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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Calendario per un centenario

“Che cosa è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so”, così diceva S. Agostino.
Per misurarlo nelle sue scansioni di mesi, giorni, ore, esistono convenzioni internazionali frutto d'accordi per raggiungere accettabili intese su incontri e affari, ma anche su veti e interdizioni.
Se, infatti, tutto fosse lasciato alle plurali culture di questo pianeta, le cose si complicherebbero parecchio. Ci sono, ad esempio, tribù africane che determinano i giorni intonando canti; da quelle parti prendere un appuntamento non credo sia, almeno per me, cosa facilissima.
E’ accaduto che il calendario sia poi evoluto (o sia precipitato) nella più puntuale agenda, strumento che giova non solo ai più simpatici smemorati, ma anche ai cosiddetti managers per pianificare meglio i propri interessi, quasi sempre in contrasto con i nostri.

Il calendario aiuta e sgomenta.
Aiuta i distratti come chi scrive questa nota e, a me tecnofilo, quello sul computer mi aiuta assai perché senza neppure chiederglielo è lui che squilla al mattino e mi ricorda quello che devo fare.
Sgomenta perché ti ricorda che il tempo scorre e, come dice Tabucchi, “si sta facendo sempre più tardi”.

Oggi voglio dire di un calendario cartaceo che ha una doppia valenza: storica e letteraria.
Valenza storica perché ricorda che l’Antico Forno, com’è scritto sull’insegna in Via Guglielmo Marconi 12 a Supino, aprì i battenti nel 1912 grazie a Teresa la cui opera fu ereditata e mandata avanti da Giulia che sfornava pani e figli di altri essendo anche ostetrica.
Valenza letteraria perché ogni mese è commentato in versi dal poeta Sergio Zuccaro che fu messo al mondo grazie ai sapienti gesti di Giulia.

Ed ecco perché Zuccaro in apertura scrive Cento anni sono quattro generazioni / impasto per farcire un secolo/ giulia sfornava ciambelle e maritozzi con / gli stessi gesti con cui sfornava bambini / io sono uno di quelli.

Buon anno centenario Antico Forno! E buon anno a chi ti ha cantato.


L'elmo e la rivolta


Leggere un romanzo dopo gli “Esercizi di stile” di Queneau (compresi i successivi dello stesso Queneau) è lavoro al quale da tempo non mi sottopongo. Se proprio voglio leggere narrativa, c’è tanto da trovare tra grandi e piccoli libri che non ho letto, d'ieri e l'altro ieri, d’avere solo l’imbarazzo della scelta.
Il romanzo, ad esempio, è vivo più che mai come la maggior parte delle cose che prima d’essere belle o brutte, sono inutili. Non è soltanto il progressivamente sempre più superato supporto cartaceo a renderlo inutile, ma la sua forma stessa di composizione che, invece, oggi – preconizzata da Italo Calvino – trova nuova espressione nell’e-literature.
“I testi dell’eLiterature”, come scrive Alessia Rastelli, “nascono già elettronici, quasi sempre interattivi, arricchiti da audio e video oppure animati da algoritmi che spostano singole lettere o interi capitoli sotto gli occhi di chi li guarda. Così la letteratura si spinge ai confini con l'arte e la fruizione sembra di volta in volta irripetibile”. Grazie a un apposito programma, ad esempio, la mescolanza di suoni, immagini e testo varia a ogni riproduzione in “The set of the U” del francese Philippe Bootz, uno dei padri del sottogenere della poesia elettronica. Oltre cinquecento combinazioni, invece, in “Bromeliads”, opera in prosa dell'americano Loss Pequeño Glazier, ritenuto con Bootz e lo statunitense Michael Joyce (scrittore d’ipertesti), tra i principali autori di eLiterature.
Uno che molti anni fa, con vertiginosa operazione su carta - introvabile pubblicazione di Lerici, ma io mi vanto di possederla - aveva capito come sarebbero andate le cose, fu il francese Marc Saporta con "Composizione n. 1".
A doverla dire tutta, credo che i nuovi romanzi d’oggi siano i videogames interattivi.

C’è un solo genere di narrativa che mi piace e leggo su carta ed è la graphic novel.
Il nome l’ha coniato Will Eisner nel 1978, ma in Italia possiamo vantare un precedente in “Poema a fumetti” (1969) di Dino Buzzati che fece tutto da solo, sceneggiatura e disegni.
In che cosa la graphic novel si distingue dal fumetto? Una buona, sintetica, definizione di Benedetta Tobagi: “Si distingue dal fumetto perché non è seriale, non ha limiti di lunghezza né vincoli di forma, esibisce una complessità narrativa e una profondità psicologica sconosciuta ai ‘comics’ perciò trova posto in libreria anziché in edicola”.
Alcuni scrittori italiani d’oggi si sono misurati con quel genere, ad esempio Gianrico Carofiglio (“Cacciatori nelle tenebre”, con disegni del fratello Francesco), Carlo Lucarelli (“Protocollo”, con i collage fotografici di Marco Bolognesi), e altri accanto ai quali figurano le matite di un grande disegnatore: Giuseppe Palumbo.
Ha cominciato a pubblicare a fumetti nel 1986 su riviste come ‘Frigidaire’ e ‘Cyborg’, sulle cui pagine crea il suo personaggio più noto, Ramarro, il primo supereroe masochista. Nel 1992 entra nello staff di Martin Mystère di Sergio Bonelli Editore e nel 2000 in quello di Diabolik di Astorina; per queste due serie popolari disegna numerose storie speciali. Tra le sue pubblicazioni più recenti, Tomka, il gitano di Guernica, su testi di Massimo Carlotto, Un sogno turco, su testi di Giancarlo De Cataldo, editi da Rizzoli (2007 e 2008), ed Eternartemisia (Comma 22, 2008), realizzato in collaborazione con Palazzo Strozzi Firenze, parte integrante del progetto «Action30», collettivo d’indagine sulle nuove forme di razzismo e di fascismo.
V’invito a visitare il suo sito web, basta un CLIC!
Ora lo troviamo associato a una valorosa penna: quella di Luciano Curreri.
Ordinario di Lingua e letteratura italiana all’Università di Liegi, ha curato e sta curando edizioni di autori dell’Otto-Novecento per Einaudi, Mondadori, Salerno, Quiritta, Ilisso, Greco&Greco. Di recente ha pubblicato: Pinocchio in camicia nera; D'Annunzio come personaggio nell'immaginario italiano ed europeo; Mariposas de Madrid. Los narradores italianos y la guerra civil española (Prensas Universitarias de Zaragoza 2009; ed. or. Bulzoni 2007); con Fabrizio Foni Un po' prima della fine? Ultimi romanzi di Salgari; ha esordito come narratore con A ciascuno i suoi morti.
Dalla loro collaborazione è nato il volume L’elmo e la rivolta Modernità e surplus mitico di Scipioni e Spartachi pubblicato da Comma 22 con un’originale postilla bibliografica.

Curreri e Palumbo si cimentano nell'inedita operazione del saggio in graphic novel e scoprono che Scipione, il grande generale che sconfisse Cartagine, e Spartaco, l'oscuro leader della rivolta degli schiavi, sono all'origine di due miti che trascendono notevolmente le scarse informazioni di cui disponiamo su di loro; due miti che la modernità ha accolto, elaborato e digerito, opponendoli di frequente l'uno all'altro.
Il bisogno di usare la storia per rinsaldare l'identità nazionale conduce più facilmente alla celebrazione degli Scipioni e dei Cesari che non a quella delle loro vittime; del resto, da qualche tempo le note dell'inno di Mameli risuonano nel nostro orizzonte più spesso di quanto non accadesse in passato, e con loro, per l'appunto, ritorna l'elmo di Scipio.

Giuseppe Palumbo
Luciano Curreri
L’elmo e la rivolta
Edizioni Comma 22
Pagine 80, Euro 10


Chi manovrava le Brigate Rosse?

Mettendo sul cursore del motore di ricerca Google la dizione “brigate rosse”, saltano fuori 729.000 risultati (e mentre state leggendo questa nota il numero sarà già cresciuto), a ulteriore dimostrazione di quanta importanza abbia rivestito quell’organizzazione terroristica nella storia italiana e internazionale.
Di matrice marxista-leninista, fu il maggiore, più numeroso e più longevo gruppo terroristico di sinistra del secondo dopoguerra esistente in Europa Occidentale.
Renato Curcio, uno dei suoi fondatori, ha calcolato che 911 persone siano state inquisite per avere fatto parte delle Br, alle quali vanno aggiunte circa altre 300 facenti parte dei vari gruppi armati che se ne staccarono o vi ruotarono intorno.
Secondo l'inchiesta tv di Sergio Zavoli “La notte della Repubblica”, dal 1974 (anno dei primi omicidi) al 1988 (assassinio di Roberto Ruffilli) le Brigate Rosse hanno rivendicato 86 omicidi; a questi vanno aggiunti i ferimenti, i sequestri di persona e le rapine compiute per finanziare l'organizzazione.

Tanti i libri che trattano la tragica presenza delle Br nello scenario politico che n’è uscito sconvolto con la sinistra (in particolare il Pci e il Sindacato) risultata la parte più danneggiata fra tutte; in quegli anni in cui operarono i brigatisti furono poste le premesse per consentire reazioni che hanno portato a una pesante occupazione del potere da parte delle destre fino alle oscenità politiche di 17 anni berlusconiani.
A quei volumi, se ne aggiunge ora uno pubblicato da Ponte alle Grazie intitolato Chi manovrava le Brigate Rosse?
E’ di particolare interesse perché non si limita a una cronistoria (pur puntuale) dei fatti accaduti, né a un’interpretazione sociologica (presente, peraltro, nelle pagine), ma scende in dettagli investigativi che illuminano alcuni angoli di quelle barbare vicende.
Non è un caso che a firmare il libro siano un magistrato e un giornalista: Rosario Priore e Silvano De Prospo.

Priore, magistrato romano fin dai primissimi anni Settanta, ha seguito molti dei casi di violenza e terrorismo (interno e internazionale) più importanti della storia giudiziaria italiana. Per Chiarelettere ha pubblicato, nel 2010, con Giovanni Fasanella, “Intrigo internazionale”.
De Prospo vive a Varese e collabora con quotidiani e settimanali. Da alcuni anni presenta, da laico, la trasmissione “Individuo e società” per Radio Missione Francescana, nella quale ha condotto inchieste su stragi di Stato, terrorismo e criminalità organizzata.

Con questo libro, i due autori collegano a doppio filo la storia delle Br, sin dai suoi esordi, con quella di un gruppo di persone di cui ancora troppo poco si è scritto: Corrado Simioni, Duccio Berio e Vanni Mulinaris, fondatori agli inizi degli anni Settanta del Superclan — misteriosa organizzazione clandestina nata come costola delle Brigate Rosse — poi riparati a Parigi, e qui diventati insegnanti di lingue in un istituto, il centro Hyperion, su cui grava da decenni il ragionato sospetto: che fosse un centro di coordinamento dell’eversione internazionale.
Attraverso un meticoloso lavoro sulle fonti storiche e giudiziarie, “Chi manovrava le Brigate rosse?” riesce a dare riscontro fondato all’ipotesi che le Br non agissero in autonomia, ma che dietro all’organizzazione si muovesse un reticolo d’interessi legato al terrorismo internazionale, ad apparati dello Stato italiano, al lavorio incessante dei principali servizi stranieri.
Altra cosa che il volume smentisce è una presunta innocenza di personaggi provenienti dall’area dell’Autonomia Operaia e di Toni Negri. Di quest’ultimo, è ricordato come all’epoca dell’uccisione di due missini padovani egli entrasse sì in contrasto con Mario Moretti ma perché consigliava di dirigere la lotta armata contro esponenti del Pci da lui ritenuto il vero nemico socialdemocratico da battere.
Un libro che si legge come un giallo ben sapendo che qui non si tratta di una trama d’invenzione, ma di una delle pagine più torbide della nostra storia recente.

Silvano De Prospo
Rosario Priore
Chi manovrava le Brigate Rosse?
Pagine 318, Euro 14.60
Ponte alle Grazie


Dizionario Analogico

Un vero e proprio “Gps lessicale” per orientarsi nella lingua italiana. E’ il Dizionario Analogico della Lingua Italiana: autentico navigatore che aiuta a trovare la parola che ci manca, la locuzione più adatta. Alzi la mano chi esponendo un concetto, a voce o per iscritto, non gli sia mai sfuggita la parola che serve a esprimere correttamente il pensiero, oppure non abbia trovato l’aggettivo o il verbo che meglio si associa a un nome. Ora l’opera edita da Zanichelli – autrici Donata Feroldi e Elena Dal Pra – risolve il problema, grazie alla sua struttura di oltre 4000 parole chiave, raggruppate per grandi aree di significato (campi semantici) e opportunamente collegate da una fitta rete di rimandi.
Strumento ideale per scrittori, traduttori, giornalisti oppure scienziati o giuristi; insomma chiunque lavori con le parole. Un aiuto a trovare voci e locuzioni ignote, quelle di cui si avverte la mancanza e si presuppone l’esistenza, ad arricchire il proprio lessico e le proprie capacità espressive.

Ha scritto su “Repubblica“ Valerio Magrelli a proposito del Dizionario Analogico: “Ma in che modo funziona questa scatola magica? E’ la sua orizzontalità a consentire di attraversarne le pagine in una specie di surf lessicale, scivolando leggeri da un termine all’altro. Facciamo un esempio vicino alla cronaca: “corruzione” (da adesso in poi, e me ne scuso, dovrò fare a meno delle virgolette, che altrimenti infesterebbero il resto dell’articolo). Si arriva subito al verbo corrompere, e a cinque sostantivi: favore, reato, vizio, peccato, malavita. Imbocchiamo la strada del peccato, e ci troviamo davanti a un ventaglio di caratteristiche (una ventina di voci, da piccolo a grave, da turpe a mortale), di azioni (una trentina di verbi fra cui tentare, trasgredire, pentirsi) e di persone (con penitente e confessore). Ma non tralasciamo la coda, dove è questione di diavolo, religione, sacramenti e inferno. Morale: la via della corruzione porta dritta alle fiamme”.

A Donata Feroldi ho rivolto alcune domande.
Traduttrice e studiosa di letteratura, oltre che lessicografa, ha collaborato con le riviste “Arsenal littératures”, “il Gallo silvestre”, “Testo a Fronte”, “Poesia” e “Informazione filosofica”. Suoi contributi di teoria della letteratura li troviamo anche in testi collettanei. Ha pubblicato La chiave della Porta rossa. Leggere Victor Hugo (peQuod, 2008) e il racconto “La ragazza-cane” nell’antologia Tu sei lei (minimum fax, 2008).
Ha tradotto, tra gli altri, testi di Marguerite Duras, Margherita Porete, Guy Debord, Victor Hugo, Théophile Gautier, Paul Morand, Drieu La Rochelle, Yves Bonnefoy ed Émile Zola.

Com’è nata l’idea di questo libro, da quali principali motivazioni?

L’idea dell’Analogico è nata da un’esigenza pratica legata alla mia attività di traduttrice: dall’incontro con il Vocabolario Nomenclatore di Palmiro Premoli è scaturita la necessità di uno strumento simile, ma più aggiornato. Il confronto con quanto era stato prodotto nel frattempo sia in Italia sia all’estero, insieme a un’ampia ricognizione storica e teorica, ha guidato le scelte che hanno portato alla forma attuale dell’opera. Nell’organizzazione del testo è stata privilegiata al massimo la fruibilità da parte del lettore: non si trattava di restituire un’immagine della rete di rimandi che la lingua mette a nostra disposizione facendola rientrare a tutti i costi in un modello teorico predeterminato, quanto di riconsegnare la ricchezza di quei legami – che è poi la ricchezza della lingua viva, anche nelle sue pieghe meno frequentate – al suo legittimo proprietario, il parlante-scrivente, in una forma che gli consentisse di avvalersene nel modo più intuitivo e immediato. L’esperienza della traduzione è stata utilissima per mantenere questo orientamento lungo tutta la lavorazione dell’Analogico.


In che cosa il Dizionario Analogico si differenzia da un Dizionario dei sinonimi e contrari?

L’Analogico, a differenza di un dizionario tradizionale, non presenta definizioni, e in questo si apparenta a un Sinonimi e contrari, ma, rispetto a quest’ultimo, oltre a suggerire termini alternativi a quello di partenza, secondo un sistema di equivalenze e affinità e attraverso il meccanismo dell’antonimia, offre una gamma più vasta di accostamenti, associazioni e suggerimenti fraseologici, che si dipanano dal centro rappresentato dalla voce guida. Per esempio, a partire da un oggetto concreto, ci permette di risalire alle sue parti (ma anche agli insiemi di cui fa parte), alle sue caratteristiche, alle azioni che con esso o su di esso vengono compiute, alle persone che ne fanno uso o lo producono, ai modi di dire in cui figura, ai proverbi che lo riguardano. Insomma, le voci danno accesso a un intero campo d’esperienza: quel campo esperienziale o semantico che ogni termine porta con sé a livello latente nel sistema della lingua, che è poi l’insieme di tutte le possibili articolazioni delle catene associative in cui si dispongono le parole. Quello che vale per gli oggetti e i termini concreti (casa, albero, martello) vale anche per i concetti e i termini astratti (vuoto, amore, numero), ma l’Analogico permette di accedere anche alla rete di associazioni e articolazioni che vede coinvolte le azioni (mangiare, bere, dormire) e le “qualificazioni” di sostantivi e azioni, ossia gli aggettivi (disinvolto, agile) e gli avverbi (sempre, mai).

Tullio De Mauro e Umberto Eco concordavano anni fa sul positivo ruolo avuto dalla Tv nell’unificazione e diffusione della lingua italiana sul nostro territorio.
Questo, anni fa.
Oggi mi pare che sia le tv private sia la tv pubblica, che assai spesso le imita, abbiano responsabilità assai diverse da quel tempo. Sei d’accordo? Se sì, puoi dirci qual è la principale cosa che quando la noti ti fa venire la scarlattina?

Pur non essendo un’assidua frequentatrice del mezzo televisivo, noto che nella maggior parte dei programmi c’è una povertà di linguaggio sconfortante, sia sul piano lessicale sia su quello sintattico, che poi si traduce in una pericolosa semplificazione del pensiero espresso. Purtroppo non è un fenomeno che riguardi solo la televisione: anche i quotidiani pullulano di scorrettezze grammaticali e sintattiche (sembra che un uso corretto dei possessivi e dei pronomi relativi, per fare solo due esempi, sia appannaggio di pochi, per non parlare dei tempi dei verbi)… e non sempre è colpa dei famigerati correttori automatici. Insomma, la scarlattina è ovunque in agguato!

Dizionario Analogico della Lingua Italiana
di Donata Feroldi e Elena Dal Pra
Pagine 960 con CD-Rom, Euro 59.00
Zanichelli


M&D Arte

Alla Galleria M&D Arte è in corso una collettiva di nomi di spicco del panorama internazionale. Tema la fotografia, intesa come strumento d’indagine e riflessione, ma anche come punto di partenza per una commistione dei nuovi linguaggi tecnologici.
La mostra, intitolata A meno di non ricorrere a una fotografia è a cura di Flaminio Gualdoni che così la presenta: “L’esposizione – che prende il via da una celebre citazione di Ugo Mulas – riflette senza alcuna pretesa d’essere esauriente, né classificatoria, sullo spettro amplissimo delle pratiche fotografiche, esplorate a partire dall’orizzonte pop fino a quello postavanguardistico attuale. Un’ampia e variegata carrellata di opere compie un esaustivo viaggio attraverso le diverse chiavi interpretative di questo mezzo di espressione artistica per dar voce alle variabilità e contraddittorietà di immagini tutt’altro che oggettive.
Sguardi, spesso ambigui e visionari, che sfidano (e amplificano) la ri-costruzione della realtà portando a risultati e angolazioni del tutto differenti. Apparizioni, simulacri e fantasmi che raccontano storie, morali e immaginari collettivi”.

In foto: Giovanna Torresin, “Cuore Cerniera”, 100x133, foto digitale Lambda Print - opera in mostra.


Autori presenti: Nobuyoshi Araki, Stefano Arienti, Mattew Barney, Matteo Basilé, Bernd e Hilla Becher, Vanessa Beecroft, Monica Bonvicini, Gregory Crewdson, Sante D’Orazio, Maurizio Galimberti, Robert Gligorov, Nan Goldin, Andreas Gursky, Candida Höfer, Kim Joon, Huang Kehua, Seydou Keïta, David Lachapelle, Loretta Lux, Sally Mann, Robert Mapplethorpe, Tracey Moffatt, Yasumasa Morimura, Vik Muniz, Shirin Neshat, Helmut Newton, Luigi Ontani, Steven Parrino, Andreas Perlick, Paola Pivi, Arnulf Rainer, Gerhard Richter, Thomas Ruff, Sebastião Salgado, Jan Saudek, Andres Serrano, Cindy Sherman, Sandy Skoglund, Jemima Stehli, Thomas Struth, Hiroshi Sugimoto, Wolfgang Tillmans, Grazia Toderi, Giovanna Torresin, Paolo Vegas, Massimo Vitali, Andy Warhol.

Ufficio Stampa: Antea, anteapress@gmail.com

M&D arte
Via Monsignor Cazzaniga, 43
Gorgonzola (Milano)
Tel. (0039) 02 95305926
allen-10@hotmail.it

Fino al 19 febbraio 2012


Pacco di Natale


Il mondo che si presenta al nostro sguardo è soltanto un’illusione?
Dalla caverna platonica al Matrix wachowskiano ci si è ragionato su da tempo, poi i reality hanno messo in scena volute alterazioni della realtà facendo scadere quel piano filosofico piuttosto in basso.
E’ quello preso di mira in Pacco di Natale dalla modenese (1965) Cristiana Minelli, scrittrice che è la più recente perla infilata nella collana di FuocoFuochino (in foto il logo).
L’Editrice – diretta da Afro Somenzari e nata con la larga approvazione e intensa presentazione di Gino Ruozzi – così presenta l’autrice: “Ha lavorato a Comix e cenato con Dracula, alias Christopher Lee, nel ristorante del miglior cuoco del mondo (credo proprio sia il tristellato Massimo Bottura che intervistai – e me ne vanto – nel 2003 quando sull’insegna brillava 1 sola stella. n.d.r.).
Ufficio stampa di un Civico Museo d’Arte Contemporanea, soddisfa, al bisogno, bizzarre richieste. Scova carpe giapponesi vive in pieno inverno, assapora improbabili confetti di carta, si occupa di fenachistoscopi (che è sempre meglio che lavorare e basta). Canta in un coro Gospel, adora le corone ed è una fan de I Nuovi Bogoncelli di Paolo Nori. Fa tutto di corsa, ripetendo ossessivamente il ritornello del coniglio bianco di Lewis Carroll “È tardi! È tardi!”.

La Minelli si cimenta col più difficile genere di scrittura: il racconto. Il solo tipo di narrativa che oggi riesco a leggere quando, come nel caso presente, è ben fatto. Genere difficilissimo, perché a differenza del romanzo… pfui!… qui niente è possibile sbagliare, non è perdonata alcuna pausa, nessuna ridondanza.

Scrive Roberto Barbolini: “Che bel colpo a sorpresa, che regalo inaspettato se ne sta celato in questo “Pacco”-dono di Cristiana Minelli, incartato con finti festoni da racconto di Natale dickensiano, perfino con l’aggiunta di un paio di poliziotti a simulare una detection impossibile. Tutto ruota attorno a una bambina smarrita in una libreria, una presenza muta e stranita che innesca la ronda delle buone intenzioni. Ma dietro lo stile brioso e apparentemente svagato il racconto possiede un cuore nero come la pece. Cristiana lo fa affiorare con garbo micidiale, a cadenza d’inganno. La morale della favola che ne scaturisce è l’eterna favola della morale, il potere d’inganno che apparenta un qualsiasi produttore-squalo della tv al Grande Inquisitore dostoevskijano: “the show must go on”, perché non conta la realtà ma la sua rappresentazione. L’autrice ci fa capire che le nostre vite sono una specie di Truman Show collettivo, ma lo fa con quel tocco soave che adombra uno stile. E il “Pacco” che ci rifila è di quelli che non si dimenticano”.

Non è necessario essere un tecnofilo, come io lo sono, per sollecitare l’Editrice a provvedersi il più presto possibile di un sito web, posso solo dire che la sede è a Viadana e una prima raccolta di testi sono stati distribuiti - CLIC - da Corraini.


Glamourama

“Si è fatta strada in modo preponderante una rinnovata cultura della moda, che trova il suo humus soprattutto nelle pratiche sociali quotidiane che hanno al loro centro il corpo e i suoi modi di apparire e di comunicare. Il cinema e la fotografia, prima, ma poi anche la musica, le neotecnologie, gli spazi urbani, l’arte, il web, alimentano questa costellazione di segni tutti riconducibili in forme diverse a quanto chiamiamo ‘moda’, che sono però ben oltre la moda stessa”.
Così scrive Patrizia Calefato in “La moda oltre la moda” edito recentemente da Lupetti.

Una testimonianza di quella tesi si ha alla Modart Gallery di Sabina Albano dov’è in corso una mostra di Marco Abbamondi; le creazioni dell’Albano e di Giusy Giustino (direttore della sartoria del Teatro San Carlo) interagiscono con i lavori di Abbamondi fondendosi in un unico codice creativo.
Non è un caso, quindi, che il nome della serie delle opere sia "Ex-Stasi Platinum Estroflations": dal rifiuto della staticità della creazione, dalla scelta di un unico colore che richiama la nuance del platino, sino ad approdare alla tridimensionalità. Rilievi che ben si accordano all'idea dinamica delle creazioni dell'Albano in parte ispirate alle modanature del palco del Teatro San Carlo.

Ufficio Stampa: Victoriano Papa, victorianopapa@alice.it; 333 – 28 24 262


Glamourama
SabinaAlbano Modart Gallery
Vico Vasto a Chiaja n. 52/53, Napoli
Fino al 10 gennaio 2012


Il '68 realizzato da Mediaset

Si può essere artisti senza essere pensatori e pensatori senza essere artisti, Valerio Magrelli rappresenta uno di quei rari casi in cui le due vocazioni attraversano, con pari passo veloce e con eguale valore, entrambi i territori, mai pellegrino, tanto meno turista, ma sempre con lo spirito del viaggiatore ribelle.
E’ fra i massimi poeti contemporanei ( e, poi, una vera festa di riflessioni si ha nell’audiolibro Che cos'è la poesia); traduttore finissimo (due esempi per tutti alquanto recenti Il matrimonio di Figaro e Dove lei non è); squisito indagatore di pagine inquiete (Nero sonetto solubile); protagonista di se stesso nei lucori di memorie grottesche o addolorate come in La Vicevita o Addio al calcio).
Ho passato in rassegna alcuni titoli di Magrelli cominciando col dire che è un viaggiatore e non poteva mancare che a famosi viaggiatori – quelli del Grand Tour – dedicasse una dotta operina rigorosamente arbitraria: Magica e velenosa.

Ora Einaudi ha mandato in libreria Il Sessantotto realizzato da Mediaset Un Dialogo agli Inferi pagine in cui Magrelli svolge un’originalissima riflessione su come il soggetto politico (Mediaset) più lontano da quell’anno di svolta storica (il ’68) ne abbia, diabolicamente, realizzato alcune aspirazioni.
In un dialogo tra due personaggi – Machiavelli e Il Tenerissimo – è spiegato come proprio dallo schermo del Caimano si è assistito “alla vittoria dello spirito sulla carne, della psiche sul denaro, del regime libidinale sul discorso economico”.

A Valerio Magrelli ho rivolto due domande.
Scrivi: “Non ce l’aspettavamo, eppure, benché nel peggiore dei modi, l’Immaginazione è davvero arrivata al potere. Così la parola d’ordine del Sessantotto è stata realizzata da Mediaset”. Come sei arrivato a questa conclusione?

E’ quello che chiamo “il quarto segreto di Fatima”, ossia un segreto degno del film di Orson Welles Quarto Potere. La strepitosa macchina del consenso, offerta a Forza Italia dall'irresponsabilità della sinistra (il cosiddetto “conflitto di disinteresse”), ha vinto perché gran parte della società non è apparsa in grado né di comprendere, né di proteggere i suoi interessi reali, preferendo agire in difesa di quelli immaginari. Il vero post-fordismo, il vero post-marxismo sta tutto qui. Altro che mondo operaio: viviamo nell'incantesimo del Pifferaio di Hamelin, nello Stato di ipnosi procurato da un autentico Mago della comunicazione, grazie a un esercito di “mostri” catodici. Insomma, si scrive Berlusconi, ma si pronuncia Bourdieu, come il grande sociologo francese. C’è di che rimanere esterrefatti, per l'intelligenza dimostrata dal personaggio nel comprendere l'importanza del meccanismo identitario all'interno del sistema sociale.

Berlusconi non c’è più (almeno per il momento), il berlusconismo sì.
Immaginando, in un nostro momento di bontà, che la Sinistra abbia orecchie, quale primo consiglio le daresti per liberarsi del berlusconismo (o allontanarsene, perché talvolta ci è andata pericolosamente vicino)?

Non lo so, e se anche lo sapessi, direi cose ovvie. D’altronde, quando l’interlocutore di Machiavelli gli chiede di spiegare i successi dell’opposizione (tra i quali metterei da ultimo il miracolo del governo Monti), questi risponde: “Io analizzo gli inganni, le pulsioni, l’egoismo. Io sono lo studioso della forza e della sopraffazione, il massimo esperto del Brutto morale. Io sono il Grande Cacologo. Ma quando accade il bene… che cosa devo dirvi?, resto senza risposta. Chissà, forse un errore”. Comunque, per rispondere alla tua domanda, basterebbe che la sinistra, per una volta, cercasse semplicemente di tenere conto della realtà.

Valerio Magrelli
Il Sessantotto realizzato da Mediaset
Pagine VIII – 77, Euro 13.00
Einaudi


Toccare i libri


Una decina d’anni fa uscì un libro di Klaas Huizing intitolato “Il mangialibri” in cui agiva un parroco del ‘700, Johann Georg Tinius, realmente esistito, appassionato di libri al punto d’arrivare alla rapina e all’omicidio per saziare la sua sete di volumi. Quando fu arrestato ne aveva raccolti ben 65mila.
Non so chi sia stato l’avvocato che difese Tinius, ma se quel parroco mi avesse chiesto consiglio non avrei avuto esitazioni, gli avrei consigliato Jesús Marchamalo (che avvocato non è, fra poco le sue note biografiche), ma è tanto appassionato della carta stampata da sapere ben capire e difendere quel bibliomaniaco.
Leggete Toccare i libri pubblicato da Ponte alle Grazie, e mi darete ragione.
Jesús Marchamalo (Madrid, 1960), giornalista, ha lavorato per Radio Nacional e Televisión Española e ha vinto, tra gli altri, il premio nazionale di giornalismo Miguel Delibes e i premi Icaro e Montecarlo. Collabora con l’Instituto Cervantes e scrive abitualmente sul supplemento letterario dell’ABC e sulla rivista “Muy Interesante”, dove tiene una rubrica dedicata al linguaggio. Tra i suoi libri: “La tienda de calabra” (1999); “39 escritores y medio” (2006), “Las bibliotecas perdidas” (2008) e “44 escritores de la literatura universal” (2009).

Marchamalo adora i libri di carta, la sua è una difesa tattile, ottica e olfattiva dei volumi, su libri che possiede fissa con malizioso stupore frasi da lui stesso annotate di cui più non ne rintraccia il senso, esplora orecchie ripiegate di pagine, investiga segni impercettibili di matita su libri acquistati al mercato dell’usato, sussurra a se stesso le dediche che gli càpita di leggere come preci laiche, conosce e trasmette la voluttà di accarezzare dorsi e copertine, gode dell’incertezza dello scegliere: “… io sono un lettore à la carte: non so mai con precisione di cosa avrò appetito a pranzo o a cena”.

Tante le domande che l’autore si pone: Quanti libri è possibile leggere in una vita? Ci piacciono di più tenuti come nuovi o un po’ maltrattati? Bisogna davvero leggerli tutti, o certi sono fatti apposta per non esserlo?
E sono tanti gli interrogativi pratici che si pone: come calcolare il numero dei libri posseduti? Come disporli sugli scaffali? E anche come liberarsi dei libri, nere piste d’inchiostro che percorre da pellegrino fedele e turista indegno.
Già, perché Marchamalo scrive con grande autoironia, la sua passione è dichiarata con il garbo di chi non vuole imporre un gusto (in tempi tecnologici come i nostri), ma confessare un vizio.
Sicché perfino un tecnofilo quale io sono e che si augura l’espansione dell’editoria elettronica, resta affascinato da quell’esposizione sorridente e commossa che dice del guardare e dello sfiorare pagine quasi come una delle virtù del Vizio.
Né mancano in Toccare i libri riflessioni preziose: “Nei primi cent’anni dopo l’invenzione della stampa sono stati pubblicati 35000 libri perciò fino al XVI secolo era ancora possibile ipotizzare una bibliografia universale che includesse tutti i libri pubblicati al mondo […] solo negli ultimi 50 anni si sono pubblicati 36 milioni di libri”.
E neppure mancano una bizzarra serie di gustosi episodi che vedono protagonisti moltissimi scrittori, famosi e meno famosi, di ieri e di oggi.

Concludo questa nota con un libro che, forse, a Marchamalo non piacerebbe troppo ed io farei salti mortali per possederlo. Nel 1995 fu esposto al Victoria & Albert Museum in una mostra dedicata appunto al libro, alla sua storia e al suo futuro; autori due artisti contemporanei – William Gibson e Tennis Ausbaugh – il cui testo su dischetto si cancellava per sempre man mano che veniva letto.

Sito web dell’autore: QUI.

Jesús Marchamalo
Toccare i libri
Traduzione di Claudia Marseguerra
Pagine 64, Euro 8
Ponte alle Grazie


Esecuzioni a distanza

Da alcuni anni circolano espressioni inventate da buontemponi: “guerra umanitaria” oppure “missione di pace”; servono a mascherare termini che guasterebbero i ritmi gastrotelevisivi agli spettatori dei tg.
E’ la guerra inevitabile? Cioè insita negli umani?
Jean Bacon (un giornalista che è stato corrispondente francese della BBC) afferma in “Signori macellai” come tutta una speciosa letteratura ci è stata somministrata per venti secoli allo scopo di nascondere quello che molti di noi confusamente sanno ma preferiscono tacere. E cioè che il genere umano ama furiosamente la guerra. Che tutti – tutte le religioni, tutte le nazioni, tutti gli industriali (mercanti di cannoni, naturalmente, ma non solo) – non hanno alcuna intenzione di cancellare la guerra dalla storia. In tre millenni e mezzo ci sono stati circa 3.130 anni di guerra e 277 anni di pace, in altre parole 13 anni di guerra per ogni anno di pace.
Ma proprio questo deve spingere quanti degli umani sono più evoluti (l’evoluzione darwiniana mica ha raggiunto tutti noi allo stesso modo) a impegnarsi nel descrivere gli orrori dei conflitti nella remota speranza di contribuire a un futuro diverso.

Un futuro che vede, però, al momento solo un radicale cambiamento nelle tecniche dell’uccidere così come apprendiamo dalle pagine di un piccolo prezioso libro pubblicato da Adelphi: Esecuzioni a distanza.
L’ha scritto William Langewiesche corrispondente dell’edizione americana di “Vanity Fair”; i suoi libri raccolgono inchieste e reportage dedicati a temi e luoghi diversi sempre legati fra loro da qualcosa d’inquieto.
Nel catalogo Adelphi: “American Ground”, “Terrore dal mare”, “La virata”, “Il bazar atomico”, “Regole di ingaggio”; per le schede su questi libri, si clicchi QUI.
Di quest’autore l’Editrice annuncia anche una prossima uscita intitolata “Fly by Wire”.

Nelle cronache di Esecuzioni a distanza sono raccontati con scrittura secca, rapida, avvincente, gli omicidi (e la solitudine) di un tiratore scelto dell’esercito americano, e le giornate iperreali dei piloti che da un hangar vicino a Las Vegas guidano i droni sui loro bersagli nelle montagne afghane. Due volti gelidi e feroci di una guerra futura che si combatte già, e che nessuno prima di Langewiesche aveva raccontato.
Pagine che ci fanno apprezzare l’intuito che ebbe Nicholas Negroponte quando affermò: “Vincerà la prossima guerra non chi avrà più atomi, ma chi avrà più bit”.
Prima scrivevo di un radicale cambiamento dell’uccidere perché la novità sta che oggi non è più necessario essere al cospetto fisico del soldato nemico, né si vedono da un oblò di un aereo persone e città nemiche, ma da uno schermo di computer in una rappresentazione della lotta simile a quella dei videogames.
Non è cambiamento da poco.
Ancora una cosa che va a merito di Langewiesche è il riproporre il tema fra giornalismo e letteratura dimostrando quanto il primo sia difficile a farsi quando non è compiacenza stampata o radiotelevisiva al potere, laddove (e in Italia ne sappiamo più di qualcosa) è sufficiente omettere oppure dire, ad esempio, che qualcuno è stato assolto da un reato quando invece il tribunale ha soltanto applicato furbesche leggi volute da un potente imputato che rendevano quel reato non più tale.
Come dice lo scrittore indiano Tarun Tejpal: "Nel vero giornalismo il campo di battaglia è severamente definito mentre nella letteratura si è liberi d’affrontare ogni argomento in qualsiasi modo”.

William Langewiesche
Esecuzioni a distanza
Traduzione di Matteo Codignola
Pagine 84, Euro 7.00
Adelphi


Sociologia dei media digitali


Milioni di persone si informano e interagiscono fra loro attraverso l'uso di internet. Ognuno a suo modo partecipa alla messa in rete di notizie, ma anche alla trasformazione di questi strumenti di comunicazione e di socializzazione. Blog, wiki, social network sono – soprattutto – strumenti di relazione sociale. Il web partecipativo costringe quindi a un profondo ripensamento dei concetti classici della sociologia della comunicazione
La casa editrice Laterza ha pubblicato un libro che su questi temi riflette e lo fa con un nome di primo piano nel panorama delle nuove discipline comunicative: Davide Bennato, autore di Sociologia dei media digitali Relazioni sociali e processi comunicativi del web partecipativo.

Bennato insegna Sociologia dei media digitali presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania. Si occupa in particolare di culture tecnologiche, del consumo di contenuti online, della socializzazione tramite media digitali. È autore, tra l'altro, del volume “Le metafore del computer. La costruzione sociale dell'informatica” (Meltemi 2002) e del saggio 'Culture tecnologiche emergenti. Analisi di una comunità di wardrivers' in "Nuovi media, vecchi media” (a cura di Marco Santoro, il Mulino 2007). Ha redatto la voce “La circolazione delle tecnologie in XXI Secolo” (Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani 2010). È inoltre autore del blog Tecnoetica.

A Davide Bennato ho rivolto alcune domande.
Credi che oggi siano le relazioni sociali a guidare le tecnologie o viceversa?

Secondo me – e secondo le ricerche più accreditate – è un’interazione reciproca. Da un lato le relazioni sociali elaborano modelli d’uso della tecnologia. Contemporaneamente le tecnologie, inserendosi nei rapporti umani, modificano alcuni aspetti delle relazioni. Emblematiche le situazioni conviviali. Sempre più spesso capita che gli individui che si ritrovano insieme – al bar, al ristorante, alle feste – interagiscono sia con le persone presenti che con le persone collegate nei social network tramite gli smart phone. Ovviamente sono sempre relazioni sociali, ma si intrecciano e si sviluppano in maniera nuova e diversa.

Quale il principale beneficio che trae la comunicazione dai nuovi media digitali?

L’asincronia e la delocalizzazione. Per moltissimo tempo siamo stati abituare a comunicare con gli altri in maniera conversazionale e condividendo uno specifico spazio fisico. Prendiamo due persone che parlano fra loro: hanno bisogno di un’interazione dialogica (uno parla e l’altro risponde) e che condividano lo stesso luogo perché la relazione possa avvenire. I media digitali rendono la comunicazione asincrona, nel senso che l’interazione può avvenire in tempi diversi, e delocalizzata, ovvero indipendente dallo spazio fisico. Si pensi alla chat in Facebook: le persone possono dialogare tra loro in modo tale che domanda e risposta non avvenga in maniera contemporanea, inoltre si possono trovare anche in luoghi anche molto lontani, rendendo quasi ininfluente la distanza che li separa. È un cambiamento socio-antropologico non da poco.

Con la nuova generazione dei cosiddetti “nativi digitali” che cosa prevedi che cambierà nell’informazione e nella politica?

Secondo me verrà a crearsi un nuovo ecosistema sociale e culturale. La nostra società si è organizzata intorno a due diverse strategie di comunicazione. Da un lato la comunicazione dei mass media, istituzionale e pubblica, dall’altro la comunicazione interpersonale, relazionale e privata. I social media hanno fatto saltare le barriere culturali che organizzavano queste due strategie di comunicazione. Per esempio su Twitter è possibile leggere sia i messaggi dei nostri amici che le dichiarazioni di politici o le rivelazioni dei VIP del mondo dello spettacolo. Questo nuovo panorama mediatico creerà una generazione abituata ad approvvigionarsi di contenuti – informazione, svago – attraverso diverse piattaforme e strategie di selezione di materiale. Anche se se ne parla molto, non vedo attualmente modelli nuovi di consumo mediale nelle generazioni più giovani. Secondo me il cambiamento sarà avvertito con forza solo quando saranno diventati adolescenti i bambini che adesso hanno dai 2 agli 8 anni: solo loro la generazione che sarà cresciuta con diversi schermi – computer, tablet, smart phone, televisione – e che svilupperanno modelli imprevedibili di consumo di informazione.

Davide Bennato
Sociologia dei media digitali
Pagine 192, Euro 20.00
Editori Laterza


Photo contest a 400mq


Appena conclusa von successo la seconda edizione di Metrocubo alla Galleria anconetana Quattrocentometriquadri (mentre sono in corso mostre, presentazioni librarie, incontri di studi sull’arte contemporanea), è stato varato un nuovo, originale, progetto chiamato Photo contest.

Ce ne parla Raffaela Coppari.

Fin dal 2009, l’associazione culturale Quattrocentometriquadri ha prodotto le sue due tessere associative ‘Filia’ e ‘Agape’ in omaggio ad Ancona, territorio in cui opera l’Associazione, e alle Capitali della Cultura Europea dell’anno, che invece rappresentano il riferimento simbolico-culturale cui ogni città e ogni soggetto attivo nel campo artistico/culturale dovrebbe guardare. Essendo poi sia io che Cristina M. Ferrara (rispettivamente Direttore Artistico e Presidente dell’Associazione) architetti, si spiega anche la nostra naturale propensione a parlare di città.
La novità di quest’anno è invece quella di scegliere la foto di ognuna delle tessere attraverso un “photo contest”; una proposta di Maria Francesca Nitti, appassionata di fotografia e dal 2011 nuovo membro del consiglio direttivo dell’associazione.
L’idea è quella di utilizzare l’occasione della tessera per ricordare e puntare l’attenzione su queste capitali della cultura europea, invitando I nostri associati ad informarsi e a partecipare alle attività.
Nel 2012 le Capitali della Cultura Europea sono due, Maribor in Slovenia e Guimaraes in Portogallo, due città di medio-piccole dimensioni, così come Ancona: la diffusione di queste Tessere d’Autore attraverso i nostri associati e il Photo Contest in sé diventano anche un’occasione di relazione e visibilità reciproca con risvolto turistico per queste tre città di simili dimensioni.
Il concorso è gratuito e aperto a tutti, fotografi professionisti o amatoriali, di tutte le nazionalità ed età.
Il bando è scaricabile dal nostro sito.
Ci auguriamo di ricevere tante foto, che probabilmente pubblicheremo tutte, per conoscere e far conoscere queste tre città
.


Saluti da Hitch

Ieri, nel Texas, in un ospedale di Houston è morto a 62 anni, il giornalista e scrittore britannico Christopher Hitchens , soprannominato Hitch.
Stimatissimo da Salman Rushdie e da Martin Amis (gli dedica pagine nel suo Esperienza edito da Einaudi), è un punto di riferimento per quanti sono contro ogni forma di pensiero unico e perciò da sempre per tutti noi atei.
Ha detto in un’intervista del 1996: Sono ateo. Non sono neutrale rispetto alla religione, le sono ostile. Penso che essa sia un male, non solo una falsità. E non mi riferisco solo alla religione organizzata, ma al pensiero religioso in sé e per sé.
Antifascista fin da giovanissimo, non ha esitato a entrare in conflitto con la sinistra americana dopo gli attentati alle Torri, ne è testimonianza una lunga, aspra, polemica con il linguista statunitense Noam Chomsky, celebre intellettuale radicale, sull’Islam da Hitchens visto come un "fascismo dal volto islamico".

Il suo corpo si è spento, ma non la sua voce che continua a parlarci dalle pagine sarcastiche dei suoi libri.
Ecco alcuni imperdibili titoli.
Dio non è grande, una ragionata demolizione del pensiero sacro; La posizione della missionaria, irresistibile controbiografia di madre Teresa di Calcutta; Processo a Henry Kissinger, un’implacabile accusa a Kissinger accusato di crimini contro l’umanità; Consigli a un giovane ribelle, corrosivo manuale di educazione all’anticonformismo; La vittoria di Orwell, dedicato a uno degli autori da lui più amati.

Libri da leggere e far leggere.
Più saranno conosciuti più crescerà la (remota) speranza che l’umanità migliori.


Cinema horror


Oggi l'Ufficio di Presidenza del Consiglio Regionale della Toscana, assegnerà il Premio “Scrittore Toscano dell’anno 2011”, organizzato dall’Associazione Fiera Libro Toscano a Gordiano Lupi.
Per conoscere la sua biografia: CLIC!

Studioso del cinema horror ha dato alle stampe per Il Foglio, di cui è direttore editoriale, il secondo volume della Storia del cinema horror italiano Da Mario Bava a Stefano Simone.
In questa seconda parte dello studio sono presi in esame due mostri sacri come Dario Argento e Lucio Fulci per certi versi antitetici, per altri complementari.
Di Dario Argento n’è analizzata l’opera a tutt’oggi edita: dal thriller orrorifico all'horror soprannaturale, fino ai recenti lavori contestati da pubblico e critica (Il cartaio, Giallo, La terza madre).
Lucio Fulci è inquadrato come padre del gore italiano, autore eccessivo e truculento, ma uomo di cinema geniale e indimenticabile.
Il volume raccoglie anche interviste inedite di Emanuele Mattana, Claudio Simonetti, Coralina Cataldi Tassoni.
Del libro scrive Rudy Salvagnini in prefazione: “Il riordino sistematico-cronologico delle stagioni dell’horror made in Italy - quale quello che Gordiano Lupi si è assunto l’onere di realizzare con questa serie di volumi - è quindi opportuno a fini anche e soprattutto divulgativi per dare la possibilità a chi non le ha vissute (o a chi le ha sorvolate o dimenticate) di farsene un’idea nel contesto ordinato del trascorrere degli anni e dei momenti tumultuosi che li hanno segnati, dalla nascita alla crescita, al rigoglio, alla - speriamo non definitiva - decadenza attuale”.

A Gordiano Lupi ho chiesto: nello scenario del cinema horror esiste una particolarità che contrassegna il cinema italiano?

Posso parlare del cinema horror del passato, quello che seguo.
Il cinema horror italiano più originale e degno di attenzione da parte degli studiosi è il gotico, realizzato da artigiani come Freda, Bava e Margheriti. Dario Argento è autore innovativo, perché contamina thriller e horror, inserendo elementi fantastici per raccontare vere e proprie favole nere, ma per molti aspetti è un erede di Mario Bava. La particolarità del cinema horror italiano è quella di realizzare buoni prodotti con pochi mezzi e di mettere in scena effetti speciali ricorrendo a trucchi artigianali. Si pensi a “Phenomena” e alla genialità di Luigi Cozzi che realizza la scena degli insetti comandati dai poteri della protagonista, ma anche ai film di Joe D'Amato e Lucio Fulci ricchi di sequenze ‘gore’ e ‘splatter’ girate con mezzi tecnici limitati. Questa eredità di costruire buoni effetti speciali a basso costo la troviamo ancora oggi nei giovani autori come Stefano Simone, Lorenzo Lombardi e Gabriele Albanesi
.

“Storia del cinema horror italiano da Mario Bava a Stefano Simone”
Volume II
Prefazione di Rudy Salvagnini
Pagine 250, Euro 15:00
Edizioni Il Foglio


I libri di Jean-François Bory


Ai libri di Jean François Bory è dedicata la tredicesima edizione della rassegna In forma di libro, organizzata annualmente dalla Biblioteca civica d'arte Luigi Poletti di Modena quest'anno realizzata in collaborazione con la Fondazione Berardelli di Brescia e con il patrocinio del Centre Culturel Français di Milano.
La ricerca di Bory parte da un ambito puramente scritturale per poi aprirsi alla sperimentazione verbovisiva, realizzando le sue prime esposizioni a Parigi nel 1965. Negli stessi anni inizia a interessarsi alla poesia sonora, partecipando a numerosi festival, tra i quali “Text und aktionsabend” presso la Kunsthalle di Berna nel 1968.

L’esposizione modenese, tuttora in corso, è stata inaugurata a novembre alla presenza dell'artista.
Mostra e catalogo a cura di Carla Barbieri - Melania Gazzotti - Francesca Morandi - Nicole Zanoletti.

A Carla Barbieri ho chiesto di parlarci di Bory e dei suoi riferimenti allo scenario italiano.

Jean-François Bory, nato a Parigi nel 1938, dove tuttora vive e lavora, è considerato uno degli esponenti di maggior rilievo della poesia visiva francese. È stato un vero punto di incontro internazionale per quel mondo variegato ed esteso di artisti che hanno lavorato sulla scrittura tra la fine degli anni sessanta e l'inizio dei settanta. Ha fondato, infatti, le case editrici Approches (1968) e Agentzia (1968-1972), entrambe con sede a Parigi, e le riviste "Approches" (1966-1969), "Agentzia" (1968-1969) e "L'Humidité" (1970-1978). Particolarmente forte è stato il legame di Bory con l'ambiente artistico italiano, soprattutto modenese. Il numero 6 di "L'Humidité", del novembre 1971, è dedicato interamente alla scena artistica italiana con il titolo “Italie dernières mesures” ed è curato dal modenese Carlo Alberto Sitta.
Dal numero 8 la rivista assume il titolo “L'Humidité. Revue italienne en langue française ” con sede a Modena; dal numero 10 al 12, con lo stesso titolo, viene pubblicata dalle Edizioni Amodulo di Brescia, dirette da Sarenco. Bory è presente anche alle due manifestazioni artistiche internazionali “Parole sui muri” di Fiumalbo di Modena nel 1967 e nel 1968, cui dedicherà un fascicolo monografico di "Agentzia" nel 1969. Ha scritto oltre un centinaio di volumi tra libri d'artista, saggi, poesie e romanzi
.

La mostra sarà ospitata presso il Centre des Livres d'artistes di Saint-Yrieix-la-Perche in Francia dal 15 febbraio al 15 giugno 2012.

Biblioteca civica d'arte Luigi Poletti
V.le Vittorio Veneto 5, Modena
biblioteca.poletti@comune.modena.it
Tel. 059 – 20 33 372
Fax 059 – 20 33 380
Fino al 28 gennaio 2012


Nasco improvvisamente a Palermo

Perché improvvisamente? Perché non me l’aspettavo, nessuno mi aveva avvertito. Vengo al mondo, quindi, a tradimento, di notte (i bambini nascono quasi sempre di notte: li pigliano nel sonno) il 12 ottobre dell’anno di grazia del 1934”.

Fu un giorno fortunato per lo spettacolo italiano (dal cinema al teatro, dalla radio alla tv) perché quel giorno nacque Pino Caruso; sue le righe iniziali che aprono il suo più recente volume Nasco improvvisamente a Palermo edito da A&B.
Notissimo come attore, meno notissim… non si può dire in italiano?... ma se abbiamo avuto fino a ieri un ministro della Pubblica Istruzione che diceva Nemèsi?... uffà ‘sti grammatici!... vabbè, meno noto come scrittore che, invece, vale quanto l’attore, vale a dire molto
Non a caso Indro Montanelli su di lui scrisse: “Tra ammicchi felpati e improvvisi guizzi d'intelligenza, Pino Caruso distilla il suo io più vero, ossia un'ulteriore maschera teatrale: quella dello scrittore che si compiace di paradossi, veloci calembours intrisi d'irridente e aerea follia”.
Tanti i godibilissimi titoli pubblicati – dopo un libro di poesie “Dissolvenze” – (cito in ordine non cronologico) L'uomo comune, Palma d’oro al Festival dell’umorismo di Bordighera; I delitti di via della Loggia; La Sicilia vista da me; Un comico urgente in via Cavour; Il venditore di racconti; Ho dei pensieri che non condivido e non escludo di aver trascurato qualche volume.

Nasco improvvisamente a Palermo è un’antologia che comprende sketch tv scritti e interpretati dall'attore palermitano: l’irresistibile “Intervista al professor Luparella sulle origini e lo sviluppo della mafia”, un vero e proprio atto unico; scene da “Agrodolce”; momenti della pubblicità del Caffè Torrisi; e gli "Asterischi" (commenti inseriti nel Tg2 domenicale tra il 1988 e il 1990) voluti da Alberto La Volpe che di Caruso scrisse “… un autentico giornalista televisivo. Con in più questa capacità d’ironizzare sulla classe dirigente italiana, quasi sempre arcigna e priva di humour, ma anche su di noi cittadini che sappiamo vedere i difetti degli altri ma molto meno quelli nostri che non sono pochi”.

Dal basso dei miei ultratrentennali contributi Enpals, fatemi dire: quanto manca quella Rai, e ancor più quanto manca Caruso alla Rai, uno che ha inventato l'infotainment quando ancora non si chiamava così.
Questo libro ci restituisce attraverso feste della pagina grandi momenti di allegria non scissa però da un pensiero vigile e critico su noi umani e lo fa con l’abilità scrittoria più difficile da praticare: la brevità.
Se un consiglio volete per una strenna letteraria prima del pranzo natalizio: qui il libro è servito.

Accendendo i motori di ricerca sul web tanti i links a Pino Caruso, ne troverete molti, ma primo fra tutti, cliccate QUA, sito che permette un ottimo approfondimento provvisto com’è di varie sezioni… a proposito, non perdetevi quella degli aforismi, mi ringrazierete.

Pino Caruso
Nasco improvvisamente a Palermo
Pagine 212, euro 15.00
A&B Editrice


Zoom: su Feltrinelli


Se il digitale è la nuova frontiera dell’editoria, con Zoom Feltrinelli guarda al futuro, al futuro dei libri visto da vicino.
Il 16 dicembre nasce la collana che vedrà protagonisti i grandi nomi del catalogo Feltrinelli, in un formato digitale tre volte più accessibile: per prezzo, pagine e portabilità.
Al costo di 0,99 euro i primi venticinque titoli della collana, disponibili su tutte le piattaforme di vendita online (come la Feltrinelli, Ibs, Bol e Amazon) in formato ePub (DRM Adobe).

Le proposte ZOOM:

- Romanzi inediti pubblicati esclusivamente in versione digitale. Apre, con il primo capitolo scaricabile gratuitamente dal 16 dicembre, "Banduna". Un luogo, una leggenda, un romanzo popolare a puntate.
Lo scrive, settimana dopo settimana, Alessandro Mari, già autore di “Troppo umana speranza” (Premio Viareggio, 2011). Guardando a Charles Dickens che pubblicava sul “Morning Chronicle” – il mezzo più popolare per il più popolare degli scrittori – Alessandro Mari rinnova con inchiostro digitale la tradizione del romanzo a puntate. “Zoom fonda un paese nuovo” - dice Mari “e dentro i suoi confini possono abitare storie clandestine - sans papier, per dire così. Meravigliosamente bastarde.”

- I racconti dei grandi nomi della letteratura italiana e internazionale, per la prima volta disponibili “al dettaglio”;

Da domani, quindi, sarà online il sito zoom.feltrinelli.it, per scaricare e acquistare tutti i contenuti proposti.

Per informazioni e richieste: Ufficio Stampa Feltrinelli Editore: 02- 867974.


Centenario di un vocabolario


In La Vie littéraire ha scritto il Premio Nobel Anatole France: “Un vocabolario è l'universo per ordine alfabetico; è il libro per eccellenza: tutti gli altri vi sono già dentro, basta tirarli fuori”.
Anche da un vocabolario di quelle lingue che alcuni ritengono morte, come il latino e altri, invece, s’oppongono a ritenerlo defunto.
Ad esempio, l’Agenzia di traduzione Easy Languages scrive: “Il fatto che non sia più una lingua correntemente parlata non è una condizione sufficiente per decretarne lo stato di morte. Le lingue morte, oltre a non essere più parlate da nessuno, sono lingue che non hanno lasciato alcuna traccia nella cultura di un popolo. Una lingua non più parlata è come se fosse una lingua dormiente che potrebbe risvegliarsi in qualsiasi momento, com’è accaduto in modo sorprendente all’ebraico nel corso del ventesimo secolo. Nemmeno l’arabo classico può essere considerato una lingua morta. Oggigiorno nessuno lo parla più, tutti gli abitanti dei paesi arabi parlano solamente il dialetto della regione in cui vivono, ma l’arabo classico sopravvive in tutte le circostanze formali e come lingua letteraria”.
Succede pure che c’è chi il latino lo pratica ancora come fa il giornale online Ephemeris che tratta temi di attualità nella lingua di Giulio Cesare e la radio finlandese Yle Radio1, che dal 1989 trasmette un notiziario nella lingua dell’antica Roma.

Tutto quanto finora detto per presentare la notizia che quest’anno ricorre il centenario del vocabolario latino “Campanini Carboni”, ormai considerato un classico, da sempre pensato come uno strumento funzionale alle esigenze d’insegnanti e studenti.
Questo dizionario – forte di circa tre milioni di copie vendute – fu pubblicato da Paravia (oggi parte del gruppo editoriale Pearson Italia) per la prima volta alla fine del 1911.
L’opera era a cura di due professori liceali: se di Giuseppe Campanini, che compilò la sezione italiano-latino, sappiamo soltanto che fu professore al liceo Umberto I di Roma, abbiamo qualche notizia di Giuseppe Carboni, curatore della parte latino-italiano: nato nel 1856 a Ortezzano, in provincia di Ascoli Piceno, fu professore al ginnasio di Fermo e poi dal 1903 ai licei Visconti, Tasso e Mamiani di Roma, e morì nel 1929. Ancora di recente la sua cittadina natale l’ha celebrato con un concorso annuale di latino per studenti liceali.

La più recente edizione, pubblicata nel 2007, ha fatto del Campanini-Carboni un originale “dizionario della lingua e della civiltà latina”. I curatori hanno integrato nella sezione latino-italiano un vasto apparato di materiali informativi appositamente realizzati, sotto forma di schede linguistico-etimologiche e storico-documentarie, che lo hanno trasformato in un vero e proprio repertorio di conoscenze sul mondo dell’Antica Roma. Con un unico strumento è possibile ora rintracciare l’origine latina di alcune parole chiave e seguirne l’evoluzione fino alle lingue moderne, ma anche riportare alla luce personaggi e popoli, città e regioni, istituzioni civili e religiose, aspetti del vivere sociale.


Cristiana Collu al Mart


Dall’Ufficio Stampa del Mart - per le mostre in corso si clicchi QUI - il 3 dicembre ho appreso che Cristiana Collu (in foto) è il nuovo Direttore del Museo.

Laureata all’Università di Cagliari, è storica dell’arte e curatrice di mostre.
Dal 1997 dirige il Museo MAN di Nuoro.

Grazie a lei quel Museo che aveva vissuto di mostre solo con temi e autori legati allo scenario sardo, ha conosciuto opere di Fontana, Morandi, Munari, Pintori, Mirò, De Chirico, Picasso, Schiele, Chagall, e tanti altri grandi artisti.
Nel 2004 vince il premio ABO d’argento al miglior giovane direttore di museo italiano e nel 2006 riceve dal Ministero dei Beni Culturali il premio in qualità di direttore del MAN, come luogo di eccellenza nel panorama museale italiano.
Dal 2006 al 2007 Professore a contratto di Storia dell’Arte contemporanea presso l’Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Architettura Ludovico Quaroni. Dal 2007 è Professore a contratto di Progettazione Museografica presso l’Università di Sassari, Facoltà di Architettura di Alghero e di Museologia presso l'Università di Cagliari, Facoltà di Architettura.

Sono molto onorata di ricevere questo prestigioso incarico - ha dichiarato Cristiana Collu – e desidero prima di tutto ringraziare le persone che hanno deciso di riporre la loro fiducia sulla mia persona. Sono consapevole che mi consegnano un luogo di assoluta eccellenza e un testimone traboccante di responsabilità e attese per il museo e la comunità che rappresenta, verso i quali profonderò tutto il mio impegno con passione e entusiasmo.

Per contatti con l’Ufficio Stampa per informazioni e interviste, i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web possono rivolgersi a:

Luca Melchionna, press@mart.trento.it; 0464 – 454127; 320 – 4303487
Clementina Rizzi, press@mart.trento.it; 0464 – 454124; 338 – 6512683


La via dei conventi (1)


Il libro che mi accingo a presentare è uno straordinario studio che finora mancava in Italia, e forse non solo in Italia, su uno dei movimenti più feroci presenti in Europa negli anni ’30 e ’40 del secolo scorso; uno straordinario studio che non si limita a ricostruire storie e misfatti, ma anche ad approfondire le responsabilità di chi ha permesso fughe e impunità ai responsabili di tanti massacri.
A volte distinti per nazionalità, a volte mescolati nelle stesse comitive, criminali di guerra tedeschi, austriaci e croati fuggirono tra il 1945 e il 1948 lungo la "via dei conventi" secondo piani prestabiliti dai tre principali artefici dell'esfiltrazione: l'ex colonnello delle SS Walter Rauff, il vescovo austriaco Alois Hudal e monsignor Krunoslav Draganović.
Il volume che racconta tutto questo, con ricchezza di rigorose ricerche e documenti talvolta inediti, è intitolato La via dei conventi, l’ha pubblicato Mursia.
Autori Pino Adriano e Giorgio Cingolani.
Il primo è regista e giornalista televisivo, ha realizzato un centinaio di programmi per la Rai con particolare riguardo alla storia economica, sociale e politica del Novecento italiano. Ha scritto “Corpi di reato. Quattro storie degli anni di piombo” (2000), di cui è coautore con Cingolani, e “L'intrigo di Berna” (2010).
Giorgio Cingolani, storico e saggista, ha scritto Il Fermano negli anni '20 (1994), “La destra in armi” (1996) e, con Pino Adriano, il già citato “Corpi di reato” nel 2000.


La via dei conventi è dedicata all’organizzazione segreta ustascia, creata nel 1930 da Ante Pavelic (in foto mentre stringe la mano all’arcivescovo Alojzije Viktor Stepinac), cattolico integralista, responsabile di numerosi eccidi.
Il movimento da lui capeggiato si batteva per l'indipendenza della Croazia dal regno di Jugoslavia. Ben presto, con il sostegno di Mussolini, Pavelić allestì le proprie basi clandestine in Italia e ramificò l'organizzazione in varie parti del mondo.
Per un decennio il terrorismo ustascia si manifestò con sanguinosi attentati, come quello di Marsiglia del 1934, che costò la vita ad Alessandro I di Jugoslavia e al ministro degli Esteri francese Louis Barthou. Disgregata la Jugoslavia nel 1941, Hitler e Mussolini affidarono a Pavelić la guida dello Stato fantoccio croato. Il fanatismo confessionale e razzista degli Ustascia divenne terrorismo di Stato e i massacri perpetrati contro Serbi, Ebrei e Rom furono uno dei peggiori crimini del XX secolo.
Fuggiti in Italia nel 1945 attraverso la ‘via dei conventi’ e poi emigrati in Argentina, gli Ustascia continuarono a praticare la violenza fino alla morte di Pavelić, avvenuta in Spagna nel 1959, e anche in seguito.
Adriano e Cingolani mettono in luce, sulla base di documenti diplomatici e d'archivio di numerosi Paesi, gli intrecci che l'organizzazione ebbe con i governi che segretamente la sostenevano, tra cui il fascismo prima ed esponenti del Vaticano poi, e rivelano le radici lontane dei più recenti conflitti in terra balcanica.

Il libro, nonostante la puntigliosa cronistoria di cui è intessuto, è di affascinante lettura in virtù di una scrittura scorrevolissima, e ci si accorge non senza sorpresa di avere attraversato d’un fiato oltre 600 pagine senza che mai sia pure una soltanto ci abbia pesato.
A dimostrazione della serietà dello studio condotto dagli autori, ci sono gli apparati: ben 73 pagine di fitte note, una vasta bibliografia, un’estesa documentazione fotografica inedita (con strazianti immagini) sugli eccidi commessi dagli ustascia.

Segue ora un incontro con uno dei due autori: Giorgio Cingolani.


La via dei conventi (2)


A Giorgio Cingolani ho rivolto alcune domande.
Quale la principale tra le motivazioni che vi ha spinto a scrivere questo libro?

Quando con Pino Adriano ho cominciato a lavorare su "Corpi di reato" abbiamo scoperto di avere entrambi "il pallino" per Pavelic e gli Ustascia. Successivamente, ciascuno per conto proprio, cominciammo a scoprire in alcuni archivi documenti molto interessanti, e inediti, e decidemmo che valeva la pena di imbarcarci nell'avventura. Così, con un paziente lavoro di quasi dieci anni, abbiamo costruito il libro su una ricca messe di fonti, trasformando il pallino in un mattone; ma visti i riscontri che il libro sta ottenendo, ne valeva la pena.

Ci fu qualcosa sul piano ideologico che distinse il movimento Ustascia dagli altri fascismi europei?

Gli Ustascia erano fautori di un nazionalismo integrale e il loro obiettivo era la costruzione di uno stato croato indipendente, dove non ci sarebbe stato spazio per altri popoli. Malgrado esistano numerosi punti di contatto tra l’ideologia ustascia e il nazi-fascimo, l’ustascismo non si può definire un movimento di ispirazione fascista. Nella prima parte del libro abbiamo cercato di spiegare le sue origini, individuandole da un lato nel mito di un millenario Stato Croato, e dall'altro nell'ancoraggio ad un confessionalismo croato-bosniaco-francescano con antiche radici. L'argomento richiederebbe un'analisi più approfondita ma ci sembra di poter dire che, rispetto agli altri fascismi europei, nell'ideologia ustascia - e nella pratica che ne conseguì dopo la conquista del potere- il fanatismo religioso ebbe un ruolo decisivo. In Croazia e soprattutto in Bosnia, centinaia di migliaia di serbi ortodossi furono costretti a scegliere fra due possibilità: convertirsi al cattolicesimo se volevano restare nelle loro case, oppure andarsene altrove perdendo tutti i loro beni. Chi rifiutava di scegliere, perdeva i beni e la vita.

Il 5 giugno di quest’anno, Benedetto XVI, a conclusione della sua visita in Croazia, s'è recato a pregare sulla tomba di Alojzije Viktor Stepinac, arcivescovo di Zagabria dal 1937 al 1942 e collaborazionista di Ante Pavelic. Ricordo anche che Pio XII nominò Stepinac cardinale al termine della seconda guerra mondiale e il 3 ottobre 1998 Giovanni Paolo II lo proclamò Beato.
La Chiesa ha mai ufficialmente sconfessato o scomunicato Pavelic?

L’arcivescovo Stepinac è sempre stato molto apprezzato dalle gerarchie vaticane, soprattutto per il suo comportamento e per la sua strenua lotta contro il regime di Tito dopo il 1945. Se si esamina l’operato dell’arcivescovo negli anni del regime ustascia, emergono alcune luci e numerose ombre. Con il nostro libro riteniamo di aver confutato le tesi di quanti lo considerano un santo o di altri che, al contrario, lo ritengono complice del genocidio. Quanto a Pavelic non fu mai sconfessato né scomunicato dal Vaticano. Anzi, malgrado fosse ricercato per crimini gravissimi, la sua protezione e la sua fuga verso il Sud America vennero organizzate dalle più alte gerarchie vaticane. Secondo monsignor Draganovic che fu il principale artefice della fuga di decine di criminali di guerra ustascia, a garantire la salvezza terrena di Pavelic fu Pio XII in persona.

Pino Adriano – Giorgio Cingolani
La via dei conventi
Pagine 648, Euro 20.00
Mursia


La stregoneria


"La stregoneria proviene dai tempi negati alla speranza" (Jules Michelet, 1798 – 1874).

"La caccia alle streghe è una vergogna della mente umana, un delirio psicopatico" (Hugh R. Trevor-Roper, 1914-2003).

Ecco due opinioni che da epoche e paesi diversi convergono sullo stesso giudizio che è giudizio oggi accettato da tutti i più seri studi storici.
Non è da trascurare, però, il fatto che ancora adesso non solo in sette fondamentaliste – ma anche in seno alla Chiesa con esorcisti e altre nere tonache – esistano uomini e libelli che affermando l’esistenza del diavolo suggeriscano (purtroppo per loro senza l’ausilio di torture e roghi) nuove cacce alle streghe e demoni, scovandoli perfino in canzoni rock, rintracciando oscuri messaggi talvolta facendo girare i dischi al contrario come dj al servizio di una discoteca Celeste.
Ecco perché è importante che la storia della stregoneria sia ancora investigata e rivelata al pubblico per quello che veramente è stata: la Storia di una follia profondamente umana come recita il sottotitolo di un prezioso volume edito da Dedalo intitolato La stregoneria di cui è autrice Colette Arnould Dottore di ricerca presso l’Université Panthéon-Sorbonne di Parigi. L’Arnould ha concentrato i suoi studi intorno al tema della stregoneria e a quelli affini dell’eresia, della superstizione, della cognizione del male.
È anche autrice di una storia della satira in Francia.

Le streghe, ecco un tema investigato dall’antropologia, dalla sociologia, dalla psicoanalisi, tutti pervenendo alla conclusione che quella psicosi derivi da una sessuofobia delirante, dalla denigrazione del corpo femminile, e dal praticare un’accanita persecuzione dell’immagine della donna nella società.
E’ roba che viene da lontano, da fonti autorevoli, basta aprire la Bibbia… è autorevole, non vi pare?... un esempio?... ve lo servo subito:

“Dalla donna ha avuto inizio il peccato,
per causa sua tutti moriamo” (Siracide, 25:24).

Il Libro del Siracide è un testo contenuto nella Bibbia cristiana. È stato scritto originariamente in ebraico a Gerusalemme attorno al 180 a.C. da "Gesù (o Giosuè) figlio di Sirach", poi tradotto in greco dal nipote poco dopo il 132 a.C. Rappresenta l'unico testo dell'Antico Testamento del quale è possibile identificare con certezza l'autore. Autore che, con tutta evidenza, oggi andrebbe sottoposto d’urgenza allo psichiatrico TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).

Storicamente, come ricorda l’Arnauld, è nel 1223 con la bolla “Vox in Rama” che è riconosciuta ufficialmente la presenza del culto del diavolo ed è (tanto per cambiare) un ottimo spunto per considerare eretici tutti quelli che vivono ai margini della società e, naturalmente, anche gli ebrei.
“Il Medioevo” – come nota Massimo Centini nella prefazione – “ha bruciato poco, ha piuttosto cercato di accertare che la strega fosse combustibile”.
Sarà la bolla del 1484 (“Summis desiderantes affectibus”) a scatenare i più matti. Fra questi si distinsero due frati domenicani redigendo nel 1486 il “Malleus Maleficarum” per combattere “l’eresia delle streghe”; fino a quel momento i papi, infatti, avevano condannato indifferentemente uomini e donne, ma da allora e poi nel XVI e XVII secolo le fiamme avvolsero soprattutto vesti femminili. I roghi si spegneranno progressivamente alla fine del XVII secolo, ma qualcuno brucerà ancora nel ‘700, sarà l’Illuminismo a decretarne l’estinzione definitiva.
Merito di questo documentatissimo volume è anche l’associazione che fa l’autrice fra eresia e stregoneria facendola risalire al 1326 col papa Giovanni XXII autore di “Super illius Specula”, documento che permetteva di perseguitare come agente del diavolo chiunque si opponesse al potere della Chiesa con teorie o azioni.
Inoltre come scrive l’Arnould, la stregoneria sortisce un ulteriore effetto nel suo nascere e svolgersi: “La donna, il diabolico e il mostruoso formano un tutt’uno, mentre l’assillo della stregoneria raggiunge il parossismo e cela dietro di sé mostri – dallo spiccato simbolismo sessuale – generati dall’angoscia e dal desiderio”.
Qualcuno dei torturatori in punto di morte confessa: Dichiaro, che tra le molte donne che io condussi al rogo per presunta stregoneria, non ve ne era una sola della quale avrei potuto dire con sicurezza che fosse una strega. Trattate i superiori ecclesiastici, i giudici e me stesso, come quelle povere infelici, sottoponeteci agli stessi martiri e scoprirete in noi tutti dei maghi (F. von Spee, confessore delle streghe condannate al rogo in Wurzburg 1631).
Importante libro questo di Colette Arnould.

Per una scheda sul volume: QUI.

Colette Arnould
La stregoneria
Prefazione di Massimo Centini
Traduzione di Vito Carrassi
Pagine 440, Euro 26.00
Edizioni Dedalo


Indovinelli bevendo il caffè


Fin dall’antichità episodi storici e invenzioni letterarie hanno tramandato casi imperniati sulla soluzione di rompicapo, enigmi e indovinelli.
Talvolta apprendiamo di burle e talaltra di faccende finite male addirittura con la morte di chi non riuscì a risolvere un certo quesito.
Sia come sia in ognuno di quei casi c’entra una cosa serissima che è la logica voluta per primo da Aristotele come disciplina filosofica.
La logica ha avuto varie scuole d’indirizzo ed è utilizzata nella maggior parte delle attività intellettuali, ma viene studiata principalmente in filosofia, matematica, semantica e informatica.
Premessa questa per dire che anche quando ci troviamo di fronte ad un semplice, o meno semplice, quesito enigmistico, è alla logica che dobbiamo fare ricorso.

Il libro che presento oggi, pubblicato da Vallardi, propone 350 quiz e ha un titolo amichevole: Indovinelli da risolvere bevendo il caffè.
Ne è autore J.J. Mendoza Fernández, un tipo sul quale viene tenuto il più assoluto riserbo, di lui, infatti, si sa soltanto che appartiene all’Associazione Internazionale Mensa che nulla ha a che fare con refettori e pasti. Equivoco che ha portato molti rappresentanti del passato Governo a fiondarsi verso quell’Associazione ma quando, dopo molti sforzi, hanno capito che lì accettano solo persone dotate di un certo Q.I. (Quoziente d’Intelligenza), hanno battuto lestamente in ritirata dirigendosi verso accoglienti Enti Pubblici italiani laddove hanno trovato le tavole imbandite che cercavano.
Circa quell’Associazione (fondata nel 1946), però, va detto che oltre ai nomi di Isaac Asimov, Stephen Hawkins e Arthur Clarke, per niente si trovano tanti nomi pur famosissimi per intelligenza e, inoltre, una certa sorpresa suscita fra quei sommi ingegni la presenza del wrestler Scott Lewy (Raven, in arte sul ring). E queste più vicine righe servono a tranquillizzare chi fosse dissuaso dall’acquisto del libro qui presentato e firmato da un autore appartenente a un’aristocrazia del cerebello.
No, è un libro piacevole e divertente come il titolo, non privo di umiltà, promette.
Né troverete ad attendervi la bella e malvagia Turandot pucciniana che mozzava il capo a chi non rispondeva ai suoi quiz facendo costernare i suoi ministri Ping, Pong e Pang.
Alla fine del volume, se proprio non ce l’avete fatta, troverete ad accogliervi le soluzioni dove, ad esempio, una pagina vi dirà “Il triangolo” se non avete saputo rispondere alla domanda “Quale strumento musicale ha nome e forma geometrici”?

Per una scheda sul libro: CLIC!

J.J. Mendoza Fernández
Indovinelli da risolvere bevendo il caffè
Traduzione di Alessandra Repossi
Pagine 136, Euro 8.50
Vallardi


I cervelloni

Se state meditando una scelta fra le strenne natalizie librarie per ragazzi (dai 9 anni in su), Editoriale Scienza fornisce una proposta interessante per contenuti e vivace per forma.
Si tratta di I cervelloni L’esplosivo mondo della scienza, libro scritto da Claire Watts e illustrato (ma forse meglio sarebbe dire animato) da Lisa Swerling e Ralph Lazar.

Partendo dalla definizione di “Scienza”, il volume ripartisce le tante materie che ne compongono il panorama: dalla biologia alla chimica, dalla fisica alla genetica, dalla zoologia alla botanica, con un doveroso spazio lasciato alla matematica che interviene in tutti i rami degli studi scientifici.
Divertenti e coloratissime vignette e pupazzi ci accompagnano in un viaggio attraverso il metodo scientifico cioè la prova delle prove della validità o meno di una teoria o della costruzione di un oggetto: l’esperimento.

Parlare oggi di scienze appare normale e ne apprendiamo dalla stampa, dalla radio, dalla tv, da internet, ma non sempre è stato così. Ci sono stati lunghi periodi della storia in cui di scienza si è parlato pochissimo o, addirittura, era pericoloso parlarne.
Valga un esempio solo: per 1500 (millecinquecento!) anni fu accettata la visione del filosofo greco Tolomeo, secondo cui il Sole ruotava intorno alla Terra. L’astronomo polacco Niccolò Copernico (1473 –1543) capì che in realtà le cose erano molto diverse e che sono la Terra e gli altri pianeti del Sistema Solare a muoversi intorno al Sole. Apriti cielo! E’ proprio il caso di dirlo perché la Chiesa investì con i suoi fulmini la teoria e Galilei poco mancava che finisse arrostito su qualche rogo acceso dai preti.
La storia della scienza, però, può registrare sempre un successo contro gli stregoni che la avversano; si pensi che la stessa Chiesa è stata costretta ad ammettere che Copernico e Galilei avessero ragione. Quando l’ha ammesso? Pochi anni fa. Quanto ci ha messo ad ammetterlo? Non poco: 450 (quattrocentocinquanta) anni.

I cervelloni si chiude con un capitolo illustrato volto a fare una veloce corsa attraverso le principali tappe del pensiero scientifico e con un prezioso glossario che ci rende amichevoli termini che talvolta spaventano perché incomprensibili a molti di noi.

Per dare uno sguardo all’interno del libro: vedi qui.

Claire Watts
I cervelloni
Illustrazioni di Swerling & Lasar
Traduzione di Federica Rupeno
Pagine 64, Euro 19.90
Editoriale Scienza


Metrocubo a 400mq (1)


La Galleria Quattrocentometriquadri – agita da Raffaela Coppari, Cristina M. Ferrara, Maila Catani, M. Francesca Nitti – rivolge da alcuni anni ad Ancona una preziosa attenzione a quanto avviene di nuovo nelle arti visive, soprattutto riferita all’area del multicodice, con mostre, dibattiti, presentazioni librarie.
Fra le iniziative c’è il concorso Metrocubo destinato ad artisti e designers under 40, italiani e stranieri.

(in foto il logo: foto di Maria Francesca Nitti _ Hair design Angela e Doriano per Shampoo di Ancona)

Giorni fa, Metrocubo concludendo la sua seconda edizione, ha bissato il successo dell’anno scorso, stavolta lanciando il tema “Sogni e Migrazioni”.
Le organizzatrici del Concorso, mesi fa presentandolo precisarono i motivi di questa scelta dicendo: “Si calcola che ogni anno nel mondo, più di 3 milioni di persone emigrano dal loro Paese di origine e che più di 180 milioni di persone vivono attualmente in un paese diverso da quello di origine. La capacità di adattarsi, di convivere con la necessità di cambiamento diventano la misura di un diverso reagire: sogno di chi dice “terra!”, sogno di chi cerca ancora libertà, sogno di chi ha fame, sogno di un dignitoso lavorare, sogno di chi non ha neanche un metro cubo in cui dormire”.
E così conclusero: “La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni. Così Pier Paolo Pasolini apriva Il fiore della Mille e una notte nel 1974, citando una omonima raccolta di novelle arabe del XV secolo”.

Il concorso è nato nel 2010 grazie al sostegno di Angela Pezzuto con Shampoo -Teste d’autore, del main sponsor L’Oreal Professional e con il patrocinio degli Assessorati alla Cultura della Provincia e del Comune di Ancona.
Rivolto, anche nel 2011, ad artisti e designers under 40, il concorso ha assegnato un premio di 700 euro al vincitore (quest’anno si è avuto un ex aequo) e una mostra collettiva per gli 11 finalisti che una giuria di esperti ha selezionato tra tutti i partecipanti.
Tale giuria è stata presieduta dal gallerista marchigiano Franco Marconi, e ha visto al lavoro Andreina De Tomassi (giornalista), Riccardo Lisi (curatore e critico), Sabrina Maggiori (curatore), Federica Mariani (curatore e giornalista) e dalle tre associazioni MAC-Manifestazioni Artistiche Contemporanee, White.fish.tank e Quattrocentometriquadri.
Ha partecipato alla giuria anche Angela Pezzuto per il main sponsor L’Oreal professional.
Chi sono stati i vincitori?
Ancora qualche rigo di suspence.
Ecco i nomi degli undici finalisti: Lorenzo Bartolucci e Pietro Baldoni; Marco Bernacchia; Alice Bescapè; Mara Di Giammatteo; Daniela Di Maro; Giorgio Dursi; Massimiliano Grandoni; Elena Gridneva; Floriana Pastore; Michela Pozzi; Punta_Spillo (Chiara Ludolini e Serenella Tomassini) .

Inoltre L’Associazione Quattrocentometriquadri ha ritenuto interessante prevedere un premio del pubblico che è stato simbolicamente consegnato dal Club Letterario Guasco di Ancona… ah, ancora una cosa (e un appassionato del bicchiere quale io sono non posso trascurare) molto gradita è stata la degustazione enologica offerta dall’Antica Cantina Sant’Amico di Morro d’Alba.
Nella seconda parte di questa nota i nomi dei vincitori e un’intervista a Raffaela Coppari e Cristina M. Ferrara


Metrocubo a 400mq (2)


Ed ecco i vincitori.
Premio della giuria (ex aequo).
Lorenzo Bartolucci e Pietro Baldoni: "Casa dolce casa” (2011).
Telaio in legno rivestito con confezioni in tetrapak e composizione audio, 50x75x98 cm.

Punta_Spillo: “Di giovinezza si muore” (2011)
Proiezione video su muro di cuscini; 350x280x20 cm.

°°°
Menzione speciale della giuria.

Alice Bescapè: “Andata senza ritorno?” (2010)
Installazione audio-video.
Riprese e montaggio:Fatima Bianchi; installazione sonora:Attila Faravelli.
Schermo di 300x200 cm, 2 casse audio; tavoli per materiale sonoro e cartaceo

°°°
Premio dell’Art Magazine “Crudelia” diretto da Marta Massaioli.

Elena Gridneva: “Ad astram per aspera” (2011)
Otto stampi di piedi alati in argilla; 120x75 cm

°°°
Premio del pubblico.

(in foto un frame) Punta_Spillo: “Di giovinezza si muore”.


A Cristina M. Ferrara (presidente) e a Raffaela Coppari (direttore artistico) dell’Associazione Culturale Quattrocentometriquadri ho rivolto qualche domanda. Le sentirete rispondere con una voce sola… prodigi della tecnologia di bordo su Cosmotaxi.

Dalle opere in concorso è emerso qualche elemento stilistico, che le accomuna?

Le opere pervenute confermano una tendenza emersa anche nella precedente edizione del concorso, cioè la forte presenza della video-arte.
Quest’anno il bando prevedeva un numero massimo di 8 finalisti, ma dopo la prima fase dei lavori di giuria, 11 lavori rispondevano pienamente al tema del bando e utilizzando tecniche differenti.
Per questo abbiamo ritenuto più interessante allargare la collettiva e mettere così a confronto diversi linguaggi: nonostante la presenza di ben 5 opere di videoarte su 11, sono stati selezionati anche lavori di pittura, scultura e design.
L’occasione di poter installare le quattro opere di videoarte solo per l’inaugurazione all’interno del Mercato delle Erbe adiacente alla galleria rende questa forma espressiva sicuramente molto coinvolgente e suggestiva. Non è un caso che il premio del pubblico sia andato alla videoinstallazione del collettivo Punta_Spillo
.

Più precisamente qualcosa sul tema da voi proposto e sui vincitori?

Sicuramente il tema rappresenta, così come ha dichiarato uno dei gruppi vincitori, una stimolante occasione per esprimere attraverso l’arte le urgenze di una generazione (quella dell’under 40 appunto).
I vincitori ex aequo del premio sono lavori di due gruppi, casualmente uno tutto femminile e uno maschile, che hanno interpretato in maniera quasi opposta il tema.
Gli artisti Baldoni - Bartolucci con la loro “Casa Dolce Casa” hanno rappresentato la “distruzione di un sogno” degli homeless.
Il collettivo femminile Punta_Spillo (Ludolini - Tomassini) ha indagato il legame indissolubile tra sogno individuale e quello collettivo, che se da un lato può trasformarsi in conflitto, dall’altro può invece creare una nuova forma di resistenza, con una forte energia rigenerativa.
Infine entrambe le opere vincitrici, sia la scultura “Casa Dolce Casa” e sia la video proiezione sulla parete di cuscini, “Di giovinezza si muore”, sono risultate le più complete: oltre a grande qualità di produzione e realizzazione, anche più coinvolgenti grazie al contributo musicale/sonoro particolarmente suggestivo
.

L’attività di Quattrocentometriquadri si distingue anche per la continuità del suo lavoro, infatti, il 10 dicembre inaugura la mostra di Gianluca Costantini, come terzo ed ultimo atto della rassegna “Abra Kadabra” a cura di Davide W. Pairone.

Galleria Quattrocentometriquadri
gallery@quattrocentometriquadri.eu
Tel: 393 – 45 22 197 * 338 – 24 30 040
Via Magenta 15, Ancona


Castello Volante


“Fare castelli in aria” è una delle locuzioni popolari (di solito ritenute sagge, e, spesso, cospicuamente cretine) che indica, con sotteso sbeffeggio, chi cura progetti irrealizzabili.
Niente di più errato. Molte grandi idee di noi umani apparvero a molti contemporanei come balordaggini o follie per poi accorgersi che tali non erano e gli stessi iniziali detrattori ne trassero immeritati benefici.
Una nuova casa editrice s’è data il nome di Castello Volante sicché non solo tocca il cielo con l’Indice dei suoi libri, ma volando attraversa territori immateriali proposti dalle nuove tecnologie elettroniche.
Jeff Bezos, fondatore di Amazon nel ’94, ha detto: “Se fosse vivo oggi, anche Gutenberg riconoscerebbe che il libro di carta ha fatto il suo tempo e ci lavorerebbe su”.
Ci lavora su Marco Negroni che ha ideato e guida questa nuova casa editrice.
Negroni si occupa di nuovi media dal 1992. Insegna Interaction Design presso l’Accademia di Belle Arti di Brera, è consulente 2.0 e application designer per alcune grandi realtà nazionali.
Per un’occhiata in Rete: QUI.

A lui ho rivolto alcune domande.
Dove e quando nasce “Castello Volante”? Con quali obiettivi culturali e di mercato?

Anagraficamente Castello Volante nasce un anno fa, l’11 novembre 2010 a Milano, quando, in concomitanza con la Fiera del Libro di Francoforte, apriamo ufficialmente il sito con i primi sette libri a catalogo.
L’idea alla base era che il modo dell’editoria stava (e sta) cambiando radicalmente e noi volevamo partecipare a quest’avventura. Così abbiamo passato i primi dieci mesi del 2010 a cercare di capire tutto, e poi siamo partiti. Abbiamo iniziato con l’editoria free: il mondo è pieno di bellissimi libri dimenticati, autori che meritano di essere riscoperti e ripubblicati. Oppure classici evergreen che da sempre tutti pubblicano e tutti ricomprano.
In questo modo abbiamo composto la prima parte del nostro catalogo: una cinquantina di opere scelte e ripubblicate con attenzione. Da subito abbiamo scelto di distinguerci per la cura editoriale dei nostri eBook, impegnandoci in progetti grafici accurati, attenti controlli redazionali, validazioni e test di compatibilità. Il tutto su opere completamente gratuite.
Il Free è importante. Una delle convinzioni che abbiamo maturato nei primi dieci mesi di analisi e studio è stata che, da questo momento storico in poi, i libri dovranno meritarsi il loro stato.
Presto, tutti i titoli liberi da diritti saranno disponibili gratuitamente (ora non lo sono, o lo sono su formati sbagliati, o mal curati), mentre i libri con diritti verranno acquistati solo dopo averne verificato l’effettivo interesse. La carta invece sarà riservata a quei libri che vogliamo conservare, che vogliamo ci accompagnino per lungo tempo.
E questo è diventato il nostro programma di lavoro, il nostro modello di marketing.
Poi c’è stato l’incontro con Antonio Zoppetti, ora nostro direttore editoriale. Zop ha portato dentro CastelloVolante due grandi valori: La competenza di un grande professionista dell’editoria - apporto di cui si sono immediatamente visti i frutti - e il grande tema del “social writing”
.

Già, infatti, tra le collane dell’Editrice, la più recente è “I Fiori del Web”. Quale il suo profilo?

E’ appunto da Zoppetti che nasce la collana dei Fiori del Web. Qualcuno (evitando citazioni) diceva che se metto un contenuto su un supporto differente da quello cui è tradizionalmente associato, questo cambia, e in certo qual modo fa vedere cose differenti. I Fiori del Web è narrativa scritta sulla rete. E quindi è una narrativa differente. Una specie che sembra solo apparentemente uguale a quella classica, ma che in realtà contiene uno spostamento precisamente percettibile. Ecco perché abbiamo ritenuto così importante dedicare una collana a questo nuovo genere: ci importava avere uno spazio omogeneo che ne evidenziasse le particolarità letterarie. Anche fuori dal contesto web.


Josef Albers

La Galleria Civica di Modena dedica al pittore, grafico, e designer tedesco Josef Albers (1988 – 1976), uno dei grandi maestri dell’arte contemporanea, una vasta retrospettiva a cura di Marco Pierini.
Albers parte nella sua teorizzazione e realizzazione artistica dal presupposto che l’elemento primario della visione sia il colore mai asservito alla forma; nel 1949 iniziò la serie dei suoi famosi “quadrati”, composizioni geometriche consistenti in quadrati inseriti in altri quadrati dipinti con le stesse tonalità dello stesso colore.
In molti ritengono di grande rilievo la sua influenza sugli artisti della Op Art.

Alcuni cenni biografici: nasce il 19 marzo 1888 nella piccola città industriale di Bottrop, nella regione della Ruhr. Dal 1908 lavora come insegnante nelle scuole elementari, finché nel 1913 non si trasferisce a Berlino dove studia alla Königliche Kunstschule. Nel 1916 ritorna a Bottrop per riprendere l’insegnamento e contemporaneamente studiare alla Kunstgewerbeschule nella vicina Essen, dove incontra Jan Thorn-Prikker, artista olandese specializzato nella creazione di vetro colorato che avrà una certa influenza su Albers.
Nel 1919 si iscrive alla Königliche Bayerische Akademie de Bildenden Kunst a Monaco; nel 1920 lascia Monaco e s’iscrive al Bauhaus di Weimar, che Walter Gropius aveva fondato appena un anno prima. Durante il suo periodo iniziale frequenta il corso propedeutico tenuto da Johannes Itten e continua a realizzare opere in vetro. Dall’ingresso nella scuola di Gropius abbandonerà completamente la figurazione.
Completati gli studi propedeutici al Bauhaus nel 1922, Albers si dedica all’allestimento del laboratorio del vetro interno alla scuola. L’anno successivo è il primo diplomato del Bauhaus a divenirne insegnante.
Nel 1930 Mies van der Rohe diviene direttore del Bauhaus mentre Albers è nominato assistente direttore.
Il nazismo sale al potere il 30 gennaio 1933. A seguito delle gravi vessazioni da parte delle autorità, Albers riunisce i membri rimanenti della facoltà per decidere la chiusura ufficiale del Bauhaus il 10 di agosto.
In seguito alla segnalazione di Philip Johnson e Edward M.M. Warburg del MoMA di New York, Josef e la moglie Annelise sono invitati a insegnare alla scuola d’arte sperimentale e liberale Black Mountain College, appena fondata nel North Carolina. Al momento del loro arrivo al college, il 28 novembre, Josef risponde a chi gli chiede quale sia la sua missione come insegnante: “far aprire gli occhi”.
La Galleria Sidney Janis a New York organizza la prima mostra personale del lavoro di Albers negli Stati Uniti nel 1952.
Il suo fondamentale testo "L’interazione del colore", viene pubblicato dalla Yale University Press; documenta il corso sui colori di Albers sviluppato al Black Mountain College e divenuto celebre durante gli anni d’insegnamento a Yale.
Nel 1971 è il primo artista vivente ad avere una retrospettiva personale al Metropolitan Museum of Art di New York. Viene costituita la Josef Albers Foundation Inc.
Il 25 marzo 1976 muore a New Haven e viene sepolto a Orange, nel Connecticut.
Nel 1983, la moglie Annelise (Anni) Fleischmann presiede all’apertura del museo nella città natale di Josef Albers, a Bottrop.

Per un video sulle sue opere: QUI.
Per la Fondazione Albers: CLIC!

Il catalogo bilingue, edito da Silvana Editoriale, contiene – oltre a un ampio scritto del curatore della mostra Marco Pierini – l’introduzione di Nicholas Fox Weber, Executive Director della Josef & Anni Albers Foundation e una selezione di alcuni testi teorici di Albers, mai prima tradotti in italiano. Verrà anche ripubblicato il breve testo di Wassily Kandinsky stampato nel 1934 sul bollettino della Galleria Il Milione in occasione della mostra di xilografie di Albers e di Luigi Veronesi organizzata dalla galleria milanese.

Ufficio Stampa della Galleria: Cristiana Minelli, galcivmo@comune.modena.it

Galleria Civica di Modena
Josef Albers
A cura di Marco Pierini
Info: (+39) 059 - 203 29 11
Fino all’8 gennaio ‘12


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