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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Carol Rama


Il Cesac presenta al Filatoio una nuova mostra, "Collectors 2" ideata e realizzata da Andrea Busto.
Collectors è una serie dedicata ai collezionisti; stavolta il protagonista è Renato Alpegiani.
Ecco come il curatore profila la figura di Alpegiani e le sue scelte che vedono tra i suoi gioielli un’artista a me carissima: Carol Rama.

Un evento particolare - il secondo della rassegna Collectors, inaugurata con la collezione La Gaia due anni or sono - è questo dedicato a una figura maggiore del collezionismo internazionale […] La dimensione domestica dell’oggetto, acquistato prevalentemente per l’esposizione in casa, spesso esibito come elemento decorativo dei luoghi destinati al ricevimento sociale e pubblico, esula completamente dalla collezione di Renato Alpegiani, che ha invece privilegiato una dimensione pubblica nella scelta delle opere acquistate, pensando a una fruizione collettiva e propedeutica per la società tutta.
L’acquisizione delle opere che egli ha privilegiato è stata quella dettata dallo scegliere opere di quegli artisti che si affacciavano prepotentemente sulla scena internazionale con messaggi nuovi e dirompenti […] Un’altra dimensione, legata alla sfera affettiva del collezionismo di Renato Alpegiani, è legarsi alla produzione di un artista e seguirlo nel suo evolversi e nelle sue mutazioni. Così è stato per esempio nei confronti di Carol Rama, di cui verranno esposte oltre trenta opere che comprendono un periodo produttivo dalla metà degli anni Venti fino ai primi anni di questo secolo. Al piano terreno del Filatoio verrà proposto un suo percorso antologico, una sorta di omaggio alla più importante artista italiana donna vivente, in occasione del suo novantesimo anno di vita che cadrà proprio nel mesi di apertura della mostra
.

Nella foto: Carol Rama: “La mucca pazza”, 1998, tecnica mista su carta intelata.

Ha scritto di lei Barbara Martusciello: Nei suoi olii, nelle tempere, nelle incisioni sperimenta linguaggi artistici e vi porta aspetti traumatici della vita, focalizzando la sua attenzione sui rapporti tra corpo, sessualità e identità femminile. In quegli anni Trenta e Quaranta, certi approfondimenti sono malvisti perché ritenuti assolutamente tabù, anche se sono trattati con toni grotteschi e con una naturalezza rara; la sua ricerca incappa quindi nelle maglie di una censura ottusa e coercitiva: nel 1945 le istituzioni fanno chiudere la sua prima personale e sequestrare le sue opere rendendola, agli occhi della collettività torinese, un personaggio scomodo. Questo non scoraggia Carolina. Dopo una parentesi astratta nel Movimento Arte Concreta torinese, riafferma un proprio linguaggio visivo basato sulle immagini: corpi femminili smembrati, mani, piedi, scarpe, letti, protesi, dentiere, volti inquieti, sedie a rotelle, animali e soprattutto organi sessuali prendono vita senza falsi pudori rincorrendosi e ripetendosi negli anni in un turbinio perturbante, sempre in bilico tra angoscia e ironia, cruda realtà, per quanto stravolta, e fiaba.

Oltre alla Rama, gli altri artisti in mostra sono: Stefano Arienti, David Casini, Jimmie Durham, Lara Favaretto, Sylvie Fleury, General Idea, David Hammons, Rolf Julius, Karen Kilimnik, Maria Lai, Jim Lambie, Sarah Lucas, Paul McCarthy, Steven Sharer, Jessica Stockholder, Tal R, Rirkrit Tiravanija, Sisley Xhafa, ognuno di essi rappresentato da opere e installazioni.

L’Ufficio Stampa è affidato al Tai (Turin Art International) guidato da Giuseppe Galimi; tel. 340 – 66 21 047 – mail: giuseppe.galimi@taiagency.it

Collectors 2
a ‘Il Filatoio’
Via Matteotti 40
Caraglio (Cuneo)
Info e prenotazioni: numero verde 800 – 32 93 29
info@marcovaldo.it
Fino al14 settembre 2008


Chorus online


Su internet è nata una nuova web tv, si chiama Chorus online e potete raggiungerla cliccando QUI.
Il nome della tv è ispirato a “A Chorus Line”, famoso musical che andò in scena per la prima volta a Broadway il 25 luglio 1975 allo Shubert Theatre, e rimase in scena fino al 28 aprile 1990; dopo 6.137 esibizioni, sarà poi ripreso nel 2006 consacrandosi come uno degli show più longevi a Broadway.
Il progetto di questa nuova web tv è concepito, diretto e gestito da un insieme di organizzazioni:
Associazione Teatro Tesi - Fondazione Aida - Ials - SoldOut - Pro Music.

Chorus online (nella foto il logo) è nella sua fase d’avvio e trasmette in via sperimentale programmi non ancora con continuità d’orario, ma presto il palinsesto sarò definito e trasmetterà 24 ore su 24.
Gli ambiziosi obiettivi di Chorus on line sono così riassumibili:

- mettere al servizio dello spettacolo dal vivo l’applicazione delle tecnologie informatiche in modo da avvicinare la domanda e l’offerta culturale, professionale, tecnica e promozionale;

- fornire un nuovo strumento on-line per la formazione e per l’aggiornamento in materia di politica culturale;

- dare uno strumento utile alle piccole realtà o ai singoli artisti per fare conoscere il proprio lavoro;

- trasmettere eventi 24 ore su 24 in collegamento con tutte le regioni italiane e con alcuni centri internazionali;

- fare da tramite e da punto di riferimento inserendo gli aspetti culturali di ogni singolo territorio (ad esempio con la collaborazione dell'ANCI-Comuni Italiani e UPI-Provincie Italiane) nel panorama nazionale offrendo uno strumento immediato di diffusione delle notizie legate allo spettacolo dal vivo;

- collegare, attraverso la propria rete video, le principali istituzioni culturali nazionali coinvolgendo anche spazi museali, gallerie d’arte, centri culturali, aree archeologiche, università, per ideare e allestire innovative forme d’espressività teatrale.

Per stasera, alle 22:00, è annunciata una trasmissione di 60’ guidata da Luciano Brogi: “Commedia dell'arte e nuove tecnologie".


Ossimoro in mostra


"Una sola cosa è certa: l'opposizione pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni” scrive Milan Kundera.
E proprio a Kundera s’ispira una mostra intitolata L’insostenibile leggerezza dell’essere in corso alla Galleria 911 di La Spezia.

Opera di Dario Lanzetta Otto gli artisti presenti: Francesco Arena – Federico Bebber – Nicoletta Bettale – Dellaclà – Damiano Fasso – Tea Giobbio – Dario Lanzetta – Maria Luisa Marchio.
Fra questi nomi, c’è n’è uno, Dario Lanzetta (sua l'opera che vedete in foto), che è stato ospite in questo sito nella sezione Nadir; per leggere una sua dichiarazione di poetica e vedere suoi lavori, cliccate QUI.

Carolina Lio, curatrice della mostra:

Temi come la vita, la morte, la malattia, la guerra, la bellezza e la crudeltà, la violenza e l'ironia, l'erotismo e la sofferenza, vivono sospesi in un'atmosfera fluida che li rende un continuum l'uno dell'altro, tasselli dello stesso mosaico imprescindibile che compone l'esistenza umana, dove nessuna parte ha davvero più peso dell'altra. E dove quindi il concetto di pesantezza perde il proprio senso e levita, privato di gravità, nel vortice a volte insostenibile di eventi che travolgono e stravolgono il nostro mondo e il nostro destino.
Su questa ambiguità Kunderiana, una vera e propria filosofia del dubbio, ci si interroga ricerca dopo ricerca artistica, camminando come equilibristi sul sottile confine che separa il leggero dal pesante, cercando di capire quale dei due occupa il polo negativo e quale quello positivo da situazione a situazione. E trovando come risultato a volte la rivelazione più imprevista, il contrario rispetto a quanto il senso comune ci suggerirebbe […] che il caos e il silenzio sono egualmente opprimenti, ma ad un peso prossimo allo zero, perché l'umanità ha sempre più forza di quella che è convinta di avere
.

“L’insostenibile leggerezza dell’essere”
Galleria 911
Via del Torretto 48, La Spezia
Tel. 0177732471 - Fax. 0187750920
Email: galleria911@virgilio.it
Fino al 2 maggio ‘08


Fetish e società


Lo scrittore austriaco Leopold von Sacher-Masoch (1836 – 1895) tentò il suo più raffinato gesto masochistico nel 1886. Quell’anno, infatti, fu pubblicato il monumentale trattato “Psychopatia sexualis” ad opera del neurologo e psichiatra Krafft-Ebing che per indicare il piacere tratto da maltrattamenti e umiliazioni lo definì ‘masochismo’ riferendosi ai personaggi di quel romanziere assiduamente protagonisti di voluttuose avventure galanti dove risuonava lo schiocco di fruste.
Perché Leopold volle farsi male di brutto in quel 1886?
Perché protestò (inutilmente) contro Krafft-Ebing non volendo che fossero associate al suo nome quelle pratiche sessuali. In quell’anno, già versava pressoché in miseria – dopo un periodo di brillanti successi - dimenticato da editori e lettori e, assai probabilmente, di lui pochissimi se ne ricorderebbero se Krafft-Ebing non avesse inventato quella dizione.
Sacher-Masoch, infatti, fu scrittore di libri più pruriginosi che erotici, freddini, noiosetti, ripetitivi, qualcuno (purtroppo non ricordo chi) lo ha definito “un geometra della frusta”. Ma Krafft-Ebing è stato per Masoch una vera manna. Oggi, Leopold invece d’arrabbiarsi erigerebbe un monumento a quello psichiatra che lo ha reso famoso.
Impossibile calcolare il numero di libri, e non solo scientifici, pubblicati sul masochismo e sul sadismo (… a proposito anche Sade – pur se di alto livello filosofico – quanto a noia mica scherza nelle sue pagine!); il tema, poi, specie nella nostra epoca, è attualissimo.
Ora, Bollati Boringhieri ripubblica, in una nuova, ampliata, versione un suo successo editoriale: La perversione sadomasochistica L’oggetto e le teorie.
L’autore è Franco De Masi.

A lui ho chiesto: oggi la cultura fetish (nella moda, nella pubblicità, nei videogiochi, nei fumetti) è massicciamente proposta in modo ora soft ora hard.
Lei come interpreta questi modelli iconografici del nostro tempo?

La perversione sadomasochista ha trovato nella cultura fetish di oggi la sua rappresentazione per alcuni motivi principali. Il primo è che il voyeurismo e l’esibizionismo della nostra epoca hanno fatto della sessualità normale e delle sue varianti un oggetto di consumo decontestualizzato dalla relazione umana. Il parametro ottocentesco della repressione della sessualità, arrivata anche alla persecuzione o all’emarginazione degli studiosi che cercavano di comprenderla, è stato apparentemente rovesciato senza mutarne le componenti eccitatorie e patologiche. E’ incontestabile che negli ultimi decenni la perversione è venuta allo scoperto come fenomeno di gruppo in cerca di una sua omologazione. Basti vedere i siti SM con la loro ricca iconografia, per non parlare del mondo della pedofilia in cerca di una propria legittimazione, anche politica (il caso olandese). Cadute le visioni sessuofobe del passato, che respingevano la sessualità perversa nell’anonimato e nel segreto, sembra ora avanzare una posizione sottilmente ambigua, per la quale una dose di ammiccante trasgressività viene presentata come esercizio di libertà. L’organizzazione comunitaria della perversione ha lo scopo di sottrarla alla pratica solitaria e, rinforzando l’identità sessuale degli adepti, di aumentarne il numero dei cultori. Poiché ritengo che una problematica perversa non faccia parte dell’esercizio della sessualità ordinaria, non considero gli aspetti perversi in cerca di conferma sociale come una della varianti della sessualità moderna. E’ meglio prendere atto che la perversione rimane la stessa, anche se sono cambiate la forma di aggregazione sociale e la visibilità di un fenomeno a lungo sommerso e misconosciuto.

Scheda sul libro, indice, e biografia di Franco De Masi: QUI sulla stellina Novità.

Franco De Masi
“La perversione sadomasochistica”
Prefazione di Francesco Barale
Pagine 186, Euro 12:00
Bollati Boringhieri


Schermi interattivi


Già altre volte in queste pagine web mi sono occupato del lavoro di Matteo Bittanti perché lo ritengo uno dei migliori cervelli applicati alla nuova espressività derivata dai new media. Tempo fa l’ho avuto anche ospite della mia taverna spaziale e lì, tra un bicchiere e l’altro, s’è svolta una conversazione che ha coinvolto (contro la loro volontà) Einstein e Prigogine e (col loro assenso) Cronenberg e Sun-Woo Jang. Si parlò a lungo di videoludica perché Matteo è tra i primissimi che ha elaborato teorie estetiche sui videogames.
N’è testimonianza recente un suo eccellente libro pubblicato da Meltemi: Schermi interattivi il cinema nei videogiochi.

Gli ho chiesto di parlare delle affinità, deboli o forti che siano, tra schermo e videogiochi.

Le affinità tra cinema e videogames sono più superficiali di quanto si possa credere. Anche se i due media usano gli stessi linguaggi e codici (immagini, parole, suoni), l'esperienza di fruizione di un film è più vicina a quella letteraria. Il videogioco non è un medium narrativo o, meglio, è ‘post-narrativo’: il fruitore di un testo ludico svolge contemporaneamente il ruolo di lettore e scrittore. Il cinema non offre questa ambivalenza. Detto altrimenti: i videogiochi non sono dei racconti "tradizionali" (e per molti non sono nemmeno racconti): essi consentono di simulare delle azioni all'interno di uno spazio virtuale, di navigare ambienti tridimensionali. Il videogame è un insieme di possibilità, un set di problemi da risolvere, un contesto di sperimentazione. Le azioni che si producono all'interno di questo spazio sono a) (potenzialmente) infinite e b) diverse, laddove gli eventi narrati in un film sono a) limitati e b) fissi. Va inoltre precisato che in alcuni videogiochi si verificano fenomeni di ‘gameplay emergente’, ovvero forme di interazione non previste dai progettisti stessi: il giocatore non si limita a seguire "itinerari" predisposti a monte, ma genera forme di gioco impreviste. Un film, per converso, ri-presenta sempre i medesimi eventi nell'ordine predisposto dal creatore del testo. Se non si tiene conto di questa differenza cruciale, si fraintendono alcune caratteristiche 'peculiari' dei due media.

Per una scheda sul volume e la bio del suo autore: QUI.

Per approfondire il tema del libro: CLIC!

Matteo Bittanti
“Schermi interattivi”
Pagine 335, Euro 25:00
Meltemi


Poema disumano


E' in corso a Milano, presso la Galleria SpazioStudio di Patrizia Gioia, l’esposizione di un’installazione audiovisiva di Luigi Nacci intitolata: Poema disumano.

Luigi Nacci, Poema disumanoNella foto, un angolo dell’opera.

Il “Poema disumano” di Luigi Nacci è, sia sul piano espressivo sia su quello tecnico, un’opera assai complessa: poema lineare, sonoro, grafico e, allo stesso tempo, installazione acustico-visiva.
Hanno collaborato alla realizzazione Ugo Pierri (disegni), Lorenzo Castellarin (musiche ed effetti speciali fonici), Gianmaria Nerli (progettazione scenica), realizzazione che s’è avvalsa anche dello scrittore statunitense Jack Hirschman.
L’installazione è stata allestita per la prima volta presso la Galleria Michelangelo di Roma, nel giugno 2006; la stessa galleria ha pubblicato il catalogo (con Cd) per la cura di Gianmaria Nerli

Per la biografia dell’autore, per leggere suoi interventi, ascoltare interviste: CLIC!

Luigi Nacci
“Poema Disumano”
SpazioStudio di Patrizia Gioia
via Paolo Lomazzo 13, Milano
Info: 348 – 74 98 744; abraxas7p@libero.it
Fino al 30 aprile ‘08


Malapelle


Centodieci anni fa, il 9 giugno 1898, nasceva a Prato Curzio Malaparte – per l'anagrafe Kurt Erich Suckert – che morirà a Roma il 19 luglio 1957.
Questo scrittore e giornalista è una delle figure intellettuali italiane della prima metà del secolo scorso fra le più contraddittorie: dapprima fascista intransigente, poi confinato a Lipari accusato di dissenso al Regime, s’avvicinò al comunismo nel dopoguerra.
Fra i suoi libri di maggiore successo, c’è La pelle, pubblicato nel 1949, che s’attirò i fulmini del Vaticano tanto che finì nel famigerato ‘Index Librorum Prohibitorum’… a proposito, una curiosità. Fra i tanti autori condannati in quell’Indice (da Balzac a Kant, da Hobbes a Stendhal, da Fogazzaro a Moravia e infiniti altri, noti e meno noti) non c’è Hitler con il suo ‘Mein Kampf’… quando si dice la distrazione!
Marco BalianiOra, Marco Baliani (in foto) ha allestito un adattamento teatrale di La Pelle che con titolo omonimo debutta al Fabbricone di Prato.
Lo spettacolo è prodotto dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana e dal Mercadante Teatro Stabile di Napoli e proprio da Napoli prenderà l’avvio la tournée già prevista per la prossima stagione.

La seconda guerra mondiale – dice Marco Balianilascia al suo passaggio un immenso deposito di rovine. La forma della città si è persa, è stata sventrata, percossa, stuprata e con essa viene allo scoperto il ventre sociale e individuale che la riempiva. Con terribile sguardo, mettendo il dito nella piaga, Malaparte riesce a toccare l’indicibile, a mostrarci, denudate, le nuove relazioni umane che da allora, da quella soglia mostruosa che è stata quella guerra – e l’olocausto e i campi di sterminio e le ideologie totalizzanti – hanno dato nuova forma al mondo. Quella che ancora oggi ci plasma. In quegli anni è accaduto, nel pieno della nostra Europa, della nostra cultura, che milioni di esseri umani siano stati ridotti a oggetti, a cose, privati di identità e di anima. Malaparte racconta questo passaggio, sceglie la città di Napoli per il suo affresco, perché lì il ventre è più scoperchiato, il trucco non c’è più, il teatro è ormai a cielo aperto. Ma quella città è metafora dell’intera Europa e dell’intero mondo. Si vendono corpi vivi, corpi morti, pezzi di corpo, si vendono bambini e bambine. Tutto può essere ridotto a mercato e merci. Perfino i sentimenti, le più segrete sostanze dell’anima.

Per note di regìa e cast: CLIC!

Ufficio stampa: Simona Carlucci, carlucci.si@tiscali.it ; 335 – 59 52 789;
Franca Mezzani, 0574 – 60 85 04; ufficiostampa@metastasio.it

Curzio Malaparte
“La pelle”
Adattamento e regìa di Marco Baliani
Fabbricone di Prato
Dal 23 al 27 aprile, poi in tournée


Beckett in Rome


Cosmotaxi Special per il convegno “Beckett in Rome”

Università di Tor Vergata, 17 - 19 aprile 2008


Parole di Beckett


Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Fallisci ancora. Fallisci meglio


Beckett in Rome: presentazione


In un periodo come l’attuale in cui le università italiane attraversano uno dei momenti meno luminosi della loro storia, con problemi diffusi che vanno da quelli finanziari a quelli legislativi, fa particolare piacere notare come alcune (poche, in verità) iniziative in alcuni Atenei riscattino l’oscuro tempo presente.
Va lodata, ad esempio, l’Università di Roma “Tor Vergata” che presenta in questi giorni un incontro internazionale di studi dedicati a Samuel Beckett (Dublino 1906 - Parigi 1989).
Beckett in Rome – questo il titolo del convegno – è stato ideato da Daniela Guardamagna per mettere in contatto gli studiosi italiani con i maggiori esperti internazionali del grande drammaturgo irlandese, offrendo uno spazio di discussione e confronto, creando un dibattito fra le più recenti acquisizioni della critica italiana e di quella straniera.

Samuel BeckettBeckett: personaggio solitario e criptico (mai andò, ad esempio, a ritirare il premio Nobel conferitogli nel 1969), è uno dei più grandi interpreti del silenzio che sta dietro le chiassose relazioni dei nostri giorni. Di quel silenzio ne ha intuito tragicità e comicità, ne ha fatto tracciato di vita e linguaggio; non è forse un caso che concluda una delle sue grandi opere – L’innominabile, 1953 – scrivendo: “… non so, non lo saprò mai, nel silenzio non si sa, bisogna continuare, e io continuo”.
E non è ancora solo un caso che – dopo varie traversìe di produzione – fu proprio lui ad indicare Buster Keaton, altro eroe del silenzio, quale interprete di “Film” (1965). Singolare fu l’incontro a New York fra i due, ne riferisce il regista Alan Schneider con queste parole: “… l’incontro fra Beckett e Keaton, i lunghi silenzi fra loro, fu una di quelle occasioni che sembrano inevitabili prima di accadere, intollerabili quando accadono, impensabili in seguito”.

Il convegno Beckett in Rome si articola in tre giorni dal 17 al 19 aprile.
Il comitato scientifico è formato da: Chris Ackerley, Enoch Brater, Daniela Guardamagna, Daniela Caselli, Rossana Sebellin.
Interverranno inoltre: Mary Bryden, Stanley E. Gontarski, Carla Locatelli, Marx Nixon, John Pilling, Rosemary Pountney, Giuseppina Restivo, Dirk Van Hulle.

Sito web di “Beckett in Rome” con il programma degli incontri: QUI.

Al convegno collabora l’Associazione culturale Il Globetto guidata da Roberto Mancini.

Ufficio Stampa: Giovanna Nigi, 339 – 52 64 933; Marta Volterra, 340 – 96 900 12


Parole di Beckett


Il sole risplende: non ha altra scelta, nulla di nuovo


Beckett in Rome: Daniela Guardamagna


Ideatrice del convegno su Beckett, come detto in apertura, è Daniela Guardamagna.
Per un suo profilo, cliccate QUI.
Per un'intervista sui temi cui si dedica da anni CLIC!

Alla vigilia di 'Beckett in Rome' l'ho incontrata e le ho rivolto alcune domande.

Com’è nata l’idea di questo convegno e qual è la principale finalità che si propone?

Daniela GuardamagnaL’idea del convegno “Beckett in Rome” nasce, come spesso avviene, da un altro convegno. Nel 2006 ho partecipato (con due allieve beckettiane) al convegno per il centenario della nascita di Beckett organizzato all’Università di Reading (UK). In quella atmosfera piacevolissima e assai stimolante ci è venuta l’idea di riunire nuovamente, a Roma, i maggiori esperti beckettiani per condividere con loro e con gli studiosi italiani gli sviluppi più recenti della ricerca internazionale.
Vorremmo che l’iniziativa permettesse al maggior numero possibile di studiosi di usufruire dell’opportunità di conoscere non solo i maggiori e più famosi esperti internazionali, ma anche lo stato della ricerca in Italia, soprattutto per i giovani. Per questo abbiamo fra l’altro perseguito tenacemente, e ottenuto, che il convegno sia riconosciuto dal Ministero della Pubblica Istruzione come corso di aggiornamento per tutti gli insegnanti delle scuole italiane (medie superiori e inferiori). Inoltre, avremo due ‘conferenze spettacolo’: la prima sera, il 17 aprile, una lettura di testi beckettiani da parte di una collega ed attrice irlandese (lì è possibile coniugare le due attività) e un dialogo tratto da “Waiting for Godot” tradotto in siciliano da un giovane studioso, e attore (ma qui in Italia dovrà scegliere una delle due attività); la seconda sera un intervento preziosissimo di Giulia Lazzarini, grande attrice anche strehleriana, che insieme alla collega di Storia del teatro Laura Caretti parlerà del suo “Giorni felici” al Piccolo Teatro.
Ci sembrava indispensabile non rimanere chiusi nel nostro mondo accademico, poter condividere il più possibile un’esperienza che giudichiamo stimolante e utile per tutti
.

Prosa e teatro in Beckett. Una tua riflessione flash…

Il nostro convegno si occuperà di tutte le forme della scrittura beckettiana inclusa naturalmente la prosa, tuttavia penso che sia stato il suo teatro a risolvere definitivamente quell’impasse che si era creata con la sua Trilogia narrativa: quel che Beckett tenta di fare anche nei romanzi è mostrare un linguaggio che tende al silenzio, è “scavare dei buchi”, come scrive, nel linguaggio, arrivando al silenzio ‘che farà la migliore delle opere’, e questo è un progetto terribile sulla pagina di un testo narrativo; mentre è splendido e vitale – nonostante i temi trattati – nei suoi drammi, dove la dialettica è mostrata nel suo svolgersi.

Stai lavorando sulla messa in scena di “Fin de partie” realizzata da Carlo Cecchi.
Che cosa ti sta dando sul piano critico questo tuo impegno?

Il nucleo principale del discorso è il complesso dibattito tra fedeltà e infedeltà.
Com’è noto, Beckett era estremamente esigente riguardo al rispetto delle sue didascalie: questo perché i suoi plays vivono di un contrappunto fra parola e azione, cosa detta e cosa smentita nel fare, che è fondamentale per i sensi del testo. Come Beckett scrive per “Finnegan’s Wake” di Joyce, un testo modernista non ‘significa qualcosa’, cioè non rimanda razionalmente a qualcosa, ma è proprio quella cosa: come capisci benissimo, essendo tu stesso un autore sperimentale, un testo moderno si pone come oggetto in sé, non come testo da decostruire in una nuova formulazione.
Quindi un regista beckettiano deve essere fedele; d’altro canto deve poter ‘inventare’, fare il ‘suo’ Beckett, pena la noia e la ripetitività della messinscena, che rischia di essere inutile: come secondo me è stata sostanzialmente la pur bella messinscena di Peter Brook che a Roma abbiamo visto al Valle mi pare nello scorso dicembre.
Cecchi riesce a coniugare le due cose, miracolosamente; e riflettere su questo è molto fertile
.

Esistono differenze nella critica europea nel modo d’affrontare la lettura dell’opera di Beckett?

Noi italiani come i francesi tendiamo a letterarizzare l’opera di Beckett, ad esplicitare il grande substrato filosofico che nella sua opera naturalmente c’è, ma – come avverte un grande saggio di Adorno – rimane “puro detrito culturale”, e mostra la fine della filosofia occidentale semplicemente ‘essendo’.
Gli inglesi, invece, hanno quasi sempre presente l’aspetto concreto, e quindi vitale del suo teatro.
A noi promotrici del Convegno, io e la mia allieva e ‘partner in Beckett’ Rossana Sebellin, è sembrato molto utile che i giovani invitati al convegno abbiano contatto con questo modo di leggere l’opera beckettiana, ascoltando e confrontandosi, oltre che naturalmente con qualcuno degli italiani, con alcuni dei più grandi esperti al mondo sulla sua opera: John Pilling, Enoch Brater, Stan Gontarski, Chris Ackerley e altri
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E’ prevista la pubblicazione degli Atti del convegno?

Sì. Gli Atti del convegno saranno pubblicati, speriamo molto presto, sulla neonata collana della Laterza -“Tor Vergata” University Press on-line.
Conterranno pure gli abstracts di molti studiosi anche giovani che non parleranno al convegno (non c’è posto per tutti, e dobbiamo purtroppo effettuare una scelta!), ma che pubblicheremo volentieri, per dare un panorama di quello che si scrive, si studia e si pensa su Beckett oggi
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Parole di Beckett


Non c'è niente di più comico dell'infelicità


Beckett in Rome: Enoch Brater


Enoch Brater è professore di Letteratura teatrale presso l’Università del Michigan. È noto a livello mondiale per i suoi fondamentali studi su Beckett e su altri importanti drammaturghi moderni e contemporanei, e la sua opera è stata tradotta in varie lingue, tra cui il francese, l’italiano, lo spagnolo, l’ebraico, il portoghese e il giapponese.
Fra le sue pubblicazioni: “Beyond Minimalism: Beckett’s Late Style in the Theater; The Drama in the Text: Beckett’s Late Fiction; Why Beckett” (riveduto e aggiornato per la pubblicazione in Inghilterra e negli States con il titolo “The Essential Samuel Beckett”), e una cinquantina di articoli e saggi vari.
Sta attualmente lavorando a un volume intitolato “The Falsetto of Reason: Ten Ways of Thinking about Samuel Beckett”, di cui darà un’anteprima al Convegno.

A Enoch Brater Cosmotaxi ha chiesto: nel 1966, il regista Alan Schneider realizzò, su idea e sceneggiatura (estremamente dettagliata) di Beckett, “Film”, che ha per unico interprete Buster Keaton.
Quale valore attribuisce a quest’esperienza nell’universo della scrittura beckettiana?

Enoch BraterSarebbe difficile valutare la parabola del contributo di Beckett al teatro del Novecento senza prendere in considerazione le sue opere per la radio, la televisione e il cinema. Con la scrittura di ‘Film’, opera “comica e irreale” di 29 minuti con Buster Keaton protagonista, Beckett cominciò a rendersi conto dell’enorme potenziale del primo e del primissimo piano (una testa che contempla il vuoto), come anche del fascino viscerale prodotto dall’isolamento totale di un’immagine fissa cauterizzata sul grande schermo. Queste soluzioni sono evidenti in That Time, Not I e What Where, opere del suo secondo periodo che mostrano orgogliosamente questa eredità, rivelando anche i molti modi con cui Beckett adatta valori cinematografici alle contingenze della performance dal vivo sul palcoscenico. Questa acutezza visiva si estende ai drammi che Beckett ha scritto per la televisione, opere altamente strutturate come “Eh, Joe”, “Ghost Trio”, … but the clouds… e “Nacht und Träume”.
È proprio la sublime bizzarria intrinseca a tutti questi lavori per i media visivi – una peculiarità che inizia con “Film” – a prefigurare la ricca gamma di grigi, con i loro acuti contrasti e la loro varietà apparentemente infinita, che è così perturbante ma anche così vitale nelle ultime grandi opere di Beckett per il teatro europeo moderno
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Parole di Beckett


Quando siamo nella merda fino al collo non resta che mettersi a cantare


Beckett in Rome: Chris Ackerley


Chris Ackerley è docente di Letteratura inglese all’Università di Otago, Dunedin, New Zealand.
Il suo lavoro più recente include edizioni annotate di “Murphy” and “Watt”, pubblicate dalla collana di volumi del ‘Journal of Beckett Studies’ (2004 e 2005); e, con S.E. Gontarski, il “Grove” e il “Faber Companion to Samuel Beckett” (2004 e 2006).
Sta attualmente lavorando a un’edizione critica del romanzo beckettiano “Watt”.

A Chris Ackerley che sta, inoltre, scrivendo anche a una monografia su Samuel Beckett e la scienza, ho chiesto: in che cosa principalmente si notano in Beckett gli studi di matematica da lui fatti?

Chris AckerleyL’interesse di Beckett per la matematica è palese in tutta la sua opera, dai primi testi – dove il terrore pitagorico per l’irrazionale è un tema ricorrente – ai brevi testi dell’ultimo periodo, sia teatrali sia in prosa: qui la mente, la cui memoria fallisce, trova un appiglio nella propria capacità di misurare.
Il dramma di Beckett si basa sulla “forma delle idee”, inclusi molti concetti matematici. Questi vanno dalla “probabilità su due” di salvezza in “Waiting for Godot” ai paradossi del cubo, del cerchio e dell’“impossibile mucchio” in “Endgame” fino ai movimenti o all’immobilità dei ‘dramaticules’ come “Play”, “Come and Go” e i due “Act[s] without Words”, che mettono in scena combinazioni e permutazioni matematiche.
Si può sostenere che i movimenti scenici e le scenografie beckettiani riflettono accuratamente strutture matematiche precise, in modo che l’azione che si svolge, con le sue ripetizioni e simmetrie (aritmetiche, quindi mutevoli nel tempo), si situa in strutture e schemi di luce e di buio, di figurazione e forma (geometriche, quindi immutate nello spazio)
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Parole di Beckett

Niente di meglio, niente di peggio, nessuna scelta


Beckett in Rome: Rossana M. Sebellin


Rossana M. Sebellin è contrattista e assegnista di ricerca presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.
Rossana M. SebellinHa conseguito nel 2006 il dottorato di ricerca presso l’Università di Urbino con una tesi dal titolo “The usual wilderness of self-translation: l’esilio linguistico di Samuel Beckett”. Ha pubblicato il volume “Prior to Godot”: Eleutheria di Samuel Beckett (Roma, Nuova Cultura, 2006), inoltre vari articoli e saggi sull’autore irlandese e sul modernismo.

A lei ho chiesto: Martin Esslin, nel saggio “Il teatro dell’assurdo”, riconosce in Beckett, insieme con Ionesco e Adamov, le basi fondanti del nuovo teatro del ‘900. In che cosa lei ravvisa in particolare l’assurdo di Beckett?

Il saggio di Esslin, uscito nel ’61, è una pietra miliare che è stata molto messa in discussione: gli autori dei quali lui parla, e che mette in relazione, non costituirono scuole o movimenti. Il “teatro dell’assurdo” non esiste. Per Beckett in particolare sarebbe forse meglio parlare di teatro del fallimento: i suoi scritti per il teatro sono una lotta contro/con il linguaggio per mostrarne i limiti. Da ‘Godot’ in poi la parola viene logorata fino a trasformarsi “nello strumento della propria assurdità” (Adorno, ‘Tentativo di capire Finale di partita’, traduzione di G. Manzoni). Le voci fungono solo da accompagnamento al “silenzio che (…) disturbano”, sono un contenitore vuoto, un balbettio clownesco “le cui ciarle diventano nonsenso nel momento stesso in cui vengono recitate come se costituissero un senso”. Questa è la caratteristica fondamentale del teatro di Beckett: il suo è un mostrare il nulla esistenziale vestendolo di parole scarne, essenziali e perfette nel loro equilibrio ritmico e musicale. La struttura del teatro beckettiano viene paragonata spesso a quella di uno spartito musicale. Beckett è capace di questo: creare sinfonie – destrutturate, dissonanti e ipnotiche – di parole.


Parole di Beckett


Le idee s’assomigliano in modo incredibile, quando si conoscono


Beckett in Rome: Daniela Caselli


Daniela Caselli è Professore Associato di Letteratura Inglese presso l’Università degli Studi di Manchester (UK). E’ autrice di articoli sull’opera di Beckett, teoria letteraria, modernismo, e traduzione poetica. Ha curato, con Steven Connor e Laura Salisbury, “Other Becketts” (Journal of Beckett Studies, 2001) e, più recentemente, con Daniela La Penna (Università di Reading, UK), il volume “Twentieth-Century Poetic Translation: Literary Cultures in Italian and English” (Continuum, 2008). La sua monografia su Djuna Barnes – “Improper Modernism: Djuna Barnes’s Bewildering Corpus” – apparirà nel 2008 per i tipi di Ashgate (Vermont, US).

A lei che ha scritto la monografia su Beckett e Dante: “Beckett’s Dantes: Intertextuality in the Fiction and Criticism” (Manchester University Press, 2005) era d’obbligo chiedere che cosa affascinò Beckett nella poesia di Dante tanto da farne uno dei suoi autori preferiti?

Daniela CaselliPer rispondere in una battuta, Beckett fu affascinato da come Dante si interroga sull’origine del significato in modo squisitamente letterario, ovvero attraverso un uso magistrale della lingua.
In modo più articolato, direi che si tende spesso a leggere il rapporto tra Beckett e Dante in termini di fedeltà e di amore reverenziale, dimenticando invece che Dante appare nell’opera di Beckett in una varietà di guise, che vanno dal parodico allo scanzonato, dal lirico al tragico. Più che un rapporto da comprendere in termini di ammirazione o di ansia dell’influenza, la relazione tra l’opera di Beckett e quella di Dante si offre dunque come un’opportunità per capire come Dante in Beckett non sia né un’autorità induscussa né un semplice ‘primo amore’. In Beckett la citazione, l’allusione, o la parodia dantesca sono occasioni per mettere in questione l’autorità implicita in queste operazioni. Però Beckett non vuole distruggere o sottovalutare l’importanza e la necessità del concetto di autorità; in modo più complesso, e per alcuni forse meno ‘puro’, Beckett usa Dante per analizzare i meccanismi che ci permettono di riconoscere in un testo brani di altri testi, per interrogarsi sulla provenienza del significato, e per costituire la propria autorità letteraria, che se da un lato si presenta come la ferrea e ormai inconfondibile voce beckettiana, dall’altra è sempre in bilico, sull’orlo di scomparire
.


Parole di Beckett

Si nasce tutti pazzi, alcuni lo restano


Beckett in Rome: John Pilling


John Pilling, studioso di rinomanza internazionale, è Professore Emerito all’Università di Reading e uno dei fondatori della Beckett Foundation.
John PillingFra le sue molte pubblicazioni citiamo: “Samuel Beckett” (1976); “Frescoes of the Skull” (1979; con James Knowlson); “Autobiography and Imagination” (1981); “Fifty Modern European Poets” (1982); “The Cambridge Companion to Beckett” (1994); “Beckett before Godot” (1997); “A Companion to ‘Dream of Fair to Middling Women’ “ (2004); “A Samuel Beckett Chronology” (2006).

Per Pilling una domanda geografico-beckettiana: la narrativa di Beckett è una mappa o un labirinto?
Ha risposto con autorevolezza telegrafica.

Entrambe: una mappa senza coordinate e un labirinto senza uscita.
E nessuna delle due cose
.


Parole di Beckett


La morte mi deve scambiare per qualcun altro


Beckett in Rome


Cosmotaxi Special per Beckett in Rome

Università di Tor Vergata, 17 - 19 aprile 2008

Fine


Il silenzio impossibile


Quanti sono gli autori (e non solo in letteratura) che meriterebbero migliore fortuna di quella loro capitata? Indubbiamente non pochi.
E’ un fenomeno che progredendo le tecniche della comunicazione (vedi, ad esempio, Internet), va diradandosi ed è un bene. Sarà sempre più difficile per molti illudersi di non essere stati capiti in vita ma che li aspetta un lontano, sontuoso, destino.
Oggi presento un autore francese che meritava migliore sorte dalla letteratura. E', specie da noi, praticamente semisconosciuto: Joe Bousquet (1897 – 1950).
Nell’immagine, lo scrittore in una fotografia scattata probabilmente nel 1945.
Non mi ha sorpreso che a ricordarsene e curarne un prezioso librino sia stato Antonio Castronuovo, rabdomante di nomi e temi alieni, come mi è capitato già di dire di lui QUI.
Per le Edizioni Via del Vento ha pubblicato Il silenzio impossibile, raccolta di scritti di Bousquet che paralizzato da una pallottola da cui fu colpito in guerra nel maggio 1918 per il resto della sua vita esercitò sulla pagina un pensiero che univa romanticismo e surrealismo portandolo a scrivere frasi come questa: Bisogna nascere di lato; ci si fa notare per gli sforzi compiuti a entrare nella fila.
In “Elogio del silenzio e della parola”, scrive Massimo Baldini: “De Vigny ha parlato della poesia come di un ‘art silencieux’, Rimbaud si vantava d’essere un ‘maître du silence’, Mallarmé un ‘musicien du silence’, per Claudel il poeta doveva essere un ‘semeur des silences’ mentre per Heidegger ‘un ascoltatore del silenzio’, Blanchot afferma ‘Custodire il silenzio è ciò che a nostra insaputa tutti noi vogliamo scrivendo’, Joe Bousquet ha affermato che scrivere equivale a tradurre il libro del silenzio”.

Per leggere il breve, intenso, saggio di Castronuovo che accompagna il libro da lui tradotto e per assaggi di pagine di Bousquet: CLIC.

Joe Bousquet
“Il silenzio impossibile”
A cura di Antonio Castronuovo
Pagine 35, Euro 4:00
Via del Vento Edizioni


Mani sporche


Dopo il successo della I edizione (60.000 copie vendute in poche settimane) Chiarelettere ha mandato in libreria una seconda edizione di Mani sporche.
Gli autori sono: Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio
Pagine che fanno capire dove va l’Italia dei nostri giorni e dove, peggio ancora, potrebbe andare.
Più che scrivere su questo libro necessario, preferisco presentarvene un brano.

"Il 2003 è forse l'anno più nero della politica italiana in tutta la storia della Repubblica. Mai si era assistito a tali e tante lesioni delle libertà fondamentali e dei principi costituzionali. Con il pretesto della sua imminente promozione a presidente di turno dell'Unione Europea, Silvio Berlusconi manomette la Carta fondamentale e i Codici penale e procedurale, oltre a piegare continuamente il Parlamento alle sue personali esigenze processuali e affaristiche e a produrre una catena interminabile di censure ed epurazioni nel mondo dell'informazione.
L'anno si apre con dodici condoni fiscali (per gli evasori dell’Irpef, dell'Ici e così via) varati dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti nella finanziaria appena approvata, per ‘fare cassa’ e tentare di mantenere la promessa di non aumentare le tasse. “Le mie aziende non si avvarranno del condono”, giura il premier. Bugia. Per mettersi in regola con il fisco, che reclama da lei 197 miliardi di lire, la Fininvest approfitta del condono e ne paga solo 35. Un affarone. Anche perché il vantaggio resta tutto in famiglia. La Fininvest infatti appartiene al 100 per cento ai Berlusconi e si era impegnata, al momento della quotazione di Mediaset, a pagare tutte le tasse dovute dalla nuova holding televisiva (che, essendo quotata, ha anche altri soci) per i fatti precedenti all'entrata in Borsa. La stessa strada del condono viene poi battuta da altre società personali del Cavaliere, come, l'Immobiliare Idra che controlla le sue ville sparse per l'Italia. Non contento, il premier usa il condono per cancellare le sue ulteriori pendenze col fisco, versando appena 1850 euro in due comode rate per evitare ogni accertamento sulle sue presunte evasioni (contestate dalla Procura di Milano nel processo sui bilanci di Mediaset) relative al periodo 1997-2002. Nel 2005 arriverà addirittura il condono erariale, per consentire ai politici e ai pubblici amministratori condannati in primo grado dalla Corte dei conti di sistemare le loro pendenze pagando dal 10 a 120 per cento del danno quantificato dalla sentenza. Un danno, per le casse dello Stato, da centinaia di milioni di euro.
Ma il 2003 è soprattutto fanno del lodo Maccanico-Schifani, che immunizza le alte cariche dello Stato dai processi e rende invulnerabili i parlamentari, grazie all'annessa legge Boato, anche dalle intercettazioni indirette. È l’anno della legge Gasparri e del decreto salva-Rete4, che perpetuano il monopolio di Mediaset sulla tv commerciale e il suo oligopolio sul mercato pubblicitario. È l’anno della controriforma della seconda parte della Costituzione, pilata in estate da quattro ‘saggi’ (il forzista Andrea Pastore, Francesco D'Onofrio, il leghista Roberto Calderoli e Domenico Nania di An) in una baita di Lorenzago del Cadore (Belluno), per rompere l'unità nazionale in nome di un federalismo in salsa padana e dotare il premier di poteri di vita o di morte sul Parlamento (la riforma sarà sonoramente bocciata dai cittadini italiani referendum confermativo dell'estate 2006).
Sempre nel 2003 il creativo Tremonti vara una riforma fiscale che detassa le plusvalenze da partecipazione, subito utilizzata da Berlusconi quando, nel 2005, cederà il 16,88 per cento di Mediaset detenuto da Fininvest per 2,2 miliardi di euro, risparmiando milioni di tasse. E un'altra legge à la carte del 2003 è il decreto ‘salva calcio’, che è anche 'salva-Milan': i club indebitati potranno ammortizzare sui bilanci 2002 e «spalmare» nei dieci anni successivi la «svalutazione» del cartellino dei calciatori conseguente al generale stato di crisi in cui versano quasi tutte le società (tra serie serie B, il deficit sfiora i 4 mila miliardi di lire). Il risultato è ottenuto grazie a un doppio conflitto d'interessi: quello tra il Berlusconi presidente del Consiglio e il Berlusconi presidente del Milan; e quello tra il Galliani vicepresidente del Milan e il Galliani presite della Lega Calcio. Il decreto del presidente del Consiglio fa risparmiare al presidente del Milan 242 milioni di euro."

Gianni Barbacetto, Peter Gomez, Marco Travaglio
“Mani sporche”
Pagine 914, Euro 19:60
Edizioni Chiarelettere



Rinascimento virtuale


L’esistenza di Second Life ha dato origine a trasmissioni radiotv e articoli spesso involontariamente comici. Ignoranza tecnica, informazioni raccogliticce, approssimazione culturale, hanno determinato entusiasmi o terrori ingiustificati distorcendo verità scientifiche e valori filosofici del cyberspazio. Non è avvenuto solo da noi, ma in Italia la disinformazione è stata, forse, più grave perché è un paese dove umanesimo e scienza hanno vissuto secoli di drammatica divisione che solo da pochi anni va faticosamente ricomponendosi, e soltanto in alcune aree di ricerca. Per sviluppare, infatti, una corretta visione delle esistenze virtuali (ma anche del web, un passo dopo la consultazione dei siti e l’uso della mail) è necessaria un’ottica interdisciplinare e, prima ancora, una disponibilità al nuovo che oggi più di ieri non consente pause nell’aggiornamento.
Un libro prezioso su questi temi lo ha pubblicato Meltemi (prima editrice italiana ad avere una sede in SL); l’autore è Mario Gerosa, titolo: Rinascimento virtuale Convergenza, comunità e terza dimensione .
Libro prezioso, dicevo, perché accanto a una sterminata documentazione (imponenti anche bibliografia, bloggrafia e webgrafia), dà voce – senza toni cattedratici, chiunque è messo in grado di capire – a un discorso che s’addentra nella semantica del metaverso attraversandone un tracciato storico-critico, rilevandone attualità e problemi, profilandone il possibile futuro.
Gerosa, pubblicò l’anno scorso “Second Life” e fu lo spunto per una conversazione sulla mia Enterprise dove illustrò di SL plurali temi: economia, arte, sesso, diritto, curiosità.
Ora con Rinascimento virtuale amplia il discorso approfondendo le novità che dai mondi virtuali (Second Life, infatti, ha dei piccoli rivali che vanno crescendo) provengono e creano nuove opportunità interattive in un universo di segni che è al tempo stesso mappa e labirinto (roba che avrebbe affascinato Borges). Ad esempio, per dirne una soltanto, innovativi modi di fare arte visiva, letteratura, e la conseguente necessità di dotarsi d’inediti strumenti critici per investigare forme d’interlinguaggio fino a ieri sconosciute.
Ho rivolto a Mario Gerosa alcune domande.

Quale il motivo che ti ha portato a intitolare il libro ‘Rinascimento virtuale’?

Molti dei fermenti artistici più interessanti di questi anni si concentrano, o se preferisci si annidano, nel web. La rete è piena di nicchie in cui convergono nuovi artisti, nuove forme espressive, sperimentazioni davvero inedite, destinate a segnare profondamente lo spirito della nostra epoca. Per questo ritengo si possa parlare a ragion veduta di “Rinascimento virtuale”. E' un termine coniato da Henry Jenkins, che da anni studia culture convergenti e culture generate dal basso. E' un termine che suggerisce l'estrema vitalità di un'epoca ingiustamente tacciata, soltanto per miopia critica, di eccessivo minimalismo.
Dall'altra parte del monitor, c'è grande movimento, nelle communities di Flickr, di Second Life, di Deviantart e di altri social network ci sono cose interessantissime da scoprire. Mai come adesso c'è bisogno di talent scout, di critici d'arte curiosi, di giornalisti che abbiano voglia di cercare e di trovare cose veramente inedite. Questo libro vorrebbe essere uno stimolo a guardare un po' più in là, spingendosi in questi territori ancora poco frequentati, benché ricchissimi di suggestioni
.

Quale il principale elemento che differenzierà nei mondi virtuali il nostro modo di fruire le arti da quelle visive alla letteratura, alla musica?

La partecipazione. Faccio un esempio: le opere d'arte che vengono proposte su Flickr nascono proprio con l'intento di essere condivise. Nell'era dei social network l'artista scende dal piedistallo e si mette a disposizione del proprio pubblico, pronto ad accettare le critiche come i complimenti. Anzi, in Flickr i commenti degli osservatori sono una componente essenziale dell'opera stessa. E' una novità assoluta. E' come se in una galleria o in un museo accanto a un dipinto o a una scultura ci fossero decine o centinaia di commenti dei visitatori. In questo contesto, spesso gli artisti creano le opere proprio in funzione dei commenti che vorrebbero ottenere.

Perché in tanti - anche intellettuali, artisti, gente avvertita insomma, e perfino un tempo autori d'avanguardia - arretrano oggi di fronte alle nuove tecnologie fino a manifestarne talvolta un goffo disprezzo?

Perché di base tutto ciò che è veramente nuovo può dare un certo fastidio. Poi questi fenomeni rischiano di mettere in crisi tutto un sistema di certezze consolidato: dai social network e dai mondi virtuali stanno emergendo tante novità, che riguardano l'arte come il turismo, il cinema come il marketing. Nel mio libro ho parlato di “rinascimento”, ma forse si potrebbe esagerare e parlare di “rivoluzione”: con le nuove tecnologie nel giro di qualche anno cambierà radicalmente il nostro modo di vivere. E chi non si adegua, rischia di venire travolto dall'onda anomala del virtuale.

Il volume è corredato da una serie d’interviste ad alcuni fra i maggiori esperti del metaverso i cui nomi troverete nella scheda editoriale: QUI.
Gerosa conduce in Rete un suo blog: CLIC!

Mario Gerosa
“Rinascimento virtuale”
Postfazione di Giovanni Ziccardi
Pagine 238, Euro 18:50
Meltemi


Reti e riti


Internet, al tempo stesso mappa e labirinto, da tempo non è soltanto luogo di consultazione, ma di comunicazione. Singoli autori, aziende, istituzioni, usano la Rete per trasmettere la propria immagine, proporre lavori artistici, merci, idee.
Sono in molti a credere che vedere le proprie cose sul monitor significhi il raggiungimento quasi di un’Annunciazione, non è così. E poi quell’angelo le sparò così grosse perché aveva capito quanto l’incredibile colpisca l’immaginazione; ben lo sapeva Paolo di Tarso, un grande pubblicitario, come spiega Bruno Ballardini nel suo “Gesù lava più bianco” edito da Minimum Fax.
Il fatto è che in tanti ignorano che, visto come frequentano la Rete, sarebbe meglio per loro non esserci proprio sul web. Li soccorre un libro necessario a tutti coloro che su Internet lavorano, per decreto legge, inoltre, dovrebbe stare in tutti gli uffici stampa: Internet P.R. Il dialogo in Rete tra aziende e consumatori pubblicato dalle Edizioni Apogeo.
Soprattutto il sottotitolo, un po’ algido in verità, può indurre a credere che si tratti di una pubblicazione aridamente manageriale, e invece no. Accanto ai tanti consigli pratici, esprime – lontanissimo da ogni tono cattedratico, anche chi non è addetto ai lavori è messo in grado di capire – un discorso linguistico che s’addentra nella semantica del web.
L’autore è Marco Massarotto. Ha raccolto nel volume la sua vasta esperienza maturata in multinazionali della pubblicità e ora gestisce l’agenzia Hagakure. Che significa Hagakure? E’ un’opera letteraria giapponese del ‘700 che – fidandomi di Wikipedia – riferisco significa "annotazioni su cose udite all'ombra delle foglie". Leggendo il libro di Massarotto, trovo coerente con le sue idee quella scelta onomastica perché questo samurai della comunicazione incentra il suo lavoro proprio sull’ascolto.
“La parola è per metà di colui che parla e per metà di colui che ascolta”. Così dice Montaigne, e la riflessione è oggi quanto mai d’attualità nell’universo interattivo.
Ho chiesto a Marco Massarotto: pubblicità, marketing… in che cosa è principalmente cambiata quell’area di lavoro con l’avvento d’Internet?

Diciamo che si è aggiunto un mezzo in più, e quindi un'attività in più che, come il mezzo, è un'ibridazione di tutte le altre. Servono, quindi, più che mai, talenti trasversali e serve unire la cultura di marca a quella di Rete.

Tra coloro che praticano pierre su internet (da singoli personaggi agli uffici stampa) qual è, fra i tanti, il più vistoso, errore che commettono?

L'errore da evitare credo sia quello di approcciare un medium ‘relazionale’ come Internet con un approccio ‘espositivo’ quella quello di Tv, Stampa e Affissione. Se ci si rapporta a un mezzo di comunicazione ‘sociale’ con le giuste premesse, cioè la voglia di costruire relazioni, di conversare, il resto tende a venire da sé.

Tanti sono approdati maldestramente su Second Life con attese miracolistiche per poi fuggirne delusi. Se ti consultassero, che cosa diresti loro?

Posso rispondere con un link?

Certamente.

Il link è questo: CLIC!.

Per una scheda sul libro: QUI.
Questo volume è anche un blog che contiene una bibliografia costantemente aggiornata.

Marco Massarotto
“Internet P.R.”
Prefazione di Giovanni Boccia Artieri
Pagine 171, Euro 13:00
Apogeo


A ovest di Roma


E’ in libreria A ovest di Roma di John Fante, per la gioia di quanti lo consideriamo tra i maggiori autori americani del secolo scorso.
Il libro – edizioni Einaudi – raccoglie il romanzo Il mio cane stupido e il racconto L’orgia.
Per coloro che ancora non conoscessero Fante (Denver, 1909 – Woodlands Hills, 1983), ricordo che era figlio di un emigrato abruzzese e di un’americana d’origine lucana, un’estesa biografia la trovate QUI.
“Non si capisce John Fante se non lo si legge alla luce dell'italoamericanità. Ma lo si capisce ancor meno se si assume l'elemento etnico come esclusivo, se si considera l'intera sua opera, ribollente distillato autobiografico, all'interno del paradigma etnico-familiare”, così scrive l’americanista Francesco Durante.
Tardivamente riscoperto – a illuminarne la figura ha contribuito anche Charles Bukowski che lo considerava un suo idolo –, in Fante s’intrecciano plurali temi esistenziali sui quali incombe la figura paterna; ecco un illuminante brano che estraggo da una lettera dello scrittore: “Nella mia stima direi che era un tipo fantastico. Me le suonava di santa ragione un paio di volte la settimana e io lo rispettavo moltissimo. Ora è cambiato. E’ finito […] Così tutti i vecchi che incontro per la strada sono mio padre. Ogni vecchio mi fa stringere lo stomaco, sento una pietà incontrollata che mi lascia perso. Voglio prendere quei vecchioni fra le mie braccia e dargli delle pacche sulle spalle e dirgli di smetterla di scherzare, che sono soltanto ragazzini, che il mondo ha ancora terrore di loro. Allo stesso tempo vorrei che ognuno di loro morisse, perché mi sembra che solo pochi uomini si sappiano impadronire della sottile arte di invecchiare".
In Italia esiste anche un Festival letterario – Il Dio di mio padre – dedicato a Fante.
Il mio cane stupido, come scrive Franco Marcoaldi nell’introduzione è un romanzo spettacoloso e sfortunato. Terminato nel 1971, crea da subito interesse in Peter Sellers per un eventuale film con un cast d’eccezione (Jack Lemmon, Walther Matthau, Frank Sinatra e Peter Falk), anche se poi non se ne darà nessuna trasposizione cinematografica, mentre il testo verrà pubblicato solo post mortem, nel 1986.
Ed Emanuele Trevi, nel tracciare la storia del libro, nota: … la tristezza attribuita al cane è quella del padrone, uno scrittore di Hollywood che vede crescere e allontanarsi i suoi figli mentre l’ombra della vecchiaia incombe, col suo corteo di rimpianti. E’ un’ennesima variazione della saga familiare, dunque, che Fante non ha mai smesso di raccontare - ma questo libro, aggiunge - è l’unico romanzo scritto interamente ‘dal punto di vista del padre’.

A queste considerazioni, va aggiunto che ad A ovest di Roma è un libro comico, e raccontare tragedie attraverso il riso è arte difficile. Forse perché, come diceva Bergson, il comico è un tragico visto di spalle.

Per una scheda sul libro: QUI.

John Fante
“A ovest di Roma”
Introduzione di Franco Marcoaldi
Uno scritto di Emanuele Trevi
Traduzione di Alessandra Osti
Pagine 214; Euro 10:50
Einaudi


La droga sono io


“Riguardo Dalì, tutto è vero tranne me.”

“Non voglio essere che Salvador Dalì e nient’altro. Anche se man mano che mi avvicino, Salvador Dalì si allontana da me”.

“Essendo il più grande cortigiano del mio tempo, accetto assolutamente tutto, alla sola condizione di essere assai ben pagato”.

Queste e tante tante altre riflessioni di Dalì (1904 – 1989) si trovano raccolte in La droga sono io Pensieri di un eccentrico edito da Castelvecchi.
Lettura necessaria per meglio capire un uomo che è riuscito ad essere al tempo stesso autoironico e autenticamente arrogante, magico e icastico nell’espressività, appassionato e algido nella produzione, ossequioso e sprezzante col sistema dell’arte; unico artista cui, quand’era ancora in vita, siano stati dedicati due musei.
Freud scriverà a Stefan Zweig: ‘Finora, ero portato a considerare completamente insensati i surrealisti, questo giovane spagnolo con i suoi occhi candidi e fanatici e la sua innegabile padronanza tecnica mi ha fatto cambiare idea’; Breton volendone castigare la venialità ne anagrammò il nome in ‘avida dollars’; George Mathieu lo definì ‘più importante come genio cosmico che come pittore’.
Sta di fatto che non c’è stata tecnica espressiva che non sia stata praticata e, talvolta, anticipata da Dalì: dalle illustrazioni al video, dalla ceramica al film, dalla pubblicità alla scultura, dalla scrittura ad altro ancora. Inoltre, in un’epoca in cui trionfava il mito (perniciosamente ancora vivo, specie nei paesi latini, ai nostri giorni) dell’artista sognatore, povero, lontano da interessi pratici (con gioia di chi ne sfrutta i talenti), Dalì ebbe il merito e il coraggio di affrontare il mercato capovolgendone limiti e regole con una specialissima autopromozione; non a caso ha scritto: “E’ difficile tenere sveglia l’attenzione del mondo intero per più di mezz’ora di fila. Io sono riuscito a farlo per vent’anni, e tutti i giorni”.

La droga sono io s’avvale di una luminosa traduzione di Tiziana Lo Porto. Tempo fa l’ebbi ospite nella mia taverna spaziale, qualche angolo di quella nostra lontana conversazione è superato da intervenute sue nuove esperienze professionali, ma altre parti sono ancora di vivace attualità.
A lei ho chiesto: qual è stata la principale difficoltà che hai trovato nel volgere la scrittura di Dalì in italiano?

Direi l’ingombranza del personaggio, che rende impossibile ogni forma di identificazione. Nel tradurre aiuta immedesimarsi nello scrittore, per riuscire a renderne la scrittura (forma e contenuto), e nel caso di Dalì non è dato farlo.

Ora che oltre all'opera visiva sei entrata anche meglio nel suo pensiero, qual è il tuo giudizio su Dalì?

Difficile dare un solo giudizio. Nei suoi lavori, in quel che pensava, nei suoi scritti, ci sono cose che apprezzo moltissimo e altre che apprezzo meno. Di sicuro posso dire che è ammirevole la coerenza che ha avuto rispetto alla visione che aveva di sé. Quasi che la certezza che ha sempre espresso di essere un genio l’abbiamo davvero reso tale.

Salvador Dalì
“La droga sono io”
Premessa di Robert Descharnes
Traduzione di Tiziana Lo Porto
Pagine 158, Euro 15:00
Castelvecchi


Il Living a Roma


Il famoso Living Theatre, fondato a New York nel 1947 da Judith Malina e Julian Beck (scomparso a 60 anni nel 1985), torna a Roma per uno stage.
La Compagnia sin dall'inizio ha coniugato la forma scenica con l'impegno civile e politico in senso libertario; arrivò in Italia per la prima volta nel 1961, recitando spesso in luoghi extrateatrali, proponendo un’interazione creativa con il pubblico.
Il Laboratorio Teatrale intitolato Paradise Now e la Creazione Collettiva sarà condotto da Judith Malina al Teatro Vascello.
Gli incontri, sempre dalle 10:00 alle 18:00, si terranno nelle date:

venerdì 16, sabato 17 e domenica 18 maggio ’08.

A conclusione del laboratorio vi sarà uno spettacolo – happening.

Modalità di partecipazione e iscrizione:
Laboratorio per non più di 80 persone: euro 150:00 per 3 giorni;
Auditori laboratorio: euro 10:00 al giorno
Iscrizioni: prenotazione tramite email: promozione@teatrovascello.it
Info: 06 – 588 10 21 e 06 – 58 98 031
Conferma iscrizione: entro e non oltre il 12/5/2008.

"Il teatro è il Cavallo di Legno per prendere la città".
Julian Beck, 1967.


Il diavolo custode


Condivido pienamente quanto affermava Giorgio Manganelli: Basta che un libro sia un "romanzo" per assumere un connotato losco.
Se poi il romanzo è applicato su di una biografia, entrando, quindi, nel genere ‘biografia romanzata’ il mio disagio cresce.
Inoltre, quando scorgo perfino dialoghi (ovviamente inventati) cerco un pusher per trovare conforto nella sua merce.
Amo, invece, le biografie, testo difficile da scrivere, perché lì ogni virgola fuori posto viene castigata. In quel genere letterario, infatti, il lettore ha diritto d’apprendere sul personaggio illustrato dallo scrittore esattezze di date, citazioni di documenti, particolari riferiti da testimoni (e conoscerne attraverso l’autore la valutazione della loro attendibilità), eccetera.
Specialmente se il ritratto appartiene ad una persona di epoca vicina dov’è possibile rinvenire tracce documentali.
Ecco perché scrivere una biografia pesa in fatica e anche in termini economici: bisogna fare viaggi per conoscere bene i luoghi dove si svolsero i fatti, intervistare persone, recarsi in biblioteche, tribunali, consultare eventuali referti medici presso ospedali, perciò è fra le più costose produzioni editoriali.
La biografia romanzata è un ibrido da perdonare giusto a Senofonte per la sua ‘Ciropedia’.
Queste cose mi sono passate per la mente leggendo di Luigi Balocchi il suo testo Il diavolo custode dedicato alla vita dell’anarchico Sante Pollastri nato il 14 agosto 1899 a Novi Ligure dove morì il 30 aprile 1978 dopo aver scontato 32 anni di carcere.
Francesco De Gregori nel 1993 gli dedicò una canzone di successo intitolata Il bandito e il campione; il campione amico di Pollastri è Costante Girardengo, anche lui di Novi Ligure. Il ciclista, è stato sospettato (pare a torto) d’avere avuto un ruolo nell’arresto dell’anarchico.
Il libro di Balocchi è stato pubblicato da Meridiano Zero … a proposito, ho segnalato circa un mese fa un libro in quelle edizioni che ritengo imperdibile per i lettori dal palato fine… quale?... per saperlo, cliccate QUI.
Aldilà delle mie lontananze dall’operazione svolta da Luigi Balocchi – Mortara (Pavia) 1961 – gli va riconosciuto d’avere usato una scrittura accesa, scattante, con ritmi da ballata popolare che talvolta approcciando il verso sfiora l’andamento poetico.
Merito che gli deriva dall’essere anche uno studioso di linguistica volto al recupero della tradizione dialettale. La sua proposta letteraria, proprio perché raffinata, diventa protagonista e finisce con l’oscurare i fatti (tanto che, talvolta – purtroppo lo fa di rado – è costretto a qualche nota per meglio chiarire) sicché le avventure e sventure di Sante Pollastri terminano in secondo piano.
Inoltre, la sua cronaca si ferma all’arresto dell’anarchico che, graziato da Gronchi nel 1959 visse fino al ’78 facendo a Novi Ligure il venditore ambulante. Ma Il diavolo custode è un romanzo… snort!... e bisogna accettare le regole volute dall’autore.
Da qui due consigli: se amate la narrativa acquistate quel volume, se volete conoscere la storia di Pollastri dirigetevi altrove.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Luigi Balocchi
“Il diavolo custode”
Pagine 253, Euro 14:00
Meridiano Zero


I coccogrilli


E’ il titolo di una collana delle Edizioni d'If – guidate da Nietta Caridei – che nel suo sesto volume raccoglie coloratissimi sogni e immagini di ragazzi presenti in un Premio di letteratura per l’infanzia organizzato e gestito con le ludoteche e alcune case-famiglia del Comune di Napoli – Assessorato alle Politiche sociali.
Scrive Nietta Caridei: I testi premiati e raccolti in questo port-folio non sono testi di poesia o di letteratura […] abbiamo sollecitato la scrittura (o il racconto orale per i più piccoli) di filastrocche, raccontini e autoritratti fantastici (i più gettonati) fornendo un ventaglio di possibilità sia linguistiche che di spunti ideativi. I disegni contenuti nel port-folio, creati da un’artista napoletana conduttrice del progetto, rispondevano a un duplice scopo. Innanzitutto volevamo dare ai partecipanti ‘input’ nuovi per la rappresentazione-interpretazione fantastica della realtà. A loro abbiamo chiesto di scrivere testi tenendo sott’occhio il disegno che avevano scelto. In seconda istanza, volevamo creare un percorso stilistico compatto e riconoscibile che desse unità e pregio editoriale alla pubblicazione, perché tutti i partecipanti se ne sentissero orgogliosi.
Giovanna MarmoIntenti, aggiungo io, pienamente realizzati.
L’artista di Napoli dei cui disegni parla la Caridei è Giovanna Marmo, nella foto.
Poliartista perché accanto al più noto aspetto di poetessa ne pratica un altro che agisce nelle arti visive. E non è un lato B, ma lato spaziale della sua creatività, poiché alle parole che scrive e recita è luminosamente legato con brividi bondage.
Per un autoritratto della Marmo e l’ascolto di un suo breve, vertiginoso, audiofumetto: QUI.
Il risultato del volume è deliziosamente intrigante: innocenze e malizie, segni di oggi e memorie dell’infanzia s’intrecciano in una danza mossa sul suono struggente d’un carillon da puppentheater.

Per una scheda sul libro: CLIC!

I coccogrilli (port-folio)
31 folii cm. 21x26 (3 folii b/n e 28 a colori)
euro 20:00
Edizioni d’If


Materia inquieta


D’accordo, Darmstadt non è proprio dietro l’angolo.
Ma non posso farci niente se Ferruccio Ascari espone proprio lì e a me va di segnalarlo.
In foto: Metameria, Tecnica: ferro. Dimensioni: 45 x 75x 630 cm, opera in esposizione.
La mostra, in corso alla Galerie C. Klein, lo vede in coppia con Francine Mury artista svizzera nata a Montreux; fin dai suoi esordi ha privilegiato la ricerca sul colore e la forma - tele, carte, libri d’artista - intesi come trascrizione di stati mentali.
Ferruccio Ascari è stato ospite di questo sito e per rintracciarne una sua dichiarazione di poetica, vederne opere, entrare nel suo sito web, cliccate QUI.

Scrive Daniela Cristadoro in catalogo: Le opere recenti di Ferruccio Ascari sono l’esito di un progressivo e sempre più radicale spostamento dello sguardo da una prospettiva di tipo antropocentrico ad un’altra che tende ad estinguere ogni gerarchia tra i vari piani dell’esistenza. […] E’ un percorso vissuto dall’artista come un allargamento d’orizzonte lungamente perseguito. Frutto di un cammino di ricerca sul piano umano oltre che artistico, su cui non poco ha influito lo studio del pensiero yogico e la sua pratica.

Ferruccio Ascari
Francine Mury
Alla Galerie C. Klein
Schumannstraße 11
Darmstadt, Deutschland
Info:Tel./Fax: +49 (0) 615175121
Mail: dr.christiane.klein@t-online.de
Fino al 27 Aprile


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