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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

A Sud di nessun Nord (1)


A sud di nessun nord è un Festival che si svolge nel centro storico di Asti in una serie di spazi compresi tra l’ex chiesa San Michele e Palazzo Ottolenghi.
E’ ideato e organizzato da Nomadi e Stanziali, Associazione culturale che amplifica sul territorio dove agisce (e questo Festival n’è una prova) temi, problemi, dinamiche del nostro tempo legando tali percorsi all’idea del viaggiare sia in senso fisico sia in quello metaforico: viaggio di pensieri, di speranze, di ricerca.
Dicono alla sede di “Nomadi e Stanziali”: Ogni viaggio ha un doppio atlante: una geografia fisica e una passionale. Da una parte i luoghi e dall'altra l'esperienza. E ogni viaggio genera altri viaggi con il mai chiarito dubbio se venga prima l'atto del viaggiare o quello del narrare e quale dei due si sottometta all'altro.
Ogni viaggio è un viaggio a Sud, verso le radici, un uscire dalle coordinate alla ricerca del calore della nostra natura, errare che brama conoscenza e desidera, paradossalmente, il ritorno a casa. Il Sud come elemento unificatore del viaggio, un Sud ovviamente non geografico e quindi, prendendo a prestito un'immagine di Bukowski: il sud di nessun nord

Per il programma, cliccate QUI
Per Informazioni: 0141 – 35 27 13


A Sud di nessun Nord (2)


Di A sud di nessun nord, a Mimma Bogetti, operatrice culturale astigiana che è nel team degli organizzatori, ho chiesto d’illustrare questa iniziativa.
Giovedì 1 giugno alle 18:00 ad Asti la costruzione di una yurta mongola e il saluto al Viandante di Erri De Luca daranno il via al Festival ‘A Sud di Nessun Nord’.
Quattro giorni dedicati al tema del viaggio che fino a domenica 4 trasformeranno il centro storico in un crocevia di scrittori, giornalisti, fotografi, musicisti, studiosi di varie discipline.
Ottanta ospiti nel cuore del Monferrato daranno vita a incontri e concerti, reading, mostre e proiezioni per guardare all’attualità, alla letteratura, alla storia.
Viaggi oltre confine, lungo i fiumi del mondo, tra Sud America e Siberia, battuti da Ettore Mo e fotografati da Luigi Baldelli, o sulle tracce di Gerusalemme, la città delle tre religioni, con Vittorio Dan Segre e Paolo De Benedetti.
E poi in Italia. L’Italia di ieri raccontata e mostrata da Mario Soldati che viene ricordato con un film e come il primo mediaman a cento anni dalla nascita.
L’Italia di oggi: nera, vitale o beffarda dei porti (Genova, Napoli e Livorno), quella della provincia, attraversata dal celebre giro ciclistico con Gianluca Favetto, e quella dimenticata, dei paesi con meno di 5mila abitanti, scandagliata da Franco Arminio e Sabrina Provenzani.
Viaggi disperati: a dieci anni dall’affondamento di un battello carico di 283 immigrati nel canale di Sicilia, uno spettacolo di Bebo Storti ricostruisce la più grande tragedia navale del Mediterraneo dai tempi della seconda guerra mondiale.
Geografie e storie personali, anche nel giorno della festa della Repubblica, con Enrico Deaglio e la redazione di Diario, al primo decennale di vita, e lungo le piste che dagli Appennini portano alle vie dell’Europa e dell’Asia Centrale con Giovanni Lindo Ferretti.
Non mancheranno i viaggiatori veri che l’andare lo praticano col piglio del pellegrino o dello sportivo, a piedi, in bicicletta o in barca. Come Alex Bellini, il navigatore solitario che, partito da Genova lo scorso settembre, è arrivato sulle spiagge di Fortaleza in Brasile nei giorni scorsi dopo aver attraversato il Mediterraneo e l’oceano atlantico a remi.
Tutto questo, e altro ancora, grazie a molte associazioni e oltre 60 volontari. Ogni evento del festival è gratuito, ¬come gratuito è il passaporto in cui ciascuno si può dichiarare Nomade o Stanziale
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A sud di nessun nord (3)


Tra gli artisti che saranno ricordati in questo Festival, insieme con Mario Soldati e Ottiero Ottieni, c’è Valerio Miroglio.
Gli organizzatori del Gruppo Nomadi e Stanziali che ha ideato il Festival mi avevano invitato a parlare di lui, purtroppo impegni di lavoro nomade mi hanno impedito d’essere stanziale ad Asti come mi sarebbe piaciuto.
Certamente meglio di me farà Antonio Catalano (già previsto in programma) che parlerà di Valerio e della sua avventura umana ed espressiva.
Spero che in Italia ci siano altre occasioni per parlare di Miroglio (una sua antologica fu allestita tempo fa da Rossana Bossaglia), perché è un artista che lo merita, anticipando con il suo lavoro tante cose che oggi sono considerate novità.
Pittore, scultore, scenografo, autore di testi teatrali e radiofonici,
ci ha lasciati nel 1991.
Nato a Varese, è però sempre vissuto ad Asti e molto deve la città a lui, alle sue realizzazioni artistiche, al suo impegno politico, agli stimoli culturali che ha prodotto.
Tanti rappresentanti europei delle avanguardie letterarie, musicali, delle arti visive sono arrivati ad Asti per conoscere lui.
Discepolo dell’effimero, maestro di dispersione, uomo dal pensiero elegante, Valerio mai ha curato la promozione di se stesso. Credetemi. Ne sono testimone. Dovetti trascinarlo a Roma negli studi della Rai per fargli realizzare una suo adattamento radiofonico di “Concerto per Piano Regolatore” - già un tempo messo in scena dal “Mago Povero” di Luciano Nattino -, né mi costò poca fatica portarlo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna dove s’esibì in una performance che divertì e strabiliò: “Il Criticometro”.
Quanti discorsi insieme abbiamo fatto… e quante bevute!
Valerio mai volle lasciare Asti (ma Asti qualche volta lasciò lui), percorrendo in solitudine un tracciato espressivo meditato e gioioso, ragionato ed emozionato, attraversando stili e tecniche che lo portarono a riscoprire e rivisitare anche antiche forme visive, come ad esempio l’arazzo, passione che condivideva con Mirò; chissà, forse quelle quattro lettere iniziali comuni ai loro nomi contengono qualche epifania.
Valerio ci manca molto, a me e a tanti altri.
Ora chiudo questa nota e me ne vado al bar. Senza Valerio. E mi dispiace. Molto.


Marchi di Gola


Considero Paolo Marchi il migliore critico enogastronomico che abbiamo in Italia, ne ho spiegato le ragioni già una volta e le riaffermo oggi, a distanza di tempo da allora, con più vigore perché la lettura della sua newsletter che ricevo sempre con gioia e il successo di Identità Golose me ne offrono l’occasione.
Ora segnalo una nuova iniziativa della sua indiavolata penna web intinta in inchiostri piccantissimi: Marchi di Gola, un blog dalla scrittura rapida, scattante, che commenta fatti e misfatti dell’enogastronomia e accanto a carezze per bravi artefici (spesso trascurati da altri critici) si trovano sberle da paura inflitte a questo e a quello.
Di recente, un tizio mi ha querelato per avere scritto male del suo locale (di questo ve ne parlerò un’altra volta, e spero non da un penitenziario), ma se così stanno le cose, leggendo Marchi devo ragionevolmente pensare che presto lo vedremo all’ergastolo.
Soprattutto dopo la scomparsa di Luigi Veronelli, si sentiva la mancanza di una voce forte, competente e gioiosa, che dell’enogastronomia parlasse rinfrancandoci dallo stizzoso vaneggiamento di un Bigazzi o dalla sussiegosa supponenza di un Raspelli.
Bravo Paolo!


Metropolitanscape


“Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure”.
Così scrisse Italo Calvino ne ‘Le città invisibili’.
A quelle parole ho pensato durante la recente visita che ho fatto alla mostra torinese Metropolitanscape, allestita a Palazzo Cavour, che delle metropoli odierne restituisce con esattezza tentazioni, ansie, e le vite mercuriali che ne attraversano le algide volumetrie e le geometrie arroventate.
Grande merito va riconosciuto agli ideatori di questa esposizione - Marco Di Capua, Giovanni Iovane, Lea Mattarella - che hanno sapientemente organizzato materiali che riflettono un tema cruciale dell’immaginario contemporaneo: la città.
Lontani oggi dai fervori dei futuristi che, esaltando dinamiche speranze, rappresentavano il paesaggio urbano come una pulsante aspirazione al nuovo, la metropoli è diventata un insieme di non luoghi, un territorio assediato, un incubo ad aria condizionata, per citare un titolo di Henry Miller.
Scrivono i curatori nel bel catalogo pubblicato da SilvanaEditoriale: La Gande Guerra e, soprattutto, il secondo conflitto mondiale hanno definitivamente infranto la nostra percezione della città, della metropoli; spostandola prima a New York e forse oggi in una “Zona” priva di reali coordinate geografiche (cyberspazio?). Metropoli è una parola che allude a un paesaggio frammentato, discontinuo e sicuramente non oggettivo, almeno attraverso le lenti delle arti visive. Non ci sembra, così, tanto paradossale individuare l’atto di fondazione della metropoli contemporanea, nella distruzione totale ed estesa ‘inaugurata’ con i devastanti bombardamenti di Dresda o meglio ancora con la bomba per antonomasia, quella di Hiroshima.
Non è, quindi, un caso che il percorso espositivo, illuminato dalla presenza di opere di circa 60 artisti, si apra con “Hiroshima Zyclus” (1982) di Arnulf Rainer per poi passare attraverso la cruenta installazione di Thomas Hirschhorn (corpi straziati da violenze repressive), la spaurita passante di Sabah Naim, le foto della performance sadica di Valie Export e Peter Weibel, e altre immagini di folle solitarie, località desertificate, macerie urbane che convivono con asettici splendori di vetrocemento.
Una mostra imperdibile per chi voglia capire dove e come viviamo oggi anche quando non abitiamo in grandi metropoli, perché la città ci raggiunge attraverso i media, s’impossessa di noi, ci spossessa di noi.

“Metropolitanscape”
Palazzo Cavour
Via Cavour 8, Torino
Info: 011 – 53 06 90
Fino al 2 luglio 2006


Monsieur Pinault à Venice


Pubblico oggi 3 note 3 tutte puntate su personaggi ed eventi veneziani.
Sono stato, infatti, alcuni giorni a Venezia per visitare Where Are We Going? splendida mostra in corso a Palazzo Grassi.
Quella domanda che dà nome all’esposizione, se la pose Paul Gauguin alla fine dell’Ottocento e poi fu causticamente reinterpretata da Damien Hirst all’inizio del 2000.
La mostra di Palazzo Grassi - direzione affidata a Alison M. Gingeras, curatrice aggiunta del Guggenheim Museum di New York - è a doppio titolo inaugurale. Perché segna la riapertura del Palazzo dopo il suo completo restauro affidata all’architetto Tadao Ando (Osaka, 1941) e poi perché svela per la prima volta al pubblico parte della Collezione François Pinault.
Veloce zoom su François Pinault per chi non ne conoscesse il profilo.
E’ nato il 21 agosto 1936 a Champs-Geraux in Bretagna, impresario del legname, s’appassiona alle arti visive e colleziona opere da più di un trentennio.
Al principio i maestri storici del ventesimo secolo, partendo da Piet Mondrian, poi opere di de Koonig, Rothko, Ryman, Judd, Warhol, Tàpies, Murakami, McCarthy, Hirst, Kounellis, Twombly, Koons, né mancano italiani, quali ad esempio, Boetti, Cattelan, Merz, Paolini, Pistoletto, Fontana, Manzoni.
Nel maggio 2005, dopo che la Fiat proprietaria di Palazzo Grassi decise di ritirarsi dall’attività espositiva, fu costituita una Società – Palazzo Grassi SpA – di cui Pinault è socio di maggioranza con l’80% di quote, affiancato dalla Casinò Municipale di Venezia, società a partecipazione mista pubblico-privato, controllata dal Comune di Venezia.
La mostra Where Are We Going? presenta circa 200 lavori di 49 artisti con un percorso articolato in sezioni tematiche che si snoda sui tre piani del Palazzo.
Il visitatore passa così dall’Arte Informale all’Arte Povera, dal Minimalismo al post-Minimalismo, dalla Pop-Art alla Video-Art.attraverso le opere più significative dei maestri d’ognuna di quelle correnti artistiche; una rara occasione per avere un quadro complessivo delle tendenze di ieri e di oggi.
Perfetta l’organizzazione da cui si viene accolti, dalla rapidità d’ingresso fino alla caffetteria-ristorante. A proposito, questo è un angolo in cui di solito i musei italiani fanno scendere un velo di mestizia sui cuori e i palati di chi ci càpita, qui non è così. Monsieur Pinault ha voluto occuparsi personalmente su chi affidarne la gestione e per sua ragionata scelta ha voluto che a dirigere la caffetteria-ristorante fosse Irina Freguia.
Bene ha fatto. La Freguia è la patronne del “Vecio Fritolin”, un ottimo ristorante veneziano.
Ma di questo locale ve ne parlo più diffusamente nella prossima nota.

Where Are We Going?
Venezia
Palazzo Grassi
Campo San Samuele 3231
Fino all’1 ottobre 2006
Info: 041 - 523 16 80


Fritti Corsari


Già in un’altra occasione, in queste mie note, ho cantato le lodi del Vecio Fritolin, ristorante che si trova a ridosso del mercato di Rialto, nella calle dove nacque la regina di Cipro Caterina Corsaro e che ora vede imperare un’altra regina: Irina Freguia che dirige quel locale, donna di gusto trionfante e travolgente simpatia.
Ha scritto giustamente Paolo Marchi (lo ritengo tra i massimi critici italiani d’enogastronomia): “Per non innamorarsi del Vecio Fritolin bisogna avere un sasso al posto del cuore e il vinavil a quello del sangue”.
L’ho rivisitato pochi giorni fa quel luogo di delizie per noi ghiottoni e l’ho trovato ancora più soave d’un tempo: piatti di commoventi sapori, carta dei vini più ampia e oculata nelle scelte, servizio in sala ancora più accurato. A questo s’aggiunga che in una città qual è Venezia nota per i prezzi assassini di tanti locali, lì c’è un conto assolutamente di grande grazia e poi, rapportato alla qualità che si gusta, addirittura sorprendente per levità.
L’Osteria promuove anche degli incontri tra scrittori, artisti, vignaioli e gourmet che si ritrovano a tavola per parlare di ricette e di libri, di quadri e di vini. Il nome della rassegna è Fritti corsari: libere incursioni tra cucina e cultura e nasce da una idea di Flavio Birri, autore di molti libri di storia della Gastronomia.
Troverete notizie dell’iniziativa in corso, cliccando QUI.

Vecio Fritolin
Calle della Regina 2262 (Rialto, zona Santa Croce)
Per prenotazioni:
041 – 52 22 881
info@veciofritolin.it
Riposo settimanale: lunedì


Misteri sulla Laguna


Diceva Magritte: “L’importante è il mistero, non la sua soluzione”.
E Einstein: “La cosa più bella che noi possiamo provare è il senso del mistero”.
Insomma, pare proprio che l’arcano sia uno dei motori psichici di noi umani anche quando è orrifico (si pensi agli inquietanti casi oscuri quali “Bondi, il Transfuga zombi”, “Taormina, l’avvocato nero”, “Schifani, il Portavoce dell’aldilà” e via rabbrividendo.
Di leggende popolate di fantasmi veneziani, invece, si occupa un delizioso libro - Leggende veneziane e storie di fantasmi - firmato da Alberto Toso Fei le cui pagine sono accompagnate da foto in b/n di Vito Vecellio; il tutto in una raffinata confezione grafica delle Edizioni Elzeviro.
L’autore, quarantenne muranese, giornalista professionista, discende da una delle più antiche famiglie di vetrai dell’isola. Il suo libro riecheggia il suono d’antiche leggende qui ripercorse con sapienza letteraria che incrocia la tecnica giornalistica con una dotta ricostruzione storica delle fonti, ricordate anche in una esaustiva bibliografia di riferimento.
Ed ecco sfilare nei quattro percorsi in cui è suddiviso il volume scheletri di campanari, monache infelici, principesse senza impero, appestati in cerca di riposo, e numerose altre ombre di personaggi ed eventi da romanzo gotico.
E’ questa anche una guida che consiglio per visitare attraverso itinerari insoliti un’altra Venezia.

Alberto Toso Fei
“Leggende veneziane”
Foto di Vito Vecellio
Pagine 214, euro 14:80
Edizioni Elzeviro


Glocal Map


Tra le tante imprese, telematiche, stampate, vocali, e sempre epifaniche, che Carlo Infante veicola attraverso i media, oggi ve ne segnalo una che si chiama Glocal Map.
Di che cosa si tratta? Passo a Carlo la parola.
Ci sono parole nuove che sottendono cose nuove: comportamenti non previsti dagli assetti predefiniti dello scambio sociale; atti che Internet sta creando attraverso le sue molteplici opportunità di comunicazione. Una di queste è “social tagging”, uno dei concetti-chiave per comprendere la nuova fase della Rete, sviluppata in via esponenziale con il blogging, fuori dalle logiche editoriali, liberando le energie soggettive degli utenti che tessono le relazioni informative tra loro.
Il progetto di Glocal Map, mappa attiva per il social tagging, rilancia questa idea d’impronta sociale in rete, e l’ha proiettata sul territorio, nei giorni delle Olimpiadi di Torino 2006. E’ questa peculiarità territoriale a connotare glocalmap come “geoblog”: un diario on line scritto inserendo gli indirizzi, per marcare la mappa della città vista dall’alto delle fotografie aeree. L’interfaccia ricorda quella di Google Earth e del suo mirabile sguardo “dal di fuori” dei satelliti orbitanti statunitensi, che permette di zoommare fino ad individuare le particolarità degli edifici. Nel caso di glocalmap si è utilizzato invece il repertorio orto-fotografico del Comune di Torino a cui è stato combinato un originale software di geo-coding e un database relazionale (realizzati da Linkomm e HSC), creando la stessa esplorazione con zoom e informazioni specifiche sulle particolarità urbanistiche, con una possibilità in più: quella di scrivere sulla mappa. Via web e via sms e mms, glocalmap permette di inserire delle notazioni inerenti le azioni nella città. Realizzando una mappa tracciata dai percorsi dei suoi abitanti e dei suoi turisti: dalle abitudini e dai nuovi comportamenti espressi quotidianamente da una geografia umana in progress.
Il motore di ricerca del sistema consente infatti di selezionare, per indirizzi o per tag, una serie di mappe tematiche, a partire dalle informazioni ricevute dai singoli partecipanti, svelando nuove geografie ed evidenziando le direzioni in cui si generano i flussi urbani. Ovvero dimostrare come la rete e l’infomobilità possano contribuire a capire ciò che fa di una città una Città: lo scambio informativo e relazionale tra i suoi cittadini.
Intorno a questo progetto s’è formato un gruppo di lavoro (coordinato da me e l’architetto Maurizio Cilli, con Filippo Moncelli, Stefano Ruggeri e Sandro De Francesco) che per mesi ha analizzato le diverse esperienze in questo campo, da quelle del “mobtagging” di Mediamatic ai “mobile-game” di Mopius e Blasttheory, fino al bricolage artistico del GPS Drawing e la massiccia strategia globale di Google Earth, tracce che abbiamo percorso (i link si trovano nel forum di glocalmap), capitalizzato e rilanciato in una progettualità di “performing media” inedita.
Un’ulteriore lettura di glocalmap è quella che mi fa pensare ad un’evoluzione post-politica delle teorie che fra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta hanno contraddistinto l’idea di città nel movimento radicale delle nuove generazioni (“riprendiamoci la città”). Un ethos alternativo che trova matrici culturali nelle sperimentazioni della “dérive” espressa dalla psicogeografia dei Situazionisti francesi agli albori del 1968 e per altri versi in forme come l’Happening espresso dal gruppo Fluxus prima, dagli Indiani metropolitani del 1977 italiano poi e oggi dalle Smart Mob. Non solo, amo forzare l’idea di social tagging fino a connetterla alle “tag” proprie del graffitismo metropolitano teso a marcare “tribalmente” il territorio che, nel caso di glocalmap, si proiettano invece nella rete per antropizzarla, lasciare l’impronta di una nuova forma di cittadinanza attiva e creativa
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Se dici parole = 16 parole


Massimo De Nardo, scrittore, copywriter, dirige Segnal'etica (rivista online sui linguaggi della comunicazione), e Pythagoras, rivista su carta che orgogliosamente si autodefinisce “aperiodica”.
Ha insegnato educazione artistica nelle scuole medie; da qualche anno, presso istituti superiori, tiene corsi sulla comunicazione. La sua scrittura ha ottenuto premi quali il Palazzeschi nel 1976 e un riconoscimento di finalista al Premio Loria, 1997.
Tempo fa, fondò una casa editrice web - Calibro Zeroquindici - che ha avuto fortuna nonostante funestata da un mio scritto.
Con Massimo, ho anche girato nel cosmo a bordo di una famosa nave spaziale.
Ora ho appreso che l’editore Nicola Milano (casa specializzata in pubblicazioni per la scuola, acquistò nel ’79 la Cappelli di Bologna) ha inserito come appendice nella Guida di italiano
per la classe quinta (guida in uscita in questi giorni, n’è autrice Adelia Sarchi), un esercizio di stile, firmato proprio da Massimo, giocato sugli omografi.
Titolo: Se dici parole, 16 parole
A Massimo De Nardo ho chiesto di spiegare di che cosa si tratta.
Ho scritto un libricino rivolto agli under 15. Titolo: “Se dici parole, 16 parole”. Omografi. Sedici, in tutto.
Gli omografi sono: “Berlina, Amare, Gelosia, Affetto, Grossa, Credenza, Bugia, Piano, Grana, Etichetta, Torto, Caro, Avanzata, Relazione, Riso, Mondo”.
Non stanno in ordine alfabetico perchè - come scrive l'alunno che queste parole le ha ricopiate sul suo quaderno quadrone (anagramma) - nella vita l'ordine alfabetico non esiste. Ed è meglio così.
Io di mestiere faccio il copywriter. Con le parole, va da sé, ci gioco e ci campo (ecco un’altra parola doppia).
Un giorno, che non è "quel giorno" che in genere dà inizio alle favole, m'è venuto di scrivere sulle parole doppie. Perché 16? Perché mi faceva buon gioco con il titolo "Se dici parole", che così pure lui è doppio.
Gli omografi sono raccontati per voce di un alunno, che non parla solo di grammatica, di sintassi e di etimologie. C'è dell'altro, quasi fosse una storia che vale la pena ascoltare. Me lo auguro.
In sintesi, il maestro Niccolò ogni volta che, leggendo in classe, incontra un omografo si ferma, lo spiega e lo fa scrivere agli alunni sui loro quaderni. Dall’etimologia si arriva presto alla vita di ogni giorno, e così il nostro alunno parla anche dei suoi compagni, di se stesso, e ogni tanto butta là dei pensieri suggeriti dal maestro.
Sedici omografi “raccontati” anche per l’auspicabile gusto di una lettura fatta ad alta voce, perchè mi piacerebbe che avessero la cadenza fonetica di una favola, al di là di una “morale della favola” che aleggia costante in ogni omografo. Alla fine, quando ci si rivolge agli under 15, qualcosa di “serio” bisogna imparare a dirlo. Per poterlo poi, in qualche modo, insegnare
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La buonuscita


Sono iscritto da anni a Exit, Centro di studi e documentazione sull'eutanasia, che in questo 2006 compie 10 anni di vita… ops!... questa potevo risparmiarmela… vuoi vedere che qualche buontempone mi ci fa qualche maliziosa battuta?
Spero che in questa legislatura si possa giungere – grazie anche alle lotte sostenute da quel Centro – a varare una legge che riconosca validità giuridica al testamento biologico contro l’accanimento terapeutico e, cosa più difficile ma auspicabile, un assetto di legge anche per l’eutanasia così come esiste in altri paesi.
Exit celebra il proprio decennale con due iniziative speciali.
Un libro di Derek Humphrey: Eutanasia: uscita di sicurezza, 13:00 euro, Edizioni Elèuthera, che può essere prenotato anche presso Exit (vedi sito); per chi è interessato alla sostanza culturale ed etica dell’eutanasia segnalo una ricca bibliografia cliccando QUI; all’elenco manca un recente libro che vi segnalo come essenziale: “Il diritto di morire. La libertà del laico di fronte alla sofferenza” di Umberto Veronesi, Edizioni Mondadori.
Altra iniziativa delle due che vi dicevo: un video di 13’00”, in versione videocassetta o Dvd, in cui è presentata la storia e gli obiettivi di Exit, il costo è di 9:00 euro.
Vi lascio (al momento non per sempre) con un aforisma di Gesualdo Bufalino: Nascere è umano, perseverare è diabolico.


Creativa


Franco Piri Focardi da molti anni opera nell'area multimediale, spaziando dall'editoria alle arti visive, e dal 2000 organizza a Rignano sull'Arno Creativa, un Festival che presenta mostre, recital, danza, mail art, video puntando all'ibridazione dei linguaggi, alla rappresentazione intermedia.
Anche quest'anno il Festival, giunto alla settima edizione, promosso dal Comune di Rignano sull'Arno in collaborazione con l'Associazione Culturale "Oltre i limiti"- si annuncia con un cartellone assai vivace che prenderà il via venerdì 26 maggio alle 21:00 con una serata speciale dedicata alla musica sperimentale dal vivo e al video d'artista.
Si proseguirà per tutta la giornata di sabato e domenica attraversando i territori di sperimentazioni espressive prodotte da circa 50 artisti.
Più di 100 saranno gli autori nella mostra di Arte Postale sul tema "Ricchezza e povertà". E, inoltre, miniesposizioni di arte visiva e fanzines, presentazioni di riviste della microeditoria.
Tante le presenze e le occasioni che è impossibile citarle tutte e perciò chi volesse saperne di più clicchi con fiducia QUI.


W Boltanski


Un importante nucleo di opere di quello che, per l’arte contemporanea, è il secondo grande museo di Francia, è esposto presso la Fondazione Magnani-Rocca.
E’ una occasione davvero imperdibile per godere del confronto ravvicinato tra i capolavori del Novecento raccolti dal Fondatore Luigi Magnani e quelli proposti dal Musée d’Art Moderne di Saint-Etienne, istituzione essa stessa centro di moderno collezionismo, che, grazie a continue importanti acquisizioni, comprende circa 15.000 opere.
Il percorso espositivo racconta gli aspetti nuovi dell’arte del secolo appena concluso, da Monet ai protagonisti contemporanei, attraverso opere particolarmente significative, scelte dal direttore del Musée di Saint-Etienne Lóránd Hegyi.
La mostra cronologicamente prende avvio appunto con un’opera di Claude Monet, “Nymphéas” del 1907, facente parte dell’ultima serie dell’artista che, terminata da tempo la stagione impressionista, apre il ‘900 all’astrazione decorativa; il percorso continua, lungo la storia artistica di tutto il secolo, fino ad arrivare alle opere che esprimono tendenze, umori, problematiche e sensibilità dei nostri giorni come Bernard Frize, Christian Boltanski, Bertrand Lavier.
Christian Boltanski!
Lo ritengo fra i più grandi artisti viventi. Presenta un’installazione dove elementi semplici, come fotografie in bianco e nero e lampade, diventano motivo per una riflessione dolorosa sulla vita, un dire sussurrando che nulla ci avvicina alla morte più dei nostri souvenirs.
E’ stata del grande Boltanski la mostra più bella che ho visto negli ultimi anni, ne trovate il perché cliccando QUI

“Da Monet a Boltanski”
Capolavori del ‘900 dal Musée d’Art Moderne di Saint-Etienne
Fondazione Magnani-Rocca
Mamiano di Traversetolo (Parma)
Fino al 16 luglio 2006
Per Informazioni: 0521- 848327; info@magnanirocca.it


Andersen Festival 2006 (1)


State progettando una vacanza? Volete andare in una località italiana dove bellezza del luogo e risorse enogastronomiche s’accoppino ad un avvenimento culturale di rilievo?
Ho una proposta per voi: Sestri Levante.
Avete ancora qualche giorno per organizzarvi.
Lì si svolge, infatti, dal 25 al 28 maggio, l’Andersen Festival – promosso dal Comune di quella città, progettato da Artificio 23 – nato nel 1998 come complemento all’omonimo Premio Letterario.
L’edizione 2006, che gode del riconoscimento del Presidente della Repubblica, ha per tema: “Diventare grandi”
Articolata riflessione, attraverso varie occasioni di spettacoli, sulla voglia di conoscere il mondo e se stessi, tipica dei bambini e che dovrebbe rimanere viva pure nel mondo degli adulti.
L’Andersen, nato come festival dedicato ai più piccoli, si è trasformato negli anni (sono ormai otto) in un progetto che coinvolge non soli i ragazzi, con alcune sezioni dedicate specificamente ai bambini, ma anche il pubblico adulto.
Ad esempio, quest’anno, con la Sezione Realtà del Mondo, il Festival si apre al tema dell’impegno sociale e della solidarietà, e, con il sostegno della Coop Liguria, farà, infatti, conoscere le iniziative più interessanti a livello internazionale di recupero del disagio sociale attraverso la cultura e lo spettacolo.
Il Festival propone teatro di strada, teatro di figura, narrazioni, progetti speciali, incontri, ospitando in quest’edizione 2006 artisti provenienti da Italia, Argentina, Belgio, Cambogia, Cuba, Francia, Germania, Inghilterra, Kenia, Spagna.
Una grande festa, fatta d’incrocio di culture, che trasforma Sestri Levante in un vivace teatro all’aperto dove gli appuntamenti si susseguono e si accavallano senza sosta dal pomeriggio fino a tarda notte, c’è solo l’imbarazzo di scegliere il proprio percorso attraverso le tante proposte.
Di alcune di queste ve ne parlo nella prossima nota, non senza prima ricordare che il Festival ha per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web, un attivissimo Ufficio Stampa guidato da Simona Carlucci:
0765 – 42 33 64 e 335 – 59 52 789; mail: carlucci.si@tiscali.it


Andersen Festival 2006 (2)


Protagonisti della sezione dedicata ai Racconti che accoglie il pubblico sulla spiaggia della Baia del Silenzio sono personaggi di professioni diverse.
Il narratore teatrale Mario Perrotta, propone il suo Italiani cìncali: giovedì 25, alle 21:15.
I giornalisti Ettore Mo e Corrado Ruggeri, ricostruiscono un pezzo di storia della Cambogia: venerdì 26, alle 19:30.
Le attrici Caterina Guzzanti e Paola Minaccioni si esibiranno in Non raccontateci favole, (per un assaggio della prova generale e interviste, cliccate QUI): venerdì.26, alle 21.15 a
Paolo Villaggio dirà Com’è cominciata la vicenda: sabato 27, alle 19:30.
Né mancheranno lo scrittore Maurizio Maggiani – ospite ormai abituale del Festival – che presenterà le sue Storie e il poliedrico artista Leo Bassi, con un buffonesco monologo intitolato La manipolazione: domenica 28, alle 21:15.

Altra componente fondamentale dell’Andersen Festival è il teatro di strada e urbano con compagnie che arrivano da tutto il mondo per presentare acrobazie, raffinate clownerie e giocolerie, show pirotecnici, provocatorie improvvisazioni e musica di ogni genere. Impossibile citarli tutti: dico solo degli acrobati kenioti dell’ Afro Jambo Jeegs che tanto hanno divertito l’anno scorso tutto il pubblico, del belga Joppe Wouters che trasforma la sua auto in un curioso palco per acrobazie, e della compagnia cubana di teatro di figura Marivelas.

Segnalo inoltre Battesimi con coreografie di Michela Lucenti, anticipazione di alcune parti della produzione realizzata da Balletto civile che coinvolge dieci ballerini e sei musicisti impegnati nella creazione di un spettacolo di danza-teatro sull’acqua: 27 – 28 Baia del Silenzio, ore 20:30.
Gran finale con il Concerto dal mare di Eugenio Bennato e Taranta Power. Una musica che mescola ritmi e sonorità mediterranee, che parla di riti e leggende antiche, che trascina e coinvolge: sabato 27 alle 22:30, sempre nella Baia del Silenzio, poco silenziosa nell’occasione.

Il 39° Premio Andersen Baia delle Favole verrà assegnato sabato 27 maggio alle ore 10:00 nel Convento dell’Annunziata.


Acrobati sulla Rete


Per via di questo notiziario quotidiano che conduco, e del suo interesse verso le nuove tecnologie, mi pervengono dagli uffici stampa molte segnalazioni di convegni e seminari dedicati al web.
Da queste informazioni, tutte (o quasi) gradite, ricavo l’impressione che nello scenario della comunicazione informatica e dei suoi nuovi strumenti, la chat è quella più discussa e da molti meno compresa.
Non è raro, infatti, che mi trovo nei comunicati d’incontri di studio sulla chat a leggere di allarmi e, perfino, intenti di medicalizzazione.
Psicologi corrucciati, genitori intimoriti, professori contristati, nonni atterriti, fra un ululìo di sirene d’ambulanza e di macchine della police.
Proprio nei giorni scorsi ho trovato nella posta un comunicato in camice bianco e berretto da sbirro; mi sono ricordato allora di un libro alquanto recente – 2005 – che affronta il tema in maniera documentata e, soprattutto ragionata. Mi piace, quindi, segnalarlo a coloro i quali fosse sfuggita quella pubblicazione.
Si tratta di Acrobati dello specchio magico: L’esperienza degli adolescenti in chat, pubblicato da Guerini.
N’è autrice Michela Drusian che lavora al Dipartimento di Sociologia dell'Università di Padova
Il volume, attraverso una ricerca condotta su 1200 ragazzi, analizza i percorsi degli adolescenti in chat, smentendo una serie di allarmismi e dimostrando, al contrario, come i giovani siano in grado di muoversi da esperti conoscitori nel mondo digitale, acrobati tra i trapezi della vita online e di quella offline
A Michela Drusian, ho chiesto: com'è nata l'idea del libro, quali i cursori sui quali scorre la tua indagine? Così mi ha risposto.
Come dice Karl Mannheim, sociologo tedesco, i giovani hanno le spalle meno cariche di esperienze, di senso comune aggiungo io, e quindi hanno maggiori possibilità rispetto agli adulti di essere acrobati, di sperimentare la vertigine e tentare i loro limiti nella vita quotidiana. Soprattutto con le nuove tecnologie della comunicazione. Di questo parla il mio libro, di come gli adolescenti fanno esperienza della comunicazione digitale, di quali sono i significati che esprimono, delle emozioni che mettono in gioco. In modi alle volte inaspettati che aprono alla comprensione di come il digitale abbia tanti significati quanti sono gli individui che lo vivono. Il computer è uno specchio magico perché parla e offre chance di riflessione e di riflessività su di sé raramente sperimentabili in altri frangenti della vita quotidiana. I giovani sono perfettamente consapevoli di queste possibilità, ne approfittano e le vivono con “leggerezza” rispetto agli adulti che molto spesso investono senza motivo il digitale di tutte le loro paure, solo perché non lo conoscono o non sanno come viverlo.

Miichela Drusian
“Acrobati dello specchio magico”
Pagine 239, euro 18:50
Editore Guerini


La morale della favola


La casa editrice Meltemi pubblica libri che assai spesso sono di quelli destinati a restare nel tempo, libri, mutuando dallo sport il parallelo, più fondisti che scattisti.
Uno di questi, già edito con successo nel 1998, Premio Nigra nel ’99, poi ristampato in edizione ampliata, è Dizionario della fiaba italiana, ne è autore Gian Paolo Caprettini con la collaborazione di Alessandro Perissinotto, Cristina Carlevaris, Paola Osso.
Questo dizionario offre un catalogo ragionato dei circa 120 oggetti e personaggi che costituiscono le “unità figurative” di base delle fiabe italiane. Di ogni voce – ‘Castello’, ‘Drago’, ‘Matrigna’, ‘Principe’, ‘Strega’ – si analizza l’aspetto psico-antropologico, il contesto in cui appare e l’elenco delle sue presenze nelle diverse fiabe.
Un lavoro (e anche una fatica!) straordinario.
Esempio. Volete sapere del termine ‘Acqua’ (io, però, mi sono soffermato più sulla voce ‘Vino’) ?
Ed ecco che lo rinvenite – i termini sono in ordine alfabetico – declinato nei suoi vari aspetti: ‘acqua di vita’, ‘acqua di morte’, ‘acqua di maleficio’, ‘acqua che balla’, ‘acqua bollente’, ‘acqua gelata’, ‘acqua e sete’. E, come già detto, di ognuna di queste caratteristiche che ha l’acqua nelle favole italiane, troverete l’ubicazione della fiaba in cui si trova e il significato che lì assume.
Il tutto è assistito da una molteplicità di Indici: Indice delle fiabe-tipo, dei titoli, delle raccolte regionali, delle unità figurative, dei rinvii.
Insomma, una vera ghiottoneria.
Un testo destinato ad essere imprescindibile per tutti gli studiosi di letteratura e di antropologia, e per quanti che lavorando nei mass media trovano lì ricchi spunti per articoli, trasmissioni, commenti anche non riferiti al mondo delle fiabe; a chi di questi non fa comodo, ad esempio, inserire in una chiosa a fatti culturali o di cronaca qualche dotto riferimento a figure come un brigante, un re, un animale?
Altro campo in cui questo Dizionario della fiaba italiana risulta di grande utilità è quello didattico perché apre orizzonti che vanno aldilà del mondo favolistico proponendosi come uno dei modi per approcciare il fantastico.
A Gian Paolo Caprettini ho chiesto: in virtù di quale meccanismo psicosociale i personaggi dei videogiochi, da SuperMario a Lara Croft ad altri, hanno conquistato uno spazio nell’immaginario collettivo ponendosi, per popolarità, alla pari di personaggi delle fiabe di un tempo?
I personaggi della fiaba sono veicolati, nella loro veste tradizionale, dalla parola e ricevono un incantesimo supplementare dalla voce: voce dell'anziano verso il bambino, voce del narratore nel micro-contesto sociale contadino. Dopo la voce ha un peso notevole il mascheramento, il costume, la maschera: tutto quello che può essere posto in gioco ad esempio in una festa, sia essa rurale o del calendario contadino ma poi anche nelle attività teatrali di tipo educativo nella scuola, nell'animazione dunque. Voce, costume, animazione: questi i vettori della fiaba. Se ci spostiamo da questo genere e da questi supporti verso le risorse della multimedialità (e prima ancora del cinema di animazione, del fumetto, dello short pubblicitario) restiamo comunque alle prese con la nozione di personaggio - reso forse "pupazzo elettronico" ma comunque dotato di una identità con la quale si può sino a un certo punto negoziare, giocare. Le somiglianze dunque ci sono: permane il personaggio, la voce se c'è si fa sintetica, il costume coloritura e forma dinamica, l'animazione è la spettacolarità insita nel medium. Il pubblico è comunque un pubblico attivo, perfino interattivo. Il genere fiaba si è dunque trasformato ma l'immaginario continua a lavorare con gli strumenti profondi e formali del divenire di un mondo che non c’è.

A cura di Gian Paolo Caprettini
“Dizionario della fiaba italiana”
518 pagine, euro 35:12
Meltemi Editore


Cosmotaxi Special


Cosmotaxi Special per il Festival Uovo Performing Arts

Milano: 10 - 18 maggio 2006


Uovo Performing Arts


Nel vedere realizzata una rassegna come questa che m’accingo a raccontare, in tempi afflitti dai tagli apportati dal governo dei pirlusconi, se non fossi ateo quale sono, crederei in un miracolo con un attacco a due punte di S. Ambrogio e la Madonnina; e, invece, è un merito tutto da ascrivere all’Organizzazione Med, alla sua tenacia, alle sue scelte, alle persone che vi lavorano.
Ecco come si presentava anni fa il Festival cui dedico questo special.
Uovo, la forma perfetta eppure instabile dello spettacolo contemporaneo, esempio di simmetria e disequilibrio, metafora dell’atto della creazione e del suo prodotto in costante divenire, oggetto coriaceo ma estremamente fragile. Questo è “Uovo performing arts festival”, studio delle dinamiche di formazione e rottura delle nuove forme interdisciplinari delle arti performative.
A quelle caratteristiche, giunto alla quarta edizione, s’è tenuto fedele ampliando la ricerca espressiva che lo caratterizza, profilando un progetto internazionale che riflette parte di quanto oggi di meglio agisce in Europa nell’area dell’interlinguaggio.
Nelle performances che sono quest’anno in cartellone, troviamo, infatti, moduli interlinguistici che coinvolgono in ragionate ibridazioni arti visive e moda, design e teatro, musica e videoart, pubblicità e fumetto.

Per il sito web del Festival, cliccate QUI


Umberto Angelini


Il Festival è diretto da Umberto Angelini.
Nato in una data epocale (maggio ’68), si è laureato in Economia con una tesi sull’economia mafiosa.
Saranno stati forse in molti a non gradire quello studio, ma evidentemente salvo da loro vendette, troviamo Angelini dal 1995 al 1998 ad occuparsi di strategie di comunicazione presso la sede italiana dell’Agenzia EuroRscg.
Dal 1997 al 1999 è direttore del festival internazionale AscoliPicenoDanza.
Poi, dal ‘99 al 2002, in qualità di consulente, è lui a fornire illuminazione all’Enel per i progetti artistici e culturali di quella società.
Non crediate che in quegli anni facesse solo quello, perché dal 2000 al 2002 dirige il settore danza del Crt (Centro di Ricerca per il Teatro) di Milano e lavora al Dbm network europeo per la promozione della nuova danza nel bacino del Mediterraneo.
Nel 2003 crea a Milano l’Organizzazione culturale Med che si occupa di progetti sulla cultura moderna con particolare interesse per lo spettacolo dal vivo.
Ed eccolo direttore del festival “Uovo performing arts”, nonché associate editor del magazine di arte e cultura contemporanea ‘Boiler’.
A Umberto Angelini ho chiesto: qual è la particolarità che caratterizza il Festival che dirigi e che lo distingue dalle altre rassegne dedicate all’espressività contemporanea?
Così mi ha risposto.
Uovo è un festival indisciplinare sulla performance contemporanea che predilige luoghi non convenzionali di rappresentazione (spazi della moda, del design, dell’arte) e artisti che non si riconoscono in modo rigido nelle tradizionali discipline ma le attraversano tutte.
Uovo è metafora dell’atto della creazione e del suo costante divenire, forma perfetta eppure fragile e instabile dello spettacolo contemporaneo.
In questi quattro anni Uovo ha declinato la creazione contemporanea in vari formati espressivi attraverso il corpo e le sue identità, attraverso il tema del pudore, l’indeterminatezza dei confini, le suggestioni dello spazio, l’indivisione dei generi. Una ricerca che ha portato anche alla de-identificazione della città intesa come luoghi separati, che ha privilegiato il meticciato, che ha posto attenzione alla memoria ma ha coltivato fortemente la dimensione dell’oblio. Uovo è un ramo
.


Socìetas Raffaello Sanzio


La Socìetas Raffaello Sanzio è una compagnia di teatro formata da Claudia Castellucci, Romeo Castellucci e Chiara Guidi, che la fondarono nel 1981, e da numerosi altri collaboratori con i quali preparano e realizzano le opere a Cesena, loro luogo di origine.
Il segno prevalente di questo gruppo è la concezione di un teatro come arte che raccoglie tutte le arti, dove la rappresentazione è aperta verso tutti i sensi della percezione.
Al Festival, La Socìetas presenta 3 produzioni 3.
The Cryonic Chants con le musiche di Scott Gibbons, musicista americano che collabora con la Societas dal 1997 e che nello spettacolo è presente in scena. “Sul palco” – scrive Oliviero Ponte di Pino – “Scott Gibbons è come racchiuso in una dimensione parallela che affianca il fulcro di un rito, la zona dove le voci e le danze delle donne celebrano la presenza di un contatto sovrannaturale, di una manifestazione divina che diventa palpabile nei momenti di maggiore parossismo acustico-visivo".
Per data e orario: QUI

Altro spettacolo in programma è Ballo eccezionale degli incontri e delle esclusioni della Stoa, la scuola teatrale di movimento fisico e filosofico che la Raffaello Sanzio tiene da quattro anni.
Ne volete sapere di più? C’è qui Claudia Castellucci apposta per questo.
Il ballo è una forma collettiva di gesto ripetuto, che ha per scopo una costruzione incorporante il pensiero e la sua decisione. Se un quadro emoziona, un pizzo no. Se un attore sconvolge, un atleta no. Se una danza impressiona, un ballo no: ma quest’apatia è la misura della sua specifica qualità. Anche il ballo degli Shakers, nordamericani dei primi anni del ‘800, è auto-cefalo: non rimanda a niente altro che a se stesso. Non è trascendente, e ammazza il personalismo romantico del soggetto, pur essendo profondamente personale, ma non lo è come lo intende il mondo della moda, assoggettante in tutti i sensi.
L’aggettivo 'eccezionale' si riferisce al fatto che, nelle sue figurazioni, si verificano eccezioni. Sebbene vi siano percorsi, passi e appuntamenti perfettamente coincidenti, capitano mancanze a queste corrispondenze. L’insieme indistinto della folla, rileva l’eccezione di chi è escluso
.
Non vi è ancora chiaro? E allora non vi resta che andare a vedere lo spettacolo per il quando e il dove, cliccate QUA

Terza produzione in cartellone è il ciclo filmico ricavato dalla “Tragedia Endogonidia”.
Ma di questo ve ne parlo nella prossima nota perché è un’operazione che vede protagonisti due videoartisti che su quel lavoro della Socìetas hanno sviluppato un proprio disegno.


Cristiano Carloni - Stefano Franceschetti


Cristiano Carloni e Stefano Franceschetti hanno studiato cinema d'animazione e pittura a Urbino e lavorano insieme dal 1995 alla creazione di video e installazioni. Dal 1999 collaborano con la compagnia teatrale Socìetas Raffaello Sanzio. Le loro opere sono state presentate presso il Museo d'Arte Contemporanea di Chicago, il Museo d'Arte Moderna di Strasburgo, il Museo del Louvre di Parigi, La Biennale di Venezia.
Altre cose sulle loro imprese, cliccando questo sito web.
Ci siamo incontrati, e così ho detto loro: come dicevo nella precedente nota, avete sviluppato un vostro proprio discorso sul lavoro scenico della Tragedia Endogonidia. Non si tratta, cioè, di una ripresa video di uno spettacolo, ma qualcosa di molto diverso. Quale il profilo espressivo del lavoro che presentate qui a "Uovo" e come si rapporta col vostro lavoro che andate da tempo svolgendo?
Nella visione del Ciclo Filmico sorprende ogni volta la durata dei singoli episodi in rapporto alla quantità di sollecitazioni, analogie, esorcismi, attese che sconvolgono la cognizione del tempo e producono la sensazione finale di interruzione e ritorno, molto simile a quella di un risveglio. Il nostro lavoro è caratterizzato da una forte concentrazione sul concetto percettivo del tempo, nella sua imprevedibilità. La possibilità di viaggiare nel tempo, di attraversarlo, è la capacità dell'arte di essere attuale e si rivolge direttamente alla capacità dell'uomo di essere poeta. Le Spettrografie, presentate in anteprima in forma di scenografie elettroniche per la Tragedia Endogonidia della Socìetas Raffaello Sanzio, sono un tema di opere in cui si condensano le tensioni di questi ultimi anni in comunione alle visioni estreme di chi si appresta su un bordo

Per date e orari: Programma


Motus


Motus è uno dei gruppi della nuova scena italiana tra quelli che preferisco . Fondato a Rimini negli anni Novanta – da Enrico Casagrande e Daniela Nicolò –, in un’ottica di promiscuità tra le forme espressive, ha prodotto numerosi spettacoli, spesso concepiti per spazi anomali.
Tanti negli anni i loro compagni di viaggio – ma fissa l’indispensabile Sandra Angelini – con contributi all’ideazione scenografica, musicale, scenotecnica. Qui mi piace ricordare un’attrice, spesso protagonista di loro spettacoli, un’importante presenza scenica: Emanuela Villagrossi; non avendo avuto occasioni d’incontri terrestri con lei, ci ho fatto insieme un viaggio spaziale: chi si contenta, soffre.
Al Festival i Motus presentano un libro - Io vivo nelle cose - suddiviso in sei capitoli che, in ordine cronologico, scandiscono le fasi del loro lavoro artistico tra l’anno 2000 e il 2005.
Come paesaggi con figure, gli spettacoli di Motus scorrono pagina dopo pagina, accompagnati da appunti del momento, da riflessioni in bilico tra l’uomo e l’arte, tra percorso guidato e viaggio smarrito
Il racconto di parole e immagini degli autori Casagrande e Nicolò, è accompagnato da alcuni scritti critici finora inediti di Stefano Casi, Massimo Marino, Renata Molinari, Gilberto Santini, Luca Scarlini, Rodolfo Sacchettini, Cristina Ventrucci, prefazione di Goffredo Fofi.
Editore Ubu Libri, pagine 186, euro 29:00.
Quando viene presentato? Vi basta fare un clic


Virgilio Sieni


E’ indubbiamente una bella sfida quella proposta da Virgilio Sieni con la sua Compagnia presentando una coreografia tratta da Samuel Beckett (Dublino, 1906 – Parigi, 1989), ed è forse tra i pochissimi in Italia che quella sfida può permettersela.
Porta in scena Un respiro testo cavo, senza parole, che è del 1968, ideato da Beckett quando aveva già prodotto le sue opere teatrali più note: “Aspettando Godot”, 1952; “Finale di partita” 1957; L’ultimo nastro di Krapp”, 1958; Giorni Felici, 1961. L’opera con cui si misura Sieni è quella in cui il drammaturgo irlandese rastrema in modo totale la sua scena fino a confinare e sconfinare in un annichilimento della parola e dell’azione: “Coltello del no nella ferita del sì”, per ricordare una frase con la quale Beckett definì una volta la sua scrittura narrativa e teatrale.
E, come dicevo in apertura, se la sfida è ardita, non deve meravigliare che ad accettarla sia Virgilio Sieni, ha la sensibilità e la formazione per praticarla perché è uomo che come scrive Carlo Luppini: “…si muove tra i limiti estremi della pura performance, della body art e del ready-made, dell'arte concettuale e dell'installazione visiva, delle discipline (orientali) che dispongono il corpo alla pratica dell'energia”.
Ho chiesto a Virgilio Sieni di profilare in breve i tratti espressivi di questo suo lavoro.
Tensione orizzontale verso il suolo e verso la riconquista della quadrupedia; incontro con l’animale e l’irrazionale; ricerca del corpo e del gesto come rimasuglio organico, come ciò che resta dentro lo scavo, ciò che è depositato nell’incavo dello spazio; indagine della figura umana per sottrazioni, verso la sua essenza, svelando e ricostruendo la stratificazione di immagini antiche o inedite la improntano e ne fanno un insieme irriducibile di gesti e posture, vocabolario e bestiario. Queste traiettorie, percorse già nei lavori recenti, incontrano qui suggestioni ed echi beckettiani, riferiti soprattutto al suo testo “Respiro”, e sprofondano la scena in una dimensione vuota e solenne, attraversata solo da due figure silenziose. Il lavoro si compone nella geometria di una architettura rigorosa, scandita dal ritmo di 60 respiri – precisa metrica di silenzi –, dall’alternanza di luce e buio, dall’apparire e scomparire alla vista di due donne che alludono al clown, all’animale, alla complicità e all’ascolto, alla sparizione di sé e del corpo, fino all’epifania e all’enigma finale dell’ultimo svuotamento.

Meno di un respiro per sapere dove e quando: clic


Kinkaleri


Questo gruppo è nato nel 1995 ed è composto – o scomposto, fate voi – da Matteo Bambi, Luca Camilletti, Massimo Conti, Marco Mazzoni, Gina Monaco, Cristina Rizzo.
Ne stimo da tempo il lavoro, culturalmente acrobatico, scenicamente potente, espressivamente rigoroso.
Con loro, io spericolato, ebbi l’ardire di farci un viaggio spaziale.
Per orientarvi sul profilo Kinkalerico, qualora ancora non vi fosse ancora noto il KK curriculum honoris, c’è anche il loro terrestre sito web che racconta storia, fatti e misfatti dei sei performers.
Lo spettacolo che presentano, qui a Milano, è in prima assoluta.
Titolo: Nero².
Ho chiesto loro di parlare di questo lavoro.
Li sentirete rispondere con una voce sola. Prodigi della tecnologia di Cosmotaxi
Abbiamo scritto solo poche righe per il programma e te le facciamo ascoltare da un nastro registrato tra una prova e l’altra, eccolo: “Un fantasma color giglio viola fluttua per la stanza color petrolio, il suo pieno si scaglia sulle pareti funeree, una calma apparente contorna la presenza, si muove il fantasma come una falena verso la luce mortale, scivola sulle pareti, nessun trabocchetto, si accascia spossata da tanto fervore.
Nuda (St)Eve ringhia. Non ha vergogna. Non conosce tregua. Non ha imbarazzo. Nono era un barista di Brest.
Uno sprofondamento livido nel volume addensato di uno spazio ostinato, un male che ostruisce le circolazioni, una replica che non si occupa di dialettica”.
Fine del nastro che si riavvolge in autoreverse.
Possiamo aggiungere che Nero² non ha niente a che vedere con la biografia di Nero Lucius Domitius Claudius, l’imperatore romano vilipeso dagli storici del tempo.
La storia è scritta dai vincitori. Chi perde è destinato a essere oltraggiato.
Questo, dopo Ginevra e Firenze, e ora qui a Milano, è il terzo e ultimo studio preparatorio al nuovo spettacolo “Nerone” che debutterà al Festival di Santarcangelo il prossimo 8 e 10 luglio
.

Per sapere il quando e dove di Nero²: Clic
Per incontrare i Kinkaleri: Riclic!



Altre voci


Fin qui gli italiani presenti a Performing Arts.
Come dicevo in apertura, ci sono parecchie presenze d’artisti di altri paesi.
Ecco una veloce carrellata su alcuni spettacoli che più mi hanno incuriosito.

L’11 maggio Herman Diephuis, performer francese, porta a Milano, per la prima volta in Italia, i suoi folgoranti tableaux vivants con D’après J.-C, un itinerario di riscoperta della bellezza attraverso la rappresentazione che ne ha dato l’arte sacra del Rinascimento italiano, fiammingo e tedesco.

Torna in Italia il 14 maggio Jerome Bel, uno degli artisti più irriverenti della scena internazionale. Il performer francese presenta in prima italiana Pichet Klunchun and Myself insieme con Pichet Klunchun, danzatore di tradizione classica thailandese.
Un lavoro sulle contraddizioni e i paradossi della cultura occidentale e orientale.

Kris Verdonck, performer belga, per la prima volta in Italia, il 15 maggio, con l’installazione Box esplora i confini “della fine del mondo”.
Una stanza bianca, una luce accecante, le parole apocalittiche di Heiner Müller.

Anna Huber, coreografa svizzera residente a Berlino, e il percussionista Fritz Hauser presentano il 16 maggio umwege, lavoro “site specific” sulla ricerca spaziale, architettonica, creato per la prima volta alle terme di Vals e presentato anche al Potsdamer Platz di Berlino, al Museo di Arte Contemporanea di Stoccarda, all’Accademia dell’Arte di Berlino.

Per luoghi e orari: Programma


Gran finale


Questo Festival interdisciplinare e indisciplinato che presenta 14 artisti - 6 per la prima volta in Italia, 8 prime italiane, il tutto su 7 palcoscenici - non poteva concludersi se non con una dionisiaca festa elettronica.
E’ così accade.
E’ di scena al Plastic, il 18 maggio, il Dj Léonard de Léonard, soundartist che mixa electroclash e chanson francese, techno hardcore e hip hop, vincitore del “Qwartz electronic music awards” nella categoria Discovery, rivolta ai migliori talenti innovativi della scena elettronica internazionale.
Léonard de Léonard scatenerà il dance floor del Plastic con le sue sperimentazioni sonore.
La sua performance è intitolata Non ho sonno, difatti, comincia alle 23:30 e finirà non so quando.
E non sono il solo a non saperlo.


Uovo Performing Arts

Cosmotaxi Special per il Festival Uovo Performing Arts
Milano: 10 - 18 maggio 2006

FINE


L'arte allarmata


E’ singolare che una mostra dedicata all’arte contemporanea sia allestita in una struttura militare tuttora operativa. Accade quest’anno (ma già accadde l’anno scorso) a Como nella caserma “De Cristoforis”, titolo: Allarmi 2.
Speriamo sia un esperienza che trovi eco anche in altre città, è un uso delle caserme che mi piace.
La vastità degli spazi caratterizza l’esposizione, le opere occupano, infatti, un’intera palazzina di due piani, con 51 sale che accolgono i lavori di altrettanti artisti. Tra i quali scorgo il nome di Ozmo che di questo sito è stato di recente ospite nella sezione Nadir
L’ideazione di questa mostra armata di allarmi è di Cecilia Antolini che ha anche allestito uno dei quattro percorsi espositivi. Gli altri percorsi vedono alla guida delle scelte: Norma Mangione, Ivan Quadroni, Alessandro Trabucco
A proposito di Cecilia Antolini, qualche nota biografica prima di ascoltarne la voce. E’ nata a Como nel 1980. Laureata con lode… però!... in Filosofia Estetica all’Università degli Studi di Milano è curatrice indipendente, collaboratrice delle riviste Espoarte e Segno, e redattrice della rivista web Taleaonline.
A lei ho chiesto di parlarmi di questa mostra.
‘Allarmi’ è un progetto nato innanzitutto da un’esigenza di qualità, con l’obiettivo di creare nuove occasioni di diffusione dell’arte e della cultura contemporanea. La formula di una mostra d’arte all’interno di un distretto militare operativo raggiunge un duplice scopo: accattivare anche quella parte di pubblico non abituata a frequentare musei e gallerie, offrire agli artisti uno spazio fisico e mentale particolarmente stimolante.
Al contempo, in una piccola città come Como, gli aspetti sperimentali possono avere particolare risonanza e effetti innovativi.
Le prima edizione ha avuto fortuna, la seconda, appena iniziata, non sembra da meno; soprattutto, grazie anche alla peculiarità dello spazio, è una forma di dinamismo particolarmente frizzante a contrassegnare positivamente un’atmosfera insolita.
L’obiettivo naturalmente è crescere, a dispetto dei mille problemi organizzativi che si sono incontrati, e intanto già si pensa ad un titolo per ‘Allarmi3’
.

“Allarmi 2”, Como
Caserma De Cristofaris
Piazzale Monte Santo 2
Direzione organizzativa:
Angelica Bazzana, 348 – 28 26 259 e Laura Tomaselli, 349 – 81 36 359
Fino al 24 maggio


Il delitto non sa scrivere


Sto per parlare di un libro che, insieme al valore scientifico che contiene, è di grande attualità in un momento in cui le cronache italiane, e non solo italiane, riportano notizie di delitti di grande ferocia e ci s’interroga sul profilo delle persone che li hanno commessi.
C’è chi ogni giorno parla con quelle persone, e li esamina per redigere poi perizie che serviranno ai tribunali. Mestiere delicato, difficile che ha una storia alquanto recente, per conoscerla cliccate QUI.
Il delitto non sa scrivere: La perizia psichiatrica tra realtà. e fiction, edito da Derive Approdi, parla sì di quei periti, ma in un modo originale e, a quanto mi risulta fin qui inedito. Perché indaga sulle perizie tracciando dei suoi autori un quadro (alquanto sconcertante, in verità) esplorando di quella scrittura tic, lapsus, pigrizie e omologazioni, e lo fa in maniera documentata e divertente.
Non credo che Verde e i suoi collaboratori con questo volume si siano procurate troppe amicizie fra i periti, infatti, viene fuori che chi scrive una perizia nella maggior parte dei casi proprio non sa scrivere; e, spesso, peggio ancora, ha già espresso un verdetto ancor prima della sentenza. Chissà, forse hanno preso alla lettera l’aforisma di Marcel Pagnol: “I colpevoli è meglio sceglierli che trovarli”.
Insomma, Il delitto non sa scrivere è una perizia sulle perizie, uno studio dai risvolti antropologici e letterari.
N’è autore Alfredo Verde con la validissima collaborazione di specialisti quali sono Francesca Angelini, Silvia Boverini, Margherita Majorana.
Alfredo Verde, genovese, psicologo-psicoterapeuta, è professore associato di criminologia all’Università di Genova. Ha svolto le funzioni di Magistrato onorario presso il Tribunale del capoluogo ligure; ha collaborato con organi direttivi della Società Internazionale di Criminologia.
A lui ho chiesto: per fare il libro, con il tuo gruppo di lavoro hai letto centinaia di perizie.
Qual è il prevalente elemento di linguaggio che le accomuna? E da che cosa è mosso quell’elemento? Così ha risposto.
Le narrative peritali sono attraversate da codici (ci riferiamo nel libro all’analisi di Roland Barthes), così come un organo può essere suonato su differenti registri. Due registri danno impulso alla trama (codice proairetico, delle azioni, e codice ermeneutico, che stimola a conoscere come andrà a finire); uno (codice semantico) descrive i personaggi e le situazioni; altri due invece evidenziano come l’enigma del delitto possa essere assunto nel testo: il primo (codice culturale) rinvia a saperi precostituiti che bloccano la comprensione profonda invece di aprire ad essa; il secondo (codice simbolico) immette nel testo l’irrappresentabile attraverso l’antitesi, l’ossimoro, l’antinomia. La ricerca mostra che spesso il perito si difende dall’incontro col male attraverso il ricorso ai codici culturali, mentre in altri casi riesce a rappresentare la tragicità del delitto attraverso l’uso del codice simbolico.
Il delitto non sa scrivere è un libro di obbligatoria lettura per criminologi e psichiatri, specie se impegnati in perizie, ma si rivolge anche ad altri pubblici. Ad esempio, mi sento di consigliarlo agli studiosi di letteratura, ai giornalisti della carta stampata e delle radiotv (particolarmente se si occupano di cronache giudiziarie) e, non ultimi, a sceneggiatori e registi che qui troveranno eccellenti suggerimenti per tagli psicologici, profili e storie dei loro personaggi.

Alfredo Verde
Francesca Angelini, Silvia Boverini, Margherita Majorana
“Il delitto non sa scrivere”
Pagine 160, euro 14:00
DeriveApprodi


Anime senza Purgatorio


"Anime" è il termine con il quale si è soliti indicare le opere di animazione giapponesi.
Deriva dall'abbreviazione del termine Animeshon, traslitterazione nipponica della parola inglese animation.
Gli anime, un po' come fanno le anime, spaziano in generi molto diversi fra loro: amore, avventura, erotismo, fantascienza, favole, fantasy, e altri ancora.
Spesso alla parola 'anime' si trova associata un'altra: 'manga'. Da pronunciare proprio così 'manga' e non 'menga' sennò create equivoci con la famosa legge omonima.
I 'manga' sono i fumetti su carta, mentre 'anime' sono quelli che diventano serie televisive o veri e propri film animati.
Quando un manga raggiunge larga popolarità in Giappone, allora diventa serie tv e, poi, spesso, film.
Fino a poco tempo fa, la distribuzione di quelle serie animate era piuttosto precaria, ma adesso, grazie alla Shin Vision, è più facile per gli appassionati mettere occhi e mani su quelle storie fatte di dolcezza e violenza insieme.
E proprio la Shin Vision, attraverso il suo attivissimo ufficio stampa, mi ha fatto sapere dell'uscita in cofanetto di due creazioni che faranno la gioia di più d'uno Lei, l'arma fatale... nossignore, non è Letizia Moratti, e Hellsing ispirato all'omonimo fumetto di Kouta Hirano, storia horror di vampiri d'ambientazione contemporanea.
Bene, la cosa sta così. E non mi dite che non ve l'ho detta.


Carneadi di cellulosa


Molto mi dispiace leggere (purtroppo spesso) segnalazioni di libri e, talvolta, perfino recensioni in cui chi ha tradotto il volume non è citato.
Succede anche di peggio. Accade, infatti, che alcune volte neppure il sito della casa editrice riporti il nome del traduttore e mi càpita, quando recensisco, di essere costretto a richiederlo all’ufficio stampa; in quei casi, in verità, mai faccio mancare il mio disappunto con l’interlocutore
costringendolo a balbutire su quel comportamento.
Il traduttore, insomma, si ritrova non poche volte in un inspiegabile cono d’ombra.
Eppure il suo ruolo è determinante nel successo (e anche nell’insuccesso) di un’opera.
Dietro a ogni libro tradotto (cioè a più del 70% dei libri pubblicati in Italia oggi) sta un professionista della traduzione che ha dedicato il suo tempo e il suo talento a volgere quel testo nella nostra lingua.
Bene, quindi, fa la Sezione Traduttori del Sindacato Nazionale Scrittori ad organizzare una serie di incontri in tutta Italia per fare conoscere più da vicino chi traduce, i retroscena della professione e i percorsi di studio più indicati per intraprenderla. Questi incontri sono interessanti sia per chi vuole dedicarsi a quel mestiere, sia per i lettori curiosi: offrono l’occasione di sentir parlare finalmente queste figure editoriali, essenziali per la letteratura, che di solito restano dietro le quinte.
Ecco una serie d’appuntamenti dal titolo: “Tradurre libri: un mestiere impossibile?”.

Incontro a cura della Sez.traduttori del Sindacato Nazionale Scrittori in collaborazione con l'agenzia formativa TuttoEuropa e la Scuola Superiore per Mediatori Linguistici Vittoria.
Salone del Libro di Torino, lunedì 8 maggio 2006, ore 14, Sala Blu.
Maria Bastanzetti, Luca Conti, Silvia Cosimini, Riccardo Valla e Bianca Maria Petitti parleranno della propria esperienza di traduttori letterari.
Dirige l'incontro Angelo Fracchia .

***

Biblit – sito professionale dei traduttori – assai ben curato da Marina Rullo, presenta ‘Aperitivo letterario con traduttore’.
Per sapere quando, dove e chi interviene, cliccare su quel sito.

***

Ancora il Sindacato Scrittori, in collaborazione con il Gruppo Consiliare dei Verdi, all’Auditorium dell'Ente Cassa di Risparmio di Firenze in Via Folco Portinari 5, sabato 20 maggio 2006, ore 16.
Ci saranno: Lia Desotgiu, Marcella Mariotti, Luca Scarlini, Raul Schenardi, Isabella Zani che parleranno della propria esperienza professionale.
Guida l'incontro Vincenzo Barca .

***

Libriamo 2006: sabato 27 maggio, ore 14.30, Fiera editoriale di Vicenza, Vicenza.com Village, Corso Palladio 67.
Qui troviamo: Ada Arduini, Laura Cangemi, Elena Dal Pra e Anna Mioni che diranno dei diversi aspetti del lavoro del traduttore letterario.
Coordina l'incontro: Sandra Biondo.


Performing Media 1.1


Quando apprendo di una nuova pubblicazione – ve ne dirò fra poco – di Carlo Infante sono felice perché so che m’attendono alla lettura epifanie teoretiche di qualità. Teorie sui media e per i media. Attribuisco valore a quel “per”, poiché Carlo non è soltanto uno studioso di missioni e funzioni dei nuovi media, ma di quell’area ne fa pratica attiva ed inventiva proponendo molteplici operazioni come potrete apprendere cliccando su Teatron, PerformingMedia e Glocalmap (prossimamente vi parlerò più diffusamente di questa mappa informatica), dove si sviluppano le piattaforme di creatività connettiva, basate su blog, di cui è protagonista da anni.
Qualche cenno biografico.
Ha diretto, negli anni Ottanta, festival come "Scenari dell'Immateriale" a Narni, condotto trasmissioni radiofoniche su Radiorai 1 e 2, televisive come "Mediamente.scuola" su Rai 3.
Autore di "Educare On Line" (Ipm Netbook,1997), "Imparare giocando. L'interattività tra teatro e ipermedia" (Bollati Boringhieri, 2000) "Edutainment: imparare navigando" (Coop, 2004), "Performing Media. La nuova spettacolarità della comunicazione interattiva e mobile" (Novecentolibri, 2004), oltre a decine di altri saggi e centinaia di articoli giornalistici per diverse testate.
Ricognitore delle forme della trasformazione culturale, Carlo Infante è docente di "Performing Media" all'Università di Lecce, all'Accademia di Belle Arti di Macerata e all'Istituto Europeo del Design di Torino.
Pubblica ora Performing Media 1.1. Politica e poetica delle reti, edito da Memori, con una prefazione di Beppe Grillo.
Gli ho chiesto di parlarmene a bordo di questo Cosmotaxi.
Questo libro rilancia il concetto di "performing media", su cui si sono sviluppate - in diverse direzioni (dalla sperimentazione creativa dei linguaggi ai nuovi format formativi) - teorie e buone pratiche intorno alla politica e alla poetica espressa nelle reti telematiche.
Non si tratta solo di strumenti tecnologici ma di nuovi ambienti di relazione sociale dove declinare l’idea di comunicazione, altrimenti mediata e pervasiva, come un "comunicare con" e non solo un "comunicare a", come nei blog, nei forum: in tutto il social networking.
In questa direzione si connota l'idea di Performing Media: strategia culturale e politica che vuole interpretare i nuovi media interattivi come opportunità evolutiva.
Performing Media è progettazione per una convergenza dei media basata sulla capacità creativa di organizzazione sociale. Un indirizzo attraverso cui coniugare azione culturale, comunicazione multimediale e marketing territoriale: per interpretare le potenzialità di una Società dell'Informazione indirizzata verso la partecipazione attiva e la condivisione della conoscenza come bene comune
.

Carlo Infante
"Performing Media 1.1. Politica e poetica delle reti"
Prefazione di Beppe Grillo
Pagine 248, euro 14:00
Edizioni Memori


Salvate la figlia Ifigenia


Debutta oggi a Roma in prima nazionale Io non ti salverò una produzione Colori proibiti (nome che immagino rimandi ad un romanzo di Yukio Mishima) che si avvale della regìa di Stefano Napoli di cui vi ho segnalato tempo fa una sua performance.
Si tratta di una rivisitazione dell’Ifigenia del greco Euripide (485 ca. – 406 a.C.).
In scena: Paolo Bielli, Marco Bilanzone, Francesca Borromeo, Marinella Bonini, Simona Palmiero, Luigi Paolo Patano.
Il titolo di questa reinterpretazione dell’Ifigenia fa riferimento, sia pure al contrario, al celebre film di Hitchcock “Io ti salverò”, film stroncato da Truffaut che pure riteneva Hitchcock un genio. Ma in quel film, l’algida Ingrid Bergman si comportava, essendone innamorata, in modo clemente e partecipe ai guai di Gregory Peck, mica come quel fetentone di Calcante (a proposito, gli andrà male e ben gli sta) che Ifigenia la vuole sgozzata come un vitello.
Io non ti salverò racconta una storia crudele, la storia, appunto, di Ifigenia, giovane figlia di Agamennone convinto dall’indovino Calcante, a sacrificarla alla dea Artemide perchè i venti siano propizi alla partenza delle navi greche alla volta di Troia.
L’avventura di Ifigenia nasce sotto il segno della ferocia, ma per rappresentarla qui non si ricorre al registro eroico e lo spettacolo si sviluppa come una sorta di prova generale del sacrificio di Ifigenia, continuamente tentato e continuamente rinviato.
Stefano Napoli così dice del suo lavoro: Tragica è una storia di cui non si può cambiare il finale e tragedia è il luogo immaginario in cui il personaggio indossa il suo destino come un vestito non suo e si impegna a portarlo con eleganza, come se l’avesse scelto proprio lui e fosse quello, e non un altro, il vestito che lui voleva. E lo porta fino a quel finale che, appunto, non si può cambiare, diventando così un eroe. Ignoto è il fine delle azioni umane e incerti i risultati: l’idea che un dio decidesse per lui forniva all’uomo greco un destino, cioè un significato, lo proteggeva dalla smisurata complessità dell’esistenza, lo educava ad accettare la crudeltà della vita. Ma Euripide non crede più agli dei e, dunque, non crede più neanche all’innocenza dell’uomo.

Ufficio Stampa: Simona Carlucci, 0765 – 423364; 335 – 59 52 789; carlucci.si@tiscali.it

“Io non ti salverò”
dall’ Ifigenia di Euripide
Regia di Stefano Napoli
Teatro Ulpiano
Via Calamatta 38, Roma
Tel. 06 – 32 18 258 e 329 – 0294840
Fino a domenica 28 Maggio
Dopo in tournée


Drawing Restraint


Nato a San Francisco nel 1967, Matthew Barney vive a lavora a New York. La sua opera, attraverso strategie interattive e plurilinguistiche, giunge a trascendere le limitazioni fisiche del mezzo artistico. Caratterizzati da un’estetica raffinatissima e da un immaginario fantastico, i suoi lavori - da lungometraggi a videoinstallazioni, fotografie, sculture e disegni - sono stati presentati nei maggiori spazi espositivi d’Europa e degli Stati Uniti.
Gli anni 2002 e 2003 hanno visto la creazione di The Cremaster Cycle, un viaggio epico nell'inconscio, per esplorare le vie del desiderio e della sessualità. “Il Cremaster Cycle” – scrive Ada Venié – “la saga epica del 'muscolo testicolare' (questa è la traduzione del termine), è suddiviso in cinque episodi che Barney ha voluto però non rispettassero l'uscita della loro progressione numerica, ma seguissero invece il seguente ordine: Cremaster 4 (1994), Cremaster 1 (1995), Cremaster 5 (1997), Cremaster 2 (1999), Cremaster 3 (2002). Certo non casualmente, la sequenza numerica 4-1-5-2-3 contiene un'evidente simmetria costruita attorno al numero cinque in posizione centrale, che risulta anche dalla somma delle coppie numeriche alla sua destra e sinistra. Come una grande metafora genitale, ma priva di intenzionalità sessuale, ‘Cremaster’ risolve il suo racconto esclusivamente su base biologico-organica, e ad visionarietà allegorica corrispondono riferimenti scientifici da trattato di andrologia.”
In Italia dobbiamo all'Associazione Culturale Complus Events la conoscenza del lavoro completo di Barney perché ne distribuisce da tempo i film e ora presenta a Milanocontemporanea il suo più recente lavoro filmico: Drawing Restraint 9 (2005).
A Piero Pala, presidente di Complus, ho chiesto di parlarmene.
Drawing Restraint è stato il progetto continuo di Barney dal 1987. L'ispirazione è nata dall'idea della resistenza – secondo le sue stesse parole – «come prerequisito per lo sviluppo e veicolo per la creatività». L'episodio 9 vede il debutto professionale della coppia Barney-Biörk, la loro prima collaborazione artistica. Lei, sua moglie da qualche anno e vincitrice del Premio come Migliore Attrice al Festival di Cannes 2000, è alle prese con un'apparizione cinematografica e una colonna sonora che sono le prime da allora. Al largo della baia di Nagasaki, sulla baleniera giapponese Nisshin Maru – unica nave/fabbrica attualmente operante al mondo –, si celebra un matrimonio di tradizione scintoista tra l'artista statunitense e la musicista/attrice islandese. Una immensa scultura in vaselina liquida, nelle sue trasformazioni, funge da raccordo con la vicenda dei due protagonisti. Una teatralità onnipresente, i nuclei tematici elaborati nelle differenti sequenze, la sofisticata scenografia, l'assenza dei dialoghi, la musica composta ed eseguita da Björk conferiscono al film lo statuto di opera totale.

E per chi non potesse vedere “Drawing Restraint” a Milano? Don’t panic please! Si replica a Roma, al cinema Avorio (Via Macerata, 12), il 12 e il 13 maggio.

“Cremaster Cycle”
“Drawing Restraint 9”
Milano, Cinema Gnomo
Via Lanzone 30, 02 – 80 41 25
Dal 5 all’11 Maggio
Ufficio Stampa laura.neri@gmail.com


Fuori l'autore!


Per applaudirlo? No, per cacciarlo proprio. Chissà, forse se lo merita.
Singolare appare, però, che a metterlo alla porta sia la Fiera del Libro che quest’anno – domani apre i battenti, ma, come si è detto, non per gli autori – a differenza delle passate edizioni, non rilascia ingresso gratuito a chi ha scritto libri, cosa quest’ultima che è stato da sempre tra i vanti di quella Fiera. Ma siccome le disgrazie non vengono mai sole, ecco che a seguire gli scrittori nel loro destino di sfrattati ci sono pure (com’è scritto nel sito della FdL) “i traduttori, i librai, i consulenti editoriali” che pure avevano fino al 2005 quel piccolo beneficio; con la duplice (giusta) condizione che annunciassero la loro presenza entro una certa data stabilita dalla direzione della Fiera e documentassero la loro appartenenza all’area editoriale.
E poiché il cattivo gusto non conosce confini, ecco che l’opera si completa con l’annuncio che per quegli appestati, purché dimostrino di esserlo con suoni di campanelle appese agli stracci, c’è uno sconto di 2 scudi; pagherebbero, cioè, 5 invece di 7 euro.
Chissà quale mente raffinata ha ideato queste pensate!
Merita, chiunque esso sia, quella riflessione di Petrolini: “C’è sempre un idiota che l’inventa e un cretino che la perfeziona”.


Videoludica (1)


La Libera Università di Lingue e Comunicazione Iulm – con la collaborazione della prestigiosa Standford University – ha organizzato attraverso il suo Humanities Lab per domani a Milano Games@IULM, un convegno che ha lo scopo di analizzare il ruolo del videogioco nell'universo artistico, culturale e sociale contemporaneo.
Presiede il convegno Patrizia Nerozzi – Preside della Facoltà di Lingue, letterature e culture moderne. Intervengono: Matteo Bittanti, Università Iulm e Stanford University; Marco Cadioli, artista e reporter della rete; Simon Egenfeldt-Nielsen, Center for Computer Games Research di Copenhagen; Cristiano Poian, Università degli Studi di Udine; Vincenzo Russo, Università Iulm; e, in video intervista, Jeffrey Schnapp, Henry Lowood, Fred Turner, Stanford University.
Nel corso della giornata avrà luogo il primo esperimento di conferenza attraverso un videogioco. Grazie ai loro avatar in Second Life, un MMORPG (Massive Multiplayer Role Playing Game) che ospita oltre 150.000 utenti, Matteo Bittanti (a proposito, non perdete l'occasione di dare un’occhiata al suo sito web) dall’Università di Stanford converserà con Paola Carbone e Valentina Paggiarin di “Prima, Seconda, Terza Vita. ‘Presenza’, ‘Assenza’ e ‘Agenza’ nei mondi sintetici”.
Ho avvicinato Paola Carbone. E’ professore associato presso lo Iulm, la sua attività di ricerca si è svolta prevalentemente in quattro aree complementari:la teoria della critica letteraria, la letteratura inglese moderna e contemporanea; le potenzialità della tecnologia informatica per la produzione e trasmissione del sapere umanistico; la letteratura e la scrittura creativa in ambiente digitale. Da anni coordina il progetto TristramShandyWeb presso lo Humanities Lab, struttura dedicata allo studio del rapporto tra le discipline umanistiche e le tecnologie digitali con l’obiettivo di sviluppare modelli di conoscenza innovativi e nuove strategie di divulgazione del sapere nell’ambito delle arti e della letteratura.
A lei ho chiesto: l’approdo dei videogiochi su Internet che cosa ha cambiato in senso relazionale nel rapporto giocatore-macchina? Mi riferisco particolarmente ai giochi pensati per la Rete dove possono partecipare più giocatori…
Il videogioco può essere inteso come un ‘dispositivo tecnosociale’, vale a dire un fenomeno sociale e culturale che deve imprescindibilmente avvalersi della tecnologia.
Nato come mera sperimentazione (si ricordi, “Tennis for two”, sviluppato per oscilloscopio nel 1958), il videogioco ha sempre seguito l’evolversi della tecnologia fino a diventare oggi un vero e proprio campo di sperimentazione. Negli ultimi anni la modellazione tridimensionale degli ambienti e lo sviluppo della grafica applicata alla caratterizzazione dei personaggi hanno favorito la creazione di ambienti immersivi sempre più coinvolgenti dal punto di vista emotivo. In particolare, il non-luogo (o l'iper-luogo virtuale) videoludico oggi si configura fortemente come luogo della socializzazione, del consumo, dello scambio.
I MMORPG (Massive Multiplayer Role Playing Game, tra questi “Everquest”, “Ultima Online”, “World Of Warcraft”) sono esempi di comunità online dove i giocatori si incontrano non solo per intraprendere avventure/quest ludiche di gruppo, ma anche più semplicemente per socializzare. Questo significa che il Vg, supportato dalla velocità della connessione e dalla buona configurazione media delle macchine, oggi ha superato la dimensione solipsistica di cui è stato a lungo accusato. Recentemente gli ARG (Alternate Reality Game: tra essi “San Francisco Zero”, “Last Call Poker” e “Perplex City”) hanno dimostrato che i videogiochi possono essere media di aggregazione (magari attraverso una collaborazione forzata) e di condivisione di informazioni, di dati e soprattutto di esperienze che si estendono al di fuori della macchina e della rete Internet.
E’ da sottolineare infine come spesso i partecipanti a un gioco online organizzino ritrovi nel ‘mondo reale’ e stringano amicizie che vanno al di là del virtuale
.


Videoludica (2)


Il convegno Games@IULM, si apre con la retrospettiva L'arte videoludica di Mauro Ceolin, tra i più significativi rappresentanti della game art nel panorama internazionale.
Humanities Lab presenta una retrospettiva – curata da Pierluigi Casolari e Matteo Bittanti – sulle opere di quest’artista milanese.
Mauro Ceolin è stato invitato a numerose mostre nazionali e internazionali, tra le più recenti: "New Found Land" alla Priska C. Juschka Fine Art di New York e "Videogame landscape" presso Fabio Paris Art Gallery di Brescia. Ha partecipato inoltre alla prestigiosa collettiva "Bang the Machine" al Yerba Buena Center for the Arts di San Francisco, a diversi new media festival quali "Piemonte share festival 2005" a Palazzo Cavour di Torino e alla manifestazione tenutasi al Peam di Pescara.
Il percorso della mostra presenta quadri, installazioni e sculture che esemplificano le possibili contaminazioni tra l’arte e il videogioco. In particolare, saranno esposti alcuni dei celebri paesaggi. Ad esempio: “SolidLandscapes” - ispirati agli scenari in prospettiva isometrica di "Gothamracing",
‘Zelda’, ‘Myst’, ‘Kirby’ -, e alcuni ritratti da “GamePeople” con i volti di noti game designer, tra cui Peter Molineaux, Bruce Shelley, Sam Houser.

L'arte videoludica di Mauro Ceolin
Milano
Università Iulm
Ufficio Stampa: Valeria Carusi, v.carusi@cantieredicomunicazione.com
Fino al 12 maggio 2006


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