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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Asolo, terra di cinema


La splendida città di Asolo ha tra i suoi meriti quello di ospitare uno dei migliori festival di cinema esistenti in Italia, giunto, nel 2007, alla sua XXVI edizione
Per conoscere la storia di questa prestigiosa rassegna, cliccate QUI.
Per i vincitori del 2007, CLIC.
Logo 2007La giuria di quest’anno, presieduta da Mario Brenta, era composta da Francis Bissong, Enrico Ghezzi, Toni Jop, Mark McIlrath, Guglielmo Monti, Luciano Zaccaria.

Di Asolo Film Festival, ho invitato a parlare Toni Jop. Giornalista da trent’anni, è da nove il responsabile del settore cultura del quotidiano “l’Unità”. Organizza importanti eventi di poesia e musica. Ascoltiamolo.

Asolo con il suo Festival è uno dei luoghi rari della terra dove ancora si ricorda che la radice del cinema è fantastica, creativa. Una radice che risponde solo al bisogno che l’autore ha di dire. In questo sfugge del tutto alle leggi del mercato o le incrocia occasionalmente non per statuto. In un mondo in cui tutto viene mercificato e tutto sembra avere senso quando è legato a un indice di gradimento, Asolo rende merito ad un aspetto della libertà sempre più sacrificato e sempre meno celebrato su scala globale.

Dimmi di una caratteristica che più t’interessa di questo Festival.

Come al solito, sono abituato a leggere, a sfogliare se si vuole, le pagine cinematografiche raccolte dalla rassegna, ma ciò che mi rallegra in modo particolare è che Asolo continua ad essere un laboratorio a cielo aperto per performances e altre elaborazioni artistiche che non prescindono dall’immagine. Per questo, se sono soddisfatto della rassegna sono entusiasta per la permanenza di un tratto caratteristico della storia dell’appuntamento asolano, e cioè la presenza in quelle bellissime strade medievali di artisti legati alla ricerca più interessante e vitale dei linguaggi d’arte. Così la presenza di Ben Patterson con le sue performances mi è sembrata una garanzia di questa antica coerenza. Mi riferisco alla capacità di Asolo d’ospitare non solo opere d’arte, ma, soprattutto, vite d’arte.
E’ una vocazione che sarebbe terribile sottovalutare. Asolo, quindi, è importante come una bella finestra aperta nel cuore del Veneto sulle esperienze artistiche meno conformi e più intrecciate con il presente
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Universi Sensibili


“A teatro nelle case”, ideato dal Teatro delle Ariette, quest’anno avrà uno svolgimento particolare.
A spiegarlo è Stefano Pasquini.

LogoQuest’anno non sarà il solito festival. Non sarà una vetrina di spettacoli.
È vero, abbiamo sempre immaginato il festival come un corpo unico, dove ogni singolo evento andava a comporre il disegno di un’idea. Così sono nate le due ultime edizioni del festival: Vite e Utopie.
Esiste una dimensione poetica della realtà. È una realtà parallela. Esiste sempre. Dipende dal nostro sguardo la possibilità di raggiungerla. È la dimensione poetica dell’incontro, della festa, dei riti collettivi, dei gesti quotidiani del lavoro (di un calzolaio, di un fornaio o di un artista) e della vita.
Questa dimensione apre le porte e accende il desiderio.
In noi ha acceso il desiderio di costruire un evento capace, per 10 giorni, di entrare nel ritmo del respiro di un luogo, di un territorio e di una comunità. Un evento di festa e di gioia, gioia dell’arte e dell’incontro, della musica e del teatro.
Come da bambini, quando aspettavamo l’arrivo del circo, del luna-park, delle giostre, dei carrozzoni, tutte le lucine colorate, i torroni, gli animali, le musiche e tanta, tanta gente che perdeva tempo.
Così quest’anno abbiamo invitato Antonio Catalano e abbiamo lavorato con lui per costruire un luogo e un tempo da abitare e da vivere poeticamente. Un luogo per tutti, come per tutti è la terra. Un tempo perso, quindi ritrovato. Un universo sensibile
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Scritti, immagini, programma: QUI.

“A Teatro nelle case”
Festival d’autunno
Bazzano, Castello di Serravalle, Monteveglio (Bologna)
1 – 11 novembre 2007
Info: universisensibili@tin.it


Bacci Pagano indaga ancora


Il detective Bacci Pagano, nato dalla penna di Bruno Morchio, in un volume mandato in libreria da Garzanti è impegnato in una nuova indagine nelle pagine di Le cose che non ti ho detto.
Già lo avevamo conosciuto in quattro precedenti avventure, ed ora cedendo alla richiesta di Mara, una delle donne della sua vita, va a ficcarsi in nuovi guai.
Il romanzo si apre nello studio dello psicanalista Nicolò Ingroia, detto il Gigante.
Non è un caso, forse, quell’ambientazione.
Bruno Morchio, infatti, vive a Genova, dov’è nato, lavorando come psicologo e psicoterapeuta, vantando anche una vasta pubblicistica scientifica sulle neuroscienze.
Né deve meravigliare il suo impegno letterario, si laureò in letteratura italiana con una tesi sulla “Cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda.
In Italia, specie negli ultimi anni, non mancano giallisti (per numero sono, forse, inferiori solo agli evasori fiscali), e troppi tentano imprudentemente quel mestiere sicché le loro pagine gialle risultano, assai spesso, meno emozionanti di quelle pubblicate dalla Telecom.
Morchio, però, mi pare che sia scrittore vero, perciò gli ho chiesto: come ti rapporti con questo, tanto frequentato, genere del ‘giallo’?

Il mio rapporto con il genere giallo è sintetizzabile dicendo che abbiamo una convivenza altamente conflittuale. In particolare, negli ultimi due romanzi la struttura narrativa del poliziesco è tirata fino al limite della rottura. Il meccanismo del puzzle, tipico del giallo, non mi interessa. Sono invece molto più interessato a caratterizzare i personaggi e alla evoluzione drammatica della storia, che muove generalmente da strutture motivazionali legate a passioni e interessi. Tuttavia non voglio nascondermi dietro un dito: il protagonista delle mie storie, il detective privato Bacci Pagano, per lavoro e per destino è condannato a cercare la "verità", il retroscena di storie criminose, e dunque i miei romanzi se non sono ascrivibili al giallo classico, restano comunque storie noir (li definirei senza riserve noir mediterraneo), con riferimenti letterari piuttosto precisi e
dichiarati: l'hard-boiled di Chandler, il poliziesco di Vazquez Montalban e Izzo. Il contenitore serve a facilitare il compito di scrittura, offre coordinate, impone un ritmo e chiama ad una attenzione al lettore, ma lascia liberi di soffermarsi sulle ferite e sui nervi scoperti (sociali, psicologici, culturali) che più stanno a cuore al narratore.
Alla domanda: perché hai scritto un romanzo noir? risponderei: "Perché l'Ulisse l'ha già scritto qualcun altro"
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Per una scheda sul libro: QUI.

Bruno Morchio
“Le cose che non ti ho detto”
Pagine 279, Euro 16:60
Garzanti


Mini - Darwin


La madre dei disegni intelligenti è sempre incinta… o non si dice così?
Sia come sia, il concetto è quello.
Perciò, specie ai nostri giorni, è bene dare voce alle Scienze, soprattutto quando si tratta d'informare i ragazzi in età scolare prima che qualche nerovestito s’impossessi delle loro menti e, talvolta, non solo delle menti.
Meritoria mi pare, quindi, la recente pubblicazione dell’ottima Editoriale Scienza che ha mandato in libreria Mini-Darwin L’evoluzione raccontata dai bambini.
Il volume ripercorrendo il viaggio più importante di Charles Darwin, quello alle Galápagos, contiene anche brevi citazioni tratte dall’Autobiografia e dal Diario dello scienziato.
La barca a vela "Adriatica", resa famosa in Italia da Patrizio Roversi e Susy Blady con la trasmissione "Velisti per caso", ha compiuto dal dicembre 2006 al maggio 2007 un viaggio sulle tracce di Darwin, ripercorrendo la parte più significativa dello straordinario itinerario
dell'imbarcazione "Beagle".
Quando, come, chi ha viaggiato, e perché?
Per sapere di questa singolare esperienza, ho invitato l’autrice del volume Simona Cerrato.

E' stata un'esperienza emozionante e scientifica in cui i ragazzi erano i protagonisti. Siamo partiti per le isole Galápagos il 25 dicembre 2006 e in tre settimane abbiamo visitato gran parte delle isole. Ogni giorno oltre all’esplorazione vera e propria, erano previste delle attività scientifiche. Muniti degli strumenti dei veri esploratori e guidati dagli scienziati, i ragazzi hanno imparato come si osservano e distinguono gli animali, hanno svolto semplici attività per verificare come funziona il mimetismo o la selezione sessuale, come si mette ordine nella natura attraverso la tassonomia e come si costruisce un albero evolutivo.
I ragazzi erano accompagnati da due scienziati, Alfred Beran, biologo del Dipartimento di Oceanografia Biologica dell'Isitituto Nazionale di Geofisica e Oceanografia Sperimentale (OGS, Trieste), e Giorgio Budillon, oceanografo dell'Università Parthenope di Napoli.
Fare scienza con le proprie mani e con la propria testa, insieme a dei veri scienziati, è naturalmente qualcosa di speciale, ma non sempre abbiamo la possibilità di farlo. Noi abbiamo avuto questa fortuna, ed è per questo che, in seguito alla spedizione, abbiamo fatto un libro e una mostra: proprio per condividere almeno un po’ l’esperienza unica delle Galápagos.
Tutto il progetto è nato da un’idea di Paola Catapano, che, a due anni dal duecentesimo anniversario della nascita di Charles Darwin, desiderava far ripercorrere a un gruppo di ragazzi la tappa più importante del viaggio che il grande naturalista compì a bordo del brigantino Beagle dal 1831 al 1836: le isole Galápagos. Un viaggio che l’ha portato a conoscere il nostro pianeta e a formulare la sua teoria dell’evoluzione, ancora oggi il fondamento di tutta la biologia
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Per una scheda sul libro e un assaggio delle pagine: CLIC!

Simona Cerrato
“Mini-Darwin”
Illustrazioni di Cinzia Ghigliano
Pagine 119; Euro 16:90
Editoriale Scienza


Birichinate di gusto


A Torino, per il quarto anno consecutivo si svolgerà una grande kermesse gastronomica in sei serate: Il Gusto del Territorio.
L’avvenimento è dedicato ai cultori della buona tavola, ed è stato ideato dal grande Nicola Batavia - Maestro del Gran Sapore e Patron del ristorante 'l Birichin - per promuovere incontri con giovani chef che negli ultimi anni sono stati premiati da pubblico e critica per la particolare attenzione dimostrata nella valorizzazione delle risorse dei territori dove agiscono.
La terra protagonista quest’anno sarà la Lombardia.
Prenderanno parte alla rassegna alcune realtà-simbolo della migliore produzione vinicola e gastronomica lombarda che delizieranno gli ospiti con i loro molteplici piatti e vini mentre la Torrefazione Caffè Lelli di Bologna (il titolare Leonardo da anni firma grandi miscele d’autore), seguirà tutti i sei eventi.
Sarà proprio Batavia – ogni mese è lui a suggerire i vini stellari che offro ai miei ospiti durante le interviste a bordo della taverna spaziale dell’Enterprise – a inaugurare la kermesse con un originale menu a 4 mani realizzato con Igles Corelli

Media partner dell’iniziativa sono il quotidiano “La Stampa” e la Divisione Il Gusto Gribaudo Editore.

Nicola BataviaIl Programma:

30 ottobre 2007 " ’l Birichin" Torino - “La Locanda della Tamerice”, a Ostellato (Ferrara)
Chef Nicola Batavia , Igles Corelli e Daniele Giolitto

06 novembre: " Artigliere ", Gussago (BS)
Chef Davide Botta

13 novembre: “Il Sole di Ranco”, Ranco (VA)
Chef Davide Brovelli

20 novembre: " Park Hyatt”, Milano
Chef Filippo Gozzoli

27 novembre: “Ortica”, Manerba del Garda (BS)
Chef Pier Carlo Zanotti

03 dicembre: " Il Gelso”, San Martino (BS)
Chef Nicola Silvestri

Tutte le serate, esclusa quella inaugurale, avranno luogo al ristorante “‘l Birichin” di Torino.
Informazioni e prenotazioni per il pubblico: Tel. 011 - 65 74 57; 335 - 39 38 19


L'Eternauta


Su Cosmotaxi sale oggi un passeggero d'eccezione, un famoso eroe dei fumetti: l'Eternauta.
Ecco in breve com'è accaduto che io lo abbia a bordo.
Dopo aver ospitato Roger Corman, Enki Bilal, Alejandro Jodorosky, Lawerence Ferlinghetti e altri grandi artisti contemporanei, Poggibonsi torna a far dialogare le diverse arti con una rassegna dedicata alla contaminazione fra cinema, nuovi media, videoclip, illustrazione d’autore, teatro, musica, danza, fotografia, letteratura.
L’Argentina dell’Eternauta e del tango, Peter Greenaway in una performance multimediale, il mondo narrato da Carlo Mazzacurati. Questi i tre eventi di ‘Fenice International Nine Arts Festival’, rassegna realizzata con il contributo della Fondazione Monte Paschi di Siena, promossa dal Comune di Poggibonsi e Politeama Spa in collaborazione con Vernice Progetti Culturali, che si svolgerà, come accennato prima a Poggibonsi, nei mesi di ottobre e novembre.

Si comincia con “Milonga Eternauta. Argentina ieri e oggi, tra tango, teatro, musica, cinema, fotografia e historietas”, evento curato da Napoli Comicon.
Fra i momenti principali l’esposizione ‘Il sogno dell’Eternauta’ che, alla presenza del disegnatore Francisco Solano Lopez, ripercorre la storia del famoso fumetto nel cinquantesimo anno della sua prima uscita e nel trentesimo della scomparsa del suo creatore Hector G. Oesterheld .
Altro protagonista della tre giorni argentina sarà il Tango, con il concerto del Trio Esquina di César Stroscio e lo spettacolo Tenco a Tempo di Tango scritto da Carlo Lucarelli, regìa di Gigi Dall’Aglio.
Completano il programma una rassegna di cinema, un’installazione fotografica di Lucia Baldini, un incontro a più voci su “Argentina: Storia e Cultura a 30 anni dall'inizio della dittatura”.

A Claudio Curcio di Napoli Comicon ho chiesto: qual è il profilo di questo Festival?

'Milonga Eternauta' nasce come un progetto a tutto tondo sulla cultura e le tradizioni dell'Argentina. La mostra sullo storico fumetto di fantascienza, alla presenza del grande disegnatore Solano Lopez, ma anche i tanti eventi dedicati al tango, sono tutti momenti che ci mostrano le molteplici sfaccettature della cultura argentina.
Un evento quindi che si inserisce magistralmente nell'ambito di un Festival come 'Fenice International Nine Arts Festival', che si caratterizza proprio per la sua volontà di mettere in dialogo le varie arti per creare nuovi percorsi.
'Milonga Eternauta' fa proprio questo. Passa attraverso tango, fumetti, video e incontri con protagonisti, per dare conto a 360° della effervescenza del dibattito artistico di una nazione come l'Argentina, da sempre molto vicina alla nostra
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Il tutto si svolgerà al Teatro Politeama e al cinema Garibaldi di Poggibonsi
Informazioni: 0577 983067 – 3339871047.
Mail a: fenice@politeama.info

Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web, l’Ufficio Stampa è guidato da Alessandra Riccucci di Vernice Progetti Culturali:
0577 – 21 92 28 e 0577 – 27 21 23; fax; 0577 – 247753
Mail: ufficiostampa@verniceprogetti.it


Tecno - Medioevo


Nell’àmbito del Festival della Scienza (nella foto il logo) sarà ospitato un progetto che mira ad una rilettura del sapere antico - Grecia classica, Medio-Evo, Rinascimento - in base alla conoscenza/comparazione di strumenti tecnologici contemporanei come la realtà virtuale, gli ipertesti, i sistemi navigazionali e di simulazione, la multimedialità, le corrispondenze matematiche tra musica e architettura, l’utilizzo di software per la classificazione di materiali storici.
Logo Festival ScienzaIl 26 e il 27 ottobre, incontri con Marcello Pecchioli, Carmen Dal Monte, Marco Maria Sambo, Stefania De Salvador, Andrea Scotti.

Tra i seminari, ne noto uno guidato da Marco Sambo che mi ricorda un suo libro omonimo che segnalai tempo fa: Labirinti. Da Cnosso ai videogames, pubblicato da Castelvecchi nel 2004 e che, da me sfogliato ore fa, si è dimostrato un evergreen.
Di Sambo ricordo che è autore anche di Contro chi – Editore Cooper – che rievoca l’infamissimo attentato delle Brigate Rosse contro suo zio Ezio Tarantelli.
Il seminario, al Festival della Scienza, rifletterà sull'archetipo-labirinto. Accanto alle icone più rappresentative della storia del labirinto verranno proposte immagini che spiegano l'essenza simbolica del dedalo: dall'antichità ai giardini rinascimentali, dagli esperimenti scientifici sui labirinti ai dedali dei film, dagli scacchi al web, dai pittori d'avanguardia alle metropoli del XXI secolo, da PacMan alla fantascienza.
Come mai l'estetica del labirinto continua ad affascinare?
Uso qui la risposta ch’ebbi da Sambo quando tempo fa presentai il suo libro.

Il meandro che attraversiamo è la vita stessa con i suoi pericoli, gli inganni, la felicità, il dolore: quante volte perdiamo la rotta, il cammino…
Il mio libro svela i misteri, i segreti, la storia di questo archetipo nato agli albori della civiltà.
Da Cnosso ai videogames, il labirinto è sempre presente: è un lungo viaggio attraverso rituali magici, iniziazioni, labirinti romani, medievali, giardini rinascimentali fino a giungere alla metropoli contemporanea con la sua architettura, l’arte, i fumetti, i film, i videogames. È un libro per tutti. Si può leggere dall’inizio alla fine. Si può leggere dalla fine all’inizio. Si può leggere dal centro andando a destra o a sinistra. Si può non leggere affatto, girando solamente le pagine per guardare le centinaia di immagini che entrano labirinticamente nel testo. Si può semplicemente sfogliare in libreria. Fate vobis. Perché - dopo 432 pagine di labirinti - ho capito una cosa: il dedalo, in realtà, non ha regole
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Paso doble per la pace


Ci sono figure di nobiltà morale in tutti i territori umani, sono una minoranza, ma esistono.
Da ateo quale sono, e forse proprio per questo, non ho difficoltà a riconoscerne alcune anche nelle religioni monoteiste che ritengo tra le più feroci.
Oggi presento uno di quei rari casi, si tratta del sacerdote Sirio Politi, prete operaio in un cantiere navale, animatore d’iniziative di solidarietà e di non violenza, morì il 19 febbraio del 1988, era nato il primo febbraio del 1920.
Mi fornisce l’occasione di ricordarlo un appassionato librino - Paso doble per la pace, scritti di Sirio Politi – introdotto e commentato da Maria Grazia Galimberti, pubblicista specializzata nella divulgazione d’economia e di diritto che collabora con Il Sole-24 Ore e l’Enciclopedia Treccani; ha fatto parte della comunità formatasi intorno a don Sirio Politi.
La Galimberti, con una linda scrittura, ne ricorda il pensiero ispirato a Charles de Foucauld e Simone Weil, ne illustra il profilo pacifista, la sensibilità che ebbe per il movimento del ’68, le lotte contro il nucleare, l’impegno antimilitarista, la sua tenacia nel cammino sociale che si era proposto. Nel ‘59 - è scritto nella prefazione - la chiesa pone fine all’esperienza di vita operaia obbligando tutti i preti che sono sulla breccia a scegliere: o prete o operaio […] ma poiché il lavoro a giornata era possibile, sceglie quello di scaricatore di porto.

Il tema trattato dal volume, mi dà l’occasione per ricordare che la Chiesa – oltre a quanto sanguinosamente già avvenuto nei secoli passati – troppo spesso la si trovi a fianco di tenebrosi momenti e movimenti contemporanei. Certamente non mancano esempi luminosi dovuti a singole personalità: da Don Milani a Primo Mazzolari, al vescovo Romero, a Don Puglisi. E ancora: i non pochi religiosi trucidati dai nazifascisti. Ma come non ricordare, solo per restare in Italia e nel secolo appena trascorso, la benedizione dei gagliardetti delle camicie nere in partenza per la guerra di rapina in Africa; il contributo della propaganda vaticana nel trasmettere la visione di Franco e del franchismo come male minore se non addirittura modello ideale per combattere l’ateismo; Padre Agostino Gemelli tra i 360 firmatari del “Manifesto della razza”; i molti sacerdoti volontari repubblichini “soldati di Dio e della Patria”, come li definì Mons. Della Vedova; il vescovo Alois Hudal che favorì la fuga da Roma di parecchi criminali di guerra nazisti; Padre Weber che dal Vaticano fornì un passaporto col falso nome di Ricardo Klement ad Adolf Eichmann meritandosene i ringraziamenti (vedi filmati del processo): “fu così che, grato, decisi di onorare la fede cattolica divenendone membro onorario”; Woityla che vola in Cile a stringere la mano a Pinochet dopo il golpe…
Auguro ai cattolici di contare tra le loro fila molti uomini come Sirio Politi, ma in verità l’orizzonte non mi pare ne prometta.

Sirio Politi
“Paso doble per la pace”
a cura di Maria Grazia Galimberti
Pagine 132; Euro 12:00
Città Aperta Edizioni


Apocalisse e Post-Umano


Molti studiosi sono divisi nel giudicare le prospettive del futuro di noi umani.
Al pessimismo, ad esempio, di Katherine Hayles (“Come siamo diventati post-umani”), o di Bill Joy, scienziato della Sun Microsystems, il quale sostiene che “il futuro non ha bisogno di noi uomini”, s’oppongono, per citarne alcuni, Chris Meyer e Stan Davis che nel libro “Bioeconomia” sostengono che la futura complessità non sarà incomprensibile e offrirà molti vantaggi; oppure Andy Clark, docente di scienze cognitive all’Università dell’Indiana, autore di “Natural-Born Cyborgs”: “… nel futuro continueremo a innamorarci, a desiderare di correre più veloci, di pensare più efficacemente… crescerà però l’abilità di creare strumenti che espandono la mente”.
Secondo i futurologi in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli.

Una preziosa raccolta di saggi è stata mandata in libreria in questi giorni dalle Edizioni Dedalo, titolo Apocalisse e post-umano Il crepuscolo della modernità; ne sono curatori Pietro Barcellona – Fabio Ciaramelli – Roberto Fai.
Gran pregio del libro è presentare una varietà di opinioni, anche fra loro molto diverse, e talvolta avverse, sicché il lettore è stimolato alla conoscenza dei temi anche grazie ad una chiarezza lontana dal linguaggio accademico.
Chi, generosamente, legge le mie pagine web sa che questo sito e il suo conduttore sono schierati da tempo a favore delle conquiste del post-umano, ma, credendo nella democrazia culturale, proprio per questo, mi piace ospitare anche voci lontane dai miei convincimenti.
Ho avvicinato perciò uno dei curatori del libro, Pietro Barcellona (direttore del Centro Braudel dell’Università di Catania, dove insegna Filosofia del Diritto e Metodologia della Scienza Giuridica), il quale – come leggerete fra breve – ha posizioni lontane dalle mie.
A lui ho chiesto: in questi anni s’ispessiscono gli esperimenti di Kevin Warwick che studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chips nel proprio corpo e pensa a nuove tappe del Cyborg Project all'Università di Reading. Quale uomo uscirà da queste acquisizioni, quale sarà l'atteggiamento esistenziale che più lo differenzierà da noi?

L’uomo che “nascerà” dall’ibridazione di corpo e microchips sarà purtroppo un uomo privo di mondo, assolutamente determinato nel suo rapporto con l’ambiente da meccanismi adattativi automatici simili a quelli che nella sfera animale istituiscono la relazione fra un cavallo e la prateria. Il rapporto con il mondo sarebbe, infatti, regolato automaticamente dal codice immunitario che istituisce la distinzione fra ciò che è utile alla sopravvivenza e ciò che è dannoso. L’ambiente degli esseri viventi non umani non è un mondo, ma un insieme di informazioni utili alla tutela della vita di ciascuna specie. Il mondo storico-sociale come orizzonte di “senso”, invece, si dà all’uomo attraverso la mediazione dell’apparato sensoriale che è costituito dal rapporto di selezione e orientamento (dai sensi alla percezione) che la relazione affettiva-culturale con la madre e con la coppia genitoriale istituisce. L’essere umano non ha un accesso immediato al mondo, giacché la sua psiche è strutturalmente caotica e indeterminata. Senza questa mediazione affettivo-culturale, allo stesso tempo, fisica/corporea e mentale, ciascuno di noi precipiterebbe nel caos dell’immediatezza e dell’indifferenziato. Il mistero della parola che “ordina” verrebbe completamente negato e gli uomini sarebbero ridotti a mere funzioni del processo naturale di selezione dell’energia vivente in vista dell’unico “scopo” di realizzare la sopravvivenza e l’incremento dell’energia della spinta alla pura vitalità animale. L’uomo sarebbe riducibile a un codice biologico e il problema della libertà e della decisione non avrebbero alcun senso.

Per una scheda sul libro: CLIC.

Per scaricare l’Indice con i titoli dei saggi e i nomi di tutti gli autori QUI.

“Apocalisse e post-umano”. Il crepuscolo della modernità
A cura di Pietro Barcellona, Fabio Ciaramelli, Roberto Fai
Pagine 368, Euro 17:00
Edizioni Dedalo


DigiFestival


Nel chiudere la sua terza edizione, DigiFestival presenta quest'anno più di 200 artisti provenienti da 37 nazioni.
In collaborazione con il Festival della Creatività, nel corso di 4 serate, avranno luogo conferenze, incontri, premiazioni, le proiezioni dei video partecipanti al festival e le performances di Emanuele Baciocchi, The Mirrors ed i newyorkesy Bohagey Bowes.
DigiFestival, diretto da Federico Panero (nella foto ), da alcuni anni agisce in Rete presentando, a mio avviso, nella sezione dedicata alla videoart i prodotti più interessanti.
Ecco perché ho chiesto a Panero: in quella sezione, ti è sembrato di scorgere una tendenza espressiva che prevale su altre?

Per quanto concerne l'edizione di DigiFestival.net 2007 abbiamo constatato un incremento delle opere di videoart legate alle installazioni. Il più interessante a mio modo di vedere è “Life Box Live” di Adalgisa Romano, strutturato in istallazione in 3 parti. Inoltre, l'astrattismo, che spesso contraddistingue questa disciplina artistica, quest'anno è stato affiancato dal documentarismo, come nel caso di Pierre Villemin “Memoire Carbone" o come nel caso di Cinzia Sarto “Una Sporca Vacanza”, una sperimentazione visiva che intreccia documentari, video scenografie e progetti di video arte. I due video citati sono arrivati secondo e primo, nella valutazione della giuria del festival.

Per il programma cliccare QUI

DigiFestival
Finale Edizione 2007
Fortezza da Basso – Padiglione Ghiaia
Dal 25 al 28 ottobre
Firenze


De Gustibooks e Liquida.Mente


Due notizie arrivate in ritardo.

Entrambe agiscono, come il DigiFestival di cui ho detto prima (che ha mandato con apprezzato anticipo proprie notizie), nella sede espositiva della Fortezza da Basso - foto - nell’àmbito del Festival della Creatività a Firenze dal 25 al 28 ottobre.

De Gustibooks è una grande festa del leggere che prevede una gustosa… et pour cause… fiera di libri dedicata all’enogastronomia.
Per conoscere meglio il tutto, cliccate con fiducia QUI.
Si chiuderà alla grande domenica con Indovina chi beve a cena, illuminazioni flash su abbinamenti fra cibi e vini.

Liquida.Mente è una rassegna promossa e curata da Fiammetta Strigoli che propone 10 opere video.
Coordinamento organizzativo: Promere
Le opere “attivano un concorso tra percezione e immagine per rendere operanti meccanismi iconici che vertono sul linguaggio del simbolo, sullo spostamento dei significati” e altro ancora.

Volentieri mi sarei soffermato su queste due interessanti occasioni, ma è andata come vi dicevo in apertura.


Matematica e psichedelia


E’ in corso alla Triennale Bovisa di Milano una grande mostra di Victor Vasarely (Pécs, Ungheria, 1906 - Parigi 1997).
Si tratta di un’imponente esposizione – composta da 9 sezioni e oltre 200 opere – che rivela al grande pubblico la complessità e l’importanza, nella storia dell’arte del Novecento, dell’opera di Vasarely, artista che attraverso procedimenti matematici sfiora con le sue opere di Op Art la psichedelia.
Vasarely, I curatori sono Andrea Busto e Cristiano Isnardi.

Scrive il primo: Per Vasarely si pone evidente la problematica di oltrepassare lo spazio fisico della tela, varcare i suoi limiti e obbligare lo spettatore a considerare i volumi virtuali che vengono a formarsi ai lati dell’opera e oltre la sua superficie […]. Se l’opera di Vasarely viene letta attraverso la simbologia delle sue ultime opere, in esse troviamo una perfetta armonia compenetrativa delle diverse forme, e le disuguaglianze sono lì per formare un grande cosmo armonico e armonioso. Spesso si è voluto comparare, sbagliando, l’arte di Vasarely a quella dei musicisti coevi, egli è più vicino a Bach che a Stockhausen.

Isnardi, soffermandosi sulla progettazione e la costruzione della Fondazione Vasarely a Aix-en Provence, vera e propria “opera d’arte totale” in cui la fusione fra pittura e architettura trova la sua applicazione, nota: L’aspetto della Fondazione è quello di una enorme scultura minimalista, priva di qualunque effetto decorativo e dalle linee essenziali e articolate. Pur risultando estremamente astratta, la collocazione nel paesaggio di questa struttura è stata pensata da Vasarely per instaurare un dialogo con il contesto. Le linee spezzate dei contorni dell’edificio, come le onde generate da un sasso in uno stagno, si propagano e modificano le curve di livello del terreno e le rive di un vicino lago artificiale.

La mostra, molto ben curata nell’allestimento, permette una comprensione di Vasarely, della sua complessa multidisciplinarietà che ha influenzato profondamente una parte dell’arte e delle arti applicate del secolo scorso, spingendosi al di là del semplice manufatto pittorico, per portare con sé l’idea di un’arte intesa non solo come piacere estetico, ma arricchita da un’etica volta a migliorare la vita quotidiana.
Le opere esposte provengono dalle maggiori collezioni pubbliche e private internazionali e molte di queste visibili in Italia per la prima volta.
In mostra anche una parte documentaria degli archivi dell’artista onde approfondire il suo processo creativo e la sua personale visione del ruolo dell’arte e dell’artista nella società.
Inoltre numerose fotografie di Vasarely al lavoro e una ricca illustrazione biografica permettono di conoscerlo come intellettuale e come uomo immerso nella sua quotidianità e nei suoi molteplici ruoli pubblici e privati.

Consiglio vivamente anche una visita al sito web dell’artista.

Catalogo: Carlo Cambi Editore.

Victor Vasarely
a cura di Andrea Busto e Cristiano Isnardi
Triennale Bovisa
Via Lambruschini 31, Milano
Fino al 27 gennaio 2008


Emilio Vedova 1919 - 2006


“La pittura è, come la vita, una nuova scelta, nuova responsabilità. Niente è facile per me, la mia mano non si muove senza mesi di studio preparatorio, senza un continuo approfondimento della coscienza”.
Così diceva Emilio Vedova.

Emilio VedovaIn occasione della sua scomparsa avvenuta il 25 ottobre del 2006, un mese dopo la morte della moglie Annabianca, così scriveva Sebastiano Grasso: Il suo furore non ha conosciuto scuole o correnti. Vedova, a suo tempo, aveva rimesso in discussione il Futurismo e la sua partecipazione a Corrente, a Oltre Guernica, al Fronte nuovo delle arti, al Gruppo degli Otto, all'Action painting, all'Art brut, sino all'Informale coi quali aveva avuto sempre un rapporto di scambio, mai di subordine. In realtà, Vedova ha sempre agito come una forza della natura. L'artista veneziano — che di Venezia, ormai, era diventato un elemento del paesaggio come San Marco e l'isola di San Giorgio — viveva i suoi dipinti. Una pennellata era un colpo di nervi, un gesto bilioso e selvaggio. E del selvaggio aveva anche l'aspetto, l'istinto vigile. Natura e carattere si fondevano, diventavano ritmo. Angoscia e lirismo, lucidità e pazzia. Di un finto pazzo, però, che in realtà era un genio.

Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna è in corso la mostra Emilio Vedova. 1919 - 2006, in preparazione dal 2004, realizzata in collaborazione con la Fondazione Emilio e Annabianca Vedova (dalla quale provengono la maggior parte delle opere), curata da Angelandreina Rorro e Alessandra Barbuto.
Oltre ad essere un’importante occasione di ulteriore studio e conoscenza dell’opera del maestro veneziano, diventa oggi un doveroso omaggio all’uomo e all’artista.

Per una scheda sulla mostra: QUI.

Il catalogo è pubblicato da Electa; per leggere la presentazione dell'esposizione: CLIC.

L’ottimo Ufficio Stampa è curato da Carla Michelli: cmichelli@arti.beniculturali.it

"Emilio Vedova 1919 - 2006"
Galleria Nazionale d’Arte Moderna
Viale delle Belle Arti 131, Roma
Fino al 6 gennaio 2008


Realcore in Pop Porn


Altre volte ho accennato in queste pagine ad una produzione di Sergio Messina intitolata Realcore.
In precedenza, sono stato costretto a riferirmi alle numerose presentazioni fatte all’estero di questo originale spettacolo perché finora mai era approdato in Italia. Stavolta, invece, Realcore, per chi abita a Roma o che si trovi a Roma di passaggio, è finalmente possibile vederlo.
Accadrà domani 19 ottobre all’ESC Atelier Occupato, nella serata intitolata Pop Porn.
Sergio MessinaPresentare Sergio Messina - con lui ho condiviso un rischioso volo spaziale e condivido da anni un’altrettanta rischiosa amicizia di cui mi vanto - è francamente difficile in quanto a dizioni.
Si può dire, ed è indubbiamente corretto, che è un artista multimediale, ma nonostante l’indicazione sia chiara non è esaustiva.
Perché Sergio è qualcosa di più.
Ha, infatti, una cifra espressiva complessa che pur agendo le nuove tecnologie muove sostanze umanistiche, conoscenze che intrecciano filosofia e antropologia, e questo, specie nella nuova scena che accanto a tanti meriti, spesso, registra manchevolezze culturali di colpevole innocenza, accade di rado.
Sentirlo parlare – e in Realcore è lui a parlare in forma di one-man-show – sembra sentire risuonare rock fra templi antichi, il fumetto può trovarsi a confinare con l’arte fiamminga (di cui è un esperto), la cyber cultura conosce nuove derive ispessite da vertiginosi accostamenti.
Indagatore di claustrofobie metropolitane, detective dell’angoscia dei nostri giorni, Sergio è una fiaccola al neon che illumina graffiti di età perdute, prima fra tutte la nostra.
A lui ho chiesto: che cos’è Realcore? O dovrei dire chi è Realcore?

Realcore è una ricerca che sto svolgendo da diversi anni sulla pornografia digitale in rete; è anche il nome che ho dato a questo nuovo genere di immagini - un nome che con mia somma soddisfazione sta prendendo piede tra gli studiosi.
Realcore è anche il titolo dello spettacolo in cui presento questa ricerca, una sorta di stand-up antropologico, una condivisione faccia a faccia. Purtroppo, dato lo scarso interesse dimostrato in Italia per questo argomento, la gran parte dei materiali su Realcore sono in inglese.
Naturalmente, data la natura strettamente amatoriale del fenomeno, Realcore siamo io, te, i tuoi lettori - tutti quanti
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Per il programma completo della serata, cliccate QUI.

"Realcore"
di Sergio Messina
Esc Atelier Occupato
Via dei Reti 15, Roma (San Lorenzo)
Venerdì 19 Ottobre
Ore 22:00, ingresso libero


Elogio della follia


Non amo Chesterton, eppure quel mezzo prete una cosa giusta… una soltanto, intendiamoci… l’ha detta: “Il pazzo è uno che ha perso tutto tranne la ragione”.
Non perdere la ragione, però, non significa – anzi, tutt’altro – evitare la sofferenza psichica che assume varie forme. E qui si apre uno scenario di molteplici ipotesi per curare quei tormenti; sostanzialmente si fronteggiano due posizioni, una organicista (detta anche psichiatria biologica) e l’altra chiamata cognitivista. All’interno di questi due schieramenti scientifici, vivono poi varie correnti pensiero che giungono a diversi approdi terapeutici.
Non m’azzardo ad entrare in quel dibattito, mi mancano gli strumenti per farlo. Gradirei, però, che anche altri, come me non attrezzati, evitassero d’avventurarsi in dichiarazioni su quel campo.
Perché se si parla di cardiologia si lascia la parola agli specialisti e se, invece, si discute di psichiatria tanti si sentono in diritto d’esprimersi? Perfino evocando ideologie politiche?
Non c’è dubbio che il male psichico risenta d’ambienti sociali (ma perché le cardiopatie no?) in modo più marcato rispetto ad altri malanni che ci acciaccano, ma da qui a farsi esperti, ce ne corre. Vorrei che a parlare fossero i medici e i loro pazienti, le sole due categorie le quali, con diverse matrici, hanno la competenza per pronunciarsi.
E se è vero che non è necessaria una laurea in medicina per dire che Basaglia aveva ragione, è altrettanto vero che occorrono studi scientifici o esperienze di sofferenza per dibattere seriamente sulla questione.
Lunga, ma credo necessaria, premessa per presentare un libro intitolato Psicofarmaci agli psichiatri.
L’autore è Enrico Baraldi che ebbi a compagno di viaggio tempo fa in un volo spaziale.
Medico psichiatra, lavora a Mantova come responsabile del Centro Psico-Sociale.
Ha pubblicato per Baldini&Castoldi “Verrà mai il giorno in cui non ci sarà la sera?”, e per Stampa Alternativa “Piccolo psichiatra” (2000), “Il piccolo perverso. Una favola d’amore” (2002), “Ti amo da matti” (1996), “L’aspirina è come Pippo Baudo” (1995).
E’ direttore artistico di Rete 180 la cui redazione è composta da persone con disturbi mentali che lavorano insieme per dare “voce a chi sente le voci”; all’emittente, ‘il Manifesto’ ha dedicato pochi giorni fa un ampio servizio di Giovanni Vigna nel supplemento Alias del 6 ottobre.

Il titolo del volume già annuncia quanto l’autore sosterrà nelle pagine, e che lo vede convinto di “scendere dalla cattedra, e dalla poltrona, e vivere una vita di autentica relazione coi suoi malati”.
Per svolgere la sua tesi, dà vita a un romanzo. La cosa può sorprendere alquanti (ed io sono fra questi), perciò ho chiesto a Enrico Baraldi: perché nel trattare il tema che proponi hai scelto la forma narrativa e non quella saggistica?

La domanda contiene in sé la risposta, nel senso che la scelta di scrivere un romanzo, anziché un saggio come il mio precedente “Piccolo psichiatra”, è assolutamente significativa.
Ho voluto sottolineare in maniera anche formale che la sofferenza psichica, quella di una crisi esistenziale, ma anche quella derivata dallo sconvolgimento mentale della schizofrenia, si iscrive sempre in una storia, in una biografia piuttosto che nella raccolta standardizzata dei dati di una cartella medica.
E che occuparsi in maniera globale di questa sofferenza vuol dire, prima di ogni altra cosa, ascoltare le vicende di quella esistenza come se fosse un romanzo e magari partecipare alla sua riscrittura più che classificare e prescrivere psicofarmaci.
Ed è per questo che, quando pretendono di fare troppo i medici, sono proprio gli psichiatri che necessitano di essere curati!
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Per una scheda sul libro: QUI.

Enrico Baraldi
“Psicofarmaci agli psichiatri”
Pagine 140; Euro 10:00
Stampa Alternativa


Prima della pensione


Il titolo di questa nota non tragga in inganno, qui non si parla d'Inps. E neppure d’Enpals, pur trattandosi di cose teatrali.
“Prima della pensione” è un testo - n'è autore Thomas Bernhard - che sta ottenendo successo nella messa in scena della Compagnia del Teatro I e approda ora a Roma al Teatro Vascello.
Bernhard, svolge una feroce critica contro la società del suo paese, in cui vede tentazioni neo-naziste, e, alla luce di certi recenti avvenimenti, vagli a dare torto.
“Prima della pensione”, scritto nel 1979, in particolare evoca ambienti e atmosfere che trescano col nazismo.
Federica FracassiIn scena tre fratelli in un interno borghese, polveroso, sporco, dove nulla e' stato cambiato ormai da decenni, dalla fine della guerra. Siamo nel 1980 e i tre si ritrovano a festeggiare il compleanno di Himmler a porte chiuse, come fanno da anni.

Dice Renzo Martinelli regista dello spettacolo:
Quanto in là ci si può spingere affrontando Bernhard?
La lingua di Bernhard è terreno insidioso. Ci avviciniamo con cautela, inadeguatezza, curiosità. Ogni testo è un labirinto, un intero di infinite parti. La lingua di Bernhard costringe alla concentrazione, al dubbio, al gioco. Incrina con leggerezza il nostro poco sapere.
La lingua di Bernhard chiama, chiede con forza una presenza, un’attenzione. Non ha bisogno di uno spettatore passivo, non si lascia semplicemente fruire. Chiede un’azione, un corpo, una voce. Vuole un pensiero.
Noi prendiamo la sua parola in punta di dita, cerchiamo di farla nostra e interpretarla, per comprenderla. E infine la rimandiamo a chi guarda.
Esiste una sfida da condividere. Da condividere con un pubblico accolto all’interno di una cornice, non più semplice spettatore, ma testimone, di ciò che è accaduto ieri, pochi anni fa, di ciò che accade oggi, di ciò che non si vuole più vedere per non ferirsi ancora. Una bambina sordomuta accompagna il pubblico nel quadro, gli svela le contraddizioni di cui si nutrono i personaggi, figure ormai incapaci di uscire dalla propria ossessione
.

Gli interpreti sono: Gabriele Benedetti, Irene Valota, Francesca Garolla, Federica Fracassi.
Quest’ultima (in foto) ha vinto il Premio Eti “Gli Olimpici del Teatro” 2007 come attrice emergente.

Teatro Vascello
Via Giacinto Carini 78, Roma
Dal 19 al 28 ottobre ‘07


Geometrie volubili


Alla fine degli anni ’50, emerse, nell’àmbito dell’op art e dell’arte cinetica, una nuova corrente artistica che fu denominata arte programmata nel corso di una mostra collettiva presentata da Umberto Eco.
Maaironi, Struttura a quadrati rotantiTra i protagonisti di quell’esperienza, ci fu Manfredo Massironi cui la Galleria Il Bulino di Roma dedica l’esposizione Arte esatta e geometrie volubili.
Per conoscere anche altri esponenti di quel filone estetico, cliccare QUI.
La mostra di Massironi a 'Il Bulino' propone opere che vanno dagli anni Sessanta ad oggi.
Presenta parti significative della sua attività di ricerca sperimentale e teorica, sia in campo artistico sia in quello psicologico-percettivo.
La pratica artistica di Massironi m’interessa perché anticipa alcuni principii che verranno più tardi sviluppati nelle arti visive dei nostri giorni.
Ad esempio, allorché l’artista, fra il 1960 e il 1965, con Biasi e Landi, fonda il nuovo Gruppo Enne 65, si coinvolge il fruitore ad uscire dalla passività di spettatore dell’opera facendolo interagire con l’opera stessa azionando comandi predisposti.
E’ uno dei primi esperimenti moderni in Italia di unire arte e tecnologie.

Ufficio Stampa: Alan Santarelli, alan.santarelli@gmail.com; tel. 348 - 41 53 676

Manfredo Massironi
“Arte esatta e geometrie volubili”
Galleria Il Bulino
via Urbana 148, Roma
06 – 47 54 21 61; info@galleriailbulino.it
Fino al 3 novembre ‘07


Pensare con l'errore


Che cosa pensate dell’Errore?
Credete a Molière che fa dire nella sua commedia “Lo stordito” ad un sornione: “Gli errori più brevi sono sempre i migliori”? Oppure preferite la sfacciata Mae West: “Tra due errori scelgo sempre quello che non ho mai provato prima”?
Sia come sia, l’errore può essere visto in tanti diversi modi e può produrre tante contrastanti cose.
Pensate a Colombo che, diretto alle Indie, per sbaglio si ritrovò in America, e si rifletta sull’errore che fecero quegli indigeni a non ributtarlo in mare visto ciò che di lì a poco quello lì avrebbe combinato loro.
Brunella Antomarini, afferma che “Quando gli errori del mondo ci scorrono davanti ogni giorno e ci abituano agli shock, dobbiamo imparare a pensare in stato di shock”. L’affermazione è contenuta in Pensare con l’errore mandato da poco in libreria da Codice Edizioni.
Di quest’autrice vi ho già parlato un anno fa allorché fu pubblicato L'errore del maestro … sì, è una che all’Errore dà il “tu”, sia che studi i Vangeli sia che rifletta sull’epistemologia.
Trattandosi di un libro sugli errori, pensando alla mia vita, mi sono venute alla mente ‘na folla di domande, roba che qui avremmo fatto notte. Perciò, a Brunella Antomarini, ne ho rivolta una soltanto: le epoche storiche influenzano gli errori? Se sì, in quale modo?

Brunella AntomariniLe epoche storiche stabiliscono le differenze tra errori e verità – come ha mostrato Foucault. Ma il problema che affronto nel libro è come, in ogni dato momento che abbracciamo come un intero (una totalità che prestabiliamo, tipo ‘Rivoluzione francese’, o ‘XX secolo’) esiste il centro di un bersaglio che chiamiamo verità e che è circondato dal resto del bersaglio che chiamiamo errore. Noi siamo sempre nella condizione di chi cerca il centro ma si muove nell’intera area. Perciò inconsciamente sappiamo di essere creature storiche – sappiamo cioè che il bersaglio è storico - ma non importa: sappiamo anche che possiamo far coincidere le nostre convinzioni con la ‘realtà’ che ci passa davanti – o dietro - il bersaglio.
Il libro è tutto un tentativo di ristabilire il valore della verità, come provvisorio (include l’errore, come mirare a un bersaglio include tutta l’area e colpiamo più o meno vicino al centro), ma anche come coincidenza reale. Il termine ‘coincidenza’ è fondamentale nel libro perché contiene la corrispondenza classica tra pensiero e realtà, ma anche un elemento fortuito, occasionale, di passaggio.
Che le donne fossero poco più che animali o schiavi era la grande convinzione dei greci, incluso Aristotele e quella convinzione, per quel dato tempo, coincideva con una verità. Funzionava. Le donne facevano figli e servivano gli uomini-guerrieri e pensatori, che infatti spesso si amavano tra di loro, perché tra uomini potevano capirsi nel profondo. Così abbiamo un errore (l’inferiorità delle donne) e l’anticipazione di una grande verità (che l’omosessualità non è una malattia). Ma l’uno è dovuto all’altra. Non c’è distinzione netta, solo passaggio tra forme di vita. La tragedia storica è quando tante proiezioni, fatti eterogenei, condizioni diverse convergono ineluttabilmente verso un risultato tragico. Se pensiamo ‘con l’errore’- voglio dire - perdiamo la consolazione della causa, della colpa e dello scaricare le responsabilità su ‘altri’. Non siamo mai al sicuro e usiamo un pensiero d’emergenza. Questo è il ‘valore’ che ho avuto sempre presente mentre scrivevo il libro
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Per leggere le prime pagine del libro (non potete commettere errori): stanno QUI.

Brunella Antomarini
“Pensare con l’errore”
Pagine 105, Euro 9:90
Codice Edizioni


Tra lirica e rock


Dopo il debutto di stasera al Teatro Coccia di Novara, parte la tournée di uno spettacolo che all’olfatto porta odor d’incenso e odor di zolfo.
La Compagnia non ha soltanto la particolarità d’offrire contrastanti effluvii perché s’avvale anche di contrapposte sonorità che spaziano dalla musica lirica al rock.
Titolo: Tra Santi e Demoni che ha in Rete un suo sito web corredato da un blog.

LocandinaCome nasce questo progetto di contaminare la musica lirica e il rock 'n roll?
Risponde Gian Riccardo Pera regista dello spettacolo.

In effetti timbri, strumenti, pubblico, cultura e stili di vita sembrano porre lirica e rock agli antipodi. Eppure sono molti i punti in comune. Primo tra tutti il senso del Drammatico, cuore pulsante dei due generi in forme espressive completamente diverse: rallentato e contemplato all’esasperazione nella lirica, veloce e aggressivo nel rock, dove il carattere sprezzante e moderno dei suoi interpreti rende accattivante e cinicamente interessante i temi della rottura con il conformismo e l’appiattimento dei valori. Il rock arriva secoli dopo la lirica, ed è testimonianza della commistione fra culture, dei fenomeni mediatici e della sovrapposizione di forme di comunicazione fra le più diverse. Oggi il pubblico è disincantato, si intrattiene con la televisione e il cellulare, il cinema, lo stadio, la discoteca, viaggia all’estero e naviga su Internet: fruisce insomma di tutte le forme di entertainment senza pregiudizi e senza soluzione di continuità. I moderni consumatori di musica conoscono Beethoven e sanno chi erano i Beatles, sono abituati a Mozart ed ascoltano Freddie Mercury, così come tra gli idoli nel cuore dei giovani musicisti Paganini si affianca a Jimi Hendrix, Listz a Keith Emerson. In nessuna epoca precedente si era mai verificato un fenomeno del genere.
La musica lirica non è seguita dalle nuove generazioni ed è un peccato perché la storia e la tradizione dell’opera in Italia sono ricche e straordinarie, conosciute e apprezzate in tutto il mondo. Storicamente, poi, la lirica era un tempo qualcosa di molto popolare che arrivava a tutti, proprio come oggi il rock.
E allora il pubblico è pronto per uno spettacolo come “Tra santi e demoni”? Lo spero
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Il cast: CLIC.

Le date in replica: QUI.


Vie Festival


Molte rassegne teatrali in Italia si fregiano dell’appellativo internazionale, basta che ospitino un gruppo di S. Marino, ma ben poche possono vantare a ragione quel titolo.
Fra queste, figura senza dubbio alcuno Vie Scena Contemporanea Festival che, ideato e curato da Emilia Romagna Teatro Fondazione, specie in questa sua terza edizione presenta un gran numero di compagnie straniere permettendo agli spettatori uno sguardo pressoché esaustivo sulle principali nuove correnti presenti sia nella scena di prosa sia nella danza.
Il Festival – si svolge fra Modena, Carpi e Vignola – conferma anche così la sua originaria vocazione duttile, capace di prendere le forme più diverse e spiazzanti, luogo di incontro di operatori, critici, studenti e appassionati, mossi dal comune interesse verso le più recenti forme della creazione contemporanea nello spettacolo dal vivo.
L’illustrazione che quest’anno figura sul cartellone del Festival è una Sirena di Guido Scarabottolo.
Sirena che, com’è detto dagli organizzatori sul sito del Festival, simboleggia l’essenza della rassegna perché “avvenente creatura, con il suo corpo metà donna metà pesce, rappresenta la ricerca, la tensione nel far emergere il sommerso che esiste, chimera, fusione e superamento di differenti generi”.

Il Festival s’avvale della consulenza per la comunicazione di Simona Carlucci carlucci.si@tiscali.it
L’Ufficio Stampa di “Vie” è curato da Agnese Doria, 059 – 21 36 042, stampa@emiliaromagnateatro.com

Per il programma: QUI.

Vie
Scena Contemporanea Festival
Modena, Carpi, Vignola
Da oggi al 20 ottobre ‘07


La punta della lingua


Come già sa chi generosamente legge queste pagine, Cosmotaxi non si occupa di poesia scritta o lineare come talvolta è definita, ma predilige la rockpoetry (o altre forme di poesia fonetica che, con un azzeccato titolo, anni fa furono indicate in un saggio-antologia come nate da un “Colpo di glottide”), oppure, più volentieri ancora, la videopoesia.
Precisazione d’obbligo: intendo performances sonore o audiovisive che non siano limitate a letture davanti a un microfono o a una telecamera ma si configurino come opere in cui parola, suoni, musiche, immagini, interagiscano tra loro creando interlinguaggio.
Ad Ancona, giunge alla seconda edizione un Festival – intitolato la La punta della lingua – che proprio alla videopoesia dedica una sua sezione e manifesta il proprio interesse per le nuove sperimentazioni ospitando, ad esempio, Egle Sommacal, chitarrista che ha suonato nella band dei Massimo Volume, attenta ad ibridare testi letterari e rock.
Il Festival, organizzato in collaborazione con l’Associazione culturale Nie Wiem, s’avvale della direzione artistica del poeta e performer Luigi Socci.
Per un suo ritratto biografico e profilo critico: QUI.
In altre sezioni del Festival, noto anche due nomi già ospiti di questo webmagazine: Vivian Lamarque con la quale ebbi una conversazione nello Spazio, e Giovanna Marmo della quale presentai una vertiginosa esibizione fonematica.

A Luigi Socci ho chiesto un suo pensiero sulla videopoesia oggi in Italia.

Per la limitata campionatura a cui ho avuto accesso (circa una cinquantina di opere tra i video in concorso per il Doctor Clip di Roma Poesia ed altre disparatissime fonti) radunata grazie al prezioso aiuto di Andrea Cortellessa che qui ringrazio, il mio giudizio non può essere del tutto positivo. Le trappole in cui ho visto cascare alquanti sono quelle, opposte e complementari, del didascalismo e dell’illustrativismo in cui una delle due forme espressive è pretestuosamente sottoposta all’altra. Per la nostra serata abbiamo selezionati 17 video di cui sono abbastanza soddisfatto. Sono delle pregevoli opere artigianali, forse un po’ sbilanciate (ad una buona qualità del testo non corrisponde la stessa cura per la parte video e viceversa), spesso a disegni animati. Ma quella che manca a quasi tutti è la consapevolezza dello “specifico” videopoetico (quello che è il montaggio insomma per il cinema) che è, io credo, non tanto nella somma algebrica di buoni testi e buone immagini ma nella valorizzazione degli aspetti fonativi e verboiconici della lingua. I predecessori di questa arte giovane non sarebbero dunque, come sembrano credere alcuni autori, il videoclip musicale o lo spot pubblicitario, ma la poesia visiva, il rebus, il fumetto. Gli italiani, a parte qualche rara eccezione, non sembrano rendersene conto e il confronto con autori stranieri come Andrew M. Gribble e Mark Sutherland, che proietteremo, è francamente ìmpari.

Per il programma: cliccare QUI.

Coordinamento e comunicazione: Valerio Cuccaroni.

“La punta della lingua”
Direzione: Luigi Socci
Info: info@niewiem.org
Ancona
Dall’11 al 14 Ottobre


L'urbana nettezza


Negli Stati Uniti c’è un popolo, detto dei Mongo, che fruga nei rifiuti (esiste anche un libro del giornalista Ted Botha che parla del fenomeno), lo fa per rivendere cose ancora in buono stato, ma c’è anche chi si dà a questa maleodorante ricerca come segno d’opposizione politica al consumismo e al suo scialo di merci effimere.
Un anno fa circa, vidi una bella mostra a Firenze intitolata “Rifiuti preziosi” in cui alcuni artisti si misuravano col tema non già dell’arte spazzatura ma della spazzatura come arte. Ad esempio, il videomaker Lorenzo Pizzanelli precipitava il visitatore dentro un cassonetto… don’t panic please!... virtuale; di Mimmo Calopresti si vedeva “Appunti per un romanzo sull’immondezza” su materiale cinematografico inedito girato da Pasolini durante uno sciopero degli spazzini; altro ancora.
Ora abbiamo anche, sul tema dell’immondizia – sul suo significato, sulla sua fascinazione, sulle sue allegorie – un autore che ne ha fatto un singolare oggetto di narrazione letteraria.
Ho scritto non a caso “narrazione” perché non è un romanzo L’urbana nettezza scritto da Francesco Muzzioli che attraversa da anni territori saggistici, poetici, teatrali.
Non è un caso, infatti, che la parola ‘romanzo’, infatti, non appaia (per la gioia di chi, come me, mal sopporta oggi quel genere letterario) nel sottotitolo, dov’è scritto: Un rifiuto secco. Narrazione per quadri.
Ed è giusto che sia così perché la trama è volutamente minima, parte estraendo un momento paradossale della vita di un uomo (un attimo che m’è sembrato fotografato da una scrittura, come si dice in gergo cinematografico, in ‘slow motion’, in un fatale ‘ralenti’) mentre costui invece di cestinare il sacchetto dei rifiuti cestina se stesso. Il resto è una funambolica esercitazione di linguaggio che scorre sul filo – talvolta comicamente connotato – di una sottesa, ma non meno evidente, serrata critica ai nostro tempo, al suo dispendioso sperpero non soltanto di merci, alla sua ottusa ricerca del benessere che si traduce sempre più in malessere.
Insaccato in un inzaccherato, et pour cause, vestito di lino-lana il personaggio si pone domande, svolge ragionamenti che perfino la grafica usata nella pagina consegnano a singhiozzi di coscienza; il segno d’interpunzione più usato è quello interrogativo.
Il protagonista, “Giacinto chiamato Cucurbita. Soprannome che aveva ricevuto fin dalle scuole secondarie di secondo grado a causa delle sue caratteristiche fisiche e psichiche” troverà nell’ultima parte della sua avventura un fotografo (s’ignora, però, se possegga una macchina fotografica) desideroso d’immortalarlo, ma è, forse, quel fotografo a sua volta un assurdo ologramma d’un mondo, in sembianze umane, che si specchia nel suo disfacimento.
Francesco Muzzioli – che ebbi al mio fianco in un viaggio spaziale – con L’urbana nettezza ridà gusto alla lettura insidiata oggi da troppi Moccia e troppe Tamaro (… e fossero i soli!), ridà speranze di sopravvivenza a noi lettori che amiamo la narrazione e non il romanzo, riesce a rendere il suo libro una festa di pagine.
Solo applausi? All’autore sì. All’editore, no. Nel raccomandarvi la lettura del volume che ho presentato, infatti, vi consegno ad un’autentica caccia al tesoro (stavolta in tutti i sensi) perché queste edizioni non hanno un proprio sito web – e siamo nel 2007! – né imprimono nelle pagine un indirizzo affidandosi ad un vago salerno - milano di stampo ferroviario.
Per informazioni, non resta che segnalare il telefono dello stampatore: 081 – 936 70 31.

Francesco Muzzioli
“L’urbana nettezza”
Pagine 118, Euro 10:00
Oèdipus Edizioni


Asian Film festival


La curatrice della Sezione Cinema dell’Accademia di Francia a Roma, Lilì Hinstin, con le sue scelte sempre ben ispirate, ha promosso a Villa Medici l’ospitalità per la quinta edizione dell’Asian Film Festival diretto da Antonio Termenini.
Parallelamente altra parte del programma si svolgerà al Filmstudio.

Così il direttore del Festival presenta il lavoro da lui svolto, coadiuvato da Sergio Di Lino, Matteo Di Giulio, e il gruppo del Cineforum Robert Bresson.

Ci siamo mossi seguendo le linee base degli altri anni. Un concorso di grande prestigio, con i film premiati a Cannes e Berlino, diversi titoli scoperti dai nostri collaboratori in festival minori o in importanti kermesse come il Filmart di Hong Kong. Completeranno il programma che prevede, nell'arco di otto giorni, circa trenta titoli, una significativa selezione di documentari, alcune premiere a sorpresa come Triangle del trio Ringo Lam, Johnnie To e Tsui Hark, Boarding Gate di Olivier Assayas e Young Yakuza di Jean Pierre Limosin, tutti presenti a Cannes. La retrospettiva sarà, invece dedicata ad Ann Hui, la 'madre' del cinema di Hong Kong, regista straordinaria che con il suo talento unico ed inimitabile ha attraversato le diverse fasi del cinema hongkonghese, dalla new wave della fine degli anni '70, alla crisi degli anni '90 con la fuga dei grandi talenti, all'handover del 1997 e al graduale ritorno ad un cinema capace di stupire e di essere da modello per tanti registi americani ed europei.

Per il programma, ciccare QuI.

Asian Film Festival
Accademia di Francia, Villa Medici
Filmstudio
Fino al 14 ottobre 2007


Ellin Selae


Per le riviste stampate pare proprio che non esista un futuro su cellulosa.
La diffusione internettiana sarà il loro l’avvenire.
La cosa investe tutta la stampa d’informazione e riflessione; Arthur Ochs Sulzberger Jr, editore e presidente del “New York Times” ha annunciato che entro tre anni quel famoso giornale più non sarà stampato e vivrà solo in Rete; altre testate quotidiane e periodiche, in vari paesi, s’accingono allo stesso percorso.
Sulla faccenda francamente non lacrimo – mentre vedo in giro tanti fazzoletti zuppi – perché ritengo il web sia una splendida occasione per la circolazione di proposte e idee, specie per quelle iniziative editoriali che non hanno il portafogli rigonfio di quattrini.
Ovviamente, per reggere questa nuova sfida, sarà necessaria una trasformazione di linguaggio perché non basta trascrivere in formato elettronico lo stesso articolo un tempo stampato. Questo problema, infatti, affligge molte riviste che sono già in Rete. E poiché non faccio nomi ma solo cognomi, clamoroso al proposito – anche per il ruolo che riveste – mi appare il caso de “Le reti di Dedalus”, rivista del Sindacato Nazionale Scrittori che, pur ricca di intelligenza scrittoria, è del tutto male attrezzata per la Rete.
Per non dire di quelli che – come ho notato di recente in un mio commento – nati con una propria rivista sul web, esultano nell’annunciare “finalmente” il loro passaggio alla carta stampata; come dire, possedevamo un aereo ed ora, “finalmente”, un carretto.
Lunga premessa per dire oggi bene di un bimestrale su carta (e anche in Rete) di “pensieri, tracce, armonie e disarmonie umane”, nato nel 1991: Ellin Selae.
Rivista letteraria stampata con grande gusto grafico e contenuti che sono di originale vivacità, mai banali. Inoltre, ospita anche stroncature e questo merita elogi perché è un genere giornalistico, purtroppo, sempre più raro.
Ellin Selae in ogni suo numero contiene un’opera d’arte originale (e non una riproduzione seriale), numerata e firmata, realizzata da un artista contemporaneo, di volta in volta diverso, che ne realizza 1000 esemplari, tale è infatti la tiratura della rivista guidata da Franco Del Moro.
Che cosa significa la dizione misteriosa Ellin Selae?
E’ l’acronimo ricavato dal verso Esiste La Luce In Noi, Siamo Esseri Legati All’Eterno.

Ellin Selae
Bimestrale
Pagine 80, Euro 6:00
Tel-Fax: 0173 – 79 11 33
Mail: ellin@libero.it


Roma D+


Rassegna Internazionale di Design

Cosmotaxi Special
Roma D+
5 - 13 ottobre 2007


Roma D+ : Introduzione


Proviamo a mostrare a Meucci uno dei nostri cellulari, a Marconi una minuscola radiolina a transistor, a Daguerre una macchina fotografica dei nostri giorni, è possibile che nessuno di loro riconoscerebbe la propria invenzione.
Non è soltanto la tecnologia, che ha permesso miniaturizzazioni a rendere quegli strumenti di aspetto tanto lontano dai loro progenitori, ma anche il design che ha concorso a tale effetto svolgendo un ruolo protagonista nella trasformazione delle forme cognitivo-espressive e comunicativo-narrative.
E non si tratta solo di segni esteriori, ma anche della creazione di forme che integrano le tecnologie, con il designer e il tecnico che lavorano a stretto contatto fin dalle prime fasi creative; si pensi alle nuovissime Torri per telecomunicazioni Ericsson progettabili con forme, altezze e colori diversi a seconda delle esigenze o dei contesti urbani nei quali sorgeranno.
Il design entra con i suoi segni ubiqui dall’architettura d’interni all’oggettistica, dalla moda all’arredo urbano, dall’arredamento alla pubblicità al web; diventando, non più come alle sue origini prevalente strumento per cosmetica dei materiali, ma arte visiva vera e propria, lo testimoniano i non pochi artisti che, specie dagli anni ’70 in poi, lavorano nei parametri del design.
Altro, recente, esempio di come il design estenda ogni giorno di più i suoi campi d’intervento, è dato dalla figura del sound designer che sonorizza alcuni ambienti urbani (ascensori, metropolitane, stazioni, aeroporti, e così via), con sonorità appropriate che precedono annunci, sottolineano allarmi, accompagnano scritte di servizio su tabelloni e monitor.
Per ottenere tale mole di molteplici realizzazioni espressive, intervengono nel design studi che uniscono umanesimo e tecnica investendo le plurali discipline che concorrono a formare le scienze della visione.
Ecco perché Cosmotaxi ha deciso di dedicare uno “special” a Roma Design Più rassegna internazionale che, aprendosi al confronto con l’avanguardia degli scenari internazionali e dei gruppi che in essi operano, riflette sulla cultura del design oggi e le nuove sfide che l’aspettano in questi primi anni del XXI secolo.


Roma D+ : Il profilo


Roma D+, quest’anno alla sua quinta edizione, s’avvale della direzione scientifica di Tonino Paris docente presso la facoltà di Architettura dell’Università La Sapienza di Roma.
Ecco un suo flash sulla rassegna.

Logo Roma D+ coinvolge le imprese, le università, le istituzioni, i professionisti e il grande pubblico a dimostrare che il design è fattore di innovazione e sviluppo.
E’ promossa dall'Università "La Sapienza" di Roma Sezione Arti, Design e Nuove Tecnologie del Dipartimento Itaca e si svolge in collaborazione con la Provincia di Roma -Assessorato alle Attività Produttive - e con la Camera di Commercio della Capitale.
Design off limits è il fil-rouge dell’edizione 2007. Il tema esprime una delle condizioni della contemporaneità con cui oggi si misura il design: quando prefigura scenari futuri, quando travalica i propri confini disciplinari, quando sfida le condizioni limite dell’uomo, quando si confronta con alcuni concetti chiave della cultura visiva e materiale della società globale e della comunicazione digitale come l’ibridazione, il trasferimento e la contaminazione
.

Il Comitato scientifico: Arturo dell’Acqua Bellavitis (Triennale di Milano), Alberto Bassi (ADI Selezione Compasso d’Oro), Andrea Granelli (Direttore scientifico Domus Academy), Chantal Haimade (Direttore Intramuros), Justin Mc Guirk (Direttore ICON), Ron Arad (designer), Denis Santachiara (Designer).

Lo staff scientifico è formato da Federica Dal Falco, Loredana Di Lucchio, Lorenzo Imbesi, Carlo Martino.
Il coordinamento operativo è di Sabrina Lucibello.
Ufficio Stampa: comunicazione@uniroma1.it; 06 – 499 100 35

Sito web: QUI.

Programma: CLIC.

Sede: Spazio Etoile, Piazza San Lorenzo in Lucina 41, Roma


Roma D+: Belinda Tato


Nell’introduzione a questo Special, scrivevo che la Rassegna Roma D+ si confronta con l’avanguardia degli scenari internazionali e di quanti in essi operano.
Uno dei gruppi europei più interessanti è lo spagnolo Studio di Architettura Ecosistema Urbano.
Il loro lavoro s’impernia su architettura, sostenibilità, comunicazione.

A Belinda Tato, ho chiesto dei temi che tratteranno a Roma D+

Per noi non esiste l'architettura senza sostenibilità.
Consideriamo il concetto di sostenibilità come un'attitudine nei confronti della vita, del pianeta che dovrebbe essere implicito in ogni cosa che ognuno di noi produce. Proprio come un edificio deve essere sicuro, salubre, stabile, eccetera… deve essere sostenibile.
Pensiamo che la sostenibilità passi attraverso un uso intelligente della comunicazione. Consideriamo
l'Educazione come la cosa più sostenibile che possa esistere e da qui l'importanza che attribuiamo ai mezzi di comunicazione. Costruire un progetto con materiali più ecologici, riciclabili o riciclati, autosufficienti, può essere considerato aneddotico; se la gente é informata e quindi cosciente è più facile che arrivi a cambiare la propria attitudine.
Piccoli cambiamenti possono permettere che nei prossimi anni, il panorama sia diverso.
E' per questo motivo che riteniamo molto importante l'educazione dei ragazzi, visto che tra vent’anni saranno loro gli adulti che governeranno il pianeta.
La nostra presentazione tratterà questi temi, mettendo in evidenza la dimensione sociale e partecipativa delle nostre proposte
.


Roma D+: Umberto Croppi


La Fondazione Valore Italia è stata istituita dal Ministero delle Attività Produttive per la realizzazione della "Esposizione permanente del Design italiano e del Made in Italy". Il primo obiettivo è stato quello di raccogliere tutta la documentazione necessaria all'indizione di un concorso per l'allestimento dell'Esposizione, definire un accurato piano strategico-finanziario, completare il quadro delle relazioni istituzionali e degli apporti di soggetti pubblici e privati.
La Fondazione ha una land in Second Life - nella fotina un'immagine - chiamata Experience Italy.
Ho chiesto a Umberto Croppi, Direttore Generale di Fondazione Valore Italia, in che cosa consiste quest’operazione e quali sono le sue finalità.

Experience Italy (Ex.It) è la land in cui l’Italia si presenta nel mondo di Second Life. E’ un’isola di 524.288 mq creata per portare il nostro Paese e lo stile di vita italiano nel mondo virtuale - e quindi in tutto il mondo - in maniera assolutamente innovativa. Realizzata in attesa di portare a compimento il progetto dell’Esposizione Permanente del Made in Italy e del Design Italiano nella vita reale (con sede presso il Palazzo della Civiltà all’Eur), la Fondazione Valore Italia propone un luogo che mostri i progetti e la loro evoluzione, che anticipi iniziative ma che sia anche una piattaforma per la promozione delle eccellenze italiane.
Le architetture razionaliste del quartiere romano, nato per ospitare l’Esposizione Universale del ’42 (ma mai realizzata a causa del conflitto mondiale), con il loro carattere metafisico rispondono perfettamente all’estetica di una possibile vita parallela ma offrono anche una visione non stereotipata dell’Italia, il paese che ha dato al mondo la classicità, il rinascimento ma anche un forte contributo alla modernità.
Exprience Italy offre la possibilità, appunto, di un’esperienza aperta a quanti (privati, aziende, associazioni, istituzioni) vogliano dare un apporto di idee e contenuti: sarà un laboratorio ma anche il palcoscenico su cui rappresentare lo spettacolo di un popolo capace di innovare attingendo alla propria inesauribile riserva di creatività
.


Roma D+ : Paolo Valente


La rassegna, nel trattare temi e problemi del design oggi, è stata concepita da Tonino Paris che la dirige non solo come un’apertura sugli scenari dei nostri giorni, ma anche come palcoscenico che presenta il futuribile.
Nella precedente nota si è accennato a Second Life, ed ecco un giovane architetto che fra i primi in Italia si è occupato di mondi virtuali.
Si tratta di Paolo Valente, con Studio a Roma, che, con un suo gruppo di lavoro, è risultato vincitore del concorso dell’Editrice Meltemi per una sede in SL (nella foto).
Di lui, Cosmotaxi ha parlato in occasione di quel successo, per saperne di più cliccate QUI.
A Roma D+, martedì 9 ottobre, allo Spazio Etoile, dalle 18 alle 22 guiderà un evento- incontro che si svolgerà contemporaneamente in Second Life.
A Paolo Valente ho chiesto: quale pensi sia il ruolo dell'architettura in Second Life?

Io posso dire del mio fare architettura, che quasi sempre consiste nel dare forma a dei contenuti, a delle questioni che riguardano il nostro vivere contemporaneo. Posso anche dire che oggi una delle principali trasformazione a cui stiamo assistendo è quella del mondo della comunicazione che è sempre di più un mondo di interazione, con la immediata conseguenza di interessare un grande, sempre più grande, numero di persone che da soggetti passivi divengono soggetti attivi nel sistema della comunicazione nell’era del web 2.0. È da questo punto di vista che penso che l’architettura (e non genericamente il design) in quanto tale, possa svolgere un ruolo di primo piano nei mondi virtuali, in particolare in quello di second life.
Piu che un sistema simulato, io penso sia possibile parlare di un mondo analogo, dove la simbiosi con la real life raggiunge standard molto alti e sorprendentemente “adatti” al nostro vivere contemporaneo
.

Concludendo, consiglio una puntata su Temperatura 2.0 che Paolo Valente conduce in Rete presentando stimolanti novità di SL e anche delle arti visive digitali.


Roma D+: Workshop et alia


La rassegna si articola anche attraverso una serie di seminari e convegni evidenziando così le sfide che interessano il design nel mercato globale, confrontando le capacità della progettazione di fornire contributi all’innovazione del sistema produttivo e verificando le possibilità di modificare comportamenti e relazioni sociali.
Workshops e performances coinvolgeranno poi il pubblico in spazi aperti e interattivi.
Ci saranno pure mostre personali e tematiche attraversando i vari campi del design, esplorando le capacità dei nuovi materiali, delle nuove tecnologie di trasformarsi in prodotti innovativi, e indagando sulle più recenti forme espressive dei designers.

In dettaglio: QUI e QUI.


Roma D+


Rassegna Internazionale di Design

Cosmotaxi Special
Roma D+
5 - 13 ottobre 2007

Fine


Punk Attitude


C’era una volta un periodico pubblicitario che – non so se ancora esiste – vendeva per via postale vari prodotti, dall’abbigliamento agli elettrodomestici all’arredamento, etc.
Un vero e proprio scialo di merci, tutte con il loro prezzo, che coprendo l’intera gamma del vivere quotidiano attizzava piccoli e grandi desideri domestici.
Un giovane musicista, nato a in Sicilia e residente a Bologna, ha scelto come pseudonimo proprio il nome di quella testata e s’esibisce con un segno onomastico dalla grafica web: Postal_m@rket.
Il suo progetto nasce all’inizio del 2004.
Agisce una sonorità "8_bit audio format" e dice che tale pratica è nata “per capire fino a che punto un mezzo di produzione audio grande quanto un palmo di mano (quale il Game Boy) può arrivare".
L’idea è quella di combinare gli aspetti agili e divertenti dei “computer games” con una delle espressività derivanti dalle nuove tecnologie.
L’album di esordio di Postal_m@rket si chiama Punk Attitude ed è una digital release, distribuzione esclusivamente online.
Rapida illustrazione del lavoro in un’intervista: QUI.

Di Punk Attitude, musica di grande grazia ipnotica, esiste un bel video realizzato da Diego Lazzarin - mio ospite questo mese nella sezione Nadir – in un’animazione dai giusti colori lividi al servizio di una short story cinerea.

Per la visione: CLIC!


E' il mio turno


L’opera prima di Cesare Zavattini è intitolata Parliamo tanto di me, m’ispiro a quel titolo per dire oggi una cosa che mi riguarda. E’ la prima volta che lo faccio da quando esiste Cosmotaxi – gennaio 2004 – quindi, forse, me la potete perdonare.
Copertina di Attilio SommellaSu questo sito, ho pubblicato in edizione e-book, scaricabile gratuitamente, un mio librino (poche pagine, infatti) che fu stampato nel 1982: “Il resto è silenzio”.

Non ho tentato una nuova edizione su carta, pur avendo editori amici e non è da escludere che uno di loro avrebbe generosamente preso il rischio d’accogliermi, perché credo pochissimo oggi nella circolazione su cellulosa specie se si tratta di un autore sconosciuto come lo sono io. Si finisce con arrivare – se ci si arriva – precariamente, per pochi giorni, sui banchi in libreria e poi tutto tace.
Il libro, poi, si chiama pure “Il resto è silenzio” e già dal titolo si chiama addosso un destino muto.
Credo, invece, nel web e nella sua capacità di circolazione, infinitamente più ampia di una distribuzione libraria.


“Il resto è silenzio” - copertina di Attilio Sommella - è scaricabile da QUI.


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