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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Portaparole (1)



Situazione in cifre, aggiornate al 2010, dell’editoria italiana: escono ogni anno circa 60000 volumi e come informa l’Associazione Italiana Editori: i grandi gruppi sfornano il 72,7% della quota totale dei volumi pubblicati e quasi l'87% delle copie distribuite, i medi editori il 20,2% e i piccoli il 7,1%.
I grandi gruppi da noi sono 4 o 5 e poiché, spesso, editano anche quotidiani e periodici è su quelle pagine di cui sono proprietari che escono il maggior numero di recensioni dei titoli editi dalla stessa casa madre; non c’è troppo da sorprendersi se, con rare eccezioni, siano consigli per l’acquisto e non vera critica letteraria.
Ora, il web va sempre più incrinando questo scenario attraverso scritture sia di lettori con il proprio blog sia con webmagazine professionali liberi da colleganze con l’editoria stampata. La cosa, infatti, sta cominciando a preoccupare le cosiddette grandi sigle mentre quelle più piccole (non tutte, ma molte) neppure si sono accorte del fenomeno e nelle loro rassegne stampa (e, si badi, sul proprio sito web) non citano recensioni avute che invece sono riportate da Google, vale a dire dal maggiore motore di ricerca al mondo.
Eppure il futuro, quello prossimo, sta nell’e-reader, nella stampa on demand, nella creatività della e-letterature che in Italia, ad esempio, è ben interpretata da Ole. Mentre I giornali cominciamo a leggerli, e sempre più li leggeremo, con il tablet.
Anche i maggiori premi letterari sono prede dei grandi gruppi. Mondadori, ad esempio, ha vinto lo Strega per quattro anni consecutivi, dal 2007 al 2010 cedendo il primato quest’anno a Bompiani (Gruppo Rcs).
Possibile che in 64 anni (con la sola eccezione della vittoria di Vincenzo Cardarelli con “Villa Tarantola” – ma siamo nel 1948, editore Meridiana), nessun autore pubblicato da piccoli marchi fosse degno del primo premio?... 64 anni, mica 64 giorni!

Ecco, io mi auguro di vedere un giorno vincere lo Strega dalle Edizioni Portaparole.
E’ chiaro che, in modo surrettizio, mi sto augurando vita lunga quanto quella di Noè che secondo calcoli biblici nacque 1056 anni dopo la Creazione e quando morì ne aveva 950.
Perché Portaparole? Perché – fra quelle che si affidano alla carta stampata con i limiti che questa oggi presenta rispetto all'elettronico da me preferito come ho già scritto prima – è un’Editrice che molto stimo e oggi ne farò qui una sintetica presentazione accompagnata da interviste cominciando dalla patronne: Emilia Aru cui si deve l’esistenza di questa raffinata sigla italo-francese che pubblica opere di saggistica, narrativa e poesia.
Prezioso in redazione è il lavoro di Renato Virdis.
Cosmotaxi, nel giugno scorso, si è già occupato di due titoli apparsi nel catalogo di Portaparole: due incantevoli, e finora introvabili, libri di Vercors.

Per saperne di più su Portaparole ho incontrato la sua fondatrice Emilia Aru.
Nella prossima nota potete leggere l’intervista.


Portaparole (2)


Nata in un piccolo centro della Sardegna, Emilia Aru lavora tra l’Italia e la Francia.
Per le opere tradotte dalla casa editrice nel 2006 ha ricevuto dalla Presidenza della Repubblica italiana il “Premio Traduzione Nazionale”. Per il contributo apportato alla cultura in Italia e nel mondo, è stata insignita nel 2010 dal ministro alla Cultura Frédéric Mitterand del grado di “Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres”.
Sempre per meriti culturali ha ricevuto il Premio Aidda (Associazione Imprenditrici Donne Dirigenti d’Azienza) 2010 per la sezione Sardegna.

A Emilia Aru, in foto, ho rivolto alcune domande.
Dove e quando è nata Portaparole?

Portaparole è nata a Roma nel 2004, in un giardino privato vicino a Porta Furba, in una bella serata di fine settembre dedicata agli amici romani di Marcel Proust. L’occasione doveva servire a stabilire quali strategie adottare per riuscire a organizzare nella Città Eterna una grande mostra sull’autore della “Recherche”. La prima esigenza per dialogare con le istituzioni e con gli sponsor fu quella di dire tutto sullo scrittore in poche pagine, giacché le biografie esistenti erano troppo voluminose. Cyril Grunspan, matematico proustiano parigino, manifestò il desiderio di scrivere lui una piccola biografia di Proust ed io decisi che ne avrei fatto un libro. “Marcel Proust, tout dire” è il numero Uno della casa editrice che ha dato anche avvio alla collana Piccole Biografie di Portaparole, a cui nel tempo si sono aggiunti Molière, Flaubert, Chaplin, Keaton, Hugo, Mozart, Svevo, Balzac, e altri autori.

Quando hai fondato questa casa editrice qual è la prima cosa che hai deciso era da farsi?

Fin dall’inizio ho immaginato una casa editrice multilingue e senza frontiere che volgesse lo sguardo all’Europa, senza rinunciare a una chiara identità nazionale. La prima cosa da costruire doveva essere un’identità di marca capace di dare un’impronta riconoscibile ai libri, alle collane e a tutta la comunicazione della casa editrice, che rendesse evidente il luogo di origine del nostro “prodotto”. Il logotipo (un rondone in una porzione di cielo stellato proiettato verso l’esterno), il carattere di stampa (il Dante), la qualità della carta e la cura nella fabbricazione dei libri rimandano agli antichi maestri tipografi del nostro Paese.

Qual è il progetto espressivo e di mercato di Portaparole?

Portaparole si iscrive in un progetto comune di editoria europea, non per il bilinguismo della casa editrice, ma per l’esigenza crescente di ripensare il concetto di confine della «letteratura europea». Letteratura al singolare — giustamente — per la difficoltà a classificare secondo il paese di appartenenza l’opera di uno scrittore. Per esempio quale paternità dare a Kafka, scrittore ebreo di lingua tedesca, nato a Praga? o a Rilke poeta austriaco, morto in Svizzera che scriveva in francese e in italiano? o a Conrad scrittore polacco che scriveva in inglese? e oggi a Kundera, praghese come Kafka, che scrive in francese?

Portaparole pubblica in italiano e francese. A che cosa si deve questo bilinguismo?

Al liceo, come molti della mia generazione, ho studiato lingua francese. Qualche viaggio in Francia verso i vent’anni mi ha fatto incontrare amici francesi che piano piano hanno nutrito la mia voglia di letture: prima Sagan, Duras, Beauvoir, Yourcenar... poi Camus, Gide, Proust... I primissimi libri Portaparole nascono in francese e vengono tradotti in italiano, quindi pubblicati nelle due lingue in edizioni gemelle.

Concludendo quest’incontro vorrei sapere qual è a tuo avviso il maggiore pregio (se c’è) e quale il suo peggiore difetto (se esiste) dell’editoria italiana oggi…

Una lunga lista di autori intramontabili, quali Pirandello, Svevo, Pavese, Moravia, Sciascia, Calvino, Buzzati... permettono all’editoria italiana di sopravvivere con dignità, e questo è il pregio. Purtroppo però i pochi autori buoni che ancora continua a “produrre” — Eco, Tabucchi, De Luca, Camilleri... — si trovano troppo spesso in compagnia di produzioni letterarie che nulla hanno a che fare con la letteratura: lo scrittore del secolo non si trova fabbricando best-seller alla Moccia o alla Saviano, e questo è il difetto.

Cliccate QUI per visitare il sito web dell’Editrice.


Portaparole (3)


Due importanti collane di “Portaparole" sono dirette da Elisabetta Sibilio.
E’ professoressa di Letteratura Francese all’Università di Cassino.
Specialista della poesia del secondo Ottocento, di lei abbiamo saggi su Lautréamont, Baudelaire, Laforgue, Rodenbach.
Oltre a collaborare alla traduzione del “Peintre de la vie moderne” di Baudelaire, ha tradotto e curato due delle maggiori commedie di Musset, opere di narratori contemporanei come Kessel, Fiechter, Boulanger e diversi testi di saggistica. Di recente i suoi interessi si sono focalizzati anche sul romanzo francese contemporaneo.
Per un elenco delle sue pubblicazioni: CLIC!

A Elisabetta Sibilio ho rivolto tre domande.
Vorrei da te un profilo delle due collane - Maudit e I venticinque - che dirigi per "Portaparole". Cominciamo da Maudit...

Mi è stata affidata la direzione di Maudit, quando era già in lavorazione “L’indifferente” di Proust. Mi sono subito piaciute moltissimo la veste grafica e l’idea del “libro a due facce” che mi pareva potesse essere sfruttata molto bene anche da un punto di vista didattico. (leggere il testo originale potendo ricorrere a una ottima traduzione ma senza averla sotto gli occhi è molto stimolante). Potendo rivolgermi per mia fortuna a moltissimi colleghi-amici e a giovani studiosi di grande valore ho cominciato a pensare a una serie di titoli “classici ma non troppo” che sono stati rilanciati da Maudit con ottime introduzioni e nuove e brillanti traduzioni. Così la collana ha accolto piccoli testi di grandi autori, da Flaubert a Pirandello, da Proust a Melville fino all’ultimo gioiellino, “La Princesse de Montpensier” di Madame de Lafayette e ai due volumi che usciranno alla rentrée, un sorprendente racconto di Forster e l’intramontabile “Point de lendemain” di Vivant Denon.

E adesso parlaci della collana ‘I venticinque’, a cominciare dal perché ha questo titolo...

Questa collana mi ha “adottato” come curatrice quando era già brillantemente avviata. La logica del titolo è quella di designare un insieme “finito”. Per spiegarmi meglio: tra poco i 25 primi volumi saranno usciti, per i secondi 25 cambieremo la veste grafica o un suo elemento caratterizzante (un colore ad esempio, ma lì io non ne capisco niente e mi affido completamente al genio grafico e al solido gusto di Emilia Aru). La caratteristica principale di questa collana è quella di tutti i libri di Portaparole e cioè, ancora una volta, di essere “doppia”: tutti i libri di Portaparole sono pubblicati in italiano e in francese. Questo permette di far conoscere autori giovani o comunque esordienti, francesi e italiani, a un altro pubblico, saltando un primo gradino. Spesso dei buoni esordienti passano “inosservati” sugli affollatissimi banchi delle librerie, noi cerchiamo di dar loro una “doppia chance”. Nei 25 trovano spazio però anche autori affermati, come Pierre Assouline, o un “classico moderno” come Vercors che Portaparole sta riproponendo “integralmente”, a partire dalla sua produzione anteguerra, firmata Jean Bruller (“21 ricette di morte violenta”) fino all’ultimo, dimenticato, racconto (“Il comandante del Prometeo”).

Sei una delle massime esperte di Lautréamont e 'Portaparole' ha pubblicato il tuo saggio 'Lautréamont lettore di Dante'.
Da dove nasce il tuo interesse per questo autore e qual è l'importanza che gli attribuisci?

Grazie per il titolo di “massima esperta” che accetto solo perché gli esperti di Lautréamont sono ormai talmente pochi… Il mio interesse nasce in maniera un po’ casuale, quando mi viene assegnata una tesi di laurea sugli “Chants de Maldoror”.
Devo dire che ci ho messo un po’ a capire che mi piacevano e che si trattava di un testo importante ma tali erano, e sono ancora, la fiducia e la stima per la mia maestra, che non ho ceduto alla prima sensazione, tanto che poi anche la mia tesi di dottorato, il mio primo lavoro di ricerca di una certa complessità era ancora sull’opera di Lautréamont.
L’interesse per l’autore è legato proprio all’importanza dei suoi testi che sono un “punto fermo” nella poesia del secondo Ottocento. Nella poetica di Isidore Ducasse confluiscono alcuni concetti cardine della “modernità”: l’idea anti-romantica della poesia come lavoro e non come ispirazione, che gli viene da Baudelaire, il lavoro sulla forma, al centro di tutta la riflessione poetica dei moderni e l’adozione della prosa, ancora una volta in linea con Baudelaire, ma soprattutto la celebrazione di ciò che oggi si chiama “intertestualità” e che nelle “Poesie” lui chiama “plagio” proclamando in sostanza l’idea (direi addirittura postmoderna) che la poesia si nutre di materiali eterogenei e preesistenti e che quello del poeta è un lavoro di scelta prima e di ricontestualizzazione poi. Ma mi fermo qui perché su Lautréamont, che ormai un po’ mi perseguita, potrei parlare per ore
.


Gli Arcioni

Tra pochi giorni, a ottobre, si aprirà la nuova stagione delle interviste che conduco dal settembre del 2000 nella taverna spaziale dell’Enterprise e che ha visto finora tra i miei avventori oltre 200 protagonisti della letteratura, dello spettacolo, del mondo scientifico.
Come ogni anno, scelgo una sigla enogastronomica italiana che consiglia e offre (virtualmente) una bottiglia da sorseggiare durante le conversazioni con i miei ospiti.

Quest’anno – da ottobre fino a giugno 2012 incluso – è di scena il Centrovini Arcioni guidato dai fratelli Jacopo, Andrea, Massimiliano , Arcioni qui elencati come ritratti da sinistra a destra nella foto.
Dirigono, con stile raro a trovarsi, un’enoteca – a Roma, in Via Giuliana 13, quartiere Prati – che è un piccolo gioiello per la qualità dei vini, dei distillati, delle bollicine (di recente presentano anche una assai ricca scelta di birre), e, non ultimo pregio, per l'accogliente eleganza dell’ambiente: pochi tavoli assistiti in maniera impeccabile da Sisto e Valerio, ma è naturalmente possibile bere al banco, fare asporto delle bottiglie e anche di alcune prelibatezze gastronomiche.
Ai miei occhi, hanno un ulteriore pregio: i tre fratelli non praticano il detestabile Happy hour pur offrendo, in senso letterale, accompagnamenti sfiziosi ai clienti bevitori; Happy hour… in inglese, si sa, significa letteralmente ora felice, per me lo è tanto quanto furono le cinque della sera per Ignazio Sánchez Mejías cantato da Lorca.

Massimiliano, Andrea, Jacopo, rappresentano la terza generazione di una famiglia che è una delle più antiche nella gestione di locali enogastronomici romani. Perché Mario Arcioni, già giovane erede di una tradizione commerciale con sede in via Banchi Vecchi, aprì nel 1932 a Piazza Crati (dove ancora agisce la sede madre) un bar attrezzato di pasticceria e torrefazione. Seguiranno la sua opera i figli Claudio, Massimo e Marcello che arricchiranno l’offerta del locale con un’attrezzata enoteca. “Arcioni” diventa in breve uno dei locali più noti a Roma, e – come avviene ancora oggi – presenta incontri di degustazione d’etichette che, spesso, proprio da quegli incontri dedicati hanno spiccato il volo.
Nel 1977 il negozio di Piazza Crati aumetò i propri spazi con l’acquisto degli adiacenti locali di Via Nemorense e nasce così il Centrovini che poi si sdoppierà nel nuovo locale (ex Fiaschetteria Marini) in Via Giuliana di cui ho detto in apertura di questa nota.

Il primo ospite delle mie interviste sarà Federico Zecca, semiologo, docente presso l’Università di Udine.
Quale bottiglia sarà consigliata dai tre fratelli Arcioni da bere virtualmente durante quella conversazione?... Chissà!
Per saperlo, visitate la sez. Enterprise di questo sito on line da lunedì 3 ottobre.
Cin Cin!


Una stagione sul Vascello


Al Teatro Vascello di Roma sta per partire la nuova stagione.
A Manuela Kustermann, in foto, che lo dirige, ho chiesto un profilo delle motivazione delle scelte praticate.

Una stagione all'insegna dell'interdisciplinarietà, dove oltre alla consueta azione di scouting, per favorire l'ingresso al teatro ufficiale a giovani compagnie talentuose, proponiamo dei testi classici rivisitati alternati ad autori contemporanei, e poi il consueto appuntamento con la danza contemporanea, l'opera concerto e tanta musica con il progetto “Cose” in collaborazione con Ass. Controchiave e LSD Produzioni. Il progetto “Doppio Assoluto” che dopo il grande successo dello scorso anno (erano presenti Alessandro Prezioni, Michele Rabbia, Bobo Rondelli, Andrea Rivera, Gabriele Lavia, Rita Marcotulli, Javier Girotto, Leo Gullotta) riproponiamo con la medesima formula: un grande del teatro che incontra un grande della musica in una jam session inaspettata e unica per l'appunto nel suo genere, saranno 4 appuntamenti ancora in fase di preparazione. Inoltre per le scuole oltre alla programmazione del Vascello dei Piccoli, sempre ricca di incredibili titoli, proponiamo due progetti all'insegna del sociale, uno che toccherà la solitudine degli adolescenti “La sola Giuventù” a cura di Andrea De Magistris (Dynamis teatro) e l'altro di Riccardo Cavallo sulla problematica legata alla shoah “Le train de Youkali” e ancora il teatro shakespeariano in lingua originale con la collaborazione della Link Academy.
Ricche e importanti le collaborazioni: dove vede ancora riconfermata la presenza di Romaeuropa Festival che presenterà in autunno l'ultimo lavoro della Societas Raffaello Sanzio e la compagnia Muta Imago; tre appuntamenti con Roma Città Teatro, e ancora la collaborazione con il teatro Eliseo e la Fondazione Romaeuropa teatro Palladium per un abbonamento congiunto e la promozione trasversale degli spettacoli presenti nei tre cartelloni. Infatti una novità che ci rende veramente orgogliosi è proprio quella di vedere in rete questi tre importanti teatri del circuito dello spettacolo romano. L’abbonamento che si chiamerà “Abbonamento in Rete” sarà possibile acquistarlo presso le biglietterie dei tre teatri che aderiscono all’iniziativa: Vascello, Palladium, Eliseo dal 15 dicembre 2011 al 15 febbraio 2012. Prevede sei spettacoli al costo di € 60.00, due spettacoli per ogni teatro. Vi aspettiamo
!

Fare un CLIC per conoscere in dettaglio il cartellone 2011 – 2012.

L’Ufficio Stampa del Teatro Vascello è guidato da Cristina D’aquanno: promozione@teatrovascello.it ; 06 – 58 98 031 e 06 – 58 81 021


Dizionario di stile e scrittura (1)


Afferma Jules Renard: "Scrivere è un modo di parlare senza essere interrotti”.
D’accordo Monsieur Jules, ma se chi scrive compone il testo in modo scorretto rischia d’essere interrotto dall’abbandono del lettore.
Questo pericolo è in agguato sia nelle comunicazioni correnti sia nelle pagine di narrativa, qui fatta eccezione per quelle di carattere sperimentale laddove la violazione di regole lessicali e norme grafiche è voluta, anzi reclamata dallo statuto linguistico della ricerca espressiva.
Di pagine così, però, oggi, ce ne sono poche in giro, abbondano quelle tamariche… no, non manca una erre derivando da tamarro, ci siamo quasi ma il riferimento è proprio alla Tamaro… quelle cioè che sono – o dovrebbero essere – sostenute da una corretta forma espositiva visto che da quelle parti nulla sperimentano e niente ricercano.
Ecco, quindi, da salutare calorosamente una preziosa pubblicazione della Zanichelli: Dizionario di stile e scrittura.
Ne sono autrici, Marina Beltramo e Maria Teresa Nesci.

Il "Dizionario di stile e scrittura" è una guida pratica che affronta tutti i temi connessi allo scrivere: dalla ricerca e dall'organizzazione dei contenuti fino alla cura della comprensibilità, della correttezza e dello stile editoriale.
L'ordinamento alfabetico dei temi principali affiancato da un indice dettagliato degli argomenti dà la possibilità di risolvere velocemente dubbi puntuali (specialmente linguistici, tipografici e ortografici). Una mappa tematica degli argomenti consente invece di seguire un percorso formativo, completo o focalizzato su un tema specifico della scrittura. Il volume è ricco di elenchi e prospetti di abbreviazioni, codici e simboli previsti dai vari standard nazionali e internazionali, e tratta un ampio repertorio di testi professionali o di studio, corredati da esempi, scalette pronte e liste di controllo rapido.

E’ un utile regalo da fare ad apertura d’anno scolastico ai nostri ragazzi che vanno in una scuola devastata dalla signora Gelmini che oltre ai provvedimenti assai discutibili che ha preso, si è presentata in Parlamento usando gli accenti in modo temerario dicendo, ad esempio, Nemèsi!... questo dizionario, signora Gelmini, lo compri di corsa!... dopo l’acquisto, s’impone, di una Guida all’Accentazione nella Lingua Italiana.
Dal volume traggono beneficio i professionisti della scrittura (giornalisti, comunicatori aziendali, redattori di case editrici, autori di opere su carta o per il web), chi scrive occasionalmente per lavoro e chiunque voglia perfezionare le proprie conoscenze in questo àmbito.
Nel libro si trovano oltre 400 voci su processo di scrittura, documentazione e bibliografia, tipi e generi testuali, stile editoriale ed espositivo, comprensibilità, correttezza, scrittura su Internet; una mappa tematica degli argomenti; un’appendice giuridica (sul diritto d’autore e sulla protezione dati personali).
Tutto questo non faccia pensare a un’arida esposizione delle corrette forme di composizione di un testo, perché le due autrici trattano gli argomenti anche con punte di umorismo. Un’esemplificazione: i “falsi amici”, cioè quelle coppie di parole appartenenti a lingue diverse che sono molto simili nella forma ma differenti nel significato. Questa somiglianza può indurre un parlante inesperto o un traduttore improvvisato a considerarli equivalenti sicché scambierà tragicamente la parola scholar per “scolaro” e invece significa studioso, oppure cadrà in forsennati equivoci zoologici credendo che ostrich stia per “ostrica” e invece significa struzzo.
Per non dire poi dei “Pseudoprestiti”. Sono così chiamati dalla Beltramo e dalla Nesci quelle forme ibride che si pensa siano la lingua d’origine laddove, invece, non esistono o hanno diverso significato.
Esempi: Beauty case. In inglese si dice Vanity case.
Oppure Lifting. In inglese significa sollevamento; l’intervento di chirurgia estetica è detto Facelifting.
O ancora Roulotte. Il rimorchio attrezzato come abitazione in francese è detto Caravane.

Segue ora un incontro con le due autrici.


Dizionario di stile e scrittura (2)

Come ho scritto nella prima parte di questo servizio, le due autrici del Dizionario di stile e scrittura sono Marina Beltramo e Maria Teresa Nesci.
La Beltramo ha esercitato per molti anni la professione di technical writer. Si occupa di didattica della scrittura dal 1992, insegnando in corsi universitari e aziendali.
Maria Teresa Nesci ha lavorato come lessicografa e si è occupata dell’aggiornamento degli insegnanti di italiano come seconda lingua. Ha tenuto laboratori e corsi di scrittura in ambito universitario.
Alle mie domande le sentirete rispondere con una voce sola: prodigi della tecnologia presente a bordo di Cosmotaxi.

Quali le principali motivazioni che vi hanno convinte a compiere questo lavoro?

Ci occupiamo da molti anni di didattica della scrittura in ambito universitario. Fin dall’inizio il nostro intento è stato quello di esplorare tutti gli aspetti che contribuiscono alla produzione di buoni testi di tipo informativo: controllo di tutte le fasi del processo di scrittura, cura della correttezza e della comprensibilità della lingua, rispetto degli standard e delle convenzioni, analisi di generi testuali professionali o di studio (con un occhio di riguardo a quelli di tipo tecnico, dato che i nostri corsi erano rivolti prevalentemente a futuri ingegneri).
Un libro che contenesse tutto quello che ci serviva non c’era, quindi abbiamo pensato di “fabbricarlo” noi, con l’ampiezza di contenuti che volevamo, scritto in un linguaggio piano e comprensibile e organizzato in modo da facilitare una ricerca rapida sia delle informazioni puntuali sia degli argomenti più ampi, ma che nello stesso tempo funzionasse come un manuale completo di scrittura. Procedendo poi nel lavoro, abbiamo pensato di allargare la trattazione alle questioni redazionali, in modo da coprire davvero tutti gli aspetti significativi legati alla scrittura
.

L'Associazione ‘La bella lingua’, ha redatto tempo fa un manifesto in difesa della lingua italiana sottoscritto da molti autori e operatori culturali. Da chi e da che cosa, secondo voi, va difesa oggi la lingua italiana? Ammesso che vada difesa, s’intende…

Certo, la lingua italiana va difesa. Ma non nel senso che viene subito in mente. Cioè non pensiamo si debbano erigere barriere per impedire l’influenza di altre lingue (l’inglese soprattutto), dei dialetti o delle lingue speciali (per esempio le lingue della scienza e della tecnica, ma anche quelle della moda o dello sport); nemmeno crediamo che occorra evitare la contaminazione da televisione, Internet, telefonino (mezzi di comunicazione sempre citati quando si parla di imbarbarimento dell’italiano).
A noi piace l’idea di una lingua “ospitale”, capace di accogliere e integrare le novità. Una lingua che grazie alle contaminazioni diventa ancora più ricca e multiforme. È questa ricchezza che va difesa
.

Come dovrebbe quindi regolarsi chi insegna l’italiano?

L’educazione linguistica dovrebbe fornire strumenti espressivi (compresi quelli più rigorosamente e noiosamente grammaticali), e affinare sensibilità e gusto per far sì che si sappia parlare e scrivere nel modo più adatto alla situazione: con una sintassi semplice e un lessico preciso, per trasmettere informazioni importanti con la minima dispersione di significato (è il caso dei testi di cui noi professionalmente ci occupiamo); in altri casi con una sintassi più articolata e un linguaggio più brillante ed eccentrico. Il gusto per la comunicazione dovrebbe anche comprendere lo sforzo – ma anche il piacere – di rinunciare a mode e routine linguistiche per produrre qualcosa di autentico: un testo fatto a misura esatta di quello che intendiamo dire. Ricchezza e varietà linguistica in questo ci aiutano.
Posso anke scrivere come in un msgn xò poi è bene che sappia usare il congiuntivo al momento opportuno. Per non fare brutte figure, ma anche per dare ai miei pensieri una resa migliore
.

Marina Beltramo – Maria Teresa Nesci
Dizionario di stile e scrittura
Pagine 1312, Euro 29.00
Zanichelli


Suoni fra i Sassi


E’ annunciata dalla Rai una manifestazione a Matera di Radio 3 che si terrà da domani giovandosi della tradizionale ospitalità dei materani.
E’ il tentativo di riprendere il tracciato Suono-Matera che proprio da RadioRai e proprio a Matera fu percorso dalla fascia di programmi sperimentali Audiobox con un Festival dalla cadenza biennale dal 1986 al 1990, dopo due edizioni tenutasi presso l’Università di Rende (1984 e ’85) e una precedente rassegna di audioperformances svoltasi a Roma, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (1980).
Per chi non sa, e per chi alla Rai non vuole ricordare, ecco qualche nota.

Quel Festival fu patrocinato dall’EBU/UER (European Broadcasting Union), presente a Matera col dirigente responsabile per la Radiofonia Christian Heidsieck e si avvalse del contributo economico del Comune e della sua Amministrazione.
Tra le radio straniere sempre presenti con propri programmi e autori ricordo quelle di Australia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Jugoslavia, Israele, Germania, Polonia, Finlandia, Austria, Francia, Spagna, Olanda.
Estesa fu anche la partecipazione di Laboratori e Studi applicati sulla sperimentazione sonora sia estetica sia scientifica.
Sulla spinta di Audiobox, per fare emergere le aree sperimentali nei vari enti radiofonici, non solo pubblici, si costituì tra Colonia e Firenze nel 1986, in seno all’Ebu/Uer, il gruppo “Ars Acustica” che vanta la produzione di vari Cd editi, in coproduzione, da più paesi. Dopo Audiobox ’86, e su quell’esempio, fiorirono in tutta Europa incontri, rassegne, esposizioni sonore e audiovisive, installazioni a Roma, Rimini, Wroclaw, Arles, Londra, Vienna, Madrid, Budapest, alle Far Oer, che videro sempre protagonista la Rai con Audiobox.

Si trattò di un’esperienza che veniva da oltre un decennio di lavoro negli studi di Via Asiago e che in vent’anni ha prodotto – con le sue trasmissioni quotidiane di 30’ ciascuna – una pluralità di audiomodelli (sia in diretta sia registrati) tendenti a proporre nuove forme di drammaturgia sonora, a verificare le contaminazioni tra il mezzo radiofonico e i procedimenti di altri mezzi espressivi e, infine, aprendosi alla multimedialità dell’allora nascente era digitale; buona parte di questo lavoro è presente nelle teche Rai, alla Discoteca di Stato, in molte audioteche di radio pubbliche straniere.
Il Festival “Audiobox” vide precisarsi di volta in volta la sua progettualità sugli spazi urbani materani dislocando in più località cittadine installazioni, concerti, performances, punti d’ascolto; il tutto con un largo coinvolgimento di intelligenze e di professionalità lucane.

A fondare e articolare quel progetto Pinotto Fava, col quale ebbi il piacere di collaborare, che radunò intorno a sé nomi largamente noti e outsiders, esperti professionisti e debuttanti, singoli operatori e laboratori di ricerca, attori, artisti, critici, esperti di media.
Largo spazio a quel contenitore Rai è dato dalla Garzantina della Radio a cura di Peppino Ortoleva e Barbara Scaramucci.
Tempo fa, Pinotto Fava fu invitato dal webmagazine materano SassiKult a tracciare la storia e il profilo espressivo di Audiobox, il suo scritto che fra suoi vari interventi mi pare il più esauriente per idee, fatti e nomi lo trovate QUI.
In epoca recente il PAN (Palazzo Arti Napoli) ha dedicato parte della Mostra-Convegno internazionale “Radioaktivitat” proprio ad “Audiobox”; per una documentazione audiovisiva basta un CLIC!
Sul programma Audiobox (e quindi anche sull’omonima rassegna internazionale) sono state redatte tesi di laurea in varie università, anche fuori d’Italia.
Quanto fin qui si è in sintesi riportato accadeva 21, 23, 25 anni fa; sono fatti lontani, storici innegabilmente, e fatti che appartengono proprio all’azienda Rai.
Ancora una cosa quando la Rai portò a Matera “Audiobox”, Matera e i Sassi allora non erano stati ancora dichiarati dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità.

C’è da augurare a quanti si accingono a fare giornate radiofoniche a Matera di avere in futuro lo stesso successo internazionale che arrise ad “Audiobox”.
Per ottenere quel risultato dovranno lavorare con umiltà senza smemorare il passato, non solo per buona educazione ma perché si danneggia la Rai non rispettandone la storia e, inoltre, perché, citando Morgan Forster, ”Se non ricordi non puoi comprendere”.
Ma forse tutto questo è chiedere troppo a certi furbetti del microfonino.


L'onore perduto di Isabella (1)

Come i Codici Civili e Penali prevedono pene per cittadini colpevoli di reati, mi piacerebbe esistesse un Codice che punisse i reati commessi in Letteratura.
Fra i più gravi, dovrebbe figurare quello di scrivere una biografia romanzata; in quel caso andrebbero inflitte severe pene.
Dialoghi inventati, personaggi addirittura mai esistiti che fanno capolino in quelle storie, episodi tinteggiati in pomidorocolor, e altre fandonie nere come l’inchiostro.
Quest’anno, ad esempio, di quel turpe genere letterario ne ha fatto cospicue spese Emilio Salgari ricorrendo il centenario del suo suicidio. Leggesse certe pagine che sono state scritte su di lui, sono certo che, nuovo rasoio alla mano, farebbe un nuovo harakiri.
Quando ne scorgo una di quelle biografie, cerco un pusher per trovare conforto nella sua merce rischiando in tal modo io – o somma ingiustizia! – la galera.
Sono un lettore che ama le biografie, ma quelle vere. Uno dei testi più difficili da scrivere, perché lì ogni virgola fuori posto viene castigata. In quei volumi, infatti, il lettore vuole (e ne ha diritto) apprendere sul personaggio illustrato dal biografo esattezze di date, citazioni di documenti, particolari riferiti da testimoni (e conoscerne attraverso l’autore la valutazione della loro attendibilità), eccetera.
Ecco perché scrivere una biografia è faticoso: mica starsene lì, occhi al cielo e penna in mano, a inventare panzane.
La biografia romanzata è un ibrido da perdonare, forse, giusto a Senofonte per la sua ‘Ciropedia’, e pure in quel caso ho i miei dubbi.

Il libro che presento oggi è l’opposto di quanto finora schernito, è uno studio serio e appassionato che ha anche il pregio d’avvalersi di una scrittura tesa, scattante, che naviga fra documenti tenacemente ricercati e trovati in circa vent’anni di studi.
L’autrice è Elisabetta Mori che illustra e interpreta la figura di Isabella de’ Medici (Firenze, 31 agosto 1542 – Cerreto Guidi, 15 luglio 1576); titolo: L’onore perduto di Isabella de’ Medici, l'editore è Garzanti.
Isabella era figlia del Granduca di Toscana Cosimo I de' Medici e di Eleonora di Toledo. Nel 1553, quando aveva solo sette anni, i genitori stipularono per lei un contratto di nozze a Roma, che la legò a Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano; ancora adolescente fu condotta a nozze nel 1558.
Intorno alla sua vita, e sulle circostanze della sua morte, per secoli si sono scatenati scritti fantasiosi (in pratica, biografie romanzate o giù di lì) che hanno dipinto quella donna ora come una mezza zoccola, ora come una zoccola e mezzo; per non dire delle tesi, tutte tenebrose, circa la sua precoce fine.
Elisabetta Mori ricostruisce uno dei grandi misteri del nostro Rinascimento e lo fa in un modo in cui non si riesce a staccare l’occhio dalle pagine tanto i fatti sono narrati in modo avvincente pur senza nulla concedere alla cosmesi giallistica, ma, anzi, proprio le verità che fa saltare fuori dai documenti incatenano chi legge a conoscere l’andamento di quella storia ricca di risvolti ambigui.
Così, pagina dopo pagina, si arriva a sconcertanti rivelazioni perché apprendiam… no, miei cari lettori mi fermo qui, le librerie stanno lì apposta.
Posso aggiungere solo una cosa: non vi fidate di ciò che trovate scritto in Rete su Isabella de’ Medici, ma delle pagine della Mori che ora incontro nella seconda parte di questa nota.


L'onore perduto di Isabella (2)


La Mori, autrice di L’onore perduto di Isabella de’ Medici, è archivista storica, lavora all’Archivio Storico Capitolino di Roma.
Ha firmato numerosi saggi sull’Italia del Rinascimento e studia da anni la figura di Isabella de’ Medici.
A Elisabetta Mori ho rivolto alcune domande.

Nel tuo libro ti sei misurata con più misteri.
So che un mistero sta già nella copertina del libro con un ritratto di Isabella.
Ci dici in sintesi in che cosa c’è un giallo in quell’immagine?

Isabella, unica figlia sopravvissuta del Granduca di Toscana Cosimo I, deve essere stata ritratta, per forza di cose, moltissime volte. Eppure di lei si trovano pochissimi dipinti. Due di questi la raffigurano nello stesso elegantissimo abito nero trapunto di perle con gli stessi gioielli e la stessa acconciatura. Il più famoso è certamente quello a figura intera conservato a Firenze nella Galleria Palatina e attribuito ad Alessandro Allori. Un altro simile, ma con un colletto diverso, è nella villa medicea di Cerreto Guidi e la raffigura con uno spartito musicale in mano.
Alla Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini è conservato un terzo ritratto finora ignorato. E’ quello bellissimo della copertina del libro. Proviene dalla collezione Torlonia e nel catalogo era così definito: “Scuola fiorentina sec XVI, Ritratto di dama”.
La dama in questione porta una veste di velluto nero cosparsa di piccole perle. L’abito e il colletto sono identici a quelli del ritratto di Cerreto Guidi. Tuttavia la somiglianza tra l’abito e il volto della signora non sono gli unici motivi per riconoscere nel ritratto della Barberini la duchessa di Bracciano.
Tra il dicembre del 1572 e il marzo del 1573 i registri di conti dell’archivio Orsini documentano come Paolo Giordano Orsini facesse confezionare per l’amatissima moglie un abito di velluto nero, trapuntato di seta e di “ormesino” d’argento, imbottito di profumi e cosparso di piccole perle (margheritine), con i bottoni d’oro pieni di muschio e ambra. In quell’abito sontuoso, che richiese per mesi il lavoro dei migliori sarti, orafi, ricamatori e profumieri romani, Isabella si fece evidentemente ritrarre più volte. La mia grande soddisfazione è che oggi quel ritratto non è più definito “Ritratto di dama” ma “Ritratto di Isabella de’ Medici”
.

Un esercizio crudele alla maniera dell’Oulipo. Chi era Isabella?… un suo ritratto telegrafico in tante parole quante lettere compongono il tuo nome e cognome, cioè in 14 parole …

Non si deve disobbedire alle regole del gioco ma io lo farò perché mi diverte di più. Quindi userò 16 aggettivi tanti quanti possono essere contenuti in Isabella de’ Medici.
Intelligente Saggia Autorevole Bella Energica Libera Limpida Altera
Devota Estroversa
Materna Elegante Dotta Ironica Calunniata Innocente
.

Dove sta la differenza fra Storia e Cronaca?

Non voglio entrare in disquisizioni accademiche sul concetto di cronaca e di storia. Il presunto omicidio di Isabella de’ Medici è sicuramente un fatto di cronaca ma per la qualità dei personaggi coinvolti ci offre un quadro prezioso dei costumi, del sistema di valori, dei rapporti, degli strumenti politici, in poche parole della storia della seconda metà del XVI secolo. Ma non solo. Ci offre anche informazioni importanti sulla mentalità e i valori di chi nel tempo ha raccontato la vicenda di Isabella e di Paolo Giordano. Gli storici in passato (ma anche recentemente) hanno commesso due errori: hanno preso per attendibili fonti viziate che Bloch definirebbe ”insidiose e ingannevoli”, strumenti efficacissimi non tanto di circolazione di notizie quanto di idee e si sono lasciati condizionare fortemente dall’idea della donna fatale molto frequente nella letteratura ottocentesca. Hanno quindi tramandato un’immagine distorta di personaggi e avvenimenti molto lontana dalla realtà. Distorcendo la cronaca non si fa un buon servizio alla storia.

C’è chi sostiene che nei fatti della storia le tecniche telematiche sempre più tendono a dissolvere in tempi brevi il mistero. Vedi, ad esempio, Wikileaks.
Sei d’accordo oppure no con quest’affermazione?

A mio parere le tecniche telematiche producono una enorme quantità di dati contraddittori e difficilissimi da gestire, per cui i misteri non possono che infittirsi. Compatisco gli storici del futuro.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Elisabetta Mori
L’onore perduto di Isabella de’ Medici
Pagine 432, Euro 25.00
Garzanti


Hayastan e Veraznunt

Il genocidio sofferto dagli armeni è una grande tragedia della storia moderna alla quale Lello Lopez e Antonello Matarazzo hanno dedicato due lavori dai quali questa nota prende titolo.
La mostra è presentata da Sudlab Italia e ha per curatori Ignazio Maria Colonna e Chiara Pirozzi.
Cliccare QUI per saperne di più.

Venezia,
Palazzo Zenobio per l’Arte
Fino al 15 ottobre


Siena Art Institute


Il 24 settembre, una grande installazione d'arte collaborativa celebrerà l'apertura del nuovo spazio di formazione e ricerca artistica fondato da Paul Getty III. Dagli Stati Uniti alla Cina, dal Messico a Israele, più di un migliaio di artisti ha risposto ad un appello partecipando con un proprio lavoro alla mostra Drawing Connections: mille cartoline da tutto il mondo per dare il benvenuto al Siena Art Institute.
Abbiamo scelto di presentare ufficialmente il Siena Art Institute con questo evento d'arte collaborativa – spiega la Direttrice, Miriam Grottanelli – perché crediamo sintetizzi perfettamente la nostra mission e i nostri obiettivi: vogliamo essere un polo d'eccellenza per la formazione artistica ma anche un contenitore d'arte contemporanea aperto e informale in cui incontrarsi e condividere esperienze, uno spazio di ispirazione e ricerca in cui accogliere i migliori talenti internazionali e farli dialogare tra loro e con il territorio, esplorando le connessioni tra arte e società, contribuendo a crearne, dando impulso a nuovi progetti che traggano linfa vitale proprio da questa contaminazione virtuosa degli artisti tra loro e con la comunità locale.

Siena Art Institute: 400 metri quadri di aule e laboratori pronti ad ospitare residenze artistiche, qualificate opportunità di formazione accademica, un ricco calendario di corsi e seminari aperti alla città. Da gennaio 2012 i primi studenti e un fitto programma di ospiti illustri, da Ellen Altfest a Yvonne Jacquette, da Rolando Castellón a Laurie Fendrich.

Ufficio Stampa Siena Art Institute
press@sienaart.org
Natascia Maesi 338 – 34 23 462 natascia.maesi@gmail.com
Tiziana Landi 340 – 26 60 319 tizianalandi@gmail.com


La fine del comunismo


La caduta del Muro di Berlino nell’89 aveva avviato una reazione a catena in tutta l’Europa dell’Est, ma è solo nell’estate 1991 che l’Unione Sovietica si disgrega.
Fu allora, infatti, che il “Comitato Statale per lo Stato di Emergenza”, definito anche ‘Gang of Eight’, costituito da un gruppo di alti ufficiali del governo sovietico, del Partito Comunista e del KGB tentò un colpo di stato contro Michail Gorbaciov il 18 agosto 1991.
Due giorni dopo, il 20 agosto, furono costretti ad abbandonare; tre si uccisero, gli altri furono arrestati.
Per una scheda essenziale sull’avvenimento: QUI.

L’analista politico Valeri Vizhutovich commentando oggi quei fatti ha scritto: “L’agosto del ’91 segnò l’inizio dell’era Eltzin, seguita da quella di Putin. Un’epoca caratterizzata dall’addio alle speranze e alle illusioni dei primi anni post-sovietici, dalla crisi delle ideologie e dai tentativi di trovare un’idea nazionale”.
Per sapere, e capire, di più sulle cause e sugli effetti immediati di quel momento storico, Bruno Mondadori manda in libreria La fine del comunismo, un prezioso studio che ripercorre le tappe essenziali di un evento che ha ridisegnato la mappa culturale e politica del nostro tempo.
Ne è autore un grande storico qual è Marcello Flores che ha il merito di avere importato nelle pagine delle sue pubblicazioni un approccio multidisciplinare con i contributi della psicologia e dell’antropologia, del diritto e della sociologia.
Insegna Storia contemporanea all'Università degli Studi di Siena.
Studioso come pochi della storia dell'Europa orientale, ha affrontato il problema del totalitarismo nel Novecento. Tra i suoi libri: Tutta la violenza di un secolo; 1917. La rivoluzione; Storia dei diritti umani.
Per Bruno Mondadori ha curato Storia, verità e giustizia.

In questo suo più recente lavoro, Flores contro le interpretazioni ideologiche diffuse che considerano il crollo del comunismo come la sorte inevitabile di un regime autoritario e immobile, riporta l'attenzione sul processo storico, sulle radici di un cambiamento, che avviatosi già negli anni precedenti, viene alimentato e accelerato dalla politica riformista di Gorbaciov.

A Marcello Flores ho rivolto alcune domande
Quale la principale motivazione all'origine di questo tuo recente lavoro?

La fine del comunismo ha costituito un evento storico epocale, tra i non più di dieci che avvengono in un secolo. Capire come si era giunti a questo evento è stata la spinta maggiore, soprattutto considerando le risposte e interpretazioni spesso molto riduttive e ideologiche che sono state date per comprendere quanto avvenuto.
Il giudizio sul comunismo è stato nella maggior parte un giudizio politico e ancor più ideologico e morale, rendendo difficile comprendere la dinamica degli avvenimenti e le cause di quanto è avvenuto, che venivano offuscate da un giudizio di valore sull’esperienza storica del comunismo. Avendo scritto, come hai ricordato, qualche anno fa (nel 2007) un libretto, pubblicato da Einaudi, sulla dinamica della rivoluzione del 1917, mi sembrava interessante poter compiere un discorso analogo – di vera e propria analisi storica dell’evento avvenuto – sulla fine del comunismo e dell’esperienza storica iniziata nel 1917 che termina con il 1989-1991
.

Ti soffermi in una parte del libro sull’”aspro contrasto” che il riformatore Gorbaciov ebbe proprio con Eltzin, il più radicale dei riformatori.
Quale l’importanza di quel conflitto?

Il conflitto tra Gorbaciov e Eltsin è stato decisivo da più punti di vista: ha indebolito complessivamente l’area riformatrice ma ha anche permesso a una sua componente di radicalizzarsi e andare oltre le ambiguità e contraddizioni della prima parte della perestrojka; ha accelerato la crisi interna al partito comunista ma ha anche costituito un punto di riferimento per la società civile spingendola alla partecipazione; ha sottolineato l’importanza non solo delle singole figure carismatiche ma anche della loro legittimazione (attraverso elezioni dirette, come Eltsin, o solo da parte del parlamento, come per Gorbaciov) e quindi della loro forza di attrarre consenso; ha messo in evidenza la difficoltà a tenere insieme l’Unione ma anche la deriva complicata e pericolosa dei nazionalismi delle tante repubbliche (compresa quella russa). La mancanza da parte dei due protagonisti di giungere a soluzioni di compromesso e collaborazione (una prima volta per colpa di Gorbaciov, una seconda e più decisiva per colpa di Eltsin) ha travolto il precario equilibrio e permesso al tempo stesso la fine dell’Urss ma anche la sua “conquista” da parte della burocrazia oligarchica più agguerrita, dinamica e cinica attraverso i nuovi stati più o meno parlamentari.

A vent’anni dal fallito golpe, nell’agosto appena trascorso, Gorbaciov ha dichiarato: “La politica di oggi in Russia significa un ritorno al passato”.
Sei d’accordo con quella dichiarazione? Se sì oppure no, perché?

La politica in Russia, sente molto il peso del passato e il potere cerca di utilizzarlo nel modo a lui più favorevole. Non si può parlare di ritorno al passato anche se gli aspetti autoritari del regime russo sono evidenti e i limiti posti alla pratica democratica (si pensi solo alla libertà di stampa) sono enormi e continui, ma non è un ritorno al passato. Lo è, per certi versi, il richiamo alla grandezza della storia russa e del ruolo della Russia nella storia, che si intende riproporre e rilegittimare anche azzerando o accantonando le critiche a Stalin e in genere al regime comunista (compreso il bolscevismo di Lenin, il pseudoriformismo di Chruscev e la stagnazione cupa di Breznev) per rivalutare la grandezza dello stato e il ruolo di grande potenza che la Russia aveva avuto nell’arena internazionale durante tutto il XX secolo.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Marcello Flores
La fine del comunismo
Pagine 200, Euro 18.00
Bruno Mondadori


Visions of Blindness


Una volta ci fu un giornalista che a Borges espresse parole compassionevoli circa la cecità che aveva colpito quel grande autore, e si sentì rispondere. “Tu non sai cosa ti perdi”.
Paradosso di un’intelligenza tragica e felice che ha tastato un mondo di cellulosa, il braille di personaggi di carta che si fa carne e preferisce l’interrogativo all’esclamativo.
Sarebbe piaciuta a Borges la domanda “Che colore ha la cecità?”. Credo di sì.
Che sia il bianco? Almeno tale è il pensiero di José Saramago come viene fuori dal romanzo “Cecità” dove in una città mai nominata, un automobilista fermo al semaforo si accorge di essere diventato improvvisamente cieco; la sua malattia, però, è speciale: infatti egli vede tutto bianco.
E forse a Saramago si richiama il fotografo Stefano De Luigi che, in occasione della quinta edizione di “Rovereto Immagini”, al Mart di Trento inaugura la mostra Blanco. Visions of Blindness, a cura di Giovanna Calvenzi, negli spazi espositivi del mezzanino del Mart.

De Luigi è un fotografo di estrazione giornalistica da tempo impegnato in un’analisi sulla “fabbricazione e fascinazione delle immagini”, come scrive Philippe Dagen nel testo critico di presentazione della mostra.
Dopo aver indagato i mondi della televisione, del cinema e della pornografia, con “Blanco” ha sviluppato un lavoro ancora legato al tema della visione, del dolore e della percezione dello sguardo altrui, ma con soggetti molto particolari: sono immagini di persone cieche, ritratte nell’arco di quattro anni, dal 2003 al 2007 in India, Cina, Africa e Europa dell’Est.
Tuttavia la ricerca non è solo svolta su aspetti formali, ma riguarda questioni complesse di carattere etico: “Come fanno i ciechi a mostrare gioia, felicità, irritazione, dolore, sofferenza, pena, rimpianto? L’assenza della vista significa assenza di complicità con il fotografo?” Sono domande che segnalano l’originalità della sua ricerca.

Il modo di raccontare in immagini di Stefano De Luigi – scrive Giovanna Calvenzi nel testo in catalogo – si riconduce alla scuola nobile del giornalismo fotografico ma le realtà che si trova ad affrontare lo stimolano a cercare una strada che gli consenta di testimoniare per suggestioni, per avvicinamenti che evitino la compassione ma anche la denuncia. Sa che il riflesso di sopravvivenza più diffuso è di chiudere gli occhi davanti a un’evidenza che ci turba, di fingere di non vedere quello che ci potrebbe ferire e, in estrema sintesi, di accettare la trasformazione della realtà in un’immagine che metabolizzi e renda accettabile il dolore, che allontani i rischi di immedesimazione, immagini dalla cui forza di verità ci dobbiamo difendere per sopravvivere. Il muro di protezione dalle emozioni che le fotografie più aspre e dirette ci costringono a costruire doveva e poteva essere sgretolato solo da immagini meno dirette, più difficili e capaci di smuovere, di coinvolgere, di informare e turbare.

Per visitare il sito web di De Luigi: CLIC!

Sempre al Mart, continua la mostra “Reflect what you are” di Olimpia Ferrari, a cura di Walter Guadagnini.
Questo sito, nella Sez. Nadir, dedicherà alla Ferrari un servizio che sarà on line da lunedì 3 ottobre.

Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web, l’Ufficio Stampa Mart è guidato da Luca Melchionna e Clementina Rizzi: press@mart.trento.it

Stefano De Luigi
“Blanco. Visions of Blindness”
Mart di Trento
Infoline 800 – 39 77 60
Fino al 30 ottobre 2011


Il porno espanso

Uno dei segni distintivi della nostra epoca è lo studio della sessualità sia nelle sue componenti organiciste sia nelle sue implicazioni nella produzione estetica e commerciale. Dopo l’esplosione del tema avvenuta con la fondazione della psicoanalisi tra la fine dell’800 e l’inizio del secolo scorso, è seguito un periodo di oscuramento del tema stesso che ha ripreso vigore nel secondo dopoguerra quando fu pubblicato in America il “Rapporto Kinsey” sul comportamento sessuale dell’uomo e della donna.
Progressivamente si è assistito a un infittirsi di pubblicazioni che hanno studiato i plurali aspetti della nostra condotta non solo fra le lenzuola ma anche sulle ricadute nei costumi sociali.
Cosmotaxi è interessato a queste tematiche e tra le più recenti testimonianze di quest’attenzione, ricordo le interviste alla sessuologa Gloria Persico e la presentazione del libro di Sergio Messina Real sex. Il porno alternativo è il nuovo rock 'n 'roll.

Oggi segnalo un volume pubblicato dall'Editrice Mimesis intitolato Il porno espanso Dal cinema ai nuovi media.
Riunisce una serie di contributi dedicati alla pornografia audiovisiva contemporanea, intesa come forma culturale veicolata attraverso molteplici piattaforme tecnologiche (cinema, televisione, internet). Nella prima parte, il volume analizza i meccanismi economici, sociali e linguistici che sottendono l’attuale produzione pornografica, soffermandosi in particolare sulle modalità di produzione/rappresentazione e sulle pratiche di fruizione/partecipazione. Nella seconda parte, il volume esamina i processi di migrazione che portano la pornografia audiovisiva a disseminarsi all’interno di altri sistemi espressivi (cinema d’autore e di genere, arti visive, video-clip, fiction televisiva, fashion, design).

I curatori del libro sono: Enrico Biasin, Giovanna Maina, Federico Zecca.
Il volume contiene saggi firmati dai tre curatori e da: Simone Arcagni, Piet Bakker, Andrea Bellavita, Manuel Billi, Alberto Brodesco, Patrizia Calefato, Emanuela Ciuffoli, Roberto Curti, Bruno Di Marino, Barbara Laborde, Tommaso La Selva, Peter Lehman, Stephen Maddison, Giacomo Manzoli, Sara Martin, Roy Menarini, Enrico Menduni, John Mercer, Marcello Monaldi, Emmanuel Plasseraud, Clarissa Smith, Saara Taalas.
Postfazione di Peter Lehman.
Tra questi nomi ne ricordo due già intervenuti con loro pubblicazioni in questo sito: Patrizia Calefato con Gli intramontabili ed Emanuela Ciuffoli con Texture .

Qualche nota biografica sui curatori di “Il porno espanso”.
Enrico Biasin ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Studi Audiovisivi presso l’Università di Udine, dove ha insegnato Elementi di giornalismo cinematografico. Suoi saggi sono apparsi su riviste internazionali (Cinéma & Cie. International Film Studies Journal, Quaderni del CSCI) e nazionali (Immagine. Note di Storia del Cinema, Bianco & Nero). Fra le sue pubblicazioni: Fonti, metodi, ricerche. Le discipline della ricerca storica a confronto (2004, con Raffaella Canci e Stefano Perulli), Lo stile cinematografico/Film Style (2007, con Giulio Bursi e Leonardo Quaresima), Le età del cinema/ The Ages of Cinema (2008, con Roy Menarini e Federico Zecca). È membro del comitato di redazione della rivista Cinergie: Il cinema e le altre arti.

Giovanna Maina è Dottoranda di Ricerca in Storia delle Arti Visive e della Spettacolo presso l’Università di Pisa, dove svolge attività didattica e di ricerca. Ha pubblicato saggi su volumi e riviste internazionali e nazionali (Cinéma & Cie. International Film Studies Journal, Quaderni del CSCI, Comunicazioni Sociali). Ha curato I film in tasca. Videofonino, cinema e televisione (2009, con Maurizio Ambrosini ed Elena Marcheschi). Dal 2009 collabora all’organizzazione della MAGIS - Film Studies Spring School di Gorizia (Università di Udine).

Federico Zecca svolge attività didattica e di ricerca presso l’Università di Udine, dove ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Studi Audiovisivi. Ha insegnato Linguaggi del teatro presso l’Università di Cagliari e Comunicazione artistica e Semiologia del cinema e dei nuovi media presso l’Università di Trieste. E’ autore di numerosi saggi in volumi e riviste nazionali e internazionali. Collaboratore dei Quaderni del CSCI, è redattore di Cinergie. Il cinema e le altre arti e di Cinéma & Cie. International Film Studies Journal. Tra le sue pubblicazioni, Tullio Kezich, il mestiere della scrittura (2008, con Riccardo Costantini), Cinema e fumetto/Cinema and Comics (2009, con Leonardo Quaresima e Laura Ester Sangalli).

Proprio Federico Zecca, a ottobre, sarà ospite della sez. Enterprise di questo sito e parleremo diffusamente del volume qui oggi presentato e dei temi sociali e politici che suscita.

A cura di
Enrico Biasin, Giovanna Maina, Federico Zecca
Il porno espanso
Postfazione di Peter Lehman
Pagine 484, Euro 34.00
Mimesis Edizioni


Un primato di Viadana


E’ quello di ospitare “la più povera casa editrice al mondo” – così la definisce il suo fondatore, l’artista patafisico Afro Somenzari che a Viadana dirige anche la Galleria Civica d’Arte Contemporanea.
L’editrice, nata da poco, si chiama FUOCOfuochino (in foto il logo) e ha la particolarità di pubblicare testi brevissimi in edizioni di poche copie.
Nel catalogo oltre a un titolo dello stesso editore ricordo testi di Gianni Celati, Lorenza Amadasi, Ugo Nespolo, Roberto Barbolini, Paolo Colagrande vincitore del Campiello 2007, e ci sono altri nomi.
Il più recente è quello di Giovanni Maccari che offre alla lettura un dittico di suoi scritti, titolo: Lo sputo che cade.
Maccari (Siena 1966) ha pubblicato nel 2003 per Cadmo una monografia su Giuseppe Pontiggia; nel 2009 un volume sulla critica letteraria di Guido Piovene Il lettore controverso; nel 2011, per Sellerio, è andato in libreria Gli occhiali sul naso romanzo incentrato sulla figura dello scrittore Isaak Babel’ fucilato in Russia nel 1940.


La camera verde

Edizioni proprie e presentazioni di libri d’altri editori, mostre, proiezioni, incontri, dibattiti, tutto questo avviene nell’Associazione culturale romana La camera verde che ha in rete un sito in più sezioni.
E’ diretta da Giovanni Andrea Semerano.
Nato a Roma nel 1968, seguendo l’opera del padre, Giovanni, gestisce la storica galleria di arte fotografica: “Il Fotogramma” di via Ripetta. Grazie a incontri con Man Ray, Cartier Bresson, Leonardo Sciascia e tanti altri, matura quell'esperienza che lo porta nel 1999 ad aprire e a dirigere La Camera Verde.
Filmmaker che gira utilizzando sia la pellicola sia il digitale, ora lavora a un progetto suddiviso in tre fasi: ‘Umano non umano’, ‘Umano troppo umano’, ‘Umano’; tre film con Alfredo Anzellini, che saranno presentati a dicembre.

La camera verde, titolo di un film del 1978 di Truffaut, è il nome del webmag che conduci. Perché questa scelta onomastica? Quali risonanze tematiche trova nella tua pubblicazione in Rete?

Julien Davenne il personaggio del film di Truffaut, vive segnato dalla morte della moglie, e conduce tutta la sua esistenza in funzione della sua memoria... La Camera Verde nostra è lontana dalla follia di Julien Davenne ma vuole come Davenne tenere le proprie fiammelle accese perché la memoria di quelle tante e tante persone che hanno costruito una certa letteratura, una certa cinematografia, una certa pittura e fotografia, eccetera, non solo resti viva ma si trasformi all'interno di un processo, quello della Camera Verde, simile ad una officina che fa il pane! La Camera Verde ogni giorno è aperta e ogni giorno fa qualcosa! Come tu hai anticipato in apertura: proiezioni di cinema, presentazioni di libri, inaugurazioni di mostre e altri eventi. La Camera Verde è nata nel 1999, ci troviamo a Roma (zona Piramide) e in tutto questo tempo abbiamo cercato non solo di non tradire questa memoria ma di renderla attiva, operando quotidianamente attraverso tutti gli strumenti che il pensiero ci mette a disposizione.
La Camera Verde è certamente un sito, che sta crescendo che crescerà, insieme a Matias Guerra stiamo creando quelle coordinate virtuali opportune perché tutto il lavoro fatto in questi anni sia visibile bene sul sito, e che provi anche a dare una spinta particolare dentro questa virtualità.
In questo senso nasce The Shootist, Il pistolero… di cui vedo che ne hai qui dato in foto il logo… che vuole essere una finestra aperta, dove il testo e l'immagine si ritrovano all'interno di uno spazio comune a osare non solo il movimento ma anche il tempo di un pensiero e di una visione. Ma la prerogativa della Camera è e resta quella di essere luogo, per cui è necessario alzarsi, da davanti il computer, e venire in Camera Verde
!

Tra pochi giorni, ci sarà “Mare Mediterraneum” (per il programma cliccare QUI), promossa da Camera Verde e dall’Associazione Culturale Piane di Bronzo.
Come nasce questa rassegna da te curata? Quali le sue finalità espressive?

Intanto mettere insieme delle persone e tra queste persone tentare di dare uno sguardo altro sul fronte Mediterraneo. E ritrovarci per cercare di operare una riflessione. Piane di Bronzo è un grande spazio espositivo creato da Luigi Francini, a Tuscania, immerso nel verde, un luogo dove poter fare delle cose, e insieme a Francini e a tanti altri, abbiamo piantato una grande idea a cui stiamo dando con il tempo e nel tempo un corpo sempre più preciso e netto.
Piane di Bronzo dal 24 settembre costruirà un progetto che mette insieme un gruppo di artisti, fotografi, e cineasti ognuno dei quali porta una propria visione di quel che sta accadendo nel Mediterraneo. Un obiettivo particolare sarà aperto su Gaza con la partecipazione di Fotografi senza frontiere e di artisti palestinesi, e sulla Libia con un lavoro pittorico-fotografico di Alfredo Anzellini e Matias Guerra. Nell'ambito della Rassegna consegneremo il Piane di Bronzo Prize”, un premio che non avrà alcuna cerimonia ma resterà come luogo e fatto all'interno di un'idea che intende porre l'attenzione su quelle personalità che nei vari campi artistici e scientifici e sociali e umani, si sono adoperate per il bene dell'umanità. Per questo il premio è una scultura di Luigi Francini con una moneta di bronzo coniata apposta per le Piane di Bronzo. Il Premio quest'anno è dedicato alla memoria di Vittorio Arrigoni
.

La Camera Verde
via Giovanni Miani 20, 00154 Roma
Info: (+39) 340 – 52 63 877


In LIBER-tà

Libri d’artista a Pisa proposti dallo Studio Gennai con la mostra In LIBER-ta': percorsi tra esperienze storiche e ricerche contemporanee.

Dal comunicato pervenutomi: La mostra intende fornire una vasta panoramica sul tema del libro come oggetto estetico, creando un ponte tra passato e presente, per mettere in luce l’inesauribile fascino di pratiche che nel corso del tempo hanno saputo intrecciare parole, immagini e materiali tra i più disparati […] L’incontro tra parola e immagine, nell’esperienza artistica contemporanea, si è configurato come un terreno fertile di sperimentazioni ed ha rappresentato un aspetto importante del radicale rinnovamento dei linguaggi artistici che ha investito il mondo dell’arte a partire dalle esperienze delle avanguardie del primo novecento. Attualmente si assiste ad un rinnovato interesse per gli intrecci tra immagine e parola, a seguito delle innovazioni tecnologiche che consentono di sperimentare nuove forme di contaminazione. E proprio la larga diffusione delle tecnologie digitali capaci di rinnovare la progettazione grafica anche grazie ad un nuovo uso della fotografia e della stampa, e con l’introduzione del video e dei concetti di virtualità e interattività, non potevano non costituire per il libro d’artista un ulteriore banco di prova […]
Per tutto il periodo della mostra sono programmati incontri, laboratori e performance che
ruotano attorno al rapporto testo, libro, immagini, come ulteriori approfondimenti di un tema dalle inesauribili declinazioni sul piano estetico-formale e conoscitivo
.

Tanti gli artisti invitati, qui in uno slancio patriottico citerò solo quelli che sono stati per varie occasioni già ospiti di questo sito: Alfonso Lentini, Ruggero Maggi, Lamberto Pignotti, Giovanna Torresin.
Per gli altri nomi e altre informazioni sulle sedi espositive cliccare QUI.

Libri d’artista
Pisa, 17 settembre – 23 ottobre ‘11


Il dio del massacro

Tra le abitudini di lettura che sono cambiate in questi ultimi anni per effetto di una diversa attitudine dell’occhio verso la pagina stampata (protagonista il ruolo della scrittura elettronica, ma anche il concorso di altri media), c’è una minore predisposizione a leggere copioni teatrali. A differenza di tempo addietro, infatti, se ne pubblicano parecchi di meno.
Eppure se ci predisponiamo a quel tipo di lettura che richiede una lentezza non richiesta da altri tipi di testo, possiamo, talvolta trovarci di fronte a piacevoli sorprese.
E’ il caso di Il dio del massacro pubblicato da Adelphi.
Ne è autrice Yasmina Reza.
Nata a Parigi nel 1959, da madre ungherese e padre russo di origini iraniane, comincia la sua carriera teatrale come attrice, partecipando a rappresentazioni sia di opere contemporanee e sia di classici.
La prima pièce da lei scritta, “Conversations après un enterrement”, rappresentata per la prima volta nel 1987, le vale il Premio Molière.
Il successo internazionale arriva con l'opera successiva, “Art” (1994), tradotta e rappresentata in oltre trenta lingue. La produzione britannica, rappresentata al West End, riceve nel 1997 il Premio Laurence Olivier e l'Evening Standard Award come migliore commedia, mentre la produzione americana, rappresentata a Broadway, ottiene nel 1998 il Tony Award per il miglior spettacolo.
L'opera ha avuto anche diversi adattamenti televisivi e un'edizione cinematografica diretta da Roman Polanski presentata quest’anno a Venezia e da oggi nelle sale italiane; l’Italia è il primo paese al mondo in cui viene distribuito il film.
Cliccare QUI per il trailer.

“Il dio del massacro” vede in scena quattro personaggi. Véronique e Michel Houillé, genitori del piccolo Bruno, i quali ricevono a casa Annette ed Alain Reille, genitori di Ferdinando che ha colpito al viso con un bastone di bambù Bruno in un giardinetto pubblico.
Le due coppie hanno deciso di incontrarsi per regolare con civiltà la questione.
All'inizio, tutti i personaggi sono benevoli e concilianti tra loro, tentano anche di intraprendere discorsi sulla necessità di essere tolleranti, ma pian piano le cose cambiano e, passo dopo passo, battuta dopo battuta, con elettrizzante umorismo, quella conversazione partita tanto amabilmente si trasformerà in un feroce duello condito di scoppi d’ira e oggetti infranti.
La commedia, scritta nel 2006, l’anno dopo è realizzata su diversi palcoscenici europei, tra cui quello parigino con l'allestimento della stessa Reza e fra gli interpreti Isabelle Huppert, e quello londinese per la regia di Matthew Warchus e nel cast Ralph Fiennes.
In Italia debutta nel 2009 (in scena: Anna Bonaiuto, Alessio Boni, Michela Cescon, Silvio Orlando) con la regìa di Roberto Andò che così dice a proposito del lavoro della Reza: “C’è una specie di furibondo humour sarcastico, ma anche l’abilità cesellatrice di un dialogo in bilico tra commedia e tragedia, ricreato ascoltando il potere micidiale e terribile della parola media, la musicalità e la fraseologia, camaleonticamente irresistibile, della medietà, delle sue vaste e sublimi galassie. Un piccolo trattato morale di teoria della cultura, che sembra voler rispondere alla domanda: Le buone intenzioni ci salveranno?
La Reza sembra non avere dubbi, e la sua pièce consegna allo spettatore una risposta, a suo modo, perentoria: No! L’autrice non crede alle magnifiche sorti e progressive dell’uomo contemporaneo, bene informato, diligente servitore di generiche cause morali, coattivamente alla ricerca, per sé, d’improbabili attestati di civiltà e buone maniere. Riesce così, di quest’umanità, a scovare il sottofondo barbarico, nichilista, meschinamente incapace di condividere un pur minimo progetto comune. Lo fa dandosi il perimetro modesto di un intelligente divertissement, di un intrattenimento contagiosamente divertente, che nella risata sommerge anche lo spettatore, riflesso nello specchio deforme di una condizione in cui molti potranno riconoscersi”.

Per una scheda: CLIC!

Yasmina Reza
Il dio del massacro
Traduzione di Laura Frausin Guarino
ed Ena Marchi
Pagine 91, euro 9.00
Adelphi


L'idiota in politica


In tanti si sono misurati nell’interpretare i motivi dell’affermazione elettorale di Bossi, ma una delle più riuscite analisi è quell’offerta da Lynda Dematteo con il suo L’idiota in politica edito da Feltrinelli.
Scrive Gad Lerner nella prefazione: “Sia ben chiaro, Lynda Dematteo non insulta: descrive con sapienza un’innovazione comunicativa che ha finito per travolgere i fondamenti del confronto democratico […] Umberto Bossi non è idiota. Fa l’idiota, cosa ben diversa”.

L’autrice è antropologa presso l’Istituto interdisciplinare di antropologia del contemporaneo, Cnrs-Ehss, di Parigi. Ha insegnato all’Università di Montréal, in Canada, e di Lille, in Francia.
Nel suo volume traccia una storia e un ritratto dei leghisti e, soprattutto, del loro capo Umberto Bossi evidenziando come quel successo risieda nell’”arroganza della semplicità”.
Quel modo buffone e sbruffone che appartiene alla presunta saggezza del popolo contrapposta ai sofismi dei potenti o alle articolate analisi degli intellettuali.
Una storia che in Italia viene da lontano, non a caso la Dematteo fa riferimento alla Commedia dell’Arte. Perché – scrive – con Bossi la pratica politica smarrisce per la prima volta ogni riferimento di senso, diventando una giravolta di annunci, minacce, promesse e intenzioni, in una parola sola “spettacolo”. Da questo punto di vista il suo linguaggio e le sue maniere rimandano ai personaggi della tradizione della Commedia dell’Arte: il politico Bossi pertanto si trasfigura nella maschera Bossi, una delle tante che a partire dall’età moderna sono state fulcro dell’elaborazione delle identità collettive del nostro paese. Ma come emerge dal suo approccio etnografico, la Lega Nord non si limita solo a rappresentare le maschere più profonde del nostro immaginario collettivo, attraverso l’invenzione di un linguaggio tutto “suo”, ma ha campo libero per fare politica nel senso più classico del termine, cioè creando miti, manipolando simboli, rielaborando la cultura politica dell’intero paese.

A molti italiani piace la cartapesta. S’innamorarono del fascismo che ostentava simboli dell’antica Roma, si sono innamorati degli elmi cornuti della Lega.
A una raffinata rappresentazione del pensiero è contrapposta la levata del dito medio, la pernacchia, l’insulto e tutto questo fa tanto festa popolare opposta alla festa di corte: due feste spesso brutte, detto fra noi.
Ora, però, quei comportamenti tra l’istrionico e il villano troppo identificati con il corpo del capo stanno conoscendo la stessa crisi che vive il corpo di Bossi (dall’ictus alla cataratta alla frattura del polso) privo di scioltezza nei gesti, incespicante, dalla fonazione incerta.
Da un articolo di Filippo Ceccarelli: “Quando si dice che tra il corpo dei leader carismatici e lo stato di salute dei loro partiti esiste un rapporto molto forte, di solito i potenti alzano le spalle liquidando queste storie come fumisterie di intellettuali […] ma ora dentro e fuori la Lega è sempre più difficile far finta che la condizione fisica di Bossi non abbia oggi serie conseguenze politiche”.
E con queste parole torno a sottolineare l’acutezza della Dematteo: le maschere, infatti, non possono avere battute bofonchianti o essere impedite nelle capriole.
Concludo questa nota con la citazione di quanto ha scritto Eugenio Scalfari (Espresso, 4 agosto ’11) riportando un immaginario pensiero di Bossi: “Calderoli pensa in grande. Un leghista pensa in grande? La forza nostra è di pensare in piccolo e chi non lo ha capito è un imbecille”.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Lynda Dematteo
L’idiota in politica
Traduzione di Matteo Schianchi
Prefazione di Gad Lerner
Pagine 224, Euro 16.00
Feltrinelli


L'Ateo


Per i laici amanti del cinema, o che nel cinema lavorano, la rivista bimestrale L’Ateo dell’Uaar riserva un ghiotto boccone.
Il periodico – si avvale della colta e birichina direzione di Maria Turchetto – dedica, infatti, la sua parte monotematica allo schermo senza Dio con saggi, in ordine di pubblicazione nelle pagine, di Carlo Modesti Pauer (“Dio, il cinema e il gonnellino di Eta Beta”); di Francesco D’Alpa (“Fuori dello sguardo di dio. Woody Allen e il senso di colpa”); di Paolo Benvenuti (“Cinema e storia”); di Marco Accorti (“Quando i gatti non erano ancora Pet”). Inoltre, più recensioni, e – a cura della Redazione – una filmografia ragionata con una serie di preziose schede su film e autori imperdibili per noi atei. In quello stesso pezzo è segnalata una vastissima filmografia “atea – agnostica – laica – anticlericale” (dal 1916 a oggi! una vera Storia parallela del Cinema), curata da Riccardo F. Esposito, raggiungibile gratuitamente QUI.

Arricchiscono la rivista altri temi trattati da vari autori e fra questi Fabio Milito Pagliara che intervista il fumettista Federico Memola.
“L’Ateo” si apre con un folgorante, e divertente, editoriale fra Cinema e Filosofia della direttrice Maria Turchetto che, a Venezia, nella giuria del Premio Brian (regolarmente oscurato dai media) quest’anno ha premiato il film “The Ides of March” di George Clooney.
Per leggere una lettera aperta indirizzata all’attore-regista dalla Direttrice del bimensile “Ateo”: CLIC!

La rivista è acquistabile nelle seguenti librerie al prezzo di 2.80 euro.


Extended Voices


Con il titolo Extended Voices Musica, video e ritratti della voce contemporanea la Galleria Civica di Modena – assieme alla Fondazione Fondazione Cassa di Risparmio di Modena – organizza una tre giorni di iniziative curate da Claudio Chianura in occasione del festivalfilosofia in programma proprio a Modena dal 16 al 18 settembre.
Poiché il tema della presente edizione del Festival è “Natura”, la Galleria modenese ha scelto di dedicare una ricognizione artistica alla voce, proprio in quanto “strumento naturale”, convocando negli spazi del Palazzo Santa Margherita performers che rappresentassero – sia nel campo della pura ricerca, sia in quello della tradizione rivisitata – alcune tra le massime espressioni della vocalità contemporanea.

Nella foto (1977): Demetrio Stratos, di Silvia Lelli e Roberto Masotti qui in video .

Nelle tre sere del festivalfilosofia, all’interno del chiostro, Jaap Blonk, Sidsel Endresen, Joan La Barbara, Sergio Messina (di lui Cosmotaxi si è occupato anche a proposito del suo libro Real Sex. Il porno alternativo è il nuovo rock 'n 'roll), Susanna Parigi, Sabrina Bizzo e Aurora Faggioli si alterneranno passando dalla canzone d’autore alla sperimentazione, dal jazz al dj set e al repertorio colto del Novecento.
Le sale espositive del Palazzo ospiteranno invece un omaggio – per immagini – alla voce, con un allestimento di ritratti fotografici di grandi cantanti fra i quali Demetrio Stratos, Leena Conquest, Meredith Monk, Fatima Miranda.
Le fotografie si devono al duo già citato Silvia Lelli - Roberto Masotti e Luciano Rossetti, che hanno voluto lasciare ciascuno una delle proprie fotografie alla raccolta della Galleria.
In sala grande anche tre proiezioni video che documentano altrettante performance vocali.

Ufficio Stampa Galleria: Cristiana Minelli
Tel: +39 059 – 203 28 83; galcivmo@comune.modena.it

Extended Voices
Galleria Civica di Modena
Corso Canalgrande 103
Dal 16 al 18 settembre
Informazioni: +39 059 – 203 29 11
Ingresso gratuito


Sogni e Migrazioni

Esistono città che non sono conosciute quanto dovrebbero, una di queste, in Italia, è Ancona che nel 2013 festeggerà i suoi 2400 anni di storia, contati a partire dalla fondazione greca.
Non è solo la sua bimillenaria esistenza a farne un luogo d’interesse che ha affascinato uomini di cinema come Visconti (“Ossessione”) e Moretti (“La stanza del figlio”), né soltanto il celebrato vino Conero (segnalazione per gli appassionati del bicchiere quale io sono: in versione anche Docg dall’annata 2004), ma pure quanto si muove ai nostri giorni sullo scenario delle arti visive e performative.
Un maiuscolo esempio è dato dall’Associazione Culturale Quattrocentometriquadri agita da Raffaela Coppari, Cristina M. Ferrara, Maila Catani.

L’attenzione di questo Centro è rivolto con scelta ben mirata ai più giovani che lavorano nell’area dell’intercodice e sotto questo segno è stato lanciato, dopo il successo dello scorso anno, il concorso Metrocubo 2011 scegliendo un tema intorno al quale artisti e designers under 40, italiani e stranieri, sono invitati a confrontarsi: “Sogni e Migrazioni”.

Il 2011, per l’Italia l’anno dell’Unità, poteva essere un’importante opportunità per riflessioni sull’identità culturale e al contempo sulla multiculturalità con cui il Paese deve confrontarsi, ma non lo è stato perché percorso da deprimenti istanze localistiche, da forme occulte e palesi di razzismo, da una generalizzata, sconfortante bassezza culturale.
Ecco perché questo concorso bandito da “Quattrocentometriquadri” assume un particolare rilievo e rappresenta una delle poche occasioni internazionali, mosse dal territorio italiano, per riflettere su noi stessi e su quanto ci circonda e non ci assedia.
Le organizzatrici del Concorso, non a caso scrivono nel presentare l’iniziativa: Si calcola che ogni anno nel mondo, più di 3 milioni di persone emigrano dal loro Paese di origine e che più di 180 milioni di persone vivono attualmente in un paese diverso da quello di origine […] La capacità di adattarsi, di convivere con la necessità di cambiamento diventano la misura di un diverso reagire: sogno di chi dice “terra!”, sogno di chi cerca ancora libertà, sogno di chi ha fame, sogno di un dignitoso lavorare, sogno di chi non ha neanche un metro cubo in cui dormire.
“La verità non sta in un solo sogno, ma in molti sogni”.
Così Pier Paolo Pasolini apriva Il fiore della Mille e una notte (1974, terzo ed ultimo film della Trilogia della vita), citando una omonima raccolta di novelle arabe del XV secolo
.

Il concorso scade il 26 ottobre. Bando e allegati sono scaricabili dal sito Quattrocentometriquadri.
E’ possibile richiedere eventuali chiarimenti fino al 20 settembre, inviando mail all’indirizzo gallery@quattrocentometriquadri.eu

Ancora da segnalare, presso la stessa Associazione, l'avvio della rassegna Abra Kadabra che, a partire da oggi fino a dicembre di quest’anno, programma tre personali: Giacomo Giovannetti, Laboratorio Saccardi e Gianluca Costantini .

Quattrocentometriquadri
Info: gallery@quattrocentometriquadri.eu
Via Magenta 15, Ancona


Fai il muro giusto a Dozza


Dal 14 fino al 18 settembre la XXIII edizione della Biennale del Muro Dipinto a Dozza, a cura di Fabiola Naldi docente presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e presso l’Accademia Carrara di Belle Arti di Bergamo.
Il MAMbo – Museo d'Arte Moderna di Bologna – partner scientifico dal 2009 lo è nuovamente in questa edizione della rassegna organizzata dal Comune di Dozza e dalla Fondazione Dozza Città d'Arte.
La partecipazione del MAMbo a questa Biennale ha avuto un significativo risultato anche in termini editoriali. Nel gennaio del 2010, infatti, è stato pubblicato il volume “Do the right wall/Fai il muro giusto”, a cura di Fabiola Naldi (Edizioni MAMbo), nel quale studiosi di àmbiti diversi hanno tracciato l’impatto socio-culturale del Writing, del Wall Painting e della Street Art nei più diversi ambienti pubblici.
La Biennale vanta una consolidata tradizione: nata nel 1960, ha coinvolto oltre 200 artisti che hanno lasciato i propri lavori sui muri della cittadina medievale romagnola.

Alla Biennale del Muro Dipinto Cosmotaxi dedicò tempo fa un servizio che della manifestazione traccia storia e significati: QUI.

Ufficio stampa MAMbo
Elisa Maria Cerra: ufficiostampamambo@comune.bologna.it:; Tel. +39 051 6496653 – 608

Ufficio stampa Biennale d'Arte Muro Dipinto
Vinicio Dall’Ara: dallara.v@comune.imola.bo.it; Tel +39 0542 602240


Addio alla Natura (1)

Essendo un amante della cucina molecolare, nel riferire di piatti creativi ideati da certi chef spesso mi viene ribattuto storcendo il muso: “No, a me piace mangiare naturale”.
Mi viene da dire loro: “Mangiate allora una bella ‘insalatona’ (termine che scrivo con ripugnanza) di cicuta e stramonio, è roba naturale”.
Articoli, convegni, programmi radiotv, chiacchiere al bar, esaltano tutto quanto è “naturale”.
Nella gran parte di questi dibattiti serpeggiano convinzioni religiose più che scientifiche tanto da far dire a un grande scienziato dei nostri giorni: Umberto Veronesi: “Gli ostracismi alle staminali, alla fecondazione assistita e agli Ogm mi fanno paragonare questi nostri anni al Seicento, quando al genio di Newton, Cartesio e Galileo si affiancò una profonda regressione culturale. Tanto per fare un esempio furono mandate sul rogo migliaia e migliaia di donne accusate follemente di stregoneria. Oggi non bruciamo più le donne, ma in tv sono tornati gli esorcisti, la superstizione”.
Molti che sciolgono inni alla Natura sono poi gli stessi che fanno colate di cemento, inquinano con i loro Suv, torturano animali per sperimentare prodotti cosmetici.
Altri ancora (telefonino all’orecchio e telecomando in mano) piangono lacrime su improbabili tempi andati, dove tutto era, manco a dirlo, naturale.

Quanto mai benvenuto e necessario è, quindi, un volume pubblicato da Einaudi dal titolo Addio alla Natura; libro che dobbiamo a Gianfranco Marrone.
In una delle prime pagine di questo libro imperdibile scrive: Tra le stranezze di quest’epoca bizzarra, ce n’è una che proprio non si capisce (o forse si capisce fin troppo bene): è l’entusiasmo per la Natura. Natura da proteggere e vezzeggiare, descrivere e ripensare, a seconda dei gusti di ciascuno, dei valori di tutti, degli interessi della collettività, degli scrupoli dei potenti, dell’intelligenza dei sapienti […] Natura madre e sorella, base d’ogni esistenza e orizzonte di tutti gli esseri viventi […] Natura come origine e principio, causa prima e fine ultimo. Natura come realtà, immediatezza, spontaneità, evidenza. Natura in tanti, troppo umani modi, ma sempre e in ogni caso al singolare, e con la lettera rigorosamente maiuscola.
Se non fossi ateo, esclamerei: parole sante!
Dirò laicamente: parole rare a trovarsi oggi dove il Naturale è osannato in coro. Ma, come diceva Bertrand Russell “Il fatto che un’opinione sia ampiamente condivisa non è affatto una prova che non sia completamente assurda. Infatti, a causa della stupidità della maggior parte degli uomini, è molto più probabile che un giudizio diffuso sia sciocco piuttosto che ragionevole”.

Ragionevole, invece, oggi è, come scrive Marrone, Congedarsi dalla Natura perché è il miglior modo per salvare l’ambiente, le nostre vite, il futuro.

Segue ora un incontro con l’autore


Addio alla Natura (2)

Gianfranco Marrone insegna Semiotica nel Corso di laurea in Scienze della comunicazione dell'Università di Palermo. Ha pubblicato fra l'altro: Stupidità e scrittura (1990), Il sistema di Barthes (1994), Estetica del telegiornale (1998), C'era una volta il telefonino (1999). È coeditore del reader in due tomi Semiotica in nuce (2000-2001). Per la Casa editrice Einaudi ha curato e introdotto i volumi di Roland Barthes, Scritti; Società, testo, comunicazione (1998); Sade Fourier Loyola (2001); Saggi critici (2002).
Ancora per Einaudi ha firmato nel 2001 Corpi sociali e nel 2005 La cura Ludovico.
E’ stato già ospite tempo fa di questo sito allorché pubblicò un altro libro straordinario: Sensi alterati.
Conduce in rete un suo sito web:CLIC!

A Gianfranco Marrone (in foto), ho rivolto alcune domande.
Quale “indignatio” ti ha spinto a scrivere questo libro?

Direi che l'attuale naturalismo, soprattutto nel campo delle scienze umane, è disarmante. Oggi tutti si appellano alla natura, di fatto bloccando le discussioni e la ricerca. Al fine, si tratta di argomenti di autorità, come dire: le cose stanno così perché sono naturali. Punto e basta. Con tutti gli effetti di potere che possiamo immaginare. Ma basti ricordare che nella storia, ogni volta che s'è imposto il dominio dell'uomo sull'uomo (si pensi al razzismo, all'omofobia, alla repressione della donna, eccetera), lo si è fatto sempre in nome di dati presunti naturali: "voi siete inferiori per natura...". E' quel che fa ancora la Chiesa, la quale non dice che le cose stanno come essa ritiene per valori religiosi, ma, appunto, per natura. Questa benedetta Natura, insomma, è un argomento d'autorità, qualcosa che serve per far star zitto chi la pensa diversamente.

In che cosa trovi cambiato, rispetto al secolo scorso, il dibattito Natura / Cultura?

Il Novecento, secolo per altri versi terribile, aveva felicemente inventato le scienze umane, ossia la possibilità di studiare la società e la cultura umane con metodologie e sguardi e dunque conclusioni teoriche non scientiste, non positiviste. Metodologie, per esempio, strutturaliste che, abbandonando il modello mitico delle scienze matematiche e fisiche presunto duro e puro, proponevano altre metodologie d'analisi, di fatto mettendo in crisi l'idea che esista un'unica razionalità un'unica scienza, un'unica verità. Oggi si torna alla Natura, come predica il Mulino Bianco, ossia alla Verità unica e sola, alla riduzione delle varietà culturali a un'unica razza. Che tristezza. Un secolo di lavoro inutile. Meno male che ci sono alcune isole di riflessione felice, come coloro i quali parlano oggi – nella sociologia delle tecniche, nell'epistemologia, nell'etnologia – di multinaturalismo, o, come propongo io, di internaturalità: non c'è una sola natura ma molte che si intrecciamo costantemente fra loro.

Come spieghi che larghi settori della cultura che si dice progressista nonché larghe parti della sinistra (in Italia il fenomeno è ben evidente) si schierino a favore di un ecologismo spessissimo dai toni talebani?

E' la conseguenza di quel che dicevo prima. La sinistra fa come il ricercatore scientifico, che pur di avere ragione si arrocca in argomentazioni che non dovrebbero appartenerle, invocando una natura unica e sola, esattamente come il papa, come il razzista, come il talebano. Gli ecologisti hanno in mano una forza contrattuale immensa, ma non hanno le corrette argomentazioni per portarle avanti. Così perdono. E il pianeta affonda.

Il progressivo estendersi delle conquiste scientifiche in campi che vanno dalla comunicazione alla medicina credi che potrà orientare in futuro in modo diverso dall'attuale il contrasto Natura/Cultura oppure no?

Sì, la medicina è il terreno più evidente del fatto che non esiste nulla di naturale, per esempio, nel corpo. La ricerca medica, inevitabilmente imbricata nel sociale e nel politico, appare un’ottima contestazione di chi ingenuamente s’ostina a pensare il corpo come entità naturale, organismo materiale, macchinario o legge uguale per tutti, e non essere al tempo stesso biologico e sociale che si produce e si trasforma entro complesse dinamiche culturali, fulcro di esperienze svariate, vite vissute, passioni diffuse. Scoppiare di salute può essere un problema, quanto meno se è l’esito conclusivo di quel terribile processo di medicalizzazione che studiosi come Foucault hanno ben rilevato. Meglio tenersi un corpo malsano e maldestro, ma comunque nostro, nel senso di mio e di tuo, ma anche di quella società in cui esso si trova a vivere, che lo ha plasmato e riplasmato di continuo, donandogli un’identità culturale al tempo stesso radicata e fragile, fisicamente fondata ma perennemente in discussione. Una riflessione sui compositi apparati e le inguaribili ideologie della pratica medica attuale permette così di accedere, per la via stretta delle corsie d’ospedale, a una visione non banale, non naturalistica della corporeità. Il corpo non è un oggetto, una cosa esteriore, un’entità chiara e distinta: è semmai un essere che ne sa più di noi, e che a suo modo dice e sottolinea tale sapere pregresso. Basta saperlo ascoltare, leggerlo, ma sapergli anche replicare.

Per una scheda sul libro e leggerne alcune pagine CLIC!

Gianfranco Marrone
Addio alla Natura
Pagine 146, Euro 10.00
Einaudi


In viaggio con Dante

La Divina Commedia fin da tempi lontani ha ispirato immagini presso pittori e scultori, e con la nascita del cinema quelle immagini hanno tentato più registi come si può osservare cliccando QUI.
Né sono mancate elaborazioni ispirate alle più recenti tendenze dell’arte contemporanea con ibridazioni tra più generi, ricordo, ad esempio, La commedia divina, un’opera video realizzata dall’Istituto Quasar che a Roma, alla Casa del Cinema, nel 2007, fu presentata da Alessandro Masi critico d’arte e segretario generale della Società Dante Alighieri.

La più recente produzione sull’opera dantesca, protagonista la Dante con il contributo di Arcus, è stata realizzata dal regista Lamberto Lambertini; per una sua biografia: CLIC!
Si tratta di una narrazione che attraversa tutti i Canti delle tre Cantiche in altrettanti videoclip della durata di circa 12’00” ciascuno.
Titolo del lavoro: In viaggio con Dante.

“Questo di Lambertini“ – ha scritto Silvana Silvestri su ‘il Manifesto’ – “è quasi un soliloquio che proviene da tempi antichi a sottolineare la dottrina dantesca dell’arte basata sul simbolico e il morale”.


Catastrofici calcoli


Nel "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo", Galilei così fa dire al bigottissimo Simplicio: “… ho sentito e conosciuto grandissimi filosofi peripatetici sconsigliare i discepoli dallo studio delle matematiche ché troppo rendono l’intelletto cavilloso ed inabile al ben filosofare… quel modo di filosofare tende alla sovversion di tutta la filosofia naturale, ed al disordinare e mettere in conquasso il cielo e la Terra e tutto l'universo”.
La paura di quanto questa scienza riveli ha origini lontane.
L’avversione per la matematica è stata poi in tempi successivi addirittura incoraggiata fino ad arrivare, in Italia, al prevalere di un malinteso umanesimo in funzione antiscientifica.
Scriveva Sara Ficocelli su la Repubblica del 13 luglio scorso: “Il festival della matematica di Roma è sopravvissuto tre anni, dal 2007 al 2009. Spiega l'ex direttore scientifico Piergiorgio Odifreddi: ‘Sebbene i presupposti per avviare la cosa in modo interessante ci fossero, è stata un'occasione mancata. L'ennesima, in un Paese di letterati e filosofi e che ha in casa il Vaticano. La situazione è difficile da cambiare: la riforma Gelmini ha proposto per l'ennesima volta il latino allo scientifico, sacrificando le ore di matematica’.
E Isabeau Birindelli, docente di Matematica presso l'Università di Roma La Sapienza: - Nessuno si vanta di non aver letto I promessi sposi ma tantissimi ammettono con soddisfazione di non aver mai capito nulla di matematica".

Un libro che in modo divertente rende amichevole la matematica lo ha pubblicato Salani, è intitolato Catastrofici calcoli; l’autore è Kjartan Poskitt che troviamo nel catalogo della stessa editrice con titoli che già la dicono lunga sul modo spigliato e birichino con cui Poskitt usa avvicinarsi a quella temutissima disciplina: QUI.
Temutissima disciplina perché alle indiscutibili difficoltà che presenta va aggiunta la maniera terroristica di proporne l’insegnamento.
Ancora Odifreddi in un suo articolo: “… nel loro disamore per la matematica gli studenti sono spesso più vittime che colpevoli. Vittime di programmi antiquati e orrendi, in cui sequenze interminabili di tecnicismi vengono loro propinati senza nessuno sforzo per attirarne l’interesse e stimolarne la curiosità”.
Poskitt in questo volume percorre la via opposta e apprendiamo regole e funzioni attraverso indovinelli, aneddoti curiosi, scorciatoie salta ostacoli, vignette, calcoli fatti con le carte da gioco, insomma attraverso un apparato ludico che avvicina i numeri a noi e noi ai numeri.
E chissà che questa lettura non incoraggi a recarsi (per i pochi che possono permetterselo) nel 2012 al numero 11 della East 26th Street di New York perché lì aprirà le porte il MoMath, primo museo d'America dedicato alla matematica. Noi meno fortunati ci accontenteremo di visitarne il sito web.

Kjartan Poskitt
Catastrofici calcoli
Traduzione di Silvia Castoldi
Illustrazioni: Trevor Dunton
Pagine 144, Euro 8.00
Salani Editore


La fisica dei quanti sfida la realtà

La Casa Editrice Dedalo nella collana La scienza nuova ha pubblicato La fisica dei quanti sfida la realtà Einstein aveva ragione ma Bohr vinse la partita di cui è autore uno storico della scienza, Professore Emerito di Fisica presso l’Università dell’Indiana negli Stati Uniti: Roger G. Newton.
I suoi campi di ricerca spaziano dalla fisica delle particelle elementari alla meccanica quantistica e alla fisica matematica.
È autore di numerosi libri divulgativi di successo, tra i quali in traduzione italiana “La verità della scienza” (1999) e “Il pendolo di Galileo” (2008).

Il libro ripercorre la storia della meccanica quantistica, focalizzando l’attenzione sulla sua interpretazione, sulle obiezioni di Einstein e sul dibattito che esse suscitarono.

“La fisica dei quanti sfida la realtà” si avvale della prefazione di una grande firma della Fisica: Giulio Peruzzi. Per una sua scheda biografica: QUI.
A lui ho chiesto d’illustrare il principale merito di questo volume di Roger Newton.

Il libro riprende il dibattito tra Einstein e Bohr e le questioni legate all’interpretazione e ai fondamenti della meccanica quantistica. Ma non si limita a questo. Approfondendo, infatti, le questioni al centro della controversia si è condotti a ripercorrere le relazioni che nelle varie fasi la fisica ha costruito con quel regolatore esterno che chiamiamo “realtà”. Si delinea così un efficace affresco dell’evoluzione della fisica, dalla meccanica classica alla meccanica statistica, all’elettromagnetismo, alle teorie della relatività, fino alla meccanica quantistica e ai suoi sviluppi più recenti nella teoria quantistica dei campi (il Modello Standard delle particelle). Senza dimenticare anche un breve, ma pregnante, accenno agli scenari futuri adombrati oggi dalle teorie di stringa.
Tuttavia Newton non passa solo in rassegna la successione dei quadri interpretativi. A questi fa da contrappunto l’illustrazione del funzionamento di nuovi dispositivi sperimentali (come gli acceleratori di particelle) e il riferimento dettagliato alle spiegazioni sempre più soddisfacenti che la fisica è riuscita a dare a questioni come l’individuazione della sorgente dell’energia delle stelle, l’origine degli elementi chimici di cui è costituito il mondo che ci circonda, la radioattività, le proprietà elettriche e magnetiche della materia
.

Visione relativistica e quella quantistica. Si arriverà un giorno a un’unificazione tra le due teorie oppure è impossibile?

A tutt’oggi il Modello Standard delle particelle offre una trattazione coerente di tre delle quattro forze note. Esso, infatti, rappresenta una teoria unificata delle forze elettromagnetiche e di quelle deboli (responsabili dei decadimenti radioattivi dei nuclei atomici), e contiene anche una teoria delle forze forti simile a quella delle forze elettrodeboli. Rimane però ancora aperto il problema di trovare una teoria unificata che comprenda anche la forza gravitazionale, descritta oggi dalla relatività generale.
Nuove idee, tuttavia, animano da almeno quarant’anni la ricerca di un’unificazione di tutte e quattro le forze naturali oggi note. Alcune di quelle sviluppate proprio negli ultimi anni sembrano essere particolarmente promettenti. Nonostante però l'ottimismo manifestato da più parti, non è facile prevedere se e quando da queste idee (o da idee ancora diverse) potrà venire un significativo passo avanti nella realizzazione di quello che era uno dei sogni di Einstein
.

Per una scheda sul libro. CLIC!

Roger G. Newton
La fisica dei quanti sfida la realtà
Prefazione di Giulio Peruzzi
Traduzione di Barbara Baldini
Editing scientifico di Elena Ioli
Pagine 168, Euro 16:00
Edizioni Dedalo


Mail aperta all'Assessore Boeri

Cosmotaxi riprende oggi, dopo la pausa estiva, le sue pubblicazioni quotidiane con una mail aperta indirizzata all’Assessore alla Cultura del Comune di Milano Stefano Boeri informato in data odierna di quanto state per leggere.
E’ indirizzata a Boeri perché avendo da pochi mesi l’incarico d’Assessore alla Cultura forse non sa che chi lo ha preceduto e la Giunta tutta presieduta da Letizia Moratti, accanto a tante gravi mancanze, non a caso punite dall’elettorato, hanno fatto registrare anche la vergogna di lasciare trascorrere, senza dedicare alcun ricordo, nel 2010 l’anniversario della morte di Giorgio Manganelli avvenuta il 28 maggio 1990; era nato a Milano il 15 novembre 1922.

Da tempo, la figlia Lietta (qui in foto col genitore), autrice di due importanti pubblicazioni: Circolazione a più cuori e Album fotografico di Giorgio Manganelli), porta avanti, contando soltanto sulle proprie forze, un Centro Studi – corredato di sito web – dedicato al padre. Ora quelle forze si sono esaurite, il Centro è alla vigilia della chiusura, e un grande patrimonio d’informazioni e documentazioni sta per andare perduto. Con esso i programmi che il Centro aveva avviato con Università e studiosi italiani e stranieri per sessioni di studio sull’opera dell’autore di tanti straordinari volumi, reperimento di nuovi materiali scritti e iconici, testi inediti, brani audiovisivi, tesi di laurea, lettere.
Assessore Boeri, faccia in modo che questo non accada.
Offra a quel Centro Studi il supporto, anche economico, del Comune di Milano.

Giorgio Manganelli è, per usare una felicissima definizione di Luca Tassinari “massimo fool d’ogni tempo delle patrie lettere”, scrittore vertiginoso e visionario, che come nota Florian Mussgnug: “… spingendo al limite le possibilità della scrittura, si avventura in quel ‘linguaggio abitabile’ che lui stesso definisce come ‘oscuro, denso, direi pingue, opaco, fitto di pieghe casuali [...], totalmente ambiguo, percorribile in tutte le direzioni, [...] inesauribile e insensato’; per lui tutto è racconto, dal Baldus alla ricetta dell'Artusi. Tutto, naturalmente, tranne il romanzo”.
Questa citazione mi dà lo spunto per ricordare l’originalissima posizione da equilibrista, su filo teso fra nuvole, di Manganelli a proposito della narratività (se ne hanno cospicui esempi in tanta parte della sua opera) sulla quale esercitò la sua vena ironico-umoristica specialmente in “Centuria” - ‘Cento piccoli romanzi fiume’, recita il sottotitolo di quel suo volume, il primo pubblicato in Francia – definito da Italo Calvino “un libro straordinario, dalla scrittura concisa ed essenziale con invenzioni sintetiche e concentrate”.
Attraversare i suoi testi (l’editore Adelphi ha il merito di curarne l’opera) significa viaggiare in una cartografia nella quale le coordinate geografiche servono a identificare univocamente luoghi smarriti; memorie di sensazioni e voci rivissute con una scrittura musicale che va dall’Improvviso al Capriccio.
Specie in quest’epoca che stiamo attraversando, Manganelli ci manca.
Speriamo in molti che non debba venire a mancarci anche la memoria storica della sua opera e della sua vita.


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