cattura i suoi soggetti dalla vita quotidiana per mescolarli, come lui stesso dichiara, ai personaggi dei Cartoon Network, al mondo cinematografico di Tim Burton, alla fantascienza, alla moda, allo skateboarding o ancora alla fotografia bondage.

Per visitare la sua gallery: CLIC!

Ufficio stampa:
Emanuela Bernascone
tel 011 - 197 14 998 – fax 011 - 197 16 566

Enrico De Carlo
“NWOISB”
Mirafiori Galerie
Piazza Cattaneo, Torino
Ingresso libero
Fino al 28 novembre ‘10


Leanne Shapton


Segnatevi questo nome. Ha scritto (ma, forse, è meglio dire: ideato) uno dei libri più belli che mi sia capitato di leggere da molti anni a questa parte. Un libro straordinario.
Fosse possibile immaginare dopo le macchine dell’Oulipo un nuovo modo di fare letteratura, è questo.
Un congegno metanarrativo che naviga in modo anfibio tra parole e arti visive, che racconta una storia senza farne romanzo, che chiama in causa i principii dell’arte concettuale muovendoli in un nuovo percorso.
Da tempo sostengo che esistono romanzi brutti (tanti dei 40 che escono ogni giorno – dati dell’Associazione Italiana Editori – ma perfino (pochissimi) belli, però tutti soprattutto inutili). Che invano affaticano la marchesa di Valery costringendola ad uscire alle cinque in punto.
Conosciamo questo volume di Leanne Shapton grazie alle Edizioni Rizzoli che lo hanno pubblicato.
Il titolo è di lunghezza settecentesca Importanti oggetti personali e memorabilia dalla collezione di Lenore Doolan e Harold Morris. Compresi libri, abiti e gioielli.
L’autrice ricostruisce una storia d’amore durata quattro anni ipotizzando che l’immaginaria Casa d’aste Strachan & Quinn (con fantomatiche sedi a New York – Londra – Toronto) metta all’asta gli oggetti appartenuti alla coppia con i nomi nel titolo.
Il tutto seguendo lo schema dei cataloghi dei battitori d’asta, cioè suddividendo per lotti numerati gli oggetti con relativa descrizione degli stessi, la loro fotografia in b/n, e prezzo di partenza dell’incanto.
Ad esempio:

Lotto 1042
Serie di fotografie
Tre fotografie a colori della coppia, scattate dagli stessi H. Morris e L. Doolan, con una maschera di bellezza sul viso.
4 x 3,5 pollici
20 – 30 $

Oppure ancora:

Lotto 1212
Portafiori in ghisa
Quattro portafiori in ghisa, dipinti di verde; la vernice sulle basi è in parte scrostata.
Condizioni e dimensioni varie.
5 – 10 $

Attraverso questi oggetti – a volte regali scambiati fra i due, a volte acquistati da loro per comune volontà – scorre una storia affidata a scatti polaroid di sentimenti che il lettore intravede come disposti dietro un velario saturnino, momenti che mai sconfinano, grazie alle secche descrizioni degli oggetti proposti, nel sentimentalismo, sono ricordi, ricordi messi all’asta.
Cardarelli in una sua poesia scrisse “… i ricordi / queste ombre troppo lunghe per i nostri brevi corpi / eccoli già apparire / e tu non sei più che un ricordo”.
Biglietti di tram o del cinema, caffettiere, scarpe, agendine, cd, cravatte, lampade, copertine di libri, cartoline, tappeti un po’ logori, biglietti scritti a mano su tovagliolini di carta, tutto è gelificato in una visione di ciò che fu.
Non ci sono fremiti o emozioni voluti dalla Shapton (… mica è la Tamaro! O uno dei tanti che scrivono romanzetti gialli o d’altri colori… Né è una della New Italian Epic), se qualcuno prova brividi (e li prova, a meno che non si chiami Bondi o Ghedini) è chi legge.
Come fu possibile amarsi tanto e lasciarsi? È domanda che l’autrice provoca in noi senza chiederselo. L’algida macchina del catalogo è implacabile nell’enumerare i lotti, nel misurare altezze larghezze circonferenze, nell’indicare prezzi.
Oggetti, perché tutta la nostra vita è rintracciabile, e fatta, attraverso gli oggetti che ci circondano e assediano, alcuni si mantengono integri, altri s’incrinano, altri ancora scoloriscono. “E’ il nascere che non ci voleva”, scrisse una volta Céline.
Datemi retta, comprate questo libro (… a proposito, misura 23 cm x 18, pesa 295 grammi, costa 18.00 euro) e godrete di un nuovo modo (che resterà unico) di fare narrazione.
E’ possibile che dopo la lettura manderete al macero tanti romanzi della vostra biblioteca, gli scaffali resteranno più liberi, respireranno meglio. E voi con loro.

Per una scheda sul volume e la bio dell’autrice: CLIC!

Leanne Shapton
“Importanti oggetti personali e memorabilia dalla collezione di Lenore Doolan e Harold Morris. Compresi libri, abiti e gioielli”
Traduzione di Elisabetta Paniccia
Pagine 144 con riproduzioni di foto
Euro 18.00
Rizzoli


Scommemorazione di Giorgio Manganelli (1)

Il 28 maggio 1990 fui tra i molti che si sentirono più soli apprendendo che era scomparso uno dei più grandi fra gli autori contemporanei e unico nello scenario letterario italiano: Giorgio Manganelli.
Era nato a Milano il 15 novembre 1922.
Da un matrimonio durato pochi mesi, che tanto segnerà la sua vita, ebbe la sua unica figlia Lietta che a vent’anni dalla morte del padre rilancia una lodevolissima iniziativa – la esporrà nella seconda parte di questa mia nota – che pur nata ancora non esiste e questo è manganelliano assai.
Per conoscere la biobibliografia di Manganelli c’è un sito in Rete ideato proprio dalla figlia.

Giovedì 11 novembre all’Università di Pavia si terrà un convegno che ricorderà la figura e l’opera dello scrittore. Manganelli non avrebbe sopportato una commemorazione, ne avrebbe riso; la giornata è stata intitolata, quindi, giustamente: Scommemorazione.
Cliccate QUI e troverete tutte le informazioni sul convegno. Meritorio quant’altri mai perché non mi sembra che ai vent’anni trascorsi dalla scomparsa di Manganelli sia stato dato dai media italiani il rilievo che la ricorrenza meritava. Sul web quello che più si è mosso – e per niente la faccenda mi sorprende – è stato Luca Tassinari che ha provocato alquante cose (compreso questo mio servizio) con il suo blog letturalenta, uno dei migliori angoli della Rete in Italia; Luca è uomo di raffinate letture e autore di un imperdibile De te fabula narratur.

Manganelli ha avuto, ed ha, ammiratori anche in tanti altri nomi: da Italo Calvino a Renato Barilli, da Alfredo Giuliani a Carmelo Bene, da Gianni Celati a Enzo Golino, da Emanuele Trevi a Roberto Saviano, ma la lista è ancora più lunga; divenne noto con Centuria che gli valse il Premio Viareggio e fu il primo dei suoi volumi tradotto all’estero.
Nelle istruzioni alla lettura date a questo libro dal suo autore credo si trovi una chiave per entrare nell’universo manganelliano: Se mi si consente un suggerimento, il modo ottimo per leggere questo libercolo, ma costoso, sarebbe: acquistare diritto d’uso d’un grattacielo che abbia il medesimo numero di piani delle righe del testo da leggere; a ciascun piano collocare un lettore con il libro in mano; a ciascun lettore si dia una riga; ad un segnale, il Lettore Supremo comincerà a precipitare dal sommo dell’edificio, e man mano che transiterà di fronte alle finestre, il lettore di ciascun piano leggerà la riga destinatagli, a voce forte e chiara. È necessario che il numero dei piani corrisponda a quello delle righe, e non vi siano equivoci tra ammezzato e primo piano, che potrebbero causare un imbarazzante silenzio prima dello schianto. Bene anche leggerlo nelle tenebre esteriori, meglio se allo zero assoluto, in smarrito abitacolo spaziale.

Ha scritto Florian Mussgnug: “Spingendo al limite le possibilità della scrittura, avventurandosi in quel ‘linguaggio abitabile’ che lui stesso definisce come «oscuro, denso, direi pingue, opaco, fitto di pieghe casuali [...], totalmente ambiguo, percorribile in tutte le direzioni, [...] inesauribile e insensato», per l'autore di Hilarotragoedia, tutto è racconto, dal Baldus alla ricetta dell'Artusi. Tutto, naturalmente, tranne il romanzo”.
Ed eccolo in due dei suoi aforismi da me preferiti:
Basta che un libro sia un "romanzo" per assumere un connotato losco.
Lo scrittore sceglie in primo luogo di essere inutile.

Nel concludere questa prima parte di Cosmotaxi dedicata a Manganelli, v’invito a godere due sue imprese radiofoniche della serie “Interviste impossibili”.
Nella prima incontra Nostradamus, nella seconda Charles Dickens.
Le voci dell’astrologo e dello scrittore inglese sono entrambe interpretate da Carmelo Bene.


Scommemorazione di Giorgio Manganelli (2)

Lietta Manganelli (in foto col padre), unica figlia di Giorgio Manganelli, è nata a San Secondo Parmense nel 1947 quando lo scrittore aveva 25 anni. Ha vissuto con i nonni materni dopo il divorzio dei genitori e ha conosciuto il padre all'età di 17 anni. Da allora si è creato un sodalizio ed un'amicizia che andava al di là del fatto che si trattasse di padre e figlia, un'amicizia tra due adulti che si piacevano. Diplomata all'Istituto Magistrale e successivamente assistente di comunità infantile, si è sempre occupata dei problemi dell'emarginazione.
Donna di finissima intelligenza e grande cordialità, è autrice di due splendidi libri: Album fotografico di Giorgio Manganelli e Circolazione a più cuori.
E’ intervenuta nel volume collettaneo “Scritti in onore di Giorgio Manganelli” (Editori Riuniti, 2000) con pagine intitolate La mia famiglia.
Segnalo anche due interessanti interviste. La prima, rilasciata a Ugo Cornia che l’ha intitolata “Mio padre non solo era inutile ma anche dannoso” (sta in: Giorgio Manganelli, “Il delitto rende, ma è difficile”, Comix 1997); ne trovate una parte su letturalenta.
L’altra è condotta da Francesco Verso: CLIC!

Ora ha firmato una lettera aperta rivolta a quanti amano la figura di suo padre.
Per leggerla: cliccare QUI.
Poiché nei tempi bui che stiamo vivendo in Italia c’è da fare poco o nessun affidamento sulle istituzioni, c’è da augurarsi che quanti di noi sono debitori a Manganelli di felici ore di lettura delle sue pagine, si mobilitino concretamente per sostenere l’iniziativa versando un contributo (fra poco apprenderete come) e facendo conoscere la cosa attraverso gli strumenti che abbiamo a disposizione: web, radio-tv private, interventi sulla carta stampata, annunci durante le manifestazioni culturali alle quali si partecipa.

A Lietta Manganelli ho rivolto alcune domande.
Su quali programmi intendi articolare il Centro Studi?

I programmi del Centro Studi? E’ presto detto: recuperare “tutti” gli scritti sparsi di mio padre, e credetemi per uno che ha scritto dovunque, per chiunque e su qualunque cosa, non è impresa da poco. Quindi ricerche presso archivi, e anche soffitte e cantine quando gli archivi non esistono, emeroteche e quant’altro, non trascurando incontri diretti con persone che hanno conosciuto mio padre e che hanno cose molto interessanti da dire.

Come fare per inviare un contributo?

Le soluzioni sono due: conto corrente bancario: Cassa di Risparmio di Firenze, filale 5024 Navacchio (Pisa).
IBAN: IT77 Z061 6070 9510 0000 0004 248, Intestato a Manganelli Amelia Antonia.
Oppure Postepay 4023 6004 5085 3959 sempre intestato a Manganelli Amelia Antonia
.

Chi è stato Giorgio Manganelli per la figlia Lietta?

Un padre dolcissimo ed assente, dolcissimo nei primi anni della mia vita, quando mi chiamava “torta fritta” e mi raccontava favole assurde e stralunate. Presentissimo nella sua assenza negli anni della separazione, circa 15, quando la sua “presenza” si concretizzava in malinconie, nostalgie e domande e risposte sussurrate a denti stretti. Poi, dopo il nostro stralunato “riincontro”, la “creazione “ di un rapporto vitale e fortissimo, fra due persone che si volevano un gran bene e che “per caso” erano padre e figlia.


Circus Dark Queen


La Compagnia “Colori Proibiti” presenta in prima nazionale a Roma, al Teatro Ulpiano, da lunedì 8 novembre, Circus Dark Queen ricordando Antonio e Cleopatra di Shakespeare: testo e regìa di Stefano Napoli.

In foto: immagine tratta dalla locandina.

Circus Dark Queen, è uno spettacolo ispirato a uno dei miti della storia e della letteratura: Cleopatra.
Il regista ripercorre le vicende di potere e passione, delle quali la regina d’Egitto è protagonista. Lo fa attraverso una successione di flash, creando un corto circuito di citazioni colte e materiali popolari, di musica raffinata e canzonette, di luci sapienti (guidate da Mirco Maria Coletti che illuminano una scena di arredi essenziali e i corpi degli attori (Francesca Borromeo, Simona Palmiero, Luigi Paolo Patano, Giuseppe Pignanelli), quei corpi ai quali la narrazione è affidata quasi integralmente.
Stefano Napoli non è nuovo a lavori di rivisitazione di testi e figure del mondo antico, ricordo, infatti, che Cosmotaxi si occupò di lui in occasione del suo Io non ti salverò una nuova versione dell’Ifigenia di Euripide.

Nelle note di regia, egli scrive: “La Dark Queen è Cleopatra e va in scena con la sua leggenda nera e il suo amore per Antonio. Ma Hollywood è lontana. Siamo piuttosto dalle parti del circo, un circo alla buona, come se ne vedevano una volta nei piccoli paesi. Però non potevano mancare le belve feroci e neanche il domatore, i lustrini e la fatica, insomma un impasto di crudeltà e sentimentalismo.
Innumerevoli sono le opere letterarie, pittoriche, filmiche e musicali ispirate a Cleopatra, ma per lo spettacolo si ringraziano soprattutto William Shakespeare per lo struggente poema della fine, Cecil B. De Mille e Claudette Colbert per la sfacciata ironia, il pittore Guido Cagnacci per la superba teatralità che ha impresso alla morte di Cleopatra e infine una ignota marca di saponette rinvenuta in un supermercato di Parigi che commercializza il suo prodotto con il nome Cleopatra e naturalmente una lucida carta dorata, perché l’oro, vero o falso che sia, sembra avvolgere tutto il mito di Cleopatra.
Tutto è smisurato in lei: lusso, avidità, brama di potere, passione, ferocia, dignità nella morte. Forse avrà vissuto come su un palcoscenico, consapevole di essere guardata e attenta all'effetto che produceva e forse, come avviene a teatro, le splendide sete erano solo stracci ben illuminati.
Nello spettacolo ho pensato a lei come alla protagonista di Scarpette rosse: una creatura giovane e bella, nella pienezza della vita, che entra in un ruolo e non può più disfarsene e balla e balla fino allo sfinimento e alla morte
.

Parallelamente allo spettacolo, è allestita la mostra My Own Stuff di Dario Coletti, docente e responsabile del settore reportage presso l’Istituto Superiore di Fotografia e Comunicazione Integrata di Roma, e presso la Scuola di Etnografia Visiva diretta da Francesco Faeta.
Ha scritto Sandro Iovine: “In My Own Stuff Dario Coletti, invece di analizzare il mondo esterno a lui, mira a trasformare le forme esteriori in indizi introspettivi attraverso i quali scandagliare la propria esistenza. Si può dire che si trasformi contemporaneamente in una sorta di archeologo, semiologo e antropologo di se stesso, facendo diventare - in un continuo gioco di cambi di prospettiva - ogni oggetto, persona, situazione o spazio un paesaggio familiare per l’osservatore”.
Dario Coletti è affascinato dal lavoro di Stefano Napoli ormai da dieci anni, durante i quali, ha spesso fermato attimi delle prove, degli spettacoli e delle pause fotografando non soltanto le persone, ma anche gli oggetti di scena, angoli di scenografie.
Nella mostra, saranno esposti gli scatti più significativi di questo percorso.

Ufficio Stampa: Simona Carlucci; tel. 0765.423364 – 335.5952789; carlucci.si@tiscali.it

Colori Proibiti presenta
“Circus Dark Queen”
Roma - Teatro Ulpiano
Via Luigi Calamatta 38
Da lunedì 8 al 28 novembre 2010
Poi in tournée


Come non scrivere un romanzo

Nel 1963, Umberto Eco pubblicò “Diario minimo” famoso per la celebre ‘Fenomenologia di Mike Bongiorno’ e l'altrettanto celebre ‘Elogio di Franti’. Quel libro si chiudeva con un altro effervescente esercizio di scrittura intitolato ‘Dolenti declinare’. S’alludeva alla frase usata dalle case editrici nell’atto di respingere testi. In esso, Eco immagina di ricevere, da lettore editoriale, i più grandi capolavori della letteratura mondiale (da "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust a "Il processo" di Kafka, dalla "Divina commedia" alla "Bibbia") e di rispedirli ai rispettivi mittenti, invitandoli a modificarne la forma o i contenuti in base alle annotazioni allegate, per renderli maggiormente appetibili al pubblico.
Al di là di quel paradossale lettore, è noto che gli editori sono quotidianamente assaliti da un’incredibile quantità di manoscritti spediti da aspiranti romanzieri. Talvolta, anche il lettore più esperto e assennato può sbagliare nel respingere libri che meritavano, invece, diversa accoglienza, gli esempi non mancano. Esempi che, però, statisticamente, non sono di numero tanto rilevante quanto gli autori respinti adducono per confortarsi e credersi degli incompresi. In altre parole, i lettori editoriali sbagliano sì pure, ma di rado.
Il primo degli errori commesso dai mittenti è quello d’inviare una ballata in versi alessandrini a un editore che non si occupa di poesia, ma di trekking alpino oppure di medicina legale tanatologa.
Ammesso, per comodità d’ipotesi, che il testo rientri nella linea editoriale della casa editrice raggiunta (o bersagliata?), altri errori nella composizione del testo sono malignamente in agguato.

Per evitare quei fatali errori agli aspiranti scrittori, è assai utile e consigliabile la lettura di un libro, istruttivo e divertente al tempo stesso, pubblicato dalla Casa Editrice Corbaccio.
Si tratta di Come non scrivere un romanzo Una guida per evitare i 200 errori più comuni. Ne sono autori Howard Mittelmark e Sandra Newman.
Lui, scrittore ed editor, pubblica recensioni e saggi su New York Times, Washington Post, Philadelphia Inquirer, Hollywood Reporter e Writer’s Digest.
Lei scrive per Harper’s e Granta.
Entrambi hanno scritto romanzi. Si sa, nessuno è perfetto.
I redattori editoriali sono divisi sul come scrivere un romanzo, ma uniti nell’enunciare le regole minime su come non scrivere un romanzo. Ecco perché i due autori nella prefazione affermano: … centinaia di romanzi non pubblicati e impubblicabili sono transitati sulle nostre scrivanie, se foste stati con noi avreste tratto le nostre stesse conclusioni. Non pensate a noi come degli istruttori di guida. Considerateci alla stregua di un navigatore satellitare.
Abbiamo così preziose indicazioni sugli errori da evitare nell’avvio delle narrazioni e nei finali, nel delineare i personaggi, nell’ambientazione, sugli sfondi storici, su come tenere desta l’attenzione del lettore.
Tenendo conto degli (ben duecento!) errori assolutamente da evitare, si diventa come Thomas Mann o James Joyce? No. I primi a dirlo sono Mittelmark e Newman. Si eviterà, però, che il lettore editoriale già ronfi a pagina 3.
E’ chiaro che “Come non scrivere un romanzo” si rivolge a chi abbia intenzione di fare narrativa tradizionale e non sperimentale, insomma un romanzo con trama, personaggi, episodi, sia che si tratti di un romanzo cosiddetto di formazione, sia di biografia romanzata, storico, oppure giallo, rosa, noir… e gli altri colori metteteli voi.
Gli esempi delle cose da non fare sono esemplificati in gustosissimi brani inventati – o, chissà, hai visto mai? – tratti da pagine realmente esistite di autori bocciati.
Ho provato a leggere di seguito quei brani, n’è venuto fuori un romanzo a mezza strada fra l’école du regard e il Gruppo ’63, non sarò mai abbastanza grato a Mittelmark e Newman di avermi offerto quella lettura.
Questo libro, però, a mio avviso, un difetto ce l’ha. Ai 200 errori saggiamente esposti, ne manca 1. Quale? In verità, me l’ha suggerito una famosa marchesa che non ne può più d’uscire puntualmente alle cinque: non scrivere romanzi.
Ne escono – dati dell’Associazione Editori Italiani – quaranta al giorno! Possono bastare. La carta è stanca. Non aggiungiamo nuovi sfinimenti a quella tombale spossatezza.

Per una scheda sul libro: QUI.

Howard Mittelmark – Sandra Newman
Come non scrivere un romanzo
Traduzione di Rita Giaccari
Pagine 224, Euro 18.60
Edizioni Corbaccio


Stelle su misura

"Un aruspice non può incontrare un altro aruspice senza ridere."
Marco Tullio Cicerone.
“La conoscenza degli effetti e l'ignoranza delle cause produsse l'astrologia”.
Giacomo Leopardi.
150 anni dopo, Umberto Eco: “Si nasce sempre sotto il segno sbagliato e stare al mondo in modo dignitoso vuol dire correggere giorno per giorno il proprio oroscopo”.

In un’intervista su questo sito, mesi fa, Margherita Hack mi disse: “Sul Corriere della Sera del 22 marzo 2004 comparve un paginone dedicato alla scoperta del pianetino Sedna. Accanto a un articolo mio, fu pubblicato un articolo di un’astrologa pieno di stupidaggini, facendo credere ai lettori meno smaliziati che astronomia e astrologia sono ambedue egualmente attendibili”.
Meravigliarsene? Forse no.
Sui Tg, perfino della tv pubblica, accanto alle, spesso, drammatiche notizie dei nostri giorni, appare, quotidianamente, un oroscopo dato quasi fosse una notizia di cronaca. Salvo, poi, a sbagliare, come accaduto al Tg 1 Rai di Minzolini, i risultati della schedina Superenalotto.

Panzane previste da astrologi per il 2009? Cliccate QUI.
Ecco perché, giudiziosamente, Piergiorgio Odifreddi dice: “Fermate gli oroscopi e date maggior spazio alla divulgazione scientifica. I rimedi: niente oroscopi negli spazi destinati all'informazione. Secondo, sottolineare esplicitamente che l'astrologia non è una scienza. E non lo è per buoni motivi: le costellazioni sono solo immagini costruite dall'uomo. In realtà non esistono, le stelle che le compongono sono lontanissime fra loro. E ancora, le costellazioni sono tantissime. Quelle classiche sono circa sessanta. L'astrologia occidentale ne considera solo dodici, quella cinese invece esamina quelle polari. Gli astrologi dovrebbero spiegare perché usano solo dodici costellazioni, mentre quelle sull'eclittica (il piano immaginario che passa attraverso il Sole) sono tredici. L'Ofiuco o Serpentario non serve a niente?.... Dal punto di vista astronomico non ha senso pensare che nel corso di un anno il Sole rimanga fermo nelle costellazioni per un periodo di tempo definito. Ogni tanto sta di più in una costellazione e ogni tanto di meno in un'altra.
Infine, c'è il problema della precessione degli equinozi: ogni duemila anni lo Zodiaco si sposta di un segno. Gli astrologi ne tengono conto?".

Chi di tutto questo tenne conto, esercitandosi in un saggio tra il sapiente e il divertito, fu Theodor W. Adorno (1903- 1969), filosofo, sociologo e musicologo tedesco che, in Stelle su misura L’astrologia nella società contemporanea, pubblicato ora da Einaudi, stroncò con l’imbattibile logica che gli apparteneva, astrologi e altri venditori d’improbabili destini.
L'autore è stato uno dei maestri della Scuola di Francoforte. Tra le sue opere, presso Einaudi, ricordiamo: “Minima moralia” (1954, 2003), “Filosofia della musica moderna” (1959, 2002), “Dialettica dell'illuminismo” (in collaborazione con M. Horkheimer, ultima edizione 2010); “Introduzione alla sociologia della musica” (1971), “Terminologia filosofica” (1975), “Beethoven” (2001); “Immagini dialettiche” (2003); “Dialettica negativa” (2004); “Teoria estetica” (ultima edizione 2009).
Nel 2005 Einaudi ha inoltre pubblicato “Mahler”, nel 2006 “Metafisica”, nel 2008 “Wagner”.
Un suo aforisma: “L'occultismo è la metafisica degli imbecilli".

Ed eco un eloquente passaggio che traggo da “Stelle su misura”: Forse si può considerare simbolico il fatto che, all’inizio dell’epoca che ora sembra giungere alla fine, il filosofo Leibniz, il quale fu il primo a introdurre il concetto di inconscio, fu anche quello che – nonostante la sua mente tollerante e pacifica (talvolta si firmava Placidius) – disse che provava un profondo disprezzo per quelle attività intellettuali che avevano per fine l’inganno, e citava l’astrologia come l’esempio principale di tali attività .

Sia che voi crediate negli oroscopi, sia che voi non ci crediate, v’invito a leggere questo piccolo, rapido, saggio di Adorno che smonta il meccanismo psicosociale degli oroscopi citando anche episodi d'involontaria comicità rilevate su giornali e periodici.

Per una scheda sul libro: QUI.

Theodor W. Adorno
“Stelle su misura”
Traduzione di Nicola Paoli
Cura editoriale di Luca Baranelli
Pagine 150, euro 11.50
Einaudi


Magica e velenosa

Segnalo oggi una nuova festa di pagine di Valerio Magrelli in libreria.
Gli Editori Laterza, infatti, hanno pubblicato Magica e velenosa Roma nel racconto degli scrittori stranieri.
Ricordo ai più distratti che nelle stesse edizioni, di Magrelli, troviamo Profilo del dada; La vicevita; Nero sonetto solubile.
Per Einaudi, abbiamo il recente Addio al calcio.

“Magica e velenosa” è un percorso fra i viaggiatori del Grand Tour, ma non somiglia ai tanti libri sullo stesso tema perché è rigorosamente arbitrario come lo stesso autore scrive in apertura chiarendo ai lettori che ha preferito “la strada dell’arbitrio piuttosto che della sistematicità, svolgendosi tutta ‘per forza di levare’. In altri termini, non ho fatto che ritagliare un piccolo percorso, quasi una serpentina, all’interno di un panorama sconfinato come quello degli scrittori e delle scrittrici stranieri in visita a Roma”.
In quell’arbitrio c’è, però, del rigore perché nel riferire giudizi, citare opere e aneddoti, Magrelli compone – contrapponendo valutazioni positive e negative sulla Città Eterna – un mosaico né
encomiastico né dispregiativo, ma icastico della letteratura su Roma di quel tempo.
Inoltre, è una testimonianza a specchio perché fornisce sì documenti di molti autori sulla città visitata, ma le scelte dei loro nomi indica al tempo stesso un tracciato critico voluto da Magrelli; non a caso scandito dalle stazioni che connotano i capitoli: Furti, Amori, Rovine, Società, Cultura, Natura, Politica.
Da qui la singolarità di un libro frizzante e godibilissimo, dal ritmo assai veloce che inanella aforismi, brani di opere in prosa, poesie, corredando il tutto con un’iconografia ragionata con sguardi anche sull’oggi: dal Colosseo visto da William Turner fino a una copia della Basilica di S. Pietro fatta con 10 milioni di lattine di Coca-Cola, da un quadro di Ducros a un fotogramma del film “The Core”.

A Valerio Magrelli ho rivolto alcune domande.
Quali furono le ragioni che animarono il Grand Tour?

Prima di diventare un’immensa industria, per molto tempo il viaggio in Italia corrispose a un’esperienza specificamente educativa. Fiorito nel diciottesimo secolo, il Grand Tour costituiva sia un momento indispensabile per la formazione dei giovani, sia un’autentica prova iniziatica. La sua destinazione fu l'Italia, e il suo centro Roma, ma una Roma diversa dalla Città di Dio. Al pellegrinaggio religioso praticato nel medioevo, finì per subentrare quello profano: non si partiva più per ottenere un'assoluzione, bensì per scoprire, cogliere e rivivere il sommo passato classico e umanistico.

A te che hai studiato quel fenomeno e i suoi protagonisti chiedo: l’immagine di Roma dai loro scritti esce più magica? Più velenosa?... Le due squadre pareggiano?

Indubbiamente a trionfare è la magia di una fra le città più complesse mai esistite. Ma il veleno che tanti scrittori riversano contro Roma è in genere dovuto al dispetto e alla delusione che provano davanti all’incuria dei suoi amministratori e dei suoi cittadini. Inoltre, fino all’avvento del regno d’Italia, il senso civico di un viaggiatore europeo restava inorridito dall’incontro con uno stato teocratico, arretrato e repressivo. Da qui lo scandalo di tanti visitatori.

Nelle pagine del tuo libro sfilano tanti scrittori noti e meno noti con i loro giudizi su Roma. C’è uno scrittore di cui vorrei sapere il giudizio su Roma: Valerio Magrelli.
Non mi riferisco alla Roma del Grand Tour, ma alla Roma di oggi…

Il mio giudizio si attaglia perfettamente al titolo del libro.
Trovo infatti che Roma continui ad essere magica, malgrado il veleno che circola in lei, a causa della cronica incapacità che i suoi abitanti mostrano nel valorizzarla. Sperperiamo giorno dopo giorno un tesoro che altri saprebbero far risplendere in tutta la sua grandezza
.

Per una scheda sul libro: QUI.

Valerio Magrelli
Magica e velenosa
Pagine 120 con illustrazioni
Euro 12.00
Editori Laterza


Gioca e fai

“C'è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; i ragazzi non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri”.
Così Bruno Munari (1907 - 1998), grafico e designer italiano ha scritto in “Fantasia”.
Quella vecchia signora rassomiglia tanto a molta letteratura per ragazzi che - pur migliorata rispetto a quella di anni fa – spesso fallisce i suoi obiettivi di comunicazione.
I più ricorrenti difetti: sbagliare il target di età facendo libri troppo complessi per i più piccoli e troppo semplici per i più grandi; non aver compreso i segnali della nostra epoca che con l’animazione cinematografica, tv, i videogiochi, ha reso la percezione dei ragazzi diversa da quella di un tempo; usare una lingua che non riesce a coinvolgere i lettori cui è destinata. Per quest’ultimo difetto, mi piace ricordare una poesia di Gianni Rodari sul tema:

La mia analisi è un po' colta:
Sai che i giochi di una volta
Hanno, sì, qualcosa in più?
Indovini? La vocale U.
Ti par poco?
Per gioco si diceva giuoco
.

Livio Sossi, saggista, docente di Letteratura per l’infanzia all’Università di Udine, autore del saggio “Scrivere per i ragazzi” (Campanotto Editore), rispondendo a un’intervista di Mary B. Tolusso che gli chiede “Come scrivere per i ragazzi oggi? Quale linguaggio usare?” Così risponde: “Tra i registri stilistici, è da preferire sicuramente quello ironico, possibile a tutti i livelli, basti pensare che si può fare dell’ironia anche nella divulgazione scientifica […] I ragazzi si riconoscono in quello che leggono. Il problema dell’accostamento dei giovani alla lettura è determinato principalmente dalla necessità di riscoprire se stessi nella scrittura. Ecco perché in questo tipo di letteratura si presentino pure delle espressioni colorite, al limite anche le parolacce, o un linguaggio che deriva dai media, dalle formule degli sms. È necessario liberare la scrittura per l’infanzia dall’enfasi inutile, dall’eccessiva aggettivazione o dai “diminutivi”. Pare quasi che tutto il mondo del bimbo sia minuscolo, ridotto o riduttivo. Questo il bambino non lo accetta”.

Una casa editrice che tutto ciò lo ha capito da anni e lo pratica nelle sue pubblicazioni è Editoriale Scienza che si misura nel campo più difficile della letteratura per ragazzi: quello destinato all’illustrazione di temi scientifici.
Ne è una prova il recente volume Gioca e fai terra, aria, ombre e luci a cura di Roberto Papetti che s’è avvalso della collaborazione ai suoi testi di Beatrice Ballanti, Primo Fornaciari, Mascia Lucci e delle illustrazioni di Vittorio Belli, Filippo Farnetti, Marco Paci.
Il libro è un felicissimo incontro tra comunicazione scientifica e giochi di verifica da fare con materiali riciclati.
Ad esempio, nel dare indicazione su come, con pochi elementi facili da trovare, si possa ottenere un humus per lombrichi, fa precedere le istruzioni da pagine che vedono protagonista Darwin e informa sul perché lo scienziato si dedicò a quelle umili creature tanto da dedicare loro parte della sua vita nonché il suo ultimo lavoro nel 1881, un anno prima di morire.
Oppure, altro esempio, istruendo sul come fare in casa un teatro delle ombre, il volume accompagna le indicazioni a una storia di quel teatro dalle antichissime origini.
Ma nel libro, sempre con la stessa formula a un tempo istruttiva e giocosa, si parla anche di storia degli aquiloni, dei caleidoscopi, e del modo di realizzarli.
Ecco perché segnalo “Gioca e fai” con particolare convinzione.

Per una scheda sul libro: CLIC!

A cura di Roberto Papetti
“Gioca e fai”
Pagine 144, Euro 12.90
Editoriale Scienza


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