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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Ragioni per continuare a vivere

Non amo Chesterton, eppure quel mezzo prete una cosa giusta… una soltanto, intendiamoci… l’ha detta: “Il pazzo è uno che ha perso tutto tranne la ragione”.
Non perdere la ragione, però, non significa – anzi, tutt’altro – evitare la sofferenza psichica che assume varie forme. E qui si apre uno scenario di molteplici ipotesi per curare quei tormenti; sostanzialmente si fronteggiano due posizioni, una organicista (detta anche psichiatria biologica) e l’altra chiamata cognitivista. All’interno di questi due schieramenti scientifici, vivono poi varie correnti di pensiero che giungono a diversi approdi terapeutici.
Non m’azzardo ad entrare in quel dibattito, mi mancano gli strumenti per farlo. Gradirei, però, che anche altri, come me non attrezzati, evitassero d’avventurarsi in dichiarazioni su quel campo.
Perché se si parla di cardiologia si lascia la parola agli specialisti e se, invece, si discute di psichiatria tanti si sentono in diritto d’esprimersi? Perfino evocando ideologie politiche?
Non c’è dubbio che il male psichico risenta d’ambienti sociali (ma perché le cardiopatie no?) in modo più marcato rispetto ad altri malanni che ci acciaccano, ma da qui a farsi esperti, ce ne corre. Vorrei che a parlare fossero i medici e i loro pazienti, le sole due categorie le quali, con diverse matrici, hanno la competenza per pronunciarsi.
E se è vero che non è necessaria una laurea in medicina per dire che Basaglia aveva ragione, è altrettanto vero che occorrono studi scientifici o esperienze di sofferenza per dibattere seriamente sulla questione.
Lunga, ma spero non inutile, premessa per presentare un libro intitolato Ragioni per continuare a vivere La storia vera della mia depressione e di come ne sono uscito edito da Ponte alle Grazie.
Ne è autore Matt Haig che vede le sue opere tradotte in 30 lingue.
QUI alcuni suoi interventi audiovisivi.

Fra i mali psichici più diffusi c’è la depressione. Secondo l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ne soffrono 350 milioni d’abitanti di questo pianeta.
Haig racconta la sua esperienza di depresso e di come ne è venuto fuori.
Ammalatosi all’età di ventiquattro anni, si è ritrovato ad affrontare giornate infinite, dominate dalla paralisi e da pensieri suicidi, che adesso, a distanza di quattordici anni, rievoca nelle pagine di questo libro. Le sue sono le parole lucide e serene di chi è passato attraverso una grande prova e ha saputo riemergerne, più forte e più attaccato alla vita. Ben oltre il memoir e la cronaca di un viaggio di andata e ritorno nell’abisso, “Ragioni per continuare a vivere” è una testimonianza vibrante di emozione, un aiuto per chi è stato colpito dalla malattia, una possibilità di capire per chi vive accanto a una persona depressa. Per tutti, l’invito a una maggiore consapevolezza del nostro tempo su questa Terra e a un ascolto più attento di quello che ci accade, per cogliere ogni giorno in chi amiamo, in ciò che realmente siamo, le ragioni per vivere.
Si tratta di un libro sulla depressione che, attraverso l’onestà dell’esperienza vissuta sulla propria pelle (e anima), la forza contagiosa di chi ce l’ha fatta, lo stile spiritoso e commovente del narratore di rango, riesce a fare di un’esperienza singolare e dolorosa un piccolo manifesto per tutti (fatto di capitoletti folgoranti, toccanti, esilaranti che – senza tecnicismi – arrivano al cuore del problema e del lettore).

Credo che ben riassuma l’obiettivo di questo prezioso volume le seguenti parole di Haig: Uno dei sintomi principali della depressione è la mancanza di speranze. Non vedi un futuro. L’esistenza di questo libro è la prova che la depressione mente. La depressione fa pensare cose sbagliate.

Matt Haig
Ragioni per continuare a vivere
Traduzione di Elisa Banfi
Pagine 256, Euro 14.90
Ponte alle Grazie


Audiolibri: Il Piccolo Principe

Nell’antichità si leggeva ad alta voce. Sia in solitudine e sia, più spesso, per ascoltatori. Agostino d’Ippona, nelle sue Confessioni, esprime meraviglia nel vedere Ambrogio (il futuro santo) leggere "tacite".
Quando sia avvenuto il passaggio alla lettura silenziosa se nell’alto Medioevo o prima ancora è questione irrisolta dibattuta dai sociologi della letteratura, ma che all’origine la lettura avvenisse vocalmente vede tutti d’accordo.
La storia del libro – che ha inizio prima della carta, le sue origini le troviamo su legno, su papiro, su bambù – conosce varie epoche e fasi tecnologiche. Passando attraverso il determinante momento gutenberghiano si arriva fino ai supporti informatici dei nostri giorni. Ai nostri anni appartiene anche l’audiolibro che inevitabilmente porta alla mente, in moderne forme, le origini della lettura e dell’ascolto.
Mentre in Italia va affermandosi, sia pure faticosamente, negli Stati Uniti il libro da ascoltare è un prodotto emerso già da tempo. Si pensi, ad esempio, ad un autore di best- seller qual è Jeffery Deaver che con “The Starling Project” ha creato l’anno scorso un giallo solo per audio, uscito presso la casa editrice d’audiolibri “Audible”.

Un maiuscolo esempio di come in Italia si lavora con l’audiolibro viene dalla casa editrice Il Narratore; la ricordo come certamente una delle prime se non addirittura la prima editrice italiana di audiolibri. La dirige Maurizio Falghera.
Una sua recente produzione riguarda un capolavoro letterario: Il Piccolo Principe di Antoine de Saint-Exupéry.
Quest’edizione sonora di quella famosa opera si avvale della traduzione e della lettura, entrambe eccellenti, di Alberto Rossatti.
Voce storica di Radio Rai, Premio Sabaudia 2005 per il CD “Il mutamento dell’anima” quale migliore interprete della poesia di Mario Luzi. Per Il Narratore AudioLibri e Giunti Editore, ha registrato opere di Pavese, Pascoli, Neruda, Schnitzler, Dickens e Kafka; per le Edizioni Dehoniane di Bologna (EDB), il Vangelo di Matteo; per la Società Dante Alighieri, un'Antologia di poesie di Giorgio Caproni.
Traduttore di numerosi autori inglesi e americani, ha ricevuto nel 2009 il Premio Nazionale della Traduzione del Ministero dei Beni Culturali.
Finalista al Premio Voci nell'Ombra 2015 per l'audiolibro di Charles Dickens, (Il Narratore).

A lui ho rivolto qualche domanda
Perché, affidata al solo mezzo fonico, audiolibro o radio, il racconto per voce sola è assai spesso più coinvolgente per l’ascoltatore che non la scena sonora a più voci?

L'audiolibro, nato originariamente per non vedenti, sostituisce la lettura del libro cartaceo, traducendo in suoni tutte le parole di cui è fatta la narrazione. Ma per estensione anche ai vedenti, l'audio libro rende accessibile la lettura (mediata dalla voce del narratore) a quei lettori che, per pigrizia, mancanza di tempo o altro impedimento, non possano permettersi il lusso di appartarsi a meditare e centellinare in tutta autonomia un libro cartaceo. Se poi il narratore è un esperto narratore (colto, intelligente, dotato di ricchezza di toni, timbri, colori, capacità di fraseggio, voce suggestiva, eccetera), l'audiolibro può essere talora in grado di competere e superare la 'scena sonora a più voci' nel felice coinvolgimento dell'ascoltatore. Infine, coi tempi che corrono, (intendo fretta, propensioni e attitudini di fruizione dell'esistenza) l'audiolibro resta l'unica speranza che qualcuno possa ancora leggere per esempio “Guerra e pace”. Ma siamo veramente sicuri che sia un 'must'?

Come ho ricordato prima, oltre che attore sei traduttore di vari testi fra i quali anche questo di Saint-Exupéry.
Circa 250 traduzioni, critici e lettori entusiasti in tanti paesi, in che cosa consiste il fascino di questo libro da renderlo tanto celebre?

Il “Piccolo Principe” è una lunga poesia, o parabola se si vuole, o racconto filosofico, ma non è una favola edificante per bambini: ci dice che “l'essenziale è invisibile agli occhi”, cioè che ogni cosa può nascondere un tesoro, un mistero; che sotto le apparenze c'è lo spirito, da scoprire per mezzo del cuore. E ci parla del rimpianto struggente per qualcosa che abbiamo amato e che è perduto per sempre, e del dolore della separazione e della perdita, e della solitudine, e della fine inevitabile di tutto. E ci rivela alla fine un grande segreto: l'essenziale nella vita è prendersi cura di qualcuno, con amore, con dedizione, anche se l'amore prima o poi svanirà: importante è vivere e amare. Resta il ricordo, la memoria, a tener viva la fiamma di ciò che abbiamo amato. Questo il nostro destino, il senso della vita: verità tragica e sublime con cui il Piccolo Principe continua ad affascinare i lettori di tutto il mondo.

L'audiolibro è accompagnato anche dalla versione in PDF del testo con le illustrazioni originali dello stesso Saint-Exupéry e quindi si può sia ascoltare sia leggere.

Antoine de Saint-Exupéry
Il Piccolo Principe
Versione integrale
Traduzione e lettura di Alberto Rossatti
Euro 9.99
Edizioni Il Narratore


La scienza intorno a te

La scuola italiana, ieri avvilita dal modello gentiliano con le materie tecniche e scientifiche subordinate a quelle umanistiche, dopo aver attraversato, in tempi recenti, perfino momenti in cui la sciura Moratti da ministro della Pubblica Istruzione tentò di escludere Darwin dai programmi, poi passata attraverso lo tzunami “Mariastella” (così chiamato il periodo che vide la Gelmini ministro della P.I.), oggi è finalmente dissestata dalla cosiddetta “buona scuola” renziana.
Insomma, la nostra scuola vede fondere la propria storia con quella del cabaret.
A passarsela particolarmente male sono le scienze e s’aggiunga che alcune di esse (astrofisica e biologia fra le prime) sono addirittura attaccate da beghine e baciapile.
Ecco perché è importante che esista una buona editoria scientifica per ragazzi così com’è concepita e realizzata da Editoriale Scienza che ha pubblicato di recente un libro tanto istruttivo quanto divertente poiché propone una serie di facili, ma non per questo meno seduttive prove in un laboratorio in versione domestica.
Titolo: La scienza intorno a te Tanti esperimenti per ogni momento della giornata.
Il volume – efficacemente illustrato – tiene fede al sottotitolo è, infatti, una raccolta di esperimenti per bambini e nasce dall’esperienza dell'Exploratorium di San Francisco, uno dei più importanti musei scientifici al mondo.
Il libro è pensato per accompagnare i ragazzi in un ipotetico viaggio tra scienza e tecnologia durante l'arco della giornata e mostrare loro come i meccanismi scientifici siano presenti in tutto ciò che fanno e in quanto li circonda.
È diviso in 14 laboratori, uno per ogni momento della giornata (il risveglio, la colazione, la scuola, il tempo libero, eccetera), e ciascuno presenta una serie di esperimenti, giochi ed enigmi che nascono dall’invito a osservare la realtà.
Per svolgere tutte le attività bastano semplici strumenti di uso quotidiano (colla, misurini e cucchiai, forbici, pinzette, carta, gessetti…). Gli esperimenti, pensati per bambini a partire da 8 anni, sono accompagnati dall’elenco di ciò che serve e dalla spiegazione dei principi scientifici che si celano dietro ai fenomeni sperimentati.
La grafica accattivante, le foto, i testi chiari e l’uso della seconda persona singolare rendono il libro agile e coinvolgente.
La scienza - suggeriscono le pagine – non è solo nei laboratori o nei manuali di scuola, ma si trova ovunque: a colazione, ad esempio, si può imparare un sacco di cose sulla dinamica dei fluidi e sul magnetismo senza neanche alzarsi da tavola, mentre quando si fa sport se ne possono scoprire altrettante sull’equilibrio e sui riflessi. A casa, in classe, sull’autobus o in spiaggia, basta tenere gli occhi ben aperti e la curiosità sempre accesa.
Ecco un libro che si presta ad essere messo sotto l’albero di Natale.

The Exploratorium
La scienza intorno a te
Designer Michel Gadwa
Traduzione di Federica Rupeno
Pagine 130, Euro19.90
Età consigliata: da 8 anni
Editoriale Scienza


Dizionario Zingarelli 2016

Tempo fa ebbi il piacere di ospitare su questo sito un grande giornalista e saggista: Enzo Golino.
Nel corso dell'intervista, gli chiesi: "Da chi e da che cosa, secondo te, va difesa oggi la lingua italiana?”.
Così rispose: Dalla sciatteria, dalla pigrizia. Molti pensano che sia l'eccesso di anglomania lessicale il nemico numero 1, pubblico e privato, che insidia la lingua italiana. Ma è in buona parte un alibi. La lingua la sa sempre più lunga di chi la parla, al suo interno possiede criteri di economicità espressiva che in tempi più o meno lunghi sa ritenere il meglio ed espungere (o dimenticare) il peggio. Già abbiamo due prestigiose istituzioni, l'Accademia della Crusca e la Società Dante Alighieri che lavorano a migliorare e a documentare le sorti della nostra lingua fra tradizione e innovazione. E invece di essere colpite da tagli economici che ne limitano il raggio d'azione, dovrebbero ricevere invece fondi adeguati all'attività di salvaguardia e diffusione dell'italiano […] Consiglio a tutti, cittadini italiani di ogni età, e anche agli immigrati, la lettura quotidiana di una pagina di vocabolario, in circolazione ne abbiamo davvero di ottimi. Anzi, mi piacerebbe sancire questa raccomandazione con una proposta: qualcuno ne avesse voglia e ne avesse la volontà politica e culturale di farlo, potrebbe istituire la Giornata del Vocabolario Italiano con adeguate manifestazioni.

Ottima idea. Ma credo che in questi tempi di “buona scuola” abbia scarse possibilità d’essere messa in pratica dalla classe politica che ci ritroviamo.
Se qualcuno, però, avesse orecchie per quel saggio consiglio di Enzo Golino (… escludo che qualcuno ne sia provvisto nelle stanze del Ministero della Pubblica Istruzione, non sono così ingenuo) allo Zingarelli andrebbe, a mio avviso, riservato un posto d’eccellenza. È stato sfogliato da tantissime mani e mai da Salvini che per indicare sfilate scrive “marcie” credendolo il plurale di “marcia”.
Dal 1941 la casa editrice Zanichelli pubblica lo storico Vocabolario della Lingua Italiana di Nicola Zingarelli. Uscito a dispense nel 1917, fino ad allora era stato pubblicato da Bietti. A partire dal 1993, alla sua dodicesima edizione l’opera diventa il primo vocabolario italiano ad essere aggiornato ogni anno.
E per il 2016, quali novità?
Sarebbe contento Mario Monicelli perché la Supercazzola è entrata in quel famoso vocabolario della lingua italiana. Proprio quando “Amici Miei”, il film da cui proviene, compie 40 anni.
“Parola o frase senza senso, pronunciata con serietà per sbalordire e confondere l'interlocutore”: questa è la definizione lessicografica nel dizionario. Nata come sketch esilarante nel celebre film del regista toscano - uscito nel 1975 -, la parola è diventata un vero tormentone, entrando nella memoria collettiva nel corso degli anni. Così la frase “non-sense” che il conte Mascetti (Ugo Tognazzi) e gli altri goliardici protagonisti di “Amici Miei” propinavano alle vittime dei loro scherzi ha acquistato non solo un “senso” ma un peso specifico nel linguaggio comune.
Allo stesso modo il calcistico Tiki-Taka: nel vocabolario è uno “spagnolismo” che significa “ticchete tocchete”. “Nel calcio, tipo di gioco consistente in un insistito possesso palla basato su una serie di passaggi ripetuti”. Dopo aver riempito le pagine dei quotidiani sportivi oltre che le bacheche di trofei del Barcellona di Guardiola, il tiki-taca adesso è una parola italiana.
Sono due degli oltre 500 inserimenti che lo Zingarelli 2016, da notaio della lingua italiana, ha registrato e aggiunto alle 144.000 voci e 380.000 significati.
Ma sono tante le nuove parole entrate nel vocabolario della lingua italiana, ad esempio: Jihadista, Telepedaggio, Capocurva, Complottista, Pentastellato, Cooking Show, Sfanalare, Cogenitore, Smart.
Il Dizionario contiene anche 964 schede di sfumature di significato che analizzano altrettanti gruppi di parole e ne consigliano l’uso in base al contesto. Oltre 100 definizioni d’autore, inedite e originali: significati firmati da chi in quella parola ha messo la propria vita e la propria esperienza.
La versione elettronica dello Zingarelli 2016 contiene, oltre al testo integrale dell'opera, anche il testo integrale del Vocabolario degli Accademici della Crusca, 1ª edizione del 1612 - per gentile concessione dell'Accademia della Crusca -, ricercabile per lemma e a tutto testo; il Dizionario della lingua italiana di Nicolò Tommaseo e Bernardo Bellini, il più importante vocabolario di italiano dell'Ottocento pubblicato in 8 volumi fra il 1865 e il 1879, e l'Enciclopedia Zanichelli con oltre 70 000 voci, aggiornata al 30 aprile 2015. Tutte queste opere possono essere consultate insieme al vocabolario con lo stesso motore di ricerca. Sempre nella versione elettronica è possibile accedere a un Dizionario dei sinonimi integrato, ascoltare la pronuncia sonora di tutte le parole, vedere la loro divisione sillabica e le tavole di flessione; un Analizzatore morfologico opera l'analisi grammaticale di tutte le forme flesse.
Nell'anno del 750° anniversario della nascita di Dante, troviamo anche circa 1000 citazioni dantesche ricercabili con un'unica interrogazione, e le altre citazioni di 123 autori, tutte ricercabili con un click.

Cliccare QUI per conoscere i prezzi sia dell’edizione cartacea sia di quelle digitali.


La fabbrica dei cuccioli


Dall’Ufficio Stampa della Lega Antivivisezione ho avuto notizia di un libro, pubblicato dalle Edizioni Sonda che illumina su atrocità che molti ignorano e altri fingono d’ignorare.
Si tratta di La fabbrica dei cuccioli firmato da due autrici: Ilaria Innocenti e Macri Puricelli.

Innocenti è responsabile nazionale del Settore Cani e Gatti LAV; ha una formazione filosofica ed è studiosa dei diritti degli animali. Tra sue le principali attività, l’analisi del fenomeno del traffico internazionale dei cuccioli, su cui ha elaborato un dossier e realizzato la campagna “Rompiamo le scatole ai trafficanti di cuccioli”.
Puricelli, nata e cresciuta a Venezia, vive in mezzo ai campi trevigiani. Fra cani, gatti, tartarughe, quattro cavalle e un’asina. Laureata in filosofia e giornalista professionista, con il blog Zoelagatta (da me letto avidamente alla sezione “gatti”) racconta, e lo fa benissimo, storie vere di animali sul sito D-Repubblica.

Questo libro propone un drammatico reportage sullo sfruttamento e la sofferenza causato dal traffico dei cuccioli in Europa: i dati, le storie, i personaggi insospettabili.
I trafficanti li acquistano per 30-50 euro e li rivendono a partire da 600 euro. Solo in Italia ne arrivano illegalmente circa 8mila ogni mese. Possono avere poche settimane di vita, essere privi di documenti e di vaccinazioni di legge. Magari malati o con tare genetiche. Nel business illegale, che si stima generi un affare da 300 milioni all’anno in tutta Europa, sono coinvolti gruppi di trafficanti organizzati. Il libro offre gli ultimi dati di questo malaffare legato alla zoomafia, e illustra le attuali leggi, anticipa i futuri regolamenti che la Commissione europea varerà, dà conto dell’impegno delle associazioni animaliste, delle forze dell’ordine e della magistratura. Affronta, attraverso testimonianze, racconti, interviste, le problematiche che in Europa questo traffico illegale sta provocando in termini di malessere provocato agli animali e i possibili pericoli per la salute pubblica.
Introdotto dal contributo di Licia Colò, il libro si conclude con la post-fazione di Ciro Troiano sulla zoomafia, tra i cui nuovi business si registra proprio quello legato allo sfruttamento dei cuccioli importati clandestinamente.
Un libro utile anche per invitare all’adozione da un canile o gattile, invece che all’acquisto.

Un’importante condanna per alcuni trafficanti è avvenuta recentemente a Udine e ha visto la LAV costituita come parte civile.

Ilaria Innocenti
Macri Puricelli
La fabbrica dei cuccioli
Pagine 128, Euro 12.00
Edizioni Sonda


Osservatorio Outsider Art

L’Osservatorio è una creazione della storica dell’Arte Eva di Stefano.
Una sua biografia e una presentazione del suo lavoro sull’outsider art QUI.
Dal numero 10, edito in questi giorni, l'Osservatorio diventa anche editore della rivista omonima (con la direzione scientifica della Di Stefano) che torna nel suo originario formato elettronico con in più, per gli irriducibili amanti della carta stampata, l’opzione print on demand.
"L’avventura editoriale che ha coinvolto per due anni, dal n. 6 al n. 9, le Edizioni Glifo di Palermo” – scrive di Stefano – “si è rivelata, infatti, poco sostenibile nelle circostanze attuali di sofferenza di tutto il mondo della carta stampata e così, non senza ringraziare Glifo per il generoso impegno profuso e per la grafica fantasiosa che Luca Lo Coco ci ha donato negli anni, noi proseguiamo editando la rivista in proprio”.
In questo numero: un dossier sul convegno Heterotopias e inoltre: Opere babeliche - Rocce scolpite - Guerre immaginarie - Macchie parlanti - Arte che cambia la vita: le storie di Andrè Robillard, Henri Darger, François Burland.
Collaborazione, tra gli altri, di Roger Cardinal, Laurent Danchin, Sarah Lombardi, Lucienne Peiry.

Osservatorio Outsider Art
Semestrale
Pagine 184, più di 100 illustrazioni a colori.
In formato A4 per valorizzare le immagini e facilitare la stampa in proprio.
Per il download dal sito il prezzo è di 5 euro.
Cliccando sull'opzione print on demand si può invece acquistare (euro 26.95) il numero stampato e rilegato, e riceverlo all’indirizzo desiderato.


Dizionario di Economia per allezziti

Per l’unico giornale di satira rimasto in Italia, il Vernacoliere (fondato da Mario Cardinali nel 1961) l’epistemologa Maria Turchetto ha scritto una serie di articoli sull’economia ora raccolti in un librino intitolato Dizionario di Economia per allezziti da Adamo Smith a Zecca tutte le voci dell’Italia in crisi.
Ecco, in 2 righe 2 ho usato due parole non proprio correnti: “Allezziti” ed “Epistemologa” . Doverosa una spiegazione.
Allezzito: “Termine del vernacolo livornese che indica persona molto povera, miserabile, e in senso figurato il proletario, il diseredato sociale, ricco solo di ‘lezzo’ cioè lo sporco che contraddistingue chi non ha neppure l’acqua per lavarsi”.
Epistemologa/o: “Colei/colui che pratica quella branca della filosofia che si occupa delle condizioni sotto le quali si può avere conoscenza scientifica e dei metodi per raggiungere tale conoscenza. In un'accezione più ristretta l'epistemologia può essere identificata con la filosofia della scienza, la disciplina che si occupa dei fondamenti e dei metodi delle diverse discipline scientifiche”.
Va meglio?... Non ditemi di no.
Come scrivevo in apertura, l’epistemologa in questione è Maria Turchetto, cliccando sul suo nome la conoscerete meglio; conoscerete il suo spirito sulfureo e la sua intelligenza ribelle, gusterete un gelato al veleno.
Pensando al sottotitolo, si dirà perché in un dizionario che ha l’obbligo di seguire l’ordine alfabetico Adamo Smith viene per primo? L’autrice di rimando: “Lo so, dovrei collocare questa voce sotto la lettera S – ma Adamo Smith è l’uomo cui si attribuisce l’invenzione della scienza economica e quindi mi sembra giusto metterlo al primo posto”.
Altra sorpresa attende chi legge alla lettera Z: Zecca. Qui si trova solo il disegno del famigerato insetto. Conclusione assai maliziosa per pagine che ci hanno illustrato come in tantissimi del mondo finanziario le abbiano studiate tutte per succhiare il sangue.
Merito di non poco momento di questo Dizionario è la chiarezza nello spiegare termini e teorie in modo semplice ma non pedestre, tanto che la scrittura risulta di facile comprensione, il lettore è ben guidato fra tasse e tassi, bufale e raggiri.

A Maria Turchetto ho rivolto alcune domande.
Perché la maggior parte di tanti cervelloni (stavolta detto senz’ironia), armati di tante dottrine, non sono riusciti a prevedere la crisi che ha scosso il pianeta in questi ultimi anni?

La crisi non è come il terremoto: c’è qualcuno che la scatena. Qualcuno di molto potente, capace di fare il bello e il cattivo tempo nella speculazione, capace anche di decidere quali sono i “cervelloni” che contano, quali idee vanno fatte circolare e quali passate sotto silenzio. Qualche Cassandra c’è stata – per esempio il vecchio Galbraith buonanima – ma non risultavano trendy. Diciamo che quando, a partire dagli anni ’90, il Fondo Monetario Internazionale ha cambiato politica, ha determinato anche un macroscopico ricambio nella compagine degli economisti: i keynesiani sono spariti (sembrano andati incontro a un’estinzione di massa, come i dinosauri) e sono arrivati i liberisti e i monetaristi. Anche in Italia economisti che lanciavano allarmi, denunciavano lo strapotere delle banche e le politiche europee ce n’erano, anche parecchi. Ma li hai sentiti tu? Dico alla radio, alla televisione, sui media che contano – non sulle riviste specializzate o nelle mailing list di nicchia. Sono stati silenziati.

Scrivi In un passaggio del tuo libro: “Il Premio Nobel per l’Economia non è una cosa seria”. Perché?

Come spiego nel libretto, il Premio Nobel per l’economia non è uno dei premi istituiti nel 1895 dal testamento di Alfred Nobel. È un premio molto più recente istituito nel 1968 dalla Banca di Svezia. Ti fideresti di un premio per la pace istituito dalla lobby dei fabbricanti di armi? E così io non mi fido di un premio per l’economia istituito da una banca… Del resto, non se ne fidano nemmeno i pronipoti di Alfred Nobel che da anni ne chiedono l’abolizione.

Fra i tanti disastri inflitti da Renzi a noi tutti in due anni di malgoverno, a tuo avviso qual è quello più grave assestato all’economia italiana?

A mio parere il disastro peggiore – non per l’Italia intera, ma per i lavoratori italiani – è il Jobs Act. Ha fatto aumentare i contratti a tempo indeterminato, certo, e su questo Renzi continua a battere la grancassa, spesso spacciando questo aumento per un aumento dell’occupazione. Certo “contratto a tempo indeterminato” suona bene, suona come un miglioramento delle condizioni di lavoro, ma come sempre bisogna stare molto attenti alle parole. In realtà i nuovi contratti a tempo indeterminato sono peggio dei vecchi contratti a termine. Con i contratti a termine almeno per tre anni non ti licenziano, con i nuovi contratti a tempo indeterminato ti possono licenziare in qualunque momento, anche per motivi illegittimi. Sì, perché in caso di licenziamento illegittimo – a parte casi gravissimi di discriminazione – non c’è più il reintegro nel posto di lavoro, ma solo un indennizzo, che funziona “a tutele crescenti”, cioè aumenta con l’anzianità di servizio, ma è davvero irrisorio soprattutto nei primi anni di lavoro, così irrisorio da essere un vero incentivo ai licenziamenti. Cerco di spiegarlo concretamente. Ti assumono, mettiamo, a 1000 euro al mese. Una bella mattina il padrone ti fa: “ti licenzio perché sei brutto”. Eh, non si può mica, non è un motivo legittimo. Ma chi se ne frega? Se gli fai causa mica ti deve riprendere al lavoro: se la cava con un indennizzo pari a quattro mensilità. E vedrai che prima di arrivare a tanto ti dice: “non vorrai mica andare per avvocati, con quello che costa? Dai, mettiamoci d’accordo, ti do 2000 euro e ti levi dalle palle senza fiatare”. Funziona così ormai, e c’è poco da stare allegri.

Profetica la Turchetto. Pochi giorni dopo l’arrivo di queste sue risposte, ecco una prima conferma di quella sua previsione.

Maria Turchetto
Dizionario di Economia per allezziti
Pagine 78, Euro 8.00
il Vernacoliere
Mario Cardinali Editore


Marta Roberti alla Doppelgaenger

Con il titolo Il fondo sale alla superficie (senza cessare di essere fondo) è in corso alla Galleria Doppelgaenger una nuova personale di Marta Roberti.
Di sè stessa così dice: "Sono nata nel 1977 nella provincia di Brescia, dalla quale me ne sono andata a 18 anni per studiare filosofia a Verona. Mentre ero all'università, frequentavo corsi di disegno e ho cominciato a dedicarmi intensamente alla pittura, ma in realtà credevo di voler fare la scrittrice. Dopo aver vagabondato per il mondo qualche anno, ho frequentato tra il 2006 e il 2008 il biennio specialistico di Cinema e Video all'Accademia di Brera a Milano".

In questo sito si è già parlato di lei altre volte, ricordo, ad esempio, QUI dove sono presenti alcuni suoi video accompagnati da brevi note da lei redatte.
Di recente Art Tribune le ha dedicato un ritratto critico a cura di Christian Caliandro.

I lavori adesso in mostra derivano da un lungo periodo di residenza da lei trascorso a Taipei.
Nel catalogo, un’intervista di Chiara Bertola all’artista.

Marta Roberti
Galleria Doppelgaenger
Via Verrone 8 - Bari
Tel +39 392 – 820 30 06
info@doppelgaenger.it
Fino al 30 gennaio 2016


Venezia libertina


Da anni Silvino Gonzato, editorialista del giornale “L’Arena” di Verona, va esplorando momenti di storia italiana ora letteraria ora civile. Ricordo alcuni suoi lavori che ho letto con entusiasmo, primo fra tutti La tempestosa vita di Capitan Salgari (di Emilio Salgari è il massimo biografo), e poi Esploratori italiani, seguito da Briganti romantici.

Ora, di Gonzato, Neri Pozza ha pubblicato Venezia libertina Cortigiane, avventurieri, amori e intrighi tra Settecento e Ottocento .
Dalla presentazione: “È della Venezia delle cortigiane e degli avventurieri, avviata inconsapevolmente al tramonto con la gaiezza di chi non ha preoccupazioni per il domani, che parla questo libro, e lo fa attraverso cinque storie i cui protagonisti si muovono in uno scenario popolato da dogi illuminati o pusillanimi, inquisitori di Stato, spie, ballerine, attrici, commediografi, giocatori d’azzardo e osti ruffiani.
La Venezia dei Tiepolo e dei Longhi, dei Vivaldi e dei Marcello, dei Goldoni, dei Gozzi e dei Chiari, ma anche quella delle cortigiane Marina Querini, Elisabetta Teotochi, Caterina Dolfin e degli avventurieri Casanova e Antonio Gratarol o dei rimatori dialettali, talora triviali, o dei grandi poeti stranieri come Byron che, deluso dalle sussiegose dame aristocratiche inglesi, veniva in laguna a soddisfare il suo besoin d’amour. Nei cinque capitoli in cui è suddiviso il volume, fa da sfondo ai protagonisti una massa costante formata da spie, cospiratori, osti, mariti traditi in cerca di vendetta, principi, ambasciatori senza scrupoli, popolane ingenue, madri ruffiane e abati corrotti”.

A Silvino Gonzato ho rivolto alcune domande.
Ho ricordato i tuoi precedenti lavori che ti hanno fatto scegliere momenti di storia italiana.
Qui ti chiedo che cosa ti ha incuriosito e, quindi, spinto ad occuparti della Venezia tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento? Quale particolarità ha avuto ai tuoi occhi proprio quel periodo proprio in quella città?

E’ un’epoca che mi ha sempre incuriosito. Nel mentre Venezia correva incontro al fatale tramonto come Repubblica colpevolmente indifferente ai sommovimenti della Storia che stavano cambiando l’Europa e il mondo intero, le sue donne inseguivano l’emancipazione attraverso i salotti culturali che dirigevano con autorità e grazia destando l’interesse dei letterati del continente. Snobbate in patria dove venivano ritenute niente più che delle libertine colte, ricevevano la visita dei Chateaubriand, dei Byron, della madame de Staël, di filosofi e artisti. Avendo preso come modello le aristocratiche dame d’Oltralpe come la stessa De Staël, la Lambert, la Vigèe Le Brun e altre, ebbero il torto (o il pregio) di andare ben oltre dimostrando una impareggiabile sfrenatezza nei costumi. “Una coltissima e piacevolissima vecchia puttana” disse un letterato inglese di Marina Querini Benzon, una delle principali salonnières veneziane che volle sperimentare anche le bassezze morali del postribolo. Una di queste aristocratiche veneziane, Isabella Teotochi, ebbe una lunga relazione con Dominique Vivant Denon, un barone francese amico di Napoleone che l’amò, corrisposto solo in parte, per tutta la vita. La filosofia di Isabella era che si deve essere amanti per cinque giorni e amici per tutta la vita: una teoria che mise in pratica.

Ricordi che nei salotti veneziani, pur essendo all’Indice le opere di Voltaire e Diderot, si discutevano i pensieri di quei filosofi (“più per essere à la page che nella prospettiva che un giorno quelle idee avrebbero travolto la Repubblica”).
A che cosa attribuisci tanta imprudenza intellettuale, tale assenza di previsioni?

Il mondo aristocratico veneziano, che era il vero detentore del potere (il doge contava ben poco) viveva da sempre in una dorata sospensione sugli eventi che la circondavano, del tutto refrattario a ciò che succedeva nel mondo. Esisteva la convinzione che la Serenissima fosse infrangibile, destinata a durare in eterno. La cultura ufficiale considerava le idee dei Voltaire e dei Rousseau nient’altro che come pittoresche curiosità esotiche, degne di discussione nei salotti che si consideravano all’avanguardia, ma non applicabili a una Repubblica che con i suoi undici secoli di Storia si considerava inattaccabile politicamente e culturalmente. La prova la si ha nel fatto che il cambiamento non avvenne gradualmente ma traumaticamente, dalla sera alla mattina, quando il doge Manin cedette senza condizioni la città ai francesi di Napoleone che si stavano preparando all’assedio. Se si pensa poi che il mediatore tra il doge e il francesi fu un semplice commerciante di caffè e di dolciumi che si presentò al doge in piena notte tirandolo giù dal letto, si capisce come Venezia fosse in realtà assolutamente incapace di difendersi. Non aveva una flotta sufficiente per opporsi a un attacco dal mare, aveva un esercito fatto di mercenari dalmati e la vecchia tradizione di regina dei mari capace di respingere i turchi si era affievolita con la morte dei suoi capitani coraggiosi. Era insomma la più facile delle prede.

Anthony Burgess sostiene che pur cambiando le epoche e, pure radicalmente, costumi e architetture, nelle città è sempre possibile cogliere qualcosa del loro lontano passato.
Condividi quel pensiero? E soprattutto, se sì, lo applicheresti oggi a Venezia?

Nelle grandi città che furono millenarie capitali di imperi è impossibile non cogliere ancora oggi qualcosa del loro lontano passato. Guarda Istanbul, per esempio: quale visitatore con un minimo di cultura può visitare la città vecchia senza cogliere l’antico respiro di Costantinopoli, baluardo della cristianità travolto definitivamente dalle orde di Maometto II nel 1453, data che segna il passaggio dal Medioevo all’età moderna? Chi di fronte al palazzo sultanale del Topkaki non è travolto dalle suggestioni dei tempi dei sultani con le loro vite sfarzose e i loro harem. Eppure la città è molto cambiata, mentre Venezia conserva intatti la dimora dei dogi e i palazzi lungo il Canal Grande che ospitarono i salotti di cui parla il mio libro “Venezia libertina”. Gli stessi nomi delle calli e dei campielli sono rimasti quelli di allora. Se c’è una città al mondo che mantiene ancora pressoché intatta la sua fisionomia millenaria è Venezia. Difficile, quindi, non visitarla senza coglierne l’antico respiro e immergersi nel suo passato, compreso quello niente affatto remoto delle sue cortigiane e dei suoi avventurieri. Ci sono ancora i palazzi di Marina Querini Benzon, di Elisabetta Teotochi Albrizzi, di Caterina Dolfin Tron, con le porte d’acqua da cui uscivano di notte per salire sulle gondole gli ospiti delle lunghe e mai noiose feste, ci sono i conventi in cui non tutte le suore erano sante, ci sono i vicoli in cui si appostava l’agente segreto Giacomo Casanova. E’ insomma una Venezia che parla ancora al cuore e alla mente di chi è disposto ad ascoltarla.

Silvino Gonzato
Venezia libertina
Pagine 334, Euro 18.50
Neri Pozza


Hai appena applaudito un criminale

Teatro e carcere: un tema che incrocia un merito e un rischio.
Il merito appartiene a tutti quelli che si dedicano a questa mai abbastanza lodata attività svolgendo all’interno dell’istituzione carceraria la pratica scenica come occasione di riscatto sociale e rappresentazione di una realtà dalla quale in troppi, colpevolmente, distraggono lo sguardo; il rischio è di cadere in una vociante retorica che vuole tutti i reclusi come vittime. Perché se è vero, ed è verissimo, che tanti in libertà – da teste incoronate a capi scornati padroni di banche, tv, ville, più di uno tra questi perfino in Parlamento – meriterebbero di stare in una cella, è altrettanto vero che non tutti i carcerati meritino tanta compassione: stupratori, mafiosi, colpevoli di morti bianche, poliziotti violenti con responsabilità accertate e tanti altri fra i quali non metto gli evasori fiscali perché quelli in galera mai ci vanno e anche recenti leggi renziane li favoriscono.
Ci sono alcune frasi che trovo ripetute le quali, rispetto al tema della pena carceraria affermano in modo liturgico che “il carcere non risolve il problema”, “non è il codice penale l’arma migliore”, per poi fatalmente concludere che “è necessario affrontare il problema sul piano socioculturale”. Sono parole che non mancano di buone ragioni.
In sottofondo risuona, però, un tono perdonistico, una dolciastra retorica che non vuol credere ch’esistano al mondo dei gran fetenti.
È vero che bisogna lavorare sul tessuto sociale con azioni culturali, ma tenendo ben presente che queste hanno tempi omeopatici e che non si può, non si deve, escludere l’immediato ricorso a una giusta reclusione per sicuri colpevoli.
Un luogo di detenzione – non torturatore perché già la reclusione anche negli ambienti più attrezzati e civili (da noi, purtroppo, del tutto mancanti) procura sofferenze – in cui va incoraggiata una nuova acquisizione di coscienza, la proposta di nuovi modelli di vita, la conoscenza di strumenti critici adatti a migliorare sé stessi.
Diceva Dostoevskij: “Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni”.
Stando così le cose, in Italia, siamo messi malissimo; un agghiacciante esempio lo si può evincere da questa tabella.

Un esempio di ragionato progetto per il recupero sociale di detenuti viene da Daniela Marazita, in foto.
Attrice di teatro, cinema, televisione, ha lavorato con Ugo Chiti, Luca De Filippo, Giorgio Albertazzi, Giancarlo Sepe, Vincenzo Salemme, Maurizio Scaparro, Flavio Bucci, Armando Pugliese, Alberto Sironi, Luca Zingaretti.
Dal 2006 al 2014 ha collaborato attivamente alle molteplici attività teatrali svolte all'interno del carcere di Rebibbia da La Ribalta-Centro Studi E. M. Salerno.
Impegnata soprattutto con detenuti ritenuti particolarmente difficili ha sperimentato laboratori teatrali finalizzati alla messinscena: spettacoli destinati al confronto con un pubblico di spettatori liberi oltre che di spettatori detenuti.
Ora con la regìa di Alessandro Minati, diplomato al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, Marazita porta in scena con il titolo di Hai appena applaudito un criminale l’adattamento di un suo libro omonimo.

Dal comunicato stampa che presenta lo spettacolo: “Nel gelo di una cappella dedicata alla celebrazione della messa, si tengono i primi incontri. All'inizio ci sono un uomo e una donna ma presto lei rimarrà l'unica a condurre il gruppo di dodici uomini verso quello che appare l'irraggiungibile traguardo del palcoscenico.
Un’altalena di sentimenti e contraddizioni - dalla diffidenza alla paura, dallo scoramento al riscatto, dalla seduzione al tradimento, dal giudizio morale al dolore, dall’impotenza al rigore, dalla violenza alla finzione - va a disegnare la cronaca dell’incontro straordinario della protagonista con un mondo di uomini reclusi ancora più “diversi” per aver commesso reati che scuotono la coscienza collettiva, che fanno orrore.
Un'esperienza - trasfigurata grazie all’azione teatrale - che penetra inconsapevolmente il sommerso che è in ognuno di noi, un incontro impossibile tra le sbarre che diviene realtà da condividere tra "liberi" e "detenuti": l'accettazione della contraddizione come strumento di sopravvivenza che solo il teatro sa cogliere.
Si semina senza aspettative e qualche volta il miracolo accade: la conferma che il teatro è un doveroso atto di civiltà dell'uomo verso se stesso.
Grazie al lavoro laboratoriale condotto da Daniela Marazita e al loro impegno, quattro detenuti, autori di altrettanti monologhi, hanno ricevuto la menzione speciale della giuria del Premio nazionale di drammaturgia civile “Giuseppe Bertolucci” 2015.
Per la Compagnia Luca De Filippo che lo produce, “Hai appena applaudito un criminale” rappresenta un’occasione per riprendere il filo del discorso con un mondo di esclusione, avviato a suo tempo da Eduardo De Filippo con i ragazzi del carcere minorile di Nisida”.

Ufficio Stampa. Simona Carlucci - 335.5952789 - info.carlucci@libero.it

Hai appena applaudito un criminale
di e con Daniela Marazita
elementi di scena: Teresa Fano
regia: Alessandro Minati
produzione: EllediEffe
Roma – Teatro Vascello
dal 19 al 29 novembre 2015
Dal 24 al 27 marzo ’16 al Teatro Elicantropo di Napoli


il Morandini 2016


Un mese fa, il 17 ottobre di quest’anno, a Milano dov’era nato nel 1924, ci ha lasciati Morando Morandini, figura di rilievo dello scenario culturale italiano.
Dal 1998, assieme alla moglie Laura e la figlia Luisa, ha legato il proprio nome al Dizionario pubblicato a cadenza annuale da Zanichelli col nome il Morandini che contiene un gran numero di film recensiti dal critico, circa 26 000.
Fu protagonista del documentario “Morando Morandini non sono che un critico” realizzato nel 2009 da Tonino Curagi e Anna Gorio. In realtà, la dizione da lui voluta in quel titolo, dovuta alla sua eleganza intellettuale, è alquanto stretta perché Morandini è stato uno storico dello schermo.
Ad Antonio Gnoli di Repubblica che l’anno scorso gli chiese “Come le è nata la passione per il cinema?” rispose Da piccolo tendevo a identificarmi con Jean Gabin e Gary Cooper. Passai la mia infanzia in un cinemino parrocchiale non lontano da Chiasso. Poi continuai ad andarci nel periodo in cui ho vissuto a Como. Compresi che il cinema è una grande macchina del desiderio. In fondo è questo che mi ha spinto a occuparmene.

Ora è nelle librerie il Morandini 2016 – Dizionario dei film e delle serie televisive che comprende nell’edizione su carta 16.500 film usciti sul mercato italiano dal 1902 all’estate 2015 e, in una sezione apposita, una scelta di circa 550 serie televisive e 600 cortometraggi.
Nella versione elettronica trovano invece posto altri 10.000 film e 7000 immagini di scena o locandine.
Di ogni film, oltre al titolo italiano, l’opera dà: titolo originale, Paese di produzione, anno d’uscita, regista, principali interpreti, una sintesi della trama, una concisa analisi critica, durata, suggerimenti sull’opportunità di visione per i ragazzi, indicazione grafica sul giudizio della critica (da 1 a 5 stellette) e, unico nel suo genere, sul successo di pubblico (da 1 a 5 pallini).
Negli Indici
- Autori letterari e teatrali
- Registi
- Attori principali

Nelle Appendici
- Premi Oscar
- I migliori film (con giudizio critico di 4 o 5 stellette o maggior successo di pubblico)
- I film della Mostra del cinema di Venezia 2015
- I principali siti Internet dedicati al cinema

Un’opera indispensabile nelle redazioni della carta stampata, delle radio, delle tv, del web, e nelle case di quanti amano il cinema e prima o dopo la visione di un film vogliono approfondirne scheda tecnica e orientamenti critici.
Senza trascurare che è un eccellente regalo da mettere sotto l’albero per le vicine feste.

Il Morandini 2016
Pagine 2080, Euro 39.80
Cliccare QUI per attivazione edizione digitale e prezzi.
Zanichelli


Otto settembre


Il dramma dell’esercito italiano nella seconda guerra mondiale è certificato alle 19.45 dell’8 settembre 1943, quando alla radio il Maresciallo Badoglio annunciò (lo si può ascoltare QUI) l'armistizio chiesto dall'Italia e accolto dal Generale Eisenhower comandante in capo delle forze alleate.
Due curiosità storiche che ho pescato con una ricerca in Rete per meglio ambientare la presentazione del libro di cui dirò fra poco.
Ecco Titta Arista, annunciatore dell’Eiar, come ricorda l‘arrivo di Badoglio in studio.
Questa la testimonianza del tecnico Alberto Grassetti.

Seguì quello che sappiamo, studiato in molti libri ai quali ora s’aggiunge un originale volume pubblicato da Bruno Mondadori intitolato seccamente Otto settembre e l’assenza di un sottotitolo è eloquente quanto un sottotitolo ben riuscito.
L’autore è Paolo Sorcinelli professore di storia sociale all’Università di Bologna. Svolge attività didattica nel Campus di Rimini, dove ha ideato, e dirige, il Laboratorio Memoria del quotidiano. Biografia e bibliografia sono sul sito web che conduce in Rete.

“Otto settembre”, pur attenendosi rigorosamente a testimonianze su quella data, possiede un ritmo narrativo che trasmette tutta l’ansietà, il disorientamento, il caos logistico e morale che travolge una folla di personaggi – tutti realmente esistiti – che diventano protagonisti di microstorie in una pagina drammatica della grande Storia.

A Paolo Sorcinelli ho rivolto alcune domande.
Dalla ricchezza di materiali e narrazioni delle pagine è chiaro che ci sono plurali motivazioni che l’hanno spinto alla scrittura di questo libro, le chiedo d’illustrare qui quella che per lei è stata la principale.

Fra le tante versioni contrastanti e contraddittorie della storiografia, mancava sull’8 settembre il punto di vista di coloro che si trovarono a vivere in prima persona e in ambiti diversi il capovolgimento delle parti. Mio padre si salvò grazie ad un paracadute, altri furono meno fortunati. Il libro è nato per capire come gli italiani si trovarono a vivere quel giorno in cui la guerra che doveva finire, non finì.

Dove vanno ricercate le origini militari dell’8 settembre?

Sicuramente nel mese di gennaio del 1943, fu chiaro a tutti che di lì a poco qualcosa sarebbe successo: dopo la disfatta in Africa, la perdita di Tripoli e il ripiegamento in Tunisia; dopo la ritirata dell’Armir, di fatto la sorte della guerra per gli italiani era già scritta.

A proposito di quella data una parte, prevalentemente di destra, vi ha visto la fine della Patria, altri, invece (fra questi un Presidente della Repubblica: Ciampi) l’inizio di una nuova patria...

Non so se è nata una nuova patria, sicuramente si è formata una nuova nazione: con il referendum monarchia/repubblica e la vittoria della Repubblica, l’elezione per la Costituente e il voto delle donne nel bene e nel male la nazione italiana post bellica fu qualcosa di molto diverso da quella monarchico/fascista dell’anteguerra.

Paolo Sorcinelli
Otto settembre
Pagine 240, Euro 18.00
Bruno Mondadori


Librerie


In un momento in cui si nota un intensificarsi dell’omologazione dei cataloghi editoriali, soprattutto delle grandi case, provo particolare gioia nel segnalare ai lettori lontani da Moccia e Tamaro un libro edito da Garzanti: Librerie Una storia di commercio e passioni.
Ne è autore Jorge Carrión (Tarragona, 1976); insegna letteratura contemporanea presso l’Universidad Pompeu Fabra di Barcellona. Collabora a varie testate tra cui “El País” e “Letras Libres”.

Si tratta di un vertiginoso viaggio attraverso le librerie (librerie, non biblioteche) del nostro pianeta: dalla Green Apple Books di San Francisco alla Balena Bianca di Mérida, dalla Robinson Crusoe di Istanbul a L’écume des Pages di Parigi, dalla Book Lounge di Città del Capo alla Dante & Descartes di Napoli e ad altre meno famose o addirittura pressoché ignote indagandone il fascino di cellulosa, il profilo dei lettori, la cipria del tempo.
Carrión disegna così una mappa di plurali labirinti e passando tra banchi con libri bene esposti e scaffali con volumi quasi nascosti, rileva il carattere del libraio quale espressione delle varie culture cui appartiene.
Librerie vecchie, librerie nuove, ciascuna con la propria storia, talvolta violenta (ad esempio quelle perseguitate dalle dittature), librerie come vestigia archeologiche o pudiche “come archivi che non intendono rivelarci la conoscenza che possiedono, che si negano a occupare il luogo che spetterebbe loro nella storia della cultura”.
E gli oggetti che posseggono: i libri. Acquistati dall’autore in modo ingordo, talvolta divorati talaltra appena assaggiati, ma sempre febbrilmente e dei quali dà rapidi ritratti ora di un autore ora di un tema.
Tutto questo può far pensare ad un autore che ha il libro cartaceo come feticcio, uno di quelli che esaltano il tastare e odorare dorsi e pagine, no, Carrión è un vero amante della lettura e come tale non disprezza il lento passaggio dalla lettura su carta a quella digitale e, quindi, delle librerie virtuali. Al proposito, cita, condividendola, un’interessante riflessione riportata da Roger Chartier che ricorda una differenza avvenuta tra lettura intensiva ed estensiva. In altre parole, un tempo si leggeva un corpus di testi letti e riletti, memorizzati e recitati, trasmessi di generazione in generazione, mentre con la diffusione della stampa prima e oggi con i nuovi supporti informatici, la lettura ha perso sacralità, il nostro sguardo avrebbe acquistato in potere critico. Schermo e tastiere rappresenterebbero questo modo estensivo di leggere.

Il volume si avvale di ricchi apparati: dai nomi di persona (mai mi stancherò di avercela con quegli editori che non pubblicano nella saggistica quell’elenco) all’indice delle tantissime librerie citate e dei libri, dei periodici e delle riviste nominate, dalle case editrici all’Indice dei film e citazioni musicali a tema.
A proposito del fascino delle librerie, scriveva Walter Benjamin: Una libreria espone manuali d’amore accanto a variopinte images d’Épinal e fa cavalcare Napoleone attraverso Marengo vicino alle memorie di una cameriera; e tra un libro di sogni e un vecchio libro di cucina, cittadini della vecchia Inghilterra percorrono la via larga e la via stretta del Vangelo.

Jorge Carrión
Librerie
Traduzione di Paolo Lucca
Pagine 336, Euro 18.60
Garzanti


Eat Art in Trasformation


Vi rassicuro subito – il titolo, infatti, può trarre in inganno – qui non si parla dell’Expo e dei discutibili peana seguiti alla sua chiusura, né dell’ormai invasiva presenza di chef e cucine che imperversano sui media, no, si tratta, invece, di una gran bella mostra che è in corso alla Galleria Civica di Modena (coprodotta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e il m.a.x. museo svizzero di Chiasso) nelle sue sedi di Palazzina dei Giardini e Palazzo Santa Margherita.
È dedicata a Daniel Spoerri, pseudonimo di Daniel Isaac Feinstein, artista svizzero di origine rumena nato a Galaţi il 27 marzo 1930.
Dapprima ballerino, si è dedicato poi al teatro e alla poesia concreta. All’inizio degli anni ’60 si avvicinò al Nouveau Réalisme iniziando a realizzare i primi “tableaux pièges" (quadri trappola), assemblaggi di oggetti e materiali disposti in verticale.
Nel 1962 scrisse “Topographie anedoctée du hasard” in cui elencava gli 80 oggetti presenti sul suo tavolo alle 15.45 del 16 ottobre 1961 in cui rifulgeva lo stile Fluxus, gruppo al quale si era avvicinato.
Nel 1968 aprì a Düsseldorf il “Restaurant Spoerri” e la “Eat Art Gallery” da dove discende il termine ‘Eat Art’ nella quale la materia prima è il cibo, compresi gli avanzi.

In foto, di Spoerri: Tavolo di Ben II, 1992, assemblaggio
Collezione privata, Modena. Foto Paolo Terzi
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All'inizio degli anni '90, ha cominciato a installare un parco di sculture nella Toscana meridionale, a Seggiano, circa 80 km a sud di Siena. Dal 1997 "Il Giardino di Daniel Spoerri" è aperto al pubblico, e può essere visitato da Pasqua fino a ottobre. Attualmente ci sono 103 opere di 50 artisti diversi, da scoprire in un terreno di circa 16 ettari.
Per l’itinerario: CLIC.

La mostra a Modena è a cura di Susanne Bieri - Antonio d'Avossa - Nicoletta Ossanna Cavadini.
Le opere provengono dalla collezione dell'artista, dalla Biblioteca nazionale svizzera di Berna che custodisce l'archivio di Spoerri, da importanti musei, gallerie e collezionisti europei.
La poetica di Spoerri, qui indagata attraverso un articolato percorso espositivo, consente una lettura a ritroso della storica attrazione dell'uomo nei confronti del cibo.
"Analizzando un ambito territoriale molto circoscritto, come quello emiliano” – scrive Serena Goldoni in catalogo – “la varietà dei collezionisti e delle collezioni dell'opera di Daniel Spoerri è sorprendente e sorprendentemente ricca". Si possono citare i ricettari, "basti ricordare la Biblioteca di ricette (1987-89), edizione stampata dal rimpianto Francesco Conz" – prosegue – "oppure opere che per pura casualità diventano rappresentative di una volontà collezionistica come Collezioni di cucchiai e croci (1986) della raccolta di arte contemporanea religiosa di Carlo Cattelani, oggetti di cucina assemblati con croci e madonne, insieme a una luce blu che crea un'atmosfera mistica".
A questi si possono aggiungere i Brotteigobjekte (oggetti di pasta di pane, 1972), per tornare all’Eat Art, scarpe e scarpette malconce, ferri da stiro ricolmi d’impasto per pane, lavori fatti cuocere al forno.
Questo originale allestimento si presenta al visitatore quasi come una tavola apparecchiata, alla quale chiunque può metaforicamente accedere avendo così modo di conoscere la filosofia artistica di Daniel Spoerri che ha trasformato il nutrimento in un interlocutore privilegiato, in un vero e proprio trait d'union tra arte e vita.

Catalogo bilingue edito da Silvana Editoriale, 256 pagine, con testi di Susanne Bieri, Antonio d'Avossa, Nicoletta Ossanna Cavadini, Serena Goldoni, Barbara Räderscheidt, e un'intervista all'artista.

Ufficio Stampa Galleria civica di Modena: Cristiana Minelli
tel. +39 059 203 2883, galcivmo@comune.modena.it

Galleria Civica di Modena
Daniel Spoerri
Eat Art transformation
Infotel +39 059 2032911/2940, fax +39 059 2032932
Ingresso gratuito
Fino al 31 gennaio 2016


Arte/Scienza/Biotecnologia

Trieste, in quanto a conoscenza dell’arte contemporanea, deve moltissimo ad una donna che da oltre trent’anni svolge in quella città un’opera di diffusione delle nuove frontiere della ricerca artistica.
Il suo nome – noto agli addetti ai lavori in Italia, e non solo in Italia – è Maria Campitelli (in foto).
Triestina, figlia dell’artista Giuseppe Matteo Campitelli, laureata in Lettere a indirizzo moderno presso l’Università cittadina con una tesi sui mosaici bizantini della cattedrale di San Giusto, è stata assistente alla cattedra di Arte paleocristiana all’ateneo triestino. È passata poi all’insegnamento di Storia dell’arte negli istituti medi superiori. Ha fatto parte di commissioni per spazi pubblici tra cui il Curatorio del Museo Revoltella e ha organizzato centinaia di mostre e rassegne sempre incentrate sulla contemporaneità.
Ricordo ai più distratti che alla fine degli anni Settanta, con il Gruppo ’78, portò a conoscenza della città l'Azionismo viennese e altre forme performative di estrema avanguardia.
Dettagliate notizie biografiche le trovate QUI.

Teorica delle forme intermediali, esploratrice dell’intercodice, non sorprende trovarla alla guida di un’iniziativa che a Trieste partirà fra giorni proponendo attraverso plurali occasioni una mappatura critica di quanto la nuova espressività va muovendo sui confini tra Arte Scienza Biotecnologia così come si chiama una mostra-spettacolo, diffusa in vari luoghi della città di Svevo.
Ancora una volta, Maria Campitelli spinge il suo sguardo su territori dai quali provengono le maggiori novità, le più importanti conquiste dei nostri giorni. Novità e conquiste che si devono al nuovo incontro, dopo secoli, si pensi al Rinascimento, fra Arte e Scienza, tornate a far parte dello stesso mondo al quale hanno sempre appartenuto: quello della creatività umana.
La divisione idealistica fra i due campi del sapere è caduta, speriamo per sempre.
Ha scritto Paul Feyerabend in ‘La scienza come arte’: “Ogni opera di scienza è scienza e arte, come ogni opera d'arte è arte e scienza. Solo come spontanea è l'arte nella scienza, così spontanea è la scienza nell'arte”.

Nella prossima nota, approfondiremo il concetto che ispira la mostra triestina.


Arte/Scienza/Biotecnologia (2)


“Ars sine Scientia nihil est”.
Questa celebre frase è del Maestro Giovanni Mignot, architetto parigino, pare pronunciata nel 1399 allorché fu chiamato a Milano per valutare l’opera della fabbrica del Duomo.
Nel 1722 il compositore francese Jean-Philippe Rameau scriverà: “La musica è una scienza che deve avere regole certe: queste devono essere estratte da un principio evidente, che non può essere conosciuto senza l'aiuto della matematica”.
E Victor Hugo (voce isolata al suo tempo): "Non vi è alcuna incompatibilità fra l'esatto e il poetico. Il numero è nell'arte come nella scienza. L'algebra è nell'astronomia e l'astronomia confina con la poesia. L'anima dell'uomo ha tre chiavi che aprono tutto: la cifra, la lettera, la nota. Sapere, pensare, sognare”.

In foto: Johanm Knattrup Jensen, Mads, Dambso&Dark Matters - The Doghouse

Oggi quei pensieri sono tornati di grande attualità sotto la nuova luce dell’intreccio multidisciplinare, che è alla base del procedere artistico nelle arti visive, nella musica, nella performance, e anche in letteratura dove usando logaritmi (penso a Philippe Bootz, Loss Pequeño Glazier, Shelley Jackson) sorgono forme di scrittura mutante.
Nel territorio fra arti visive e teatro, performers quali Orlan, Stelarc, Stelios Arcadiou, Yann Marussich, usano il proprio corpo come esplorazione antropologica della fisicità proiettata in una sorta di “neocorpo”, quel complesso organismo profetizzato dalla filosofia del post-umano che vede i suoi principali nomi in Eric Drexler, Max More, Kurt Kurzweil.
Si pensi, ad esempio, alla nascita della BioArts Gallery alla quale si riferiscono gli artisti biopunk – come Dale Hoyt che n’è capofila - che considerano le biotecnologie una nuova forma estrema di Body Art. Oppure al Collettivo OpenFrameworks che realizza installazioni attraverso le quali un corpo può interagire nello spazio con forme di vita digitali. Senza dimenticare le teorie di Roger Malina, una delle più brillanti menti che operano nel dibattito tra arte e scienza; dal suo osservatorio privilegiato della rivista del MIT “Leonardo” segue il fenomeno della fusione delle due culture, quella umanistica e quella scientifica, lanciando uno sguardo oltre i sensi e i tecnosensi.
In questo panorama, grande è il contributo delle neuroscienze, mi limito a citare Zemir Zeki, fondatore della Neuroestetica, che con i suoi libri “A Vision of the Brain” e “Inner Vision” propone un innovativo modello d’analisi delle opere visive.

L’importanza della mostra che Maria Campitelli, con la collaborazione di Giancarlo Pagliasso, riflette quei fermenti e propone a Trieste una progettualità che si muove oggi nella dimensione espressiva in cui energie provenienti da più campi s’incontrano per generare una nuova modalità dell’essere come verbo e come sostantivo.


Arte/Scienza/Biotecnologia (3)

Kevin Warwick studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chips nel proprio corpo e pensa a nuove tappe del Cyborg Project dall'Università di Reading; secondo alcuni studiosi in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli.
Eppure… eppure imperversano intorno a noi esposizioni di quadri pittati, palcoscenici con teatro di parola, vite di commesse e santi in tv, e poi romanzi romanzi romanzi… una noia mortale!
Ecco perché mi piace questa mostra Arte/Scienza/Biotecnologia (a dir la verità, il titolo mi sembra che suoni più come un sottotitolo) che è assai opportuno si svolga a Trieste, città bellissima, dai tanti meriti, ma che spesso ama viversi in crepuscoli del passato.
Il progetto nasce da un’espansione internazionale conseguente a MEX PRO l’evento prodotto l’anno scorso dal Gruppo 78 insieme con forze culturali messicane, concentrato nella mostra “Messico circa 2000” che ha portato alle Scuderie del Castello di Miramare 81 artisti messicani per la prima volta in Europa (transitati poi in Piemonte, in Danimarca, ora a Parigi).
I contatti si sono estesi alla Slovenia, alla Svizzera, alla Norvegia, alla Grecia per promuovere iniziative culturali fondate sull’arte contemporanea. Il progetto rientra dunque in una rete di scambi che produca progetti comuni.

In foto: Mathias Vejerslev, “Silicium”.

Obiettivo del progetto che si avvale del contributo della Regione Friuli Venezia Giulia/Attività Produttive/Turismo e del Comune di Trieste – si legge in un comunicato – è dimostrare che l’aspirazione alla conoscenza è perseguibile non solo attraverso le vie della scienza ma anche con quelle dell’arte essendo la creatività alla base di entrambi i versanti attraverso l’immaginazione.
L’iniziativa intende far conoscere gli esiti delle ricerche di artisti/scienziati o quanto meno di incontri tra arte e scienza, ritenendo l’arte un parametro irriducibile nel processo diramato e pluridisciplinare della conoscenza, come nella dimensione esistenziale umana.
Il progetto guarda anche ad una specificità, quella attualissima delle biotecnologie che investono la vita, indagando nell’applicazione tecnologica che si serve dei sistemi biologici degli organismi viventi per creare processi di risanamento e di miglioramento della qualità e della durata della vita. E di essi si appropriano gli artisti, come è sempre stato, per lo meno dalle avanguardie storiche, coniugando biotecnologie e investigazioni che sconfinano – col pensiero – nella lettura critica del mondo, nella storia, nella filosofia.
Questo incontro arte-scienza accade nella città della scienza per antonomasia, Trieste, ricca di eccellenze scientifiche che hanno fatto nascere NEXT, la piattaforma europea della ricerca scientifica, svoltasi poco più di un mese fa cui il Gruppo78ha ha partecipato con l’anteprima di questo progetto.
Un evento polivalente che contiene proposte artistiche che inglobano linguaggi disparati dalla mobilità del video a procedimenti olografici, da proiezioni stereografiche al 3D tracking, come si può vedere nel video documentativo di una performance del danese Carl Emil Carlsen che lavora in sintonia col musicista elettronico Biorn Svin, costituendo insieme il gruppo dal significativo nome di Silicium.
Le performance e le installazioni che si svolgono tra Sala Veruda, Immaginario Scientifico, Casa della Musica, Stazione Rogers, affrontano problematiche di vario tipo, afferenti intensamente l’umano, come l’indagine sul dolore di Cecilia Donaggio, o indagando sul concetto di trasmutazione come nel lavoro video di Elisa Zurlo, che dal dato fisico approda a quello antropologico, a un concetto più generale di cambiamento, oppure, nella diffusa multimedialità, si approcciano modalità diverse di sonificazioni, ottenute da animali vivi come le meduse investigate da Robertina Sebjanic, in qualità sia di artista sia di ricercatrice, procurando agli spettatori, con effetti spettacolari, un’incredibile immersione sono-visiva.
Alessandro Fogar ricreerà una sorta di cosmo sonoro ponendo l’ascoltatore, nell’immaginazione – non per niente la cosa accade all’Immaginario Scientifico – al centro di un sistema stellare e Guilermo Giampietro , con Isomorfismi in un campo magnetico provocato da percussionisti ritroverà la verità nell’accadimento in sé, sia della scienza sia dell’arte, calato in un reale pur sempre inafferrabile.
Saranno documentate anche preziose ricerche di taglio innovativo condotte su basi rigorosamente scientifiche, come quella dal titolo “Musica, Scienze, Emozioni” del prof Marco Maiocchi del Politecnico di Milano, che si chiede - ribaltando il processo dell’emozione estetica scatenata da una realtà artistica - data un’emozione come obiettivo quali sono gli strumenti artistici da impiegare per ottenerla? L’investigazione si tramuta in concerto dimostrativo con l’ausilio del maestro Rapattoni al pianoforte, del Conservatorio di Milano, che trasporta l’indagine nell’ambito musicale per rispondere a un’emozione, precedentemente definita, con immagini dell’arte moderna e contemporanea. E di musica si occuperanno anche i Baby Gelido, insieme con l’artista sassofonista Paolo Cervi Kervischer sviluppando una musica simpatetica incentrata sulla “Quinta ascendete – 432 Hz”; spazio anche alla “musica delle proteine” ideata e realizzata, tramite un software costruito ad hoc, da Max Jurcev.
La mostra s’avvale di eventi paralleli quali un Video Festival - Screening Festival/Arts Based Research - guidato da Martin Romeo e un Workshop di Introduzione alla Realtà Virtuale tenuto da Roberto Fazio; entrambi gli avvenimenti al Science Centre Immaginario Scientifico, Grignano, Trieste
.

Gli artisti partecipanti a “Arte/Scienza/Biotecnologia” sono: Carl Emil Carlsen, Isabel Carafi, Paolo Cervi Kervischer, Manolo Cocho, Bruna Daus, Pascal Dombis, Cecilia Donaggio, Luciana Esqueda, Fabiola Faidiga, Lucia Flego, Alessandro Fogar, Guillermo Giampietro, Antonio Griton, Max Jurcev, Kaartik-Indiemotion, Andrej Koruza, Ivana Maksimovic, Stefano Martino, Jean Claude Meynard, Joseph Nechvatal, Gina Morandini, Angela Pietribiasi, Paola Pisani, Elisabetta Porro, Daniel Romero Nieto, Robertina Sebjanic, Erika Stocker Micheli, Todo Modo, Polona Tratnik, Dean Verzel, Barry Wolfryd, Marko Zigon, Pierre Zufferey, Elisa Zurlo.

Per altri approfondimenti: CLIC!

info: gruppo78, via Canova, 9 – 34129 Trieste
tel/fax +39 040 567136
cell. +39 339 8640784; +39 3387304267
mail: gruppo78trieste@gmail.cpom
pagina facebook: gruppo78 international contemporary art trieste

Arte/Scienza/Biotecnologia
Mostra internazionale
Ideata e realizzata da Maria Campitelli
Collaborazione di Giancarlo Pagliasso
Palazzo Costanzi, Piazza Piccola, 2 – Trieste
Dal 14 novembre al 4 dicembre 2015


L'apparenza inganna


Lo scrittore e drammaturgo austriaco Thomas Bernhard (Heerlen, 9 febbraio 1931 – Gmunden, 12 febbraio 1989), è tra i massimi autori della letteratura del '900; non a caso lo troviamo nel Canone Occidentale, compilato dal famoso critico letterario statunitense Harold Bloom.
Sintetizzando il ritratto critico di lui fatto da più penne si può affermare che fin dal primo romanzo “Gelo” (1963), tema centrale della sua scrittura è la disperata lotta di un uomo contro il processo di decomposizione che tutto inghiotte. Parlare diventa per i suoi personaggi, specialmente in teatro, un’ossessione, sintomo del fallimento del loro tentativo d’afferrare la realtà.
Parlare per lui, poi, ha un doppio registro. Da una parte abbiamo l’uomo affabile e misurato nell’eleganza del pensiero e del comportamento (si veda, ad esempio, questa cronaca di Daniele Benati; dall’altra le staffilate vibrate con la forza di una collera intellettuale che non conosce limiti come in questa stroncatura di Heidegger che affida al personaggio Reger in “Antichi maestri”: “Quel ridicolo filisteo nazionalsocialista coi pantaloni alla zuava".

L’apparenza inganna è un lavoro teatrale scritto nel 1983.
La prima rappresentazione si ebbe allo Schauspielhaus di Bochum per la regia di Claus Peymann; l'opera sarà tradotta in italiano nel 1991 da Roberto Menin per Ubulibri.
Nella cronologia delle opere di Bernhard si pone dopo Il soccombente – composto nello stesso anno ’83 – e prima di A colpi d'ascia, vale a dire due delle tre parti della trilogia sulle Arti (musica, teatro e pittura) che sarà conclusa dall’opera già citata ”Antichi maestri” (1985).

Già realizzato con successo (Premio Ubu per la regia) nel 2000, “L’apparenza inganna”, di Thomas Bernhard, regia di Federico Tiezzi, è adesso oggetto di un allestimento totalmente nuovo, che va in scena al Teatro Manzoni di Pistoia.
Per l’occasione, Tiezzi recupera la primitiva soluzione scenica: due diversi luoghi cui far accedere un pubblico che possa compiere simbolicamente il viaggio del personaggio di Robert a casa di Karl e quello di Karl a casa di Robert.
A suo tempo rappresentato in questa dimensione soltanto in poche, privilegiate situazioni, lo spettacolo fu poi trasposto in una versione tradizionale da palcoscenico. Oggi, la collaborazione dell’Associazione Teatrale Pistoiese consente a Tiezzi di ripristinare, con una nuova scenografia di Gregorio Zurla e costumi di Giovanna Buzzi, il progetto originario: spazi ridotti nei quali gli spettatori siano a stretto, strettissimo contatto con gli attori, in un esperimento di abolizione totale della ‘quarta parete’, allo scopo di ottenere un coinvolgimento emotivo massimo con il pubblico che, grazie a porte di armadi a specchio, si vedrà direttamente riflesso dentro lo spazio dell’azione. Questo consente inoltre ai due attori di elaborare una recitazione tutta interiorizzata e perseguire lo scopo di offrire allo spettatore quasi la sensazione di entrare nei loro stessi pensieri, nei tormenti, nel ‘non detto’ che muove le loro parole.

In foto: Sandro Lombardi in un momento dello spettacolo

Siamo nella settimana tra Natale e Capodanno. In un appartamento di Vienna, disseminato di vecchie fotografie, tra scomodi mobili demodé ricolmi di abiti e scarpe, un anziano signore in pigiama striscia sul pavimento alla ricerca della sua limetta per le unghie. Così Thomas Bernhard inizia “L’apparenza inganna” (1983).
Il vecchio signore è Karl (Sandro Lombardi), che attende la visita di suo fratello Robert (Massimo Verdastro). Sono entrambi anziani. Sono stati l’uno giocoliere, l’altro attore. Adesso sono in pensione. Si fanno visita regolarmente ogni martedì e ogni giovedì. Il martedì è Robert che va da Karl, il giovedì Karl rende la visita a Robert.
Costruito secondo un procedimento di alternanza tra monologhi e dialoghi, “L’apparenza inganna” racconta due solitudini: atroci, dolorose, ma anche ridicole e beffarde. Il terzo polo della situazione è Mathilde, la defunta moglie di Karl. Il nucleo oscuro del contrasto è legato al testamento di Mathilde che non ha lasciato la casetta dei week-end al marito, bensì al cognato Robert. Da questo spunto si innesca un meccanismo che porta i due a escogitare ogni possibile pretesto per soddisfare, con definizione beckettiana, le necessità del tormento: piccoli dispetti, contraddizioni, ricordi di infanzie e adolescenze conflittuali.
Con uno stile asciutto e acido, Bernhard sciorina tutta una collezione di sofferenze e rancori, richieste di aiuto mascherate da aggressioni, insulti che nascondono disperate richieste di aiuto, con il paradossale risultato di raggiungere una sinistra, corrosiva comicità.
Diceva Beckett: “Nulla c’è di più comico dell’infelicità”.

Ufficio Stampa Compagnia Lombardi-Tiezzi: Simona Carlucci
tel. 335.5952789 – 0765.24182; info.carlucci@libero.it

Ufficio Stampa Associazione Teatrale Pistoiese
Francesca Marchiani tel. 329.5604925 – 0573.991608; f.marchiani@teatridipistoia.it

Thomas Bernhard
L’apparenza inganna
Regia di Federico Tiezzi
Pistoia Teatro Manzoni
Info: 0573 991609 - 27112
Dal 10 al 24 novembre ‘15


I Benjamin

Come i Codici Civili e Penali prevedono pene per i colpevoli (sempre che non appartengano alla corrotta Casta), mi piacerebbe esistesse un Codice che punisse i reati commessi in Letteratura.
Fra i più gravi, dovrebbe figurare quello di scrivere ricostruzioni d’episodi storici romanzandoli; in quel caso andrebbero inflitte severe pene.
Dialoghi inventati, personaggi addirittura mai esistiti che fanno capolino in quelle storie, episodi tinteggiati in pomidorocolor, e altre fandonie nere come l’inchiostro.
Sono un lettore che ama biografie e ricostruzioni, ma quelle vere. Uno dei testi più difficili da scrivere, perché lì ogni virgola fuori posto è castigata. In quei volumi, infatti, il lettore vuole (e ne ha diritto) apprendere sui fatti illustrati esattezze di date, citazioni di documenti, particolari riferiti da testimoni (e conoscerne attraverso l’autore la loro attendibilità), eccetera.
Ecco perché scrivere quella roba lì è faticoso: mica starsene occhi al cielo e penna in mano, a inventare panzane.
La biografia romanzata è un ibrido da perdonare, forse, giusto a Senofonte per la sua ‘Ciropedia’, e pure in quel caso ho i miei dubbi.
Niente romanzerie in un libro che segnalo con particolare gioia perché nulla concede all’invenzione ricostruendo una complessa storia con assoluto rigore.
Il libro si chiama I Benjamin Una famiglia tedesca; l’autore è Uwe-Karsten Heye.
Nato nel 1940, storico e giornalista, è stato autore di discorsi per Willy Brandt, portavoce del governo di Gerhard Schroeder e autore di testi per le reti televisive ARD e ZDF.
Più diffuse notizie biografiche QUI; per chi non conosce la lingua tedesca, non c’è scelta: traduttore automatico.

Esistono personaggi che per propri meriti (o, talvolta, perfino per demeriti) assumono su loro stessi tutta l’attenzione della Storia mentre i familiari, gli amici (e, talvolta, perfino i nemici) restano in ombra o del tutto sconosciuti.
È accaduto, ad esempio, alla famiglia Benjamin che ha visto in primo piano la figura di Walter noto filosofo e critico letterario, mentre poco si sapeva dei suoi familiari.
Ora il volume pubblicato da Sellerio fa luce su quella famiglia segnata da un destino crudele. E tragico.
Perché Walter Benjamin, uno dei profeti culturali del Novecento, morì in una piccola località sulla frontiera spagnola; fuggiva dalla Francia occupata e si uccise per timore di essere riconsegnato alla Gestapo. Era ebreo oltre che antinazista. La sua fine, purtroppo, è nota.
È invece per lo più ignota la vicenda delle personalità con cui più vivamente e drammaticamente si intrecciarono la sua storia e, in parte, la sua attività: Georg, il fratello minore, medico, dirigente comunista, soppresso a Mauthausen nel 1942; la sorellina Dora, sociologa e attivista, esule a Parigi con Walter dal 1933 e morta in Svizzera dov’era in esilio; la cognata Hilde, militante clandestina antinazista e madre di un bambino “meticcio” da sottrarre allo sterminio, poi giudice supremo nella DDR e ministro della Giustizia, distintasi nella prosecuzione giudiziaria dei criminali nazisti.

Merito dell’autore è non solo ritrarre una foto 3D della famiglia Benjamin, con ricchezza di episodi e aneddoti tutti ben documentati, ma attraverso la storia di quel gruppo familiare rivisitare l’atmosfera politica e storica della Germania prima, durante e dopo il nazismo. Cogliere certi segnali premonitori, percorrere l’orrore di quei dodici anni in cui i nazionalsocialisti detennero il potere, descrivere il dolore nel vedere impuniti nel dopoguerra esponenti del Nsdap o addirittura notare come rioccupassero posti di responsabilità nella macchina dello Stato; “soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta” – scrive Heye – “la Repubblica Federale sembrava la continuazione dello stato nazista immersa nell’atmosfera di uno Heimatfilm, soltanto senza Hitler e Goebbels […] I Benjamin, una famiglia tedesca, le loro vite stanno contro la rimozione e una retorica che torna a gonfiarsi di nazionalismo”.
“I Benjamin”: un gran bel libro che, giustamente è detto in quarta di copertina “riesce a coniugare con passione l’empatia esistenziale di una storia privata degli affetti, con l’interesse documentaristico della grande storia”.

Uwe-Karsten Heye
I Benjamin
Traduzione di Margherita Carbonaro
Pagine 336, Euro 18.00
E-Book 11.99
Sellerio


Teoria delle ombre


È questo il titolo di un nuovo libro di Paolo Maurensig edito da Adelphi.
Indagine in forma di romanzo sulla morte del grande scacchista Alexandre Alechin.

In foto: copertina con Alekhine durante il match con Max Euwe (1935).

In un’intervista rilasciata tempo fa ad Alfredo Radiconcini, Maurensig disse: Ho cominciato a giocare seriamente a scacchi piuttosto tardi, quando avevo quasi trent’anni. Ho partecipato solo a due tornei, qualificandomi in prima categoria nazionale, che è un punto intermedio tra chi apprende le prime nozioni del gioco e il grande maestro. Non ne ho fatti altri. Oggi ci sono formule più snelle, ci sono tornei che si possono concludere in un week-end, ma a quel tempo partecipare alle gare di qualificazione implicava un enorme dispendio di energie e di tempo, i tornei duravano due settimane e si svolgevano solo d’estate: significava, in pratica, sacrificare gran parte delle ferie estive. Gli scacchi, tuttavia, sono stati per oltre un decennio la mia passione dominante, se si esclude la scrittura, naturalmente.

Approdato alla scrittura dopo aver fatto l'agente di commercio, il successo letterario è arrivato nel 1993 con La variante di Lünenburg che narra di una partita fra due maestri di scacchi che si prolunga idealmente attraverso gli eventi storici della seconda guerra mondiale, con il colpo di scena finale che rivelerà la vera natura dei giocatori.
Il secondo romanzo, Canone inverso del 1996, è invece incentrato sulla musica, in una cornice mitteleuropea che è stata la base per la versione cinematografica diretta da Ricky Tognazzi.

Dalla quarta di copertina di Teoria delle ombre.
“La mattina del 24 marzo 1946 Alexandre Alekhine, detentore del titolo di campione del mondo di scacchi, venne trovato privo di vita nella sua stanza d’albergo, a Estoril. L’esame autoptico certificò che il decesso era avvenuto per asfissia, e che questa era stata provocata da un pezzo di carne conficcatosi nella laringe – escludendo qualsiasi altra ipotesi. La stampa portoghese pubblicò la versione ufficiale, e il caso fu rapidamente archiviato. Da allora, però, sulle cause di quella morte si sono moltiplicati sospetti e illazioni. Qualcuno ha insinuato che le foto del cadavere facevano pensare a una messinscena; qualcun altro si è chiesto come mai Alekhine stesse cenando nella sua stanza indossando un pesante cappotto – senza contare che il defunto aveva un passato di collaborazionista, e che i sovietici lo giudicavano un traditore della patria... Con il fiuto e il passo del narratore di razza, e con la sua profonda conoscenza del mondo degli scacchi («lo sport più violento che esista», ha detto uno che se ne intendeva, Garri Kasparov), Paolo Maurensig indaga sulla morte di Alekhine cercando di scoprire, come dice Kundera citando Hermann Broch, ‘ciò che solo il romanzo può scoprire’ “

Paolo Maurensig
Teoria delle ombre
Pagine 200, Euro 18.00
Adelphi


Pasolini e l'Africa


Sono trascorsi quarant’anni da quel 2 novembre 1975 in cui fu ucciso Pier Paolo Pasolini.
Piena luce mai è stata fatta su quel delitto, molte le ipotesi inquietanti, tante le tesi talvolta in contraddizione fra loro.
Sul cursore del motore di ricerca Google, inserendo il nome dello scrittore e regista appaiono oltre 700.000 risultati e in occasione dell’anniversario della morte di questo protagonista della cultura e dell’arte del XX secolo, già da qualche settimana sono apparsi moltissimi interventi sui media che ne indagano la tragica fine, producono profili critici della sua poliedrica produzione che va dalla narrativa alla saggistica, dalla poesia al cinema.
Di fronte a tanta imponente quantità d’informazioni, Cosmotaxi ha preferito puntare su un aspetto decisamente meno esplorato.
L’ha individuato in un poderoso libro pubblicato nel 2010 dalle Edizioni Mimesis intitolato Pasolini e l'Africa. L'Africa di Pasolini Panmeridionalismo e rappresentazioni dell'Africa postcoloniale.
Un libro che partendo da un particolare aspetto dell'universo pasoliniano riesce a risalire alle fonti della poetica dello scrittore, a rintracciare piste che ne attraversano intuizioni politiche e formulazioni critiche.
Di quel volume è autrice Giovanna Trento dottore di ricerca in antropologia dell'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, insegna "Italian Studies" a University of Cape Town, in Sud Africa. Pasolinista ed esperta di costruzioni e rappresentazioni dell'Africa subsahariana nella letteratura e nel cinema italiani (Futurismo incluso), ha anche compiuto numerose ricerche sul campo in Etiopia, fra i discendenti di soldati e coloni italiani. Ha pubblicato in sedi internazionali numerosi articoli su argomenti a questi temi collegati.

A lei ho chiesto: che cosa rappresenta l’Africa per Pasolini?

L’Africa è un essenziale topos pasoliniano, che ricorre in moltissimi lavori, fra cui: la sceneggiatura Il padre selvaggio, il film Appunti per un’Orestiade africana, il saggio La Resistenza negra, la poesia La Guinea, etc.
L’Africa e la sua diaspora sono disseminati nell’opera di Pasolini, almeno a partire dal 1958 (“Africa, unica mia alternativa”, si legge nella poesia Frammento alla morte) e fino alla sua morte (si veda ad esempio la “serva nera”, estrema icona del “corpo popolare”, uccisa dai fascisti nell’ultimo film Salò o le 120 giornate di Sodoma).
Non chiaramente circoscrivibile e dalle molteplici valenze poetico-politiche, l’Africa di Pasolini è l’ultima propaggine meridionale dell’idealizzato mondo contadino, dialettale, sottoproletario, che in quegli anni in Italia il poeta vede, tragicamente, scomparire
.

Oltre a figurare nel sottotitolo, la dizione “Panmeridionalismo” attraversa spesso le pagine del tuo libro. Che cosa intendi per panmeridionalismo e perché ti serve per meglio interpretare Pasolini?

L’interesse di Pasolini verso l’Africa e gli africani non è autonomo e indipendente; esso va colto all’interno di un ampio discorso su alterità e subalternità – assolutamente centrale nell’opera – che Pasolini porta avanti per tutta vita, mettendo sempre in gioco anche se stesso, perché l’“Altro”, il “Negro”, l’“Ebreo”, in Pasolini, sono sempre anche alter-ego del poeta. Ma in Pasolini i mondi contadino, dialettale, sottoproletario e subalterno, e tutto il Sud inteso in senso lato (Meridione italiano e Africa inclusi), sono universi poetici e politici fra di loro correlati e interconnessi che, come per osmosi, vanno formando il non circoscrivibile e potenzialmente illimitato Panmeridione pasoliniano. Così, l’Africa in Pasolini (con le sue molteplici valenze poetiche, politiche, estetiche, erotiche e autobiografiche) è la declinazione ultima e densissima di significati del primigenio incontro del poeta: l’Eden popolare e dialettale friulano.
Pertanto, Panmeridione e panmeridionalismo sono anche strumenti euristici, e termini utili per articolare come l’Africa di Pasolini diventi, a suo modo, l’estrema propaggine meridionale dei campi di Casarsa e delle borgate romane.
Inoltre, la rappresentazione pasoliniana dell’Africa e degli africani, il “sogno africano” e la visione di un non-circoscrivibile Panmeridione risentono, fra gli anni 50 e gli anni 70 del Novecento, di altri fattori (nazionali, internazionali e transnazionali), quali: la teorizzazione gramsciana e post-gramsciana della Questione meridionale, la rimossa ma latente memoria coloniale italiana, il generale terzomondismo proprio di quegli anni, come pure i processi di decolonizzazione e il movimento per i diritti degli afroamericani
.

Pasolini fu scrittore, regista, drammaturgo, poeta, polemista. C’è uno di quegli aspetti espressivi che di lui prediligi? E ce n’è qualcuno che ami meno?

Amo il Pasolini poeta (ma non è poi Pasolini tout court?). Amo la sua “passione e ideologia”, la sua capacità di toccare le nostre viscere, di risvegliare la nostalgia, di muoverci alla commozione, pur tenendo sempre vigile l’attenzione critica. Amo un po’ meno la latente “falsa ingenuità” della sua opera poetica (forse mutuata dal Pascoli). Amo i suoi originalissimi e poco noti scritti eritrei (La grazia degli Eritrei in particolare). Amo il romanzo fiume erotico-politico Petrolio, perché ci conduce in territori inesplorati e inesplorabili, pur lasciando grande spazio all’immaginazione; dello stesso periodo, amo assai meno il film Salò, perché lo trovo troppo didascalico (sebbene riconosca che il film abbia anticipato quella commistione di generi e sotto-generi, che sarà tipicamente fine-novecentesca). Amo il fatto che l’opera di Pasolini nel suo complesso, pur rimanendo ancorata ad alcuni nuclei poetici essenziali (il modo contadino, il dialetto, le classi subalterne, la madre, la trasfigurazione autobiografica), si vada costruendo per cassetti e castelli, forte di un infinito gioco di autocitazioni. Amo quella originalissima capacità di Pasolini di vivere e abitare le contraddizioni.

Concludendo: qual è l’importanza che ha Pasolini nello scenario culturale italiano?

Pasolini ha segnato profondamente la lingua, la letteratura, il cinema e il nostro immaginario. Lui, prima di altri (nel film “La rabbia”, come altrove nell’opera), ha colto intuitivamente l’importanza enorme che avrebbero avuto le migrazioni in epoca postcoloniale. Molto prima di altri in Italia ha intuito quanto l’Africa, aldilà di essere un continente, è un topos transculturale che “appartiene” a buona parte dell’umanità, anche a causa di enormi vicende transnazionali, come la tratta transatlantica e il colonialismo, a cui egli fa, implicitamente o esplicitamente, a più riprese riferimento nell’opera.

Giovanna Trento
Pasolini e l'Africa. L'Africa di Pasolini.
Pagine 279, Euro 16.00
Mimesis Edizioni


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