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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Genius Loci Events


La globalizzazione ha prodotto, fra gli altri, due effetti. Uno, perverso, facendo refluire varie comunità nell’orgoglio (ottuso, come ogni orgoglio) d’appartenenza a piccoli territori nativi vissuti come ultima patria, estrema difesa psicotica contro tutti gli altri. Un altro effetto, assai diverso, è ispirato all’amore per una terra (poco importa se ci siamo nati oppure no), e alla custodia della memoria di un luogo per difenderlo dall’omologazione che è da sempre il primo strumento d’ogni potere.
Ecco perché mi piace – a partire dal titolo: Genius Loci Events – questo Festival che si svolge nell’isola Palmaria, in provincia di La Spezia.
La sua vicinanza alla terra ferma, ed in particolare al suggestivo paese di Portovenere, e al comprensorio delle Apuane, si pone come significativo esempio di quel rapporto relazionale paesaggistico che obbliga il visitatore (e qui anche spettatore) ad una costante riflessione, in un continuo e dialettico rapporto con la natura che lo ospita.

In foto: la locandina che s’avvale di una splendida fotografia di Jacopo Benassi.

Il Festival è a cura di Anna Maria Monteverdi e Francesca Sommovigo.

Ho chiesto il profilo di “Genius Loci Events” ad Anna Maria Monteverdi.
Ecco qualche sua nota biografica
Ha pubblicato numerosi volumi e saggi su artisti teatrali, specialmente impegnati in area tecnologica, tra cui la prima monografia sul regista canadese Robert Lepage Premio Europa 2007 per il teatro. Con Andrea Balzola è autrice di "Le arti multimediali digitali" (Garzanti 2005) e "Storie mandaliche-storia di uno spettacolo interattivo" (Nistri-Lischi 2004). Ha firmato la voce 'Teatro multimediale' per l'Encyclomedia di Umberto Eco; fa parte del gruppo tecnoteatrale Xlab. Scrive per riviste di teatro, di cultura underground e d’arte digitale tra cui Cut-up.net, Digicult.it, My media.
Collabora dal 2001 con Oliviero Ponte di Pino al webmagazine ateatro.it curando la sezione 'Teatro e Nuovi Media', e con Andrea Liberovici per il Digifestival. Ha organizzato numerose manifestazioni dedicate al teatro di ricerca e alla videoarte tra cui "Visioni elettroniche", "Faq" (Frequenze Anti Quiete), "Rotte teatrali". E' art director di "Genius loci eventi live".

A partire dal nome, profilo e particolarità di “Genius Loci"…

Genius loci è il nome della mostra curata da Federica Forti alla Fortezza Umberto I che inaugura il 31 luglio; nella religione romana era un'entità soprannaturale legata a un luogo, oggi con questa espressione si intende ogni intervento che scopre il "carattere" del luogo. Artisti molto affermati hanno interpretato con le loro opere, il luogo, il suo "genio"; abbiamo sviluppato il tema di un'arte scenica elettronica che viene reinventata dal contesto, che assume una nuova modalità di immersività, d’ascolto e di visione influenzata dall’elemento ambientale.
Le particolarità sono date dal contesto dell'isola, parco marino protetto, smilitarizzata di recente, e dal fatto di aver organizzato le performance elettroniche come un nuovo paesaggio che include l’osservatore, percorso riflessivo e percettivo fortemente partecipativo. L’arte elettronica ‘live’ proposta è stata pensata come un “ecosistema” fatto di simbiosi/innesti/migrazioni tra linguaggi e codici, sollecitando una prossimità relazionale con il pubblico e con l’ambiente naturale
.

Per il programma: CLIC!

"Genius loci eventi live"
a cura di Anna Maria Monteverdi e Francesca Sommovigo
Isola Palmaria (Portovenere-La Spezia)
Fortezza Umberto I
Dal 2 agosto al 6 settembre h.21 - 2.00 tutti i sabato.


Hellboy


Ecco un film osannato a torto, premiato oltre ogni suo merito dal botteghino.
Due ore – 122 minuti, per la precisione (e francamente troppi) – di effetti speciali apprezzabilissimi, questo è “Hellboy” eroe dalle sembianze luciferine. Stop. Niente di più.
Sempre diretto dal messicano Guillermo del Toro (premio Oscar per ‘Il labirinto del fauno’), il film racconta un nuovo episodio delle avventure dello strano demone ideato dal fumettista Mike Mignola che troviamo con Del Toro anche estensore del soggetto di questo film.
Il primo episodio di Hellboy risale al 2004 ed è grazie al grande successo ottenuto nel 2006 con ‘Il labirinto del fauno’ che del Toro ha potuto realizzare questo secondo capitolo, avvalendosi di una prestigiosa troupe di artisti tra i quali ricordo il direttore della fotografia, premio Oscar, Guillermo Navarro ed il responsabile delle creature e degli effetti speciali di make-up Mike Elizalde (Hellboy, X-Men: Conflitto finale).
Curiosità per gli appassionati del genere. Per ricreare i mondi fantastici in cui è ambientato il film, particolarmente accurata è stata la scelta delle location com’è avvenuto per il mercato dei Troll, uno dei più suggestivi set, ambientato sotto il Ponte di Brooklyn e raggiungibile dal retro di una macelleria. Lo scenografo Scott ha avuto tre mesi per trasformare un sotterraneo di 4.000 metri quadrati in questo brulicante mercato. La location sotterranea, un’ex cava calcarea, è stata trovata 25 miglia a sudovest di Budapest nel paesino di Tarnok, in Ungheria.
Particolarmente nutrita è la lista dello staff che ha lavorato alla creazione degli splendidi effetti in CGI: molte le società che hanno collaborato come Hatch, Lipsink Post, The Senate Vfx e Double Negative che ha lavorato al robotico Esercito d’Oro oltre che alla creatura Elementale e ad altri effetti.
I Solutions Studios, hanno creato un’inquieta fatina mentre tutte le altre fate sono state create dalla squadra di effetti visivi di Mike Wassel.
Per il film si è fatto anche largo uso di trucchi più tradizionali come protesi e maschere.
La sola creazione del personaggio di Hellboy, interpretato da Ron Perlman, richiedeva almeno 3 ore giornaliere per il trucco e l’applicazione delle protesi.

Konami ha prodotto il videogame con le voci del cast originale del film.
Il sito ufficiale: QUI.

"Hellboy - The Golden Army"
con Ron Perlman, Selma Blair, Doug Jones, James Dodd
Regìa di Guillermo Del Toro
Prodotto in Usa
Durata: 122 minuti.
Distribuito in Italia da UIP a partire dal 16.07.2008


Odissea da Camera

In quest’estate, c’è una ghiotta occasione per recarsi in Umbria, a Montefalco, dove prima di gustare i grandi prodotti tipici del luogo (vini, olio e miele), si può godere di un eccellente momento di turismo culturale.
Di che cosa si tratta è presto detto.
Negli spazi espositivi, dedicati all’arte contemporanea, nella chiesa-museo di S. Francesco in Montefalco costruita fra il 1335 e il 1338 (già nota per gli affreschi del 1542 di Benozzo Gozzoli), è in corso la mostra Odissea da Camera di Nicola Maria Martino.
L’artista, nato a Lesina nel 1946, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Roma dove ha avuto come maestro Sante Monachesi.
Da sempre animato da una salutare irriverenza nei confronti di reputazioni imbalsamate e glorie consacrate, si è prodotto anche in interventi concettuali. Ad esempio, nel clima della contestazione sessantottesca lo troviamo protagonista in azioni dissacranti contro gli esponenti dell’establishment artistico romano (famoso il suo “spernacchio” pubblico di Renato Guttuso).
Ha esposto in numerose gallerie in Italia e all’estero, ha partecipato alla Biennale di Venezia (1980 - Progetti Speciali) e alla Biennale d’Istanbul (1989).

In foto, un’opera in esposizione del 2005.

La produzione più recente di Nicola Maria Martino - che costituisce il nucleo centrale della mostra - si articola in una riflessione sui temi della memoria e dell’esperienza, elementi che presiedono alla formazione della Storia. Pertanto, la sua mostra – articolata su due piani – negli spazi sottostanti il grande ciclo di Benozzo Gozzoli, rappresenta un cortocircuito visivo, mettendo in risalto la dialettica storia/contemporaneità.

La mostra è a cura di Maurizio Coccia che firma il catalogo con Massimo Onofri.

Ufficio stampa: Carlo Simula, 347 – 79 73 217; carlo.simula@loom.it

Nicola Maria Martino
“Odissea da camera”
Museo Civico di San Francesco.
Via Ringhiera Umbra 6, Montefalco (PG)
Info: 0742 – 37 95 98
Fino al 14 Settembre 2008


Cose proibite


Quante cose i tanti poteri esistenti vorrebbero che non si conoscessero?
Impossibile farne il conto.
Però qui non farò ricorso al famoso titolo di Domenico Rea “Gesù fate luce”, perché come v’accorgerete tra poco sto per dire di un prezioso libro pubblicato da Newton Compton che tratta di segreti che riguardano la religione e quindi…

In tutta la storia dell’umanità la religione è stata una delle maggiori cause di assassinio, tortura, discriminazione, umiliazione, odio e disprezzo […] Più che la politica e l’economia, è la religione a indebolire e uccidere gli esseri umani. Nella storia non è mai avvenuto alcun genocidio che non sia stato alimentato dalle religioni. Ogni organizzazione religiosa sulla terra è progettata in modo da rendere più potente politicamente e economicamente chi è a capo di una religione.

Questo è il poderoso attacco che apre Il libro che la tua Chiesa non ti farebbe mai leggere, a cura di Tim C. LeedomMaria Murdy, due giornalisti specializzati in divulgazione storica.
A quell’apertura prima citata, segue una puntuale indagine che esplora i principali dogmi delle più popolari religioni del pianeta e sui più vergognosi scandali (dalla truffa alla pedofilia) di cui si sono resi protagonisti capi religiosi e sacerdoti.
Ma che cosa ha spinto gli uomini a credere in un’altra vita o in esseri soprannaturali?
Uno degli esperti (in molti intervengono nel volume fra teologi, storici, ricercatori scientifici), William Edelen identifica le origini di ogni credo in due motivazioni: la paura e i sogni.
La paura. Come i primitivi potevano spiegare le molte, terribili, manifestazioni della natura se non pensando che dietro quei fenomeni ci fossero esseri superiori che andavano venerati e placati?
I sogni. Come quegli stessi primi uomini potevano spiegarsi la presenza di persone che avevano visto morti e ora, nei sogni, vedevano vivi? Da qui l’immaginazione dell’esistenza di una seconda vita.
Il libro passa in rassegna le contraddizioni nei testi delle dottrine religiose, i falsi, lo sfruttamento dell’ignoranza, i terrori imposti, le violenze perpetrate.
Il tutto sorretto da un’attenta rilevazione delle fonti, citazioni articolate, con una sterminata bibliografia ed una puntualissima sitografia.
Libro da leggere. Libro che rende più liberi.

Per una scheda sul volume: QUI.

A cura di Tim C. Leedom – Maria Murdy
“Il libro che la tua Chiesa non ti farebbe mai leggere”
Traduzione di Lucio Carbonelli – Susanna Scrivo
Pagine 577, Euro 12:90
Newton Compton Editori


Luoghi dell'Utopia


Ha scritto Eduardo Gaelano: L'utopia è come l'orizzonte: cammino due passi, e si allontana di due passi. Cammino dieci passi, e si allontana di dieci passi. L'orizzonte è irraggiungibile. E allora, a cosa serve l'utopia? A questo: serve a camminare.

Di utopia in queste pagine s’è detto giorni fa a proposito del libro Le lingue utopiche di Caterina Marrone, e d’utopia Cosmotaxi torna a parlare oggi.
Luoghi dell’Utopia, è questo, infatti, il titolo di una rassegna che si terrà a Viareggio.

In foto la locandina.

A realizzare questo progetto è l’Associazione Bau.
Dal fitto cartellone estraggo alcune occasioni.
La Biblioteca Utopica: installazione interattiva di libri d’artista di oltre 100 autori internazionali a cura di Vittore Baroni.
The Invisible City: esplorazioni ciclo-podistiche per un laboratorio psico-geografico a cura di Paolo Emilio Antognoli.
Movimento delle Immagini / Immagini del Movimento: spazio per proiezioni no-stop di video a tema utopico.
Bau Contenitore di Cultura Contemporanea: esposizione di cinque anni d’esperienze.

Per il programma completo della manifestazione: CLIC!

“Luoghi dell’Utopia”
Villa Borbone
Viale dei Tigli, Viareggio
26 Luglio - 24 Agosto 2008
ore 18:00 – 23:00 (chiuso lunedì e martedì)


Kyo Art


Si deve al tandem Antonella Pisilli e Massimiliano Del Ninno se Viterbo – città che non eccelle per troppe iniziative in campo culturale e artistico – può vantare una Galleria d’arte contemporanea che per attività svolta e programmi futuri nulla ha da invidiare a centri che operano in grandi città: la Kyo Art Gallery.
La Pisilli è una critica d’arte che proviene da esperienze maturate nella collaborazione alla direzione di Gallerie romane; Del Ninno è studioso e operatore del mercato dell’arte.
Attualmente alla Kyo Art Gallery è in corso una mostra del duo Monticelli & Pagone intitolata Rorschach MG 000.
E’ ispirata al famoso test psicologico delle macchie così chiamate dall’inventore – lo psichiatra svizzero Hermann Rorschach – di un metodo diagnostico ideato per esaminare le caratteristiche della personalità e dell’emotività; tale metodo, si avvale di una serie di dieci tavole coperte di macchie d'inchiostro nere o policrome che il paziente deve interpretare.

In foto: un’immagine della mostra.

Ad Antonella Pisilli ho chiesto: qual è la linea espressiva che propone la Kyo Art Gallery?

La Kyo Art Gallery collocata nello storico quartiere medievale di San Pellegrino, ha inaugurato la sua attività nel marzo scorso come satellite della grande mostra “stARTrek The Next Generation” ospitata per gran parte nello storico Palazzo Orsini di Bomarzo.
La Kyo Art Gallery è un centro di diffusione ed espansione della creatività artistica contemporanea internazionale, dove i diversi territori indentitari, sociali e culturali sono alla base di tutte le mostre che presentano. Quindi, arte dei nostri tempi, con uno sguardo al mondo, non solo occidentale, ma anche all'Asia e soprattutto all'Africa
.

A Massimiliano Del Ninno, direttore commerciale di Kyo, ho chiesto: come s'è organizzata la Galleria per inserirsi nel mercato dell'arte?

Vorremmo attirare un pubblico attento e curioso ai nuovi linguaggi artistici, pronto a mettere in gioco le proprie conoscenze ed a spingersi verso nuove frontiere. Per quanto riguarda la clientela, vorremmo condurla verso un nuovo tipo d’investimento, con la figura dell'art-trader, al quale il cliente affiderà una somma di denaro, che verrà investita in due o tre opere con una diversa capacità di rendimento.
Il mercato dell’arte è dominato da grandi nomi che hanno ormai una quotazione specifica, artisti affermati che permettono di assicurare all’investimento un guadagno che s’incrementa notevolmente nel tempo.
Comunque esiste anche un microcosmo fatto di innumerevoli giovani artiste e artisti che sotto un occhio esperto possono riservare piacevoli sorprese investendo una piccola quantità di denaro. Gli esempi sono molti ma la condizione essenziale è di instaurare un rapporto di massima fiducia con una galleria d’arte o con un professionista del settore che sappia valorizzare il proprio investimento cercando di coniugare il gusto estetico e intellettuale del collezionista al profitto nel medio o lungo periodo
.

Kyo Art Gallery
Via San Pellegrino 55
Viterbo
Tel./Fax: 0761 – 34 03 78
e-mail: ufficiostampakyo@tele2.it


La questua


Si dice spesso che un libro giallo sia un’ottima compagnia sotto l’ombrellone.
Ebbene, ho da suggerirvi un giallo per l’estate come raramente n’avete letti.
Ed è un giallo che riguarda tutti noi, riguarda i nostri bilanci familiari, la nostra perduta dignità di nazione, il modo in cui viene celato dai media un raggiro di cui siamo vittime.
Il libro si chiama La questua quanto costa la Chiesa agli italiani, edito da Feltrinelli.
A scriverlo è una delle migliori firme del nostro giornalismo: Curzio Maltese, con la collaborazione di Carlo Montesilli e Maurizio Turco.
L’Editrice in una nota così riassume la biografia dell’autore: “46 anni, nato a Milano, cresciuto a Sesto San Giovanni. Da ragazzo, dopo un periodo tra fabbrica e radio ‘libere’, scopre una decisa preferenza per il giornalismo. Cronista a “La Notte”, poi alla “Gazzetta dello Sport”, dal 1986 inviato a “La Stampa” e dal 1995 editorialista a “la Repubblica”.
Ha scritto di cronaca giudiziaria, sport, pubblicità, spettacolo, politica. Poi ha capito che erano diventati una cosa sola”.

Il giallo è imperniato su come, ogni anno, dai 4 e mezzo ai cinque miliardi di euro scompaiano dai bilanci dello Stato e finiscano nelle casse del Vaticano.
Tutto ciò avviene attraverso una serie d’incredibili agevolazioni, concessioni, esenzioni, contributi, regalìe che i cittadini obbligatoriamente sono tenuti a dare attraverso le tasse.
Il libro si attiene ad una documentazione rigorosamente tratta da fonti cattoliche e questo ha determinato reazioni ancora più stizzite da parte di tonache e baciapile.
E’ un libro che finora mancava, non esisteva in Italia, infatti, una così estesa indagine sulle finanze del Vaticano e spicca per scioltezza di scrittura e puntualità di riferimenti con nomi, date, cifre che inchiodano la nostra classe politica d’oggi, d'ieri e dell’altro ieri a gravi responsabilità.
Nel chiudere questa nota tengo a rilevare che non è un libro contro la religione cattolica e i suoi postulati spirituali. Per niente. E’ una documentazione su sprechi e vantaggi concessi ad uno Stato straniero quale il Vaticano è. Senza più essere il cattolicesimo religione ufficiale del nostro Stato e che, tra l’altro, vede ogni giorno più presente le gerarchie d’oltretevere nei dibattiti sulle nostre leggi, i nostri comportamenti sociali mentre, ogni giorno, diminuisce il numero dei sacerdoti per effetto di una drammatica crisi delle vocazioni e le chiese sono sempre più disertate dai fedeli.
Trent’anni fa qualcuno scrisse le seguenti parole: La Chiesa sta divenendo per molti l’ostacolo principale alla fede. Non si riesce più a vedere in essa altro che l’ambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo.
Quiz. Chi è questo pericoloso sovversivo? Chi sarà mai quest’arrogante anarchico?...
Tempo scaduto. La risposta: Joseph Ratzinger, allora cardinale. Poi farà carriera.

Per ascoltare in streaming Maltese nel corso di una presentazione del libro: CLIC!

Per una scheda sul libro: QUI.

Curzio Maltese
“La questua”
Pagine 172, Euro 14:00 (on line 11: 90)
Feltrinelli


Enoteca La Torre


Cosmotaxi, come sa chi generosamente lo legge, non recensisce solo libri, concerti, mostre, spettacoli, ma anche occasioni enogastronomiche.
Oggi ve ne segnalo una maiuscola. Non è una mia scoperta perché già più di una Guida ha notato l’Enoteca La Torre che da poco meno di un anno ha aperto a Viterbo.
Viterbo, già. E’ questa una città che ben merita visite turistiche, dovrebbe, però, da parte dell’Amministrazione locale, essere maggiormente sorretta da programmi d’attrazione (Festival, Rassegne, etc.) per richiamare un più folto pubblico.
Giorni fa, ad esempio, in occasione di Caffeina - una manifestazione assai ben congegnata - ho visto grande animazione e interesse, sono cose da intensificare.
L’Enoteca La Torre si trova nel centro della città, all’interno della cinta muraria medievale, nell’affascinate edificio cinquecentesco Palazzo dei Mercanti.
Un angolo del localeArredato con molto gusto, con un’indovinata luministica e tavoli fra loro distanziati, riserva trionfi della Gola (meritatissima qui la G maiuscola) grazie all’impegno di due professionisti che hanno sfidato vecchie consuetudini gastronomiche locali, innovando con rispetto e fantasia la tradizione della Tuscia e anche avanzando proposte creative accompagnate da una carta dei vini che s’avvale di oltre mille etichette
I due sono Luigi Picca e Noda Kotaro.
Entrambi provengono da esperienze internazionali d’alto livello.
Picca, sommelier all’Enoteca Pinchiorri, si è formato nei migliori ristoranti di Francia, Spagna e Inghilterra; eccolo QUI in una sua dotta esposizione d’abbinamento.
Kotaro, giapponese, ha lavorato con alcuni fra i grandi nomi della cucina italiana, e si è misurato in famosi ristoranti all’estero; QUI illustra una sua preparazione.
Non sto a descrivere i piatti che lì ho consumato, illustrare a parole le pietanze la trovo un’operazione improbabile che fatalmente finisce in quel logoro gergo dei critici di gastronomia, me ne tengo lontano. Preferisco dire che all’Enoteca La Torre è stata creata un’impareggiabile armonia fra tradizione territoriale e innovazione, e le creazioni sono esercizi di stile che producono importanti emozioni sensoriali.
Il rapporto gusto-prezzi è da elogio, compreso il ricarico sui vini. Picca, cordialissima guida in sala, vi proporrà oltre alle scelte alla carta, due menu degustazione (5 e 7 portate).
Diciamo che con un bicchiere di vino a piatto, non andrete oltre i 65-75 euro.
Consiglio agli amici ghiottoni questo locale che merita anche una puntata a Viterbo fatta apposta per godere due ore d’alta enogastronomia. Andateci e mi ringrazierete.
Solo applausi? No. E’ urgente che questo ristorante s’attrezzi al più presto con un suo sito web (Picca lo promette per l’autunno) anche perché lì il menu cambia accortamente secondo stagione e il visitatore può informarsi sulle novità che troverà, sull’attualità dell’imponente cantina, i relativi prezzi.

Enoteca “La Torre”
Ristorante a Viterbo
Via della Torre 5
Tel: 0761 – 22 64 67
info@enotecalatorrevt.com


Oltre Liala


Nel marzo 2004 ad un convegno sulla letteratura rosa, Raffaele Crovi - scrittore che ci ha lasciato qualche tempo fa – disse: “Meglio parlare di letteratura popolare. Per trovare illustri antecedenti dei romanzi sentimentali di Liala basta leggere "Il piacere" o "L’innocente" di D’Annunzio e le opere di Sibilla Aleramo. Il genere ‘rosa’ sta dimostrando una grande capacità di rinnovarsi e di catturare interessi diversi. Lo dice il successo delle storie di sentimenti: misteri di famiglia, intrecci amorosi raccontati tanto dalle fiction televisive quanto dai romanzi di Michel Faber, Sveva Casati Modignani, Maria Venturi”.
Né mi pare – aggiungo io – che altri prodotti di solito non etichettati come ‘rosa’ siano tanto diversi. I romanzi di Moccia che altro sono? Romanzo gotico?... École du regard?... Minimalismo?... No, ‘rosa’ sono. Aggiornati. Rosa senza rossore.
C’è di più: una parte della letteratura erotica espressa da alquante autrici d’oggi altro non è se non rosa shocking. Concordo con Gianni Biondillo che, nell’antologia dal malizioso titolo “Pene d’amore”, scrive: “… non credo sia un caso che, nelle librerie lo scaffale di letteratura erotica è spesso affiancato a quello di letteratura rosa, senza soluzione di continuità. Sembra quasi che ci sia stato un travaso naturale di temi e di visioni del mondo”.
Novità sul genere rosa, sia pure in tutt’altra chiave, anche in questi giorni su Internet.
L'ensemble narrativo Kai Zen lancia un romanzo rosa a libera partecipazione da scrivere in Rete, ambientato durante le guerre di Crimea. Un rosa che può diventare rosso fuoco, o nero. Che può prediligere la fantasia alle tinte unite. Dal 26 giugno di quest’anno è andato online il primo capitolo.

Aldilà di rifacimenti, bis travestiti, innovazioni, resta Liala la più nota scrittrice italiana di quel genere letterario e, probabilmente, la più sincera. Mentre intorno a lei tutto era nero d’orbace, si svolgevano e si preparavano tragedie sanguinose, Liala vedeva rosa ovunque. Del resto, all’epoca squillavano anche i telefoni bianchi. Complicità? Ingenuità? Malizia? Tutto questo messo assieme?
Mariù SafierQuest’anno, a proposito di Liala, è accaduto anche che il suo ultimo libro lasciato incompiuto sia stato portato a termine da un’altra penna. Quella di Mariù Safier, giornalista e scrittrice.
Titolo: Con Beryl, perdutamente.
A Mariù Safier, ho chiesto: portare a termine un libro incompiuto è un’opera d’ingegneria letteraria. Qual è stata la maggiore difficoltà da te incontrata?

La difficoltà principale è stata adottare uno stile di scrittura che si avvicinasse a quello di Liala, per due ragioni.
La prima per confermare che non intendevo tradire lo spirito dell'autrice, amata con continuità da generazioni di lettrici e dunque il romanzo andava completato, confermando il linguaggio adottato fin dal suo apparire. Nei suoi libri, si ritrovano echi d’ispirazione dannunziana; il poeta era ammirato da Liala ed a lui deve il suo nom de plume: fu il Vate a suggerire che ci fosse un’ala, per lei che scriveva di piloti e aviazione.
Il secondo motivo è che lo stile è anche il contenuto: sfrondare le descrizioni, alleggerire l'impianto narrativo è stata un'operazione che paradossalmente, mi ha consentito di portare a termine la storia, aggiungendo senza nulla togliere, modernizzare senza snaturare. Sono subentrata a piccoli passi, entrando in un mondo che sembra lontano, ma il mondo femminile rimane ancorato ai sogni. Le lettrici abituali non sono state deluse, speriamo di averne acquisite altre per le prossime storie!

"Con Beryl, perdutamente", è edito da Sonzogno.


Parole Immagini


Avevo lasciato Lamberto Pignotti circa un mese fa mentre si tratteneva a colloquio con certe famose donne di malaffare, quand’ecco che mi raggiunge la notizia di un nuovo ambaradam da lui messo su a Prato.
Qui, infatti, nella Galleria d’arte contemporanea diretta da Armanda Gori, è in corso la mostra Parole Immagini.

In foto: un’opera verbovisiva di Pignotti del 2005.

Nell’occasione, a cura di Valerio Dehò viene pubblicato anche un libro reso possibile dal lavoro di Fernanda Salbitano, donna valorosa che non meritava la sfortuna di sposare Pignotti.
Nel volume, sono indagate le ragioni delle origini e dell’approdo del lavoro logoiconico di Pignotti che scrive: Nella poesia visiva trovate la frase fatta, lo slogan, la didascalia, la foto della diva, l’auto di serie, il volto dell’uomo politico, il fumetto. Copia, trapianto, citazione? No, lo scopo è impostare e portare avanti il discorso in modo da dare un nesso in chiave artistica a ciò che realmente ci circonda, ci riguarda, entra in noi, ma in modo per lo più caotico e acritico.

E Valerio Dehò: I lavori di Lamberto Pignotti trattano con ostinazione dei problemi della comunicazione e dell’informazione: ampliamenti, cancellazioni, sovrapposizioni e interruzioni dei canali di divulgazione di massa provocano poetiche deviazioni di senso, inversioni ironiche dei significati, sorprese che ne aumentano il valore informativo.

Lamberto Pignotti
“Parole Immagini”
Galleria Armanda Gori
Viale della Repubblica 64, Prato
Tel. 0574 – 56 28 90
info@armandagoriarte.it
Fino al 26 settembre ‘08


Fuor d'acqua e Fuoritempo


È molto raro che un romanziere italiano sia pubblicato prima negli Stati Uniti e poi da noi. Proprio questo, però, è accaduto a Stefano Bortolussi e al suo primo romanzo, Fuor d'acqua, pubblicato da Lawrence Ferlinghetti nella sua casa editrice City Lights.
I particolari di questa singolare storia sono stati raccontati dall’autore ai microfoni di Fahrenheit nel corso di un’intervista che potete ascoltare QUI.
Stefano BortolussiStefano Bortolussi, nato a Milano nel 1959, critico, poeta, lavora per il teatro e per il cinema, ed è traduttore dall'inglese d'autori noti, ad esempio: James Ellroy, Cathleen Schine, Merrill Block.
Dopo quel suo primo libro, in italiano dal 2004, nel 2006 è stato pubblicato Fuoritempo; entrambi dalla casa Editrice peQuod.
Altro suo titolo: Ipotesi di caldo, Book Editore.

A Stefano Bortolussi, ho detto: ti propongo un gioco crudele alla maniera oulipiana.
In 10 righe - tante quante sono le lettere che compongono il tuo cognome - traccia un tuo autoritratto letterario.

Mi è stato detto più volte, e da parti le più disparate, che i miei romanzi sembrano molto "anglosassoni" e poco "italiani". E' un'osservazione che ho preso molto a cuore, non tanto per un immotivato distacco nei confronti della scena letteraria italiana attuale, di cui c'è molto che mi piace e che mi stimola, quanto per una mia marcata e ormai radicata affinità elettiva con la narrativa angloamericana contemporanea, che frequento assiduamente sia come lettore che, professionalmente, come traduttore. Ma ovviamente, in letteratura non c'è niente di così semplice; ed è per questo che lassù nel mio piccolo Olimpo autori come John Irving, Jonathan Coe, Michael Chabon o il primo Nick Hornby (sono solo alcuni esempi) pascolano sereni sotto l'occhio sommo, ilare e severo di Vladimir Nabokov.
E tutto il resto è letteratura
.


Pagine in Second Life


Prima di parlare di quanto promette o minaccia il titolo di questa nota, esulto a una notizia appresa dal sito di Meridiano Zero: Vincenzo Mazzitelli è vincitore del Premio di Poesia "La Ginestra", edizione 2008.
Perché ne sono felice? Per saperlo, cliccate QUI.
Complimenti a Marco Vicentini, editore di MZ; non so quanti fra i suoi colleghi avrebbero pubblicato quel libro pur straordinario.

Il 23 giugno Second Life ha festeggiato i suoi primi cinque anni e Cosmotaxi ha ricordato la ricorrenza affidando a Mario Gerosa un un telegrafico bilancio di quel multiverso.
Com’era prevedibile, l’universo sintetico ha stuzzicato la fantasia di scrittori che hanno ambientato in parte o in toto romanzi tra le isole di SL.
Il primo, in Italia, fu Gianluca Nicoletti con “Le vostre miserie il mio splendore”; libro purtroppo malriuscito sia concettualmente sia per qualità di scrittura. E’ stata poi la volta di un tandem: Cristiano De Majo e Francesco Longo con Vita di Isaia Carter, avatar e qui, invece, c’è tanta qualità anche perché la narrazione è frutto di una ricerca documentaristica (del resto, Cristiano De Majo è coautore anche di uno splendido documentario letterario) e non punta ad essere un vero e proprio romanzo, genere da me scarsamente amato.
Ora – se non ho dimenticato di citare altri autori – Meridiano Zero pubblica di Max Giovagnoli un libro che vede, in una delle sue parti, un’ambientazione in SL: All’immobilità qualcosa sfugge.
L’autore, un antesignano della crossover communication, muove assai bene i personaggi con il veloce linguaggio che sta tra fumetto e cinema: battute di dialogo corte da nuvoletta, profili che lampeggiano tra frames.
Piccola riflessione sulla forza e sulla perversione del romanzo. Paul Valéry disse di mai volerne comporre uno perché sarebbe stato fatale ad un certo punto nelle pagine scrivere “La marchesa uscì alle cinque” (aut similia) e non voleva conoscere quell’umiliazione. Ora, perfino gli inediti scenari come quelli di SL sembrano obbligare la penna verso quella frase, o battuta simile. Aveva ragione Valéry (e Pessoa, e Manganelli, e Charms, e Ceronetti e tanti altri ancora): per non vedere quella marchesa uscire di casa, forse bisogna solo astenersi dallo scrivere un romanzo.


Max Giovagnoli
“All’immobilità qualcosa sfugge”
Pagine 221, Euro 13:50
Meridiano Zero


Aria Festival


Dopo l'Andersen Festival di Sestri Levante, l'isola di fronte a Porto Venere ospita la seconda edizione di Palmaria Festival: nuove forme circensi, eventi "site specific", narrazioni, cinema, musica e teatro.
Il Festival coinvolge due splendidi luoghi della costa ligure di levante: isola Palmaria, 17-20 luglio e La Spezia, 11-14 settembre.
“Aria” agisce sui territori della collettività: strade, piazze, e anche i parchi, le cave, i boschi, gli edifici pubblici, le spiagge: dal pomeriggio a notte fonda.

La foto qui accanto coglie un momento di Horror Vacui produzione di Artificio 23/Balletto Civile con la danzatrice e coreografa Michela Lucenti.

Direttore artistico del Festival è Leonardo Pischedda.
Laureato all’Università di Bologna in Lettere Moderne, ha collaborato con Carlo Cecchi, Spiro Scimone, Francesco Sframeli, Valerio Binasco, Fausto Paravidino, e molti altri personaggi della scena italiana.
Dal 1999 è direttore artistico dell’Andersen Festival di Sestri Levante.
Nel 2003 è co-fondatore di Artificio 23 Associazione che studia e realizza spettacoli pensati per luoghi non convenzionali.
E’ del febbraio 2008 la produzione più recente di Pischedda, allorché ha ideato e diretto: “Aerospettacolo del Golfo della Spezia”, liberamente ispirato a F.T. Marinetti ed al Movimento Futurista.
A lui ho chiesto d’illustrare la particolarità di “Aria Festival”.

Un festival di spettacolo su un’isola è di per sé particolare.
È proprio il concetto dell’isola a segnare la cifra espressiva di Aria Festival alla Palmaria.
L’isola, poi, ha un ambiente naturale che è già uno spettacolo. Il festival parla del territorio in cui si svolge e della sua storia, quella di un posto che sembra essere fermo agli anni ’50 data l’occupazione prolungata di quel luogo da parte della Marina Militare e dell’Aeronautica. È interessante il dialogo tra esperienze artistiche contemporanee molto avanzate e una località apparentemente bloccata nel tempo al dopoguerra. A tutti gli artisti chiediamo di confrontarsi con gli spazi dell’isola, ne deriva un teatro immaginifico che accoglie suggestioni dal mare aperto, dalla luce intermittente di un faro nella notte
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Per il programma: QUI.

L’Ufficio Stampa è guidato da:
Claudia Franco, 347 – 06 10137; ariafestival@gmail.com
Elisa Palagi, 0187 – 25 72 13; elisa@artificio23.it

“Aria”
Festival internazionale di spettacolo per luoghi pubblici
Isola Palmaria (SP)
Info: Artificio23 via Rosselli 22, La Spezia
Tel: 0187 – 25 72 13, Mail: info@artificio23.it
Dal 17 al 20 luglio '08


Noam Chomsky


Specie in un paese come l’Italia, e specialmente di questi tempi, è da consigliare la lettura di Noam Chomsky, uno che ha scritto: Il potere nel mondo sta finendo in mano ai sistemi totalitari, di fatto vere e proprie tirannidi private.
Ebreo americano d’origine russa, è nato a Filadelfia il 7 dicembre 1928.
E’ il fondatore del generativismo, un'interpretazione della linguistica che spiega le leggi che governano il prodursi del linguaggio e che si oppone alla linguistica strutturalista funzionalista. L’obiettivo di questa teoria è sviluppare una grammatica in grado di generare frasi; la conoscenza di una lingua – sostiene Chomsky – è la capacità di produrre e comprendere un numero virtualmente infinito di frasi, cioè anche frasi nuove, mai prodotte o udite prima, di questo deve dar conto una grammatica.
Insegna al MIT (Massachussets Institute of Technology) lingue moderne e linguistica.
Parallelamente a questi studi, ha sviluppato un forte impegno politico che lo ha portato ad opporsi al socialismo autoritario, ai governanti che si autodefiniscono illuminati, e a tutti gli strumenti (come la stragrande maggioranza dei media) che tentano di dettare alla gente ciò che essa dovrebbe considerare come il proprio interesse.
Nel corso degli anni, ha sempre più affinato la sua critica puntandola sul grado di collusione fra intellettuali e politiche dello stato, anche quando queste politiche sono chiaramente oppressive, violente o illegali.
Grazie ad un minuzioso studio su di un’immensa mole d’ogni tipo di documenti, Chomsky è riuscito a smascherare numerosi casi d’utilizzo fraudolento delle informazioni, nonché ad evidenziare la piattezza conformistica dei media.
Il ‘New York Times’ ha detto di lui: "Ci sono buone ragioni per pensare che Chomsky sia il più importante intellettuale vivente".

Un buon contributo per avvicinarci alla conoscenza di Chomsky, viene dalle Edizioni Datanews che con agili librini, di costo contenuto, ha raccolto alcuni fra i principali temi politici trattati da questo maiuscolo esponente della sinistra americana.

Qualche titolo: “Il conflitto Israele-Palestina” (2002); “Anarchia e libertà” (2003); “Lezioni di potere” (2003); “Democrazie e impero” e “Global Empire” (entrambi nel 2005); “Guerra e propaganda. La verità della guerra e la verità dei grandi media” (2007).


Matematica e sesso


Il grande Fernando Pessoa ha scritto: Il binomio di Newton è bello come la Venere di Milo, però pochi se n’accorgono.
Ancora più sorprendente può essere accostare due termini Matematica e sesso come fa l’autrice di un libro edito da Tea proprio così intitolato.
L’autrice è l’inglese Clio Cresswell: ricercatrice di matematica, scrittrice, presentatrice televisiva, ha trascorso l’infanzia in Grecia, è cresciuta nel Sud della Francia e ha frequentato l’università in Australia. La formazione in un certo senso poco ortodossa di Clio ha contribuito al suo modo diversificato ed eclettico di guardare alla vita.
Agisce in Rete un suo sito web: cliocresswell.com.
A sfogliare il suo volume in libreria, può accadere, alla vista di non poche pagine riempite di formule, di abbandonarlo sul banco ritenendoci esclusi da quel linguaggio: errore!
Quelle formule – gustate da chi sa di matematica – possono essere saltate da (come chi scrive questa nota e molti altri) coloro che ignorano quei segni, perché la Cresswell provvede a spiegare punto per punto che cosa significano e ci riesce anche con molto senso dell’umorismo.
“… certo, il numero dei partners sessuali” – scrive – “ il numero di volte in una notte, la frequenza dell’orgasmo, la quantità di sperma, e via dicendo. A questo livello la matematica è certamente coinvolta, ma va oltre. Perché è lo studio di modelli e relazioni: li scopre, li collega, ne considera le implicazioni. E in àmbito sessuale ha portato alla luce un tesoro sepolto di modelli e relazioni a volte insospettabili”.
Tanti gli episodi storici curiosi raccontati. Ad esempio, nel 1993, Victor Johnston e Melissa Franklin scoprirono un modo per costruire velocemente una strafica usando gli algoritmi matematici della genetica.
Ancora: se è vero che la natura tende ad una sessualità a 2 sessi, non è da trascurare che sono moltissimi i casi difformi da questa regola. Ci sono muffe che possono scegliere fra 3 sessi; la ‘stylonchia lemmae’ può godersi la varietà di 48 sessi, alcune specie di funghi possono scegliere parecchie migliaia di sessi con cui accoppiarsi.
E poi: sapete come fanno negli umani le ovaie a contare e i testicoli a fare le addizioni?
In che cosa si rassomigliano gli orgasmi femminili e maschili?
Tante le domande complesse esposte alle quali il libro risponde in modo puntuale e divertente.
Ma, non allarmatevi, per fare sesso – la stessa Cresswell ci rassicura – non è necessario conoscere la matematica.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Clio Cresswell
“Matematica e sesso”
Traduzione di Mario Fillioley
Pagine 184, Euro 8:00
Edizioni Tea


Il quark e il neurone


Tra i modi d’ostacolare la comprensione delle scienze, c’è quello, volontario o involontario, di renderle inaccessibili attraverso un linguaggio oscuro e difficile.
Si determina così in chi non è addetto ai lavori uno sgomento che lo tiene lontano da molte informazioni e teorie, con gioia di cardinali, mullah e rabbini i quali dal progresso culturale scientifico sono da secoli terrorizzati perché soccombenti.
Tra i meriti che vanno riconosciuti alla Casa Dedalo, c’è proprio quello di dedicare alla divulgazione della scienza parte delle sue pubblicazioni che (sia quando dirette ai ragazzi sia quando rivolte agli adulti) s'avvalgono d'un taglio editoriale d’estrema comunicabilità tanto da far capire anche cose complesse.
E’ il caso, ad esempio, del recente Il quark e il neurone scritto dalla belga Elisa Brune; laureata in scienze ambientali, coniuga la sua attività di scrittrice con quella di giornalista scientifica.
In questo volume, adotta un infingimento narrativo che la vede ospite di un immaginario congresso dove matematici, fisici, filosofi, psicoanalisti e altri ancora dibattono a porte chiuse su disparati temi: dalla meccanica quantistica alla cosmologia, dalla teoria della relatività al Big Bang, dall'effetto farfalla all'elettromagnetismo, dal genoma ai buchi neri.
In realtà, gli scienziati impegnati nel dibattito sono tutti esistenti e indicati con il loro nome, insomma la Brune riesce in tal modo a profilare una fedele sintesi di molte teorie dei nostri giorni.
Il libro, scorrevolmente tradotto da Barbara Sambo, s’avvale dell’editing scientifico di Elena Ioli e proprio a lei mi sono rivolto per meglio illuminare Il quark e il neurone.
Elena Ioli, è laureata in fisica teorica a Bologna, studia il linguaggio della scienza, con particolare attenzione all’uso e al ruolo delle metafore; è autrice, con Daniele Gouthier, di Le parole di Einstein.

Elena, qual è il maggiore pregio di questo libro?

Questo libro rappresenta per le Edizioni Dedalo una incursione in un ambito editoriale nuovo, poiché si tratta di una via di mezzo fra un saggio e un romanzo scientifico. L’autrice è una giornalista scientifica e scrittrice di talento che assiste a un importante dibattito sull’unità della conoscenza: proponendosi come spettatrice ingenua e curiosa, mette il lettore a proprio agio, e incalza gli illustri studiosi con le domande che tutti vorremmo avere il coraggio di fare.

Dai risultati di questo immaginario congresso, si può sostenere che sia l'Informazione la nuova occasione per l'unificazione dei saperi?

Il congresso raccontato dalla Brune, popolato da fisici, psicanalisti, teologi, poeti, aspira a sfumare i confini fra le diverse discipline, per dare un carattere emergente alla multidisciplinarità, base della cultura moderna. In questa prospettiva, l’informazione si impone senza dubbio come nuovo concetto fondamentale: in fondo, come esseri umani, passiamo la vita ad acquisire informazioni (con i sensi o la tecnologia) e a volerle condividere.

Elisa Brune
“Il quark e il neurone”
Traduzione di Barbara Sambo
Pagine 139, Euro 13:00
Edizioni Dedalo


Altalene


Non è la prima volta che in queste pagine mi occupo di Luigi Serafini, rabdomante di segni, viaggiatore per paradisi pedestri, e un giorno anche cosmonauta.
In molte delle sue coloratissime visioni agiscono figure da puppentheater e non mi meraviglia che abbia scelto ora uno dei più tradizionali giochi d’infanzia – l’altalena – per un’installazione giocosa e pensosa intitolata Balançoirs sans Frontières.
Questo recente lavoro s’inserisce in un originale tracciato di ArteBregaglia di cui potete conoscere profilo e finalità QUI.

Lascio ora la parola a Luigi.

“Balançoirs sans Frontières” è una struttura in stile fantasegnaletico e antixenofobo, composta da due altalene e due specchi che permette l’esperienza diretta facilitata del confine e della frontiera e la conseguente riflessione su questo tema. In alto due rossi King Botto, (esserini provenienti da antiche mitologie appenniniche) sorvegliano il tutto con l’idea di una Sovranità giocosa e aperta. Grazie alle due altalene si potrà oscillare in coppia da una parte all’altra del confine su dei sedili dipinti con i colori nazionali italo-elvetici. Si starà cioè per alcuni secondi in Svizzera e subito dopo in Italia, con il risultato di poter contare alla fine dell’esperienza un numero emozionante di “visite” nel paese confinante, come mai ci si sarebbe sognato di fare.
Guardando invece nello specchio si vedrà riflesso il paesaggio retrostante. Ovvero rivolgendosi verso la Svizzera si vedrà l’Italia e viceversa. E la frontiera è appunto questo, un andare avanti portandosi dietro le proprie memorie e esperienze.
Una serie di girandole dorate poste sopra l’architrave evidenzierà come l’atmosfera nella sua volatilità non possa essere trattenuta in nessuna delle due parti, mentre una fila di luci permetterà l’uso delle altalene anche sotto le stelle.
Inoltre Balançoirs è un’opera destinata per sua nature a quelle aree geopolitiche dove sono presenti conflitti armati. Sarebbe infatti auspicabile la creazione da parte delle Nazioni Unitedi un’ Agenzia incaricata di posizionare un gran numero di queste strutture lungo i confini contesi. Al resto ci penserebbero i bambini dei paesi in lotta, che certamente accorrerebbero a frotte per dondolarcisi sopra….e sarebbe questo l’ irresistibile inizio della Pace
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Luigi Serafini
"Balançoirs sans Frontières"
Irene Moser, Russikon - irene.moser@swissonline.ch
Tel.: +41 (0) 43 355 80
Fino al 21 settembre '08


Le lingue utopiche


La parola utopia non trova tutti d’accordo nel decifrarla, esistono, infatti, due diverse interpretazioni: chi vi attribuisce il significato riconducibile a "non luogo" e chi gli preferisce quello di "regione della felicità (e della perfezione)".
Una ricostruzione della querelle, la trovate QUI contenuta nel libro che presento oggi: Le lingue utopiche di Caterina Marrone.
L’autrice, studiosa di semiotica del testo letterario e figurativo, docente di Filosofia del linguaggio all’Università di Roma “La Sapienza”, si è occupata in particolare dell’immaginario linguistico.
Per Stampa Alternativa ha già pubblicato nel 2002 I geroglifici fantastici di Athanasius Kircher.
Le lingue utopiche è un appassionante viaggio che partendo dall’isola Utopia, immaginata nel 1516 da Thomas More, attraversa vari territori linguistici da Rabelais a Swift fino alle tenebrose terre delle distopie (cioè utopie negative) novecentesche, costeggiando infine le rive dei bellicosi Klingon di Star Trek per approdare poi alle colonne d’Ercole, o meglio alle colonne di Bill Gates, nel provvisorio porto dei segnacoli della Rete che presto si trasformeranno nei nuovi segni dei computers quantici.

A Caterina Marrone, ho chiesto: qual è l'attualità, o il destino, delle lingue utopiche nell'era d'Internet?

Bella domanda, davvero! Comincio dall’attualità. Internet, come ognun sa, è una tecnologia ed è come se mi si chiedesse dell’attualità della poesia nell’era del telefono o del telegrafo o della stampa. I poeti hanno continuato a fare i poeti utilizzando i supporti tecnici che il loro tempo forniva. Poi ci sono buoni poeti e inutili versificatori ma questa è un’altra cosa. Oggi, devo dire, che alcune lingue utopiche, ovvero immaginate e costruite artificialmente da qualcuno perché siano la lingua di un paese anch’esso inventato a tavolino, e che in qualche modo ne rispecchino la configurazione, le troviamo in internet alla voce ‘microstates & micronations list’, insieme con una miriade di ciarpame pubblicitario, e per la verità sono piuttosto brutte. Tutte su base anglosassone e qualcosa di francese, come del resto accade per le lingue utopiche di razza che si svilupparono soprattutto in queste sfere culturali dalla loro origine sino a oggi. In verità la seconda metà del ‘900 ha prodotto cose interessanti ancora una volta sul cartaceo: S. Haden Elgin e U. Le Guin sono le protagoniste dell’ultima metà del secolo scorso con i loro volumi.
Il futuro? La tecnologia internet è bella e affascinante, dà un senso di onnipotenza, potrebbe aspettare di essere scelta dai prossimi inventori di lingue utopiche, ma potrebbe anche darsi di no. La preferenza del mezzo fa parte anch’esso della scelta espressiva. E la storia, al contrario della scienza, non fa previsioni: aspetta che le cose accadano e poi le analizza
.

In appendice al volume un’antologia di testi; gli autori: Francis Godwin, Hector-Savinien Cyrano de Bergerac, Gabriel de Foigny, Denis de Vairasse d’Alais, Simon Tyssot de Patot, Bernard de Fontanelle, George Psalmanaazaar, Jonathan Swift, Pierre-François Guyot Desfontaines, Louis-Sébastien Mercier, Nicolas Restif de la Bretone, Giacomo Casanova, Edward G. Bulwer Lytton.

Per una scheda sul libro e leggere il capitolo L’utopia linguistica on line: CLIC!

Caterina Marrone
“Le lingue utopiche”
Pagine 337, Euro 20:00
Stampa Alternativa


Io non ricordo


Oggi, due note diversamente dedicate alla memoria. Ecco la prima.

Da appassionato lettore di cataloghi, mi auguro che qualche editore un giorno ne commissioni uno dedicato alla narrativa che abbia per protagonista la Memoria; è una cosa che avrebbe scritta volentieri Bufalino, ora, purtroppo, bisogna fare a meno di lui.
La memoria ha uno sterminato scenario in romanzi e racconti, ma il mio primo pensiero su questo tema va ad un libro che non è un romanzo né un racconto (vale a dire uno di quelli che preferisco): “Mi ricordo” di Georges Perec in cui i ricordi galleggiano sulla pagina come rottami dopo un naufragio, e fa pensare che a furia di ricordare l’autore smemori l’intera vita sua.
Di memoria si occupa il libro che presento adesso: Io non ricordo, laddove la memoria del personaggio motore della narrazione (la madre di chi racconta) è devastata dall’Alzheimer, quella malattia descritta per la prima volta nel 1906 da Alois Alzheimer, neuropsichiatra tedesco, in una donna di 51 anni.
Di un libro mai ne racconto la trama perché sono più interessato alla struttura e al linguaggio, e qui questi due elementi splendono con storie dentro le storie ed una scrittura rapida e drammatica densa di un sentimento della vita che mai cede al sentimentalismo.
L’autore è Stefan Merrill Block, nato nel 1982 a Plano, nel Texas; laureato alla Washington University di Saint Louis, nel Missouri, vive ora a New York, “Io non ricordo” è il suo primo romanzo.
Lo ha pubblicato Neri Pozza in una lodevolissima traduzione di Stefano Bortolussi.

Proprio a Bortolussi ho chiesto: perché Merrill Block è tanto elogiato dalla critica e anche il pubblico ha dimostrato di apprezzare molto il suo lavoro?
Particolarità tematiche?... Stlistiche?

"Io non ricordo" di Stefan Merrill Block è un libro che io consiglierei di leggere a chiunque per diverse ragioni. Prima di tutto, pur essendo il primo romanzo di un autore poco più che ventenne, sembra l'opera di uno scrittore esperto e perfettamente in grado di gestire una materia difficile come quella che ha scelto; e in secondo luogo proprio per il modo in cui affronta questa materia, la malattia e nello specifico il morbo di Alzheimer. Block ne fa una sorta di metafora di un viaggio alle origini, di un recupero dell'innocenza, che diventa tanto più pregnante quanto più l'autore si discosta dai facili patetismi personali e introduce nella narrazione un afflato mitologico/favolistico che cattura il lettore fin dalle prime righe, per non allentare più la presa. In questo senso, "Io non ricordo" è un libro che non ha paura di commuovere: il particolare tipo di trasporto che riesce a creare è sempre legato a doppio filo alla gioia vertiginosa del raccontare.

Per una scheda e altri giudizi critici sul libro: QUI.

Stefan Merrill Block
“Io non ricordo”
Traduzione di Stefano Bortolussi
Pagine 350, Euro 17:00
Neri Pozza


C'è chi non vuole ricordare

A Roma, il Museo della Liberazione di Via Tasso, che ha sede nell'edificio che fu prigione della Gestapo, tra alcuni giorni non esisterà più.

Nella foto: la camicia insanguinata del professore Gioacchino Gesmundo, torturato a via Tasso prima di essere ucciso alle Fosse Ardeatine.

L'articolo 26 del Decreto Legge emesso il 25 giugno 2008 prevede, infatti, la soppressione entro 60 giorni degli enti pubblici non economici con organico inferiore a 50 persone.
L’indignazione suscitata da tale decisione sta costringendo il ministro Brunetta a trovare qualche soluzione, ma, alla data di oggi, le cose stanno come quel decreto dispone.
Insomma, per ragioni d’economia, viene sciolto un ente il cui funzionamento si basa sul lavoro volontario, e che in dieci anni ha più che raddoppiato i suoi visitatori, allargato la sua visibilità (il Museo è stato di recente invitato a far parte dell'International Coalition of Historic Sites Museums of the Conscience), fa parte della rete italiana dei Luoghi della Memoria ed è presente nelle principali guide del turismo culturale mondiale.

In breve: Roma, potrebbe fra poco trovarsi priva del Museo della Liberazione e, contemporaneamente, su proposta del sindaco Alemanno, con una strada intitolata a Giorgio Almirante.


La Fura e l'Imperium


Da sempre sono un sostenitore del gruppo teatrale catalano Fura dels Baus che ha innovato la scena internazionale con spettacoli muscolari e tecnologici lontano cioè da quel teatro di parola che amo quanto una colica renale.
In questi giorni la Fura è in Italia, prossime tappe: lunedì 7 e martedì 8 luglio a Firenze, al Mandela Forum.

Precedentemente il gruppo s’è esibito a Milano e lì per Cosmotaxi s’è recato a vedere lo spettacolo un inviato d’eccezione: Mauro Pedretti.
Ecco come ne riferisce.

ImperiumImperium segna il ritorno del gruppo spagnolo ad un atto teatrale in forma di performance fisica e tecnologica, dove lo spazio scenico, vuoto, viene occupato da azioni di attori e da macchine teatrali che si muovono a supporto delle situazioni che via via vanno a crearsi. Lo spettacolo è strutturalmente condizionato dal movimento della macchine - in particolare una sorta di piramide scomposta in quattro parti che si spostano quasi simmetricamente nello spazio a disposizione, e che si riuniscono al centro per la scena finale - che formano e creano gli ambiti dell'azione delle attrici (tutte, infatti, donne le interpreti) e del pubblico che, con i suoi movimenti, segue ad onda il muoversi della rappresentazione.
Il progetto dello spettacolo è quello di rappresentare le facce (nascoste) del potere e della colonizzazione, mostrandone gli elementi primari che li caratterizzano (il dominio, la violenza, il controllo, la tortura) attraverso l'azione dei corpi degli attori e l'utilizzo di materiali archetipi quali acqua, fuoco, fango, cibo. L'azione è superbamente accompagnata senza interruzione da una musica di forte impatto, continua, pulsante e permeante con i suoi bassi vibranti e profondi.
In un paio di occasioni, nello spazio vengono proiettati su tela alcuni video di comics senza parole, dove attraverso un segno alla "haring" sono riformulati i concetti espressi dall'azione teatrale: questi video sono forse tra le cose più interessanti.
Imperium rimane uno spettacolo di grande energia e di forte impatto emotivo, soprattutto per coloro che non abbiano già assistito a precedenti rappresentazioni della Fura dels Baus. Potrebbe forse deludere però gli abituée di questa compagnia venendo un poco a mancare lo stupore della rappresentazione - uno dei punti di forza di questo gruppo - che tende a ricadere nel già visto
.

Le informazioni ufficiali sullo spettacolo, materiali e foto sono raggiungibili online QUI.


Digiarte


A Sesto Fiorentino, particolare risalto acquista l’edizione 2008 di Digiarte perché questo festival dedicato alla fotografia digitale e al confronto tra l'arte contemporanea e le nuove tecnologie festeggia il suo quinto anno d’attività.
Maggie KS - ShirtRicorrenza ricordata anche da una retrospettiva con le foto e i video di tutte le precedenti edizioni sempre guidate da Lorenzo logu Guasti.
In quest’edizione s’è avvalso della collaborazione di Costanza Baldini e Francesca Sborgi.
Fotografo e Graphic Designer, logu, conduce uno dei più longevi photoblog italiani e segue da sempre i fenomeni legati ai rapporti fotografia-web, l'evolversi dei social network e delle nuove tecnologie.
E' docente di Digital Photography presso la Scuola Internazionale Lorenzo de Medici di Firenze.

A lui ho chiesto: sono tanti i Festival di arte digitale. Ti chiedo d'indicare la particolarità che contraddistingue DigiArte nello scenario delle rassegne similari in Italia...

Vero Noprofit, nel senso: con i soldi che ci danno si finanzia tutto: la stampa delle opere degli artisti emergenti che non si possono permettere di stamparle in proprio, gli allestimenti, i gettoni di presenza, la stampa dei cataloghi, in ultimo, se avanza (quasi mai) un compenso per chi ha lavorato.
Un festival di arte digitale deve essere "dentro" il digitale: noi di Digiarte gli artisti li cerchiamo in Rete, li contattiamo in Rete e sviluppiamo il lavoro come social-network.
Altra peculiarità: ogni anno un artista di fama mondiale accanto ad artisti emergenti su scala nazionale e regionale
.

Digiarte
Fino al 17 luglio 2008
Piazza Vittorio Veneto 1
Sesto Fiorentino (Fi)
info@digiarte.info


Religiosamente torturando


Da Exit, Centro di Studi e Documentazione sull’Eutanasia, m’è pervenuto giorni fa un libro, non è recente, è dell’anno scorso, ma tragicamente attuale.
E' stato pubblicato dall'Editrice Tea nella collana Esperienze.
Titolo: Perché mi torturate?, sottotitolo: Storia dell'uomo rinchiuso in una gabbia grande quanto il suo corpo.
L’autore è Adolfo Baravaglio, che in seguito ad un incidente stradale avvenuto il 30 aprile 1989 è ridotto da 18 anni in un letto, può muovere solo il collo e un braccio.
Nel volume è descritto il penoso elenco di tutte le azioni che un uomo nelle sue condizioni è costretto a svolgere ogni giorno: "E' la cosa più bella dormire. Perché sogno tanto, e in sogno cammino. Il risveglio è sempre peggio del peggior incubo".
Con lucidità che rende ancora più terribile quella condizione, Baravaglio parla dell’eutanasia, della necessità che essa sia prevista da una legge; hanno registrato le sue parole Gabriele Vidano e Letizia Moizzi.
Sul caso, è bene ricordarlo, ha rimediato in Tv una storica figuraccia Roberto Formigoni.
L’atmosfera politica italiana dei nostri giorni, però, dominata dalle direttive del Vaticano, rende più difficile un dibattito (per non parlare di una legge) su questo tema che dovrebbe vedere impegnati soltanto medici e giuristi senza alcun’interferenza di religioni, ma tant’è; a parlare, anzi, ad urlare prevalgono le voci d’oltre Tevere ed i loro portastrilli.

Nella prefazione del cattolico Gianni Vattimo si legge: “Sono onorato di scrivere una breve prefazione a questo libro in cui Adolfo Baravaglio lancia il suo grido disperato e si mette a nudo per smuovere le coscienze. Perché ho sempre creduto doveroso approdare a una legge che consenta, pronunciamo subito la parola spaventosa, l'eutanasia. Ogni essere razionale finito, come direbbe Kant, non può che rabbrividire pensando all'immobilità per un uomo, totale inerzia di un corpo che è gabbia di una mente sana e lucida”.

Perché mi torturate? è un libro da leggere perché significa entrare in contatto con una vittima di crudeli sofferenze che potrebbe cessare se all’ipocrisia e alla violenza delle religioni (non solo quella cattolica) non fosse concesso d’entrare nelle leggi degli Stati.
Il volume si chiude con una panoramica sull’eutanasia negli ordinamenti legislativi d’altri paesi, e sitografia, filmografia, bibliografia sul tema.

Per una scheda sul libro: QUI.

Adolfo Baravaglio
“Perché mi torturate?”
A cura di Gabriele Vidano e Letizia Moizzi
Prefazione di Gianni Vattimo
Pagine 147, Euro 10:00
Edizioni Tea


La risata del '68


L’Editrice nottetempo ricorda il ’68 con un volume che raccoglie dieci testimonianze da parte d’altrettanti autori che vissero quella svolta epocale; titolo: La risata del ‘68.
Se, invece d’un libro, si trattasse di una messa in scena, si potrebbe ben dire che il regista ha indovinato la ‘distribuzione’ (in gergo di spettacolo: l’assegnazione dei ruoli agli attori) perché tutte le firme convocate dalla redazione illuminano un particolare tracciato attraverso le emozioni provate a quel tempo. Di quell’avvenimento storico, viene fuori così un ritratto in 3D con plurali, diversificate, visioni.
Si va da un flash di cronaca di Nanni Balestrini reduce da Praga invasa dai russi a Ginevra Bompiani che a Parigi vive la riconquista della Sorbona da parte della polizia come la caduta dell’allegria rivoltosa. Da una Luciana Castellina che intercetta il ‘68 con il dolore d’essere stata radiata da poco dal Pci alle esperienze cattoliche con le quali affrontò quell’anno Luisa Muraro. Da Giovanna Pajetta che vede con occhi da diciannovenne sessantottina la Russia dove va in viaggio con papà, ad un autoritratto sentimentale di Lidia Ravera. Dal vertiginoso e immaginifico nomadismo di Luigi Serafini ad un ritratto di Nanterre fatto da Alain Turaine, alle indovinate domande di Marino Sinibaldi rivolte a Guido Viale che al termine di una lucida analisi conclude (a proposito della burocratizzazione del movimento) dicendo: ”… l’abbiamo pagata molto cara e l’abbiamo fatta pagare molto cara agli altri”.

Ripensando a quel famoso motto “Una risata vi seppellirà”, più che ascoltare una feroce allegria, mi pare il suono della risata del sepolto vivo. Il clima di quell’anno in Italia (in Francia fu diverso) non lo ricordo troppo allegro. Non partecipai al movimento, avevo quasi trent’anni, ma ebbi la fortuna d’essere ospite allora di una casa dove passavano infiammati leaders dell’Università romana e attempati artisti entusiasti, cosa questa che mi permise d’intravedere la rovina imminente.
Il loro linguaggio, soprattutto, era insopportabile, parlavano per slogan, comunicavano con un vocabolario ristrettissimo; nacque allora - lo ricorda Sinibaldi - quell'orribile espressione "farci carico".
E che dire poi dei tetri personaggi di “Servire il Popolo”? La parabola politica del loro capo, Aldo Brandirali, la dice lunga. E’ passato da Mao alla Moratti, forse, avrà pensato che tanto entrambi i nomi cominciano per M. Con loro flirtò perfino Ombretta Colli, un giorno alla Rai le espressi qualche umoristico dubbio sul futuro della sua militanza in quel gruppo, mi sibilò: “Fascista!”. Che le dovrei dire oggi?...
Guido Viale, infatti, non risparmia nella sua intervista, legnate a tanti angoli di quel movimento pur giustamente rilevandone i tanti lati positivi che ebbe.
Perché il merito principale fu, probabilmente, il rinnovo più dell’esistenziale che del politico; nuovi plurali modo di leggere le proprie vite che si sono affermati parecchio dopo il ’68 ma che da lì in larga parte derivano.
Più allegro fu il movimento del ’77; ero allora più vecchio ancora, ma lo sentii più vicino.
“Ce n’est qu’un début”. Si fermò tutto alla prima replica.
Ma non perdiamoci d’animo: “Continuons le spectacle”.

AA. VV.
"La risata del '68"
Pagine 161: Euro 8:00
edizioni nottetempo


Avanti Pop


Dopo aver ottenuto nel 2007 la Targa Tenco come migliori interpreti e il Pimi (Premio Italiano Musica Indipendente) per il miglior tour, il viaggio dei Têtes de Bois diventa libro+dvd, s’intitola Avanti Pop I diari del camioncino.
E’ la realizzazione di un progetto complesso, durato più di due anni, un attraversamento nell’Italia del lavoro da Nord a Sud, dalle campagne alle fabbriche ai call center, tra memoria e presente.
Venti tappe narrate con una raccolta dei testi originali, delle storie, dei documenti e delle vicende incontrate in ogni luogo con il corredo di tanto materiale fotografico.
Gli interventi scritti degli ospiti, i retroscena, la squadra, la band; il tutto grazie alla preziosa collaborazione di Carlo Amato. Lorenzo D’Agostini. Marta Dal Prato. Licio Esposito. Chiara Rapaccini. Sergio Staino. Vauro.
Le riprese sono state guidate da Sergio Spina, regista cinematografico, televisivo, e tra i fondatori della tv italiana (proprio così: si sa, nessuno è perfetto) che volli – contro ogni sua volontà – ospitare nella mia taverna spaziale durante un avventuroso viaggio cosmico.
La pubblicazione, a cura di Timisoara Pinto, s’avvale della prefazione di Riccardo Bertoncelli e della postfazione di Gianni Mura.
I proventi di questo lavoro, sono devoluti all’Associazione Carico Sospeso che si batte contro di una delle più grandi vergogne del nostro paese, gli incidenti sul lavoro: ogni giorno si registrano in Italia quattro morti, oltre a 2.500 infortuni e più di cento invalidità permanenti l’anno.

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Non son degno di Tex


Amo i fumetti, ma confesso che ho letto pochissimo Tex; nella mia lontana infanzia gli preferivo Tarzan e l’Uomo Mascherato, poi è stata la volta d’altri eroi fino al più recente amore per le avventure di Dylan Dog.
Eppure ho divorato un libro su Tex dallo splendido titolo Non son degno di Tex che da oggi citerò tra i più riusciti insieme con quello che intitola una controbiografia, scritta da Christopher Hitchens, dedicata a Madre Teresa di Calcutta: “La posizione della missionaria”.
Il volume su Tex ne riflette tutto il mondo – il sottotitolo: Vita, morti e miracoli del mitico ranger – in una nuova edizione aggiornata per i sessant’anni della nascita dell’eroe creato da Gianluigi Bonelli.
L’autore di “Non son degno di Tex” (Palma d’oro al Salone dell’umorismo di Bordighera, 1997) è Claudio Paglieri, nato a Genova nel 1965, giornalista, lavora al ‘Secolo XIX’. Per Marsilio, ha scritto anche “Mi chiamo Dog. Dylan Dog” (1998) e pure un romanzo (si sa, nessuno è perfetto): “L’estate sta finendo” (2001). Conduce in Rete un vivace sito web.

Con una scrittura divertita e studiosissima, dipinge un ritratto di Tex profilandone gusti, tic, vizi e virtù, attraverso meticolosi regesti, ricavandone il palinsesto di un’intrepida vita di cellulosa, tracciando i segni di un’esistenza che corre via tra spari e cazzotti acrobaticamente slanciandosi da una matita all’altra, nuotando impavida nell’inchiostro.
“Una bistecca alta tre dita, e una montagna di patatine fritte dorate e croccanti”. Quante volte è stata fino ad oggi pronunciata questa frase da Tex e Kit Carson? 86 volte.
Quanti ne ha fatti secchi Tex? E fra questi, quanti erano bianchi, quanti indiani, messicani, negri, cinesi e così via? E ognuno di quelli com’è stato ucciso? Con pistola? Fucile? Fuoco? Altri modi? Quante volte Tex è stato catturato? E quante volte ha offerto da bere?
A tutte queste domande, e a tante tante altre, c’è una risposta nel testo di Paglieri che non si limita ad elencare cifre, ma nel commentarle argutamente perviene ad un risultato antropologico e sociologico del personaggio. Un tipo eccessivo che fa incontri storicamente scombiccherati, e chissà che un giorno non incontrerà pure un Parnaso senza naso e un Malocchio senza occhio.
Ecco un libro da leggere (anche sotto l’ombrellone), spassoso e pur serissimo, altro che i tanti romanzetti che vanno dove li porta il cuore, che, poi, è sempre un villaggio turistico con messa a mezzogiorno.

A Claudio Paglieri ho chiesto un flash sulla fenomenologia di Tex.

Tex Willer è un dio. In genere, un deus ex machina. E’ colui che arriva in un posto dove si è creata una condizione di grave ingiustizia e riaggiusta le cose. Prima aiutandosi con qualche sganassone e poi, quando i cattivoni non capiscono l’antifona, facendo felice il becchino del paese. Tex è infallibile: gli basta uno sguardo per separare i buoni dai cattivi, e agire di conseguenza. Il segreto del suo successo è che realizza il sogno di tutti i lettori, quello cioè di vedere punito chi lo merita, cosa che nel nostro mondo accade raramente. Tex è il paladino dei deboli e distingue la gente dal colore del cuore, non da quello della pelle. E poi è da sempre un grande nemico di avvocati, banchieri, affaristi, politici, generali, in una parola della “Casta”.
Per tutti questi motivi, all’annosa questione se sia di destra o di sinistra, dico che oggi Tex mi sembra più che altro un protoleghista
.

Vuoi vedere che quest’ultima sia la ragione che fin da piccolo mi ha fatto amare poco Tex?

Per una scheda sul libro: CLIC!

Claudio Paglieri
“Non son degno di Tex”
Pagine 144, Euro 12:00
Marsilio


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