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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Ripensare la scuola

Diceva Piero Calamandrei che trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere. Ecco forse perché abbiamo più sudditi che cittadini.
La scuola, infatti, in Italia per plurali ragioni storiche ha seguito modelli che riflettevano, e riflettono, un rapporto autoritario fra il sapere e i discenti avendo sembrerebbe la finalità di creare un Enrico Bottini: (il mediocre bambino della sciagurata classe del libro Cuore), lui, alunno d’ordine, ieri alle prese con giocattoli di legno oggi con i videogames ma sempre invidioso perciò già da piccolo tendente alla scalata sociale.
Talvolta alla scuola non riesce, specie oggi, a piegare gli animi più turbolenti e questi diventano intrepidi teppisti.
Sulla scuola sono stati versati fiumi d’inchiostro, talvolta con gorghi insidiosi, nei quali sono annegati – non in quanti sarebbe sperabile – autori e concetti.
Un buon libro, invece, è stato pubblicato dalla casa editrice Fefè è intitolato Ripensare la scuola riflessioni, idee, proposte di un Direttore didattico
Ne è autore Rodolfo Apostoli.
Già dirigente scolastico, insegnante a Brescia e in provincia di Bergamo, esperto in problemi giovanili, di integrazione, d’organizzazione di comunità. Sperimentatore in àmbito scolastico – anche in collaborazione con l’Università Sapienza di Roma e CEMEA/Centri Esercitazione Metodi Educazione Attiva – di nuovi modelli organizzativi nelle comunità educative, nelle scuole dell'infanzia e primaria (classi aperte, tempo pieno, scuola senza classi, laboratori). Autore, inoltre, di saggi e articoli su giovani e tempo libero, giovani e gruppo, scuola dell’infanzia e dell’obbligo, modelli educativi.

Perché questo libro spicca per valore fra i tanti (buoni) volumi pubblicati?
Perché, come è stato notato, spesso si afferma che. è la scuola a doversi adeguare di volta in volta alla società; qui invece si chiede che sia la società ad adoperarsi per poter essere all’altezza della scuola.
Insomma, un radicale cambio d’osservazione.
Nel volume nulla si trascura circa i moduli più adatti per raggiungere quello scopo, perfino con una plurale esemplificazione d’immagini su come ristrutturare lo spazio degli ambienti scolastici per accogliere gli stimoli esterni.
Tanto c’è da lavorare per avere una nuova scuola.
I guai, infatti, partono da lontano. Voglio rilevarne uno (il ritardo dell’istruzione scientifica fin dalle prime classi) che investe a cascata tanti altri. Lo faccio riportando una riflessione di Lamberto Maffei che scrive: “Il pensiero idealista di Giovanni Gentile ministro della Pubblica Istruzione sotto il regime fascista e padre di una riforma della scuola italiana, ancora in piedi nelle sue linee culturali, ha causato danni disastrosi che si ripercuotono tutt’ora sulla cultura e sull’economia del nostro paese.
In più occasioni Croce ha sparato parole di fuoco contro la scienza e la matematica. Famoso e ben noto è il suo intervento al congresso della Società filosofica italiana, a Bologna (1911). Croce sostenne che la matematica e la scienza non sono vere forme di conoscenza e sono adatte solo agli «ingegni minuti» propri degli scienziati e dei tecnici e che «gli uomini di scienza (…) sono l’incarnazione della barbarie mentale, proveniente dalla sostituzione degli schemi ai concetti», da paragonare agli artigiani incapaci di avere o analizzare concetti profondi”.

Raffaele Mantegazza (lo troviamo nel catalogo Fefè autore di Elogio dell'ebraismo) scrive nella Prefazione che si è tentato di “scaricare sulle spalle della scuola competenze e responsabilità che non le sono proprie; “tanto c’è la scuola”, “mal che vada ci penserà la scuola”, come se la scuola fosse una specie di tappabuchi, come se fosse un’istituzione alla quale chiedere sempre di più e nella quale investire sempre di meno; educazione alimentare, educazione stradale, prevenzione alle dipendenze, tutto ciò che veniva in mente era appaltato alla scuola, ovviamente senza fornire risorse, anzi sottraendole (…) è agghiacciante che nel gergo ministeriale i “plessi” diventino “punti di erogazione del servizio”, come se fossero distributori di benzina). A questo drammatico andazzo il libro di Apostoli si contrappone non in modo ideologico, non rimanendo nel campo dell’astrazione, ma restituendo esperienze possibili; e soprattutto dimostrando che quando si parla di emozioni, di lavoro di gruppo, di condivisione dell’apprendimento, di educazione tra pari, ci sono argomenti scientifici e razionali per dimostrarne l’efficacia”.

Dalla presentazione editoriale

«L’idea di questo libro nasce dall’esperienza diretta sul campo stimolata ancora di più dalle difficoltà indotte dal Covid-19. La proposta ha radici antiche in Mario Lodi e don Milani, integrata con le più attuali pratiche che indichino modelli di scuola diversi. Al centro, in forma attiva, è sempre il bambino, ma diventano protagonisti lo sviluppo delle capacità relazionali, la didattica laboratoriale e un’organizzazione di gruppo».

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Rodolfo Apostoli
Ripensare la scuola
Prefazione di Raffaele Mantegazza
Pagine 146 * Euro 15.00
Editore Fefè



Poesia Sonora in audiolibro

Nell’antichità si leggeva ad alta voce. Sia in solitudine e sia per ascoltatori. Agostino d’Ippona, nelle sue Confessioni, esprime meraviglia nel vedere Ambrogio (il futuro santo) leggere "tacite".
Quando sia avvenuto il passaggio alla lettura silenziosa se nell’alto Medioevo o prima ancora è questione irrisolta dibattuta dagli storici e dai sociologi della letteratura, ma che all’origine la lettura avvenisse vocalmente vede tutti d’accordo.
La storia del libro – che ha inizio prima della carta, le sue origini le troviamo su legno, su papiro, su bambù – conosce varie epoche e fasi tecnologiche. Passando attraverso il determinante momento gutenberghiano si arriva fino ai supporti informatici ad oggi. Ai nostri anni appartiene anche l’audiolibro che inevitabilmente porta alla mente, in moderne forme, le origini della lettura e dell’ascolto.
Mentre in Italia va affermandosi, sia pure faticosamente, negli Stati Uniti il libro da ascoltare è un prodotto emerso già da tempo.

All’audio libro è stato riservato la lettura prevalentemente di classici, ecco perché ha una duplice importanza la pubblicazione di La Voce Della Poesia Vocoralità del Novecento che propone storiche esemplificazioni della poesia sonora veicolate da questo strumento tecnico

In foto i quattro dat registrati nel giugno del 2000 oggi audiolibro.

Protagonista di questa produzione è Enzo Minarelli> che da anni, sul piano internazionale, è autore presente nei maggiori festival e rassegne. Inoltre, è anche custode e promotore delle performances di altri artisti.
Ha detto di lui Renato Barilli: "La qualifica che più gli compete è quella di poeta, magari risalendo nell'occasione al significato etimologico della parola, per cui si tratterebbe di un "fabbricatore" col materiale più nobile a disposizione dell'uomo qual è la parola, nei suoi due volti, sonoro e grafico".

CLICper ulteriori informazioni su “La Voce della Poesia”.

La Voce Della Poesia, audiolibro, New York, Pogus, 2023.

Questo audiolibro è stato registrato presso lo studio dell’autore nel giugno del 2000, poi riadattato, riscritto e pubblicato in cartaceo presso Campanotto Editore, Udine nel 2008.


In principio era ChatGPT

La casa editrice Apogeo è tra le più attente a seguire gli sviluppi teorici e le applicazioni pratiche della cultura digitale. Lo dimostra, ad esempio, la recente pubblicazione di In principio era ChatGPT Intelligenze artificiali per testi, immagini, video e quel che verrà.
Gli autori: Mafe de Baggis e Alberto Puliafito.

De Baggis è pubblicitaria, scrittrice ed esperta di media digitali, da trent’anni studia il modo migliore per usarli senza lasciarsi sopraffare. Lavora come consulente di comunicazione per aziende piccole e grandi, per liberarne le energie e aiutarle a raccontarsi in modo più consapevole. Già autrice di #Luminol (Hoepli, 2018) e di Libera il futuro (Enrico Damiani Editore, 2020).

Puliafito è giornalista, regista, produttore, analista dei media, direttore di Slow News.
Con una formazione in ingegneria biomedica, oggi si occupa di comunicazione interculturale e lavora all'intersezione fra tecnologia, informazione e media digitali.
Ha scritto, insieme a Daniele Nalbone, Slow Journalism (Fandango Libri, 2019).

Il libro si apre con un saggio su che cos’è l’intelligenza di Nello Cristianini; di lui ho recensito su questo sito il suo più recente lavoro intitolato: La scorciatoia.

La più bella definizione dell’IA l’ho trovata finora scritta da Carola Barbero: “… ci aiuta e ci confonde, ci isola e ci connette, ci delude e ci stupisce, registrando tutto senza capire niente”.
Plagiando me stesso, ripeto quanto scrissi tempo fa. In quest’epoca delle ‘psicotecnologie’ (copyright Dennis De Kerchove), l’Intelligenza Artificiale è diventata protagonista sulla stampa quotidiana e periodica, alla radio, alla tv, sul web, impersonando al tempo stesso ogni Bene ed ogni Male.
Nello scenario contemporaneo la digitalizzazione ha avuto un impatto eccezionale con una serie di progressi tecnologici: l'Internet delle cose, la blockchain, l'automazione robotica dei processi, i veicoli autonomi, l'analisi dei big data, la sterminata memoria d’Internet.
L’IA è tutto questo più altro e proietta l’umanità in un mondo inimmaginabile appena pochi anni fa suscitando commenti che vanno dal catastrofico all’entusiastico.
In principio era ChatGPT aiuta a capire che cos’è l’Intelligenza Artificiale e le forme del suo possibile futuro.

Nell’Introduzione i due autori così scrivono: “Le intelligenze artificiali sono al nostro servizio da molto tempo, svolgendo silenziosamente compiti che permettono alla tecnologia – per come la conosciamo – di funzionare. Ce ne siamo accorti solo nell’estate del 2022 per un motivo molto semplice: hanno iniziato a fare qualcosa che sappiamo fare anche noi. Rispondere a una domanda. Disegnare. Scrivere. Impegnatissimi a cercare di capire se comprendano o meno, lasciamo sullo sfondo loro capacità intrinsecamente umane, ma decisamente poco praticate da troppi umani. L’apprendimento. La gentilezza. La facoltà di riconoscere i propri errori. La velocità nell’imparare dai propri errori. Le allucinazioni. Le contraddizioni (…) Noi umani in questo momento stiamo correndo il rischio di ricreare la stessa situazione di trent’anni fa, quando artisti, umanisti e ricercatori si sono sottratti alla conversazione in corso sui media digitali, considerati sciocchi, prosaici e indegni dei loro pensieri (…) Abbiamo la possibilità di educare le macchine e la rifiutiamo sdegnosamente, proteggendo il nostro orticello. Se la nostra ti sembra una posizione assurda, seguici in questo viaggio e poi parliamone”.

Dalla presentazione editoriale.

«Un mondo di intelligenze che possono fingersi umane. Centinaia di milioni di posti di lavoro a rischio nel mondo, una rivoluzione nel modo di informarsi, imparare, studiare e scrivere. L'impossibilità di distinguere tra vero e falso non solo nei testi ma anche nelle foto, nei video, nel suono. Se fosse un film di fantascienza sarebbe un horror, eppure la scelta, non solo per il lieto fine, sta a noi: possiamo allearci con le macchine oppure combatterle.
In questo saggio Mafe de Baggis e Alberto Puliafito scelgono di mostrare cosa succede a chi decide per la prima possibilità. Come useremo queste macchine? Elimineranno il lavoro o solo la fatica del lavoro? Come scegliere quali usare senza essere obsoleti il giorno dopo? Quale metodo ci deve guidare? E ancora: come devono essere regolate? Le scuole dovranno proibirle o usarle? Saranno uguali per tutti o personalizzabili?».

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Mafe de Baggis
Alberto Puliafito
In principio era ChatGPT
Prefazione di Stefano Gatti
160 Pagine * 19.00 Euro
eBook con DRM 6.49 Euro
Apogeo


Vera gioia è vestita di dolore (1)

Oggi, dopo la pausa estiva che si concede ogni anno, torna online Cosmotaxi presentando un libro della casa editrice Adelphi, un libro che alla qualità letterari accoppia una lucente documentazione sulla particolare epistolografia di una grande scrittrice italiana del secolo scorso.
Titolo: Vera gioia è vestita di dolore Lettere a Mattia. di Anna Maria Ortese.

Il volume è a cura di Monica Farnetti e si avvale di una nota di Stefano Pezzoli prezioso custode delle lettere a Mattia, tutte finora inedite, così come le fotografie riprodotte nel volume; materiali che appartengono all’archivio privato della famiglia Pezzoli di Bologna.

Dalla presentazione editoriale

«Nel maggio del 1940, Anna Maria Ortese incontra a Bologna Marta Maria Pezzoli, giovane studentessa universitaria che gli amici chiamano Mattia. Nasce fra loro un’intesa, un’intimità che, come precisa la Ortese, è tenerezza di sorelle: “Ti sono così grata di essermi vicina in questo tempo difficile – sola sorella”. Una tenerezza tanto più intensa in quanto fondata sulla dissimmetria. Mattia è malinconica, sollecita, assidua, percettiva, Anna Maria mutevole, tempestosa, non di rado silente, caparbiamente intenta a coltivare la sofferenza, sua “vera patria”, a trasformarla in conoscenza, a trasfonderla in un lavoro che pure reca con sé dubbio e tormento: “Non ho sete che di gioia, di luce, d’amore. E tutto questo non c’è, fra le carte. Scrivere, è uguale al canto raccolto e disperato del mare, nelle insenature segrete. È il rifugio triste, non è la vita. Vorrei essere dove voi tutti siete” – ma capace anche di trasmettere all’amica la sua irrequietezza visionaria, in lettere di fiammeggiante bellezza».

Alcune perle:
“Ho grande diffidenza delle creature ma so che a volte esse consolano”.

“Soprattutto nel dolore bisogna lavorare per farne dolcezza”.

“Io sono come un albero che vuole trovare in cielo le sue radici”.

Segue ora un incontro con Monica Farnetti.


Vera gioia è vestita di dolore (2)

A Monica Farnetti (in foto) – curatrice di questo volume Adelphi e autrice delle pagine “Poetiche della sorellanza in Anna Maria Ortese”, in “L’eredità di Antigone. Sorelle e sorellanza nelle letterature, nel teatro, nelle arti e nella politica”, con Giuliana Ortu, editore Cesati – ho rivolto alcune domande.

Chi era Mattia, Marta Maria Pezzoli?

Marta Maria Pezzoli, affettuosamente chiamata Mattia, è una delle prime amicizie femminili della Ortese di cui si sappia. Si conoscono nel 1940 (Anna Maria ha dunque ventisei anni, Mattia quattro di meno) e l'epistolario documenta la loro relazione fino al gennaio del 1944. Dopo di che, le due ragazze escono l'una dalla vita dell'altra, e su questo “finale” non abbiamo che ipotesi.
Mattia è bolognese, di buona famiglia, liceo classico prima e facoltà di Lettere poi (dove si laurea nel 1943 con una tesi in Letteratura italiana, relatore l'autorevole Carlo Calcaterra), e appare dotata di una sensibilità a tutto campo: per gli esseri umani, la natura, la lettura e la scrittura (è autrice di poesie, che tiene però nel cassetto e che vedranno la luce a cinquant'anni esatti di distanza dalla composizione del primo testo). Il nipote Stefano Pezzoli, che la racconta in una bella nota biografica pubblicata a corredo dell'epistolario, la descrive «incline a raffigurarsi come una donna sola, chiusa in se stessa e in guerra contro un mondo impenetrabile e ostile», che la condurrà fra l'altro all'appartata professione di bibliotecaria svolta interamente alla Biblioteca Universitaria di Bologna. Tuttavia le lettere che la Ortese le invia, amorosamente da Mattia conservate (e che a differenza delle sue proprie, che la Ortese ha perduto, costituiscono l'unica voce udibile di questo scambio), rivelano una disponibilità e una generosità affettive non indifferenti, favorite dall'affinità che ella evidentemente avverte fra il proprio modo di stare al mondo e quello dell'inquieta e già dotatissima “Toledana” (che è, come noto, uno dei nomi che la Ortese si dà nel romanzo autobiografico, relativo soprattutto ai suoi anni giovanili, Il porto di Toledo).
Secondo i miei calcoli (basati soprattutto, per quel che riguarda la biografia ortesiana, sui dati sempre vacillanti che la scrittrice dissemina nelle sue opere e interviste), l'amicizia con Mattia precede di poco quella con un'altra figura femminile importantissima nella vita della Toledana, Adriana Capocci Belmonte (nel romanzo, che rivela l'autentica passione della scrittrice per lei, chiamata Aurora Belman); mentre, come lo stesso epistolario certifica, la corrispondenza con Mattia corre parallela a quella, di più antica data e che registra in questi anni la sua fase più intensa, con un'altra amica geniale quale è la scrittrice Paola Masino.
Sono gli stessi anni in cui via via si sfalda e si disperde, per ragioni sempre drammatiche, il nucleo già compatto di sorelle e fratelli Ortese, garanzia di quell'infanzia strampalata e felicissima resa memorabile dal romanzo autobiografico. Ed è come se la Ortese provvedesse – così la vedo io – a colmare quel vuoto, peraltro immedicabile, con altri rapporti nei quali investire quanto ricevuto (e sperimentato, e appreso) dentro al nucleo familiare. Di lì a poco stringerà altre relazioni importanti, quali quelle con gli amici e le amiche del cosiddetto “Gruppo Sud” a Napoli (di cui anche nel celebre e famigerato Il mare non bagna Napoli) e del gruppo de «L'Unità» a Milano (coprotagonista dei romanzi per l'appunto “milanesi”, Poveri e semplici e Il cappello piumato). Ma le amiche degli anni della sua formazione restano, credo, esperienze fondamentali
.
Che cosa ci dice questo epistolario del carattere di Anna Maria Ortese?

Ci dice tante cose, naturalmente contraddittorie e, altrettanto naturalmente, sorprendenti. Ci parla per esempio dell'insicurezza con cui Anna Maria si muove, e anche in futuro si muoverà, sul terreno affettivo, rammaricandosi e scusandosi di continuo della propria inadeguatezza (tarda a rispondere, macchia il foglio, invia cartoline invece di lettere, non trova la penna e scrive a matita, è troppo sintetica, troppo egocentrica, troppo febbricitante, troppo sofferente...) e fa luce, come ho scritto nella postfazione, «su una giovane donna che si avventura negli spazi dell'alterità in cerca della misura e dei confini del proprio io, e va addestrandosi a negoziare il senso di sé alla luce dei valori di fedeltà, dolcezza, rigore, ammirazione e gratitudine connessi all'amicizia». Per contro, ci mostra “una giovane donna” già molto centrata sul desiderio e sul progetto di essere una scrittrice, e che in funzione di questo organizza gran parte del proprio quotidiano senza permettere che gli ostacoli, che certo non mancano (la salute malferma, la povertà, i lutti familiari, i continui traslochi, lo sfollamento, la guerra...), la distolgano da ciò.
Ancora, l'epistolario ci rivela la sua timidezza (che le rende difficile, per esempio, l'incontro e lo scambio con Alfonso Gatto, partner di una breve e movimentata liaison amorosa) e il suo coraggio (viaggia sola per l'Italia, affronta senza ambasce la giuria dei Littoriali, prende alloggio dove il suo budget, pressoché inesistente, glielo consente e soprattutto sottopone con fiducia i propri scritti alle riviste e agli editori più importanti dell'epoca), la sua fragilità (tanto fisica quanto emotiva) e la sua forza, la sua folgorante gioia di vivere e la sua profonda malinconia.
È insomma un autoritratto veritiero, senza idealizzazioni e senza infingimenti, quale spesso accade di riscontrare nelle scritture intime (lettere, diari, autobiografie), fatta la tara soltanto di quello che una persona crede – o desidera – di essere. Il che del resto reputo che appartenga, con buona pace dei teorici del “patto autobiografico” e delle “finzioni dell'io”, alla (o a una) sua verità. Ed è uno specchio già fedele di quella vera e propria pratica della contraddizione che contraddistingue la percezione, e il pensiero, della Ortese, consapevole della complessità del mondo e del fatto che ci sono esperienze che, per significarsi, hanno bisogno di contraddirsi (un «cupo splendore», un «furore tranquillo», «cacciatori dal carniere pieno di sangue e di cielo», «dolere felicemente» ecc.), senza che vi sia esclusione alcuna…

…. e che cosa ci dice della scrittrice?

Della scrittrice, della immensa scrittrice che la Ortese deve o dovrà “diventare”, questo epistolario ci dice molto e, allo stesso tempo, ancora poco. Molto perché, come è naturale, i suoi “doni” ci sono già tutti, sono ed erano già lì dall'inizio: il suo sguardo lungimirante, che senza sforzo si inoltra nelle profondità dell'invisibile; la sua scrittura sghemba e insieme piena di lampi (di genio), come quella del suo amato Edgar Poe il quale, come lei dice, «ha messo stelle dappertutto»; la sua capacità di morire di bellezza (per la natura, la musica, i poeti, le città); l'inebriante e motivante consapevolezza di essere al mondo, di essere qui, e di doverne rendere conto. Giacché, come scriverà nel tardo e testamentario Corpo celeste, «il fatto di essere qui, su questo pianeta […] è talmente al di sopra di ogni immaginazione... e il fatto di esistere, in se stesso – dico solo il fatto di esistere – è così straordinariamente […] al di sopra di ogni merito [...]! Insomma, comunque sia, questo vivere è cosa sovrumana».
Allo stesso tempo, reputo che questa Ortese, quella che l'epistolario ci restituisce, debba ancora trovare la sua intonazione, di voce e di pensiero, più alta e più giusta. Lo farà gradatamente, nel corso del tempo e delle opere – anche se, ripeto, per certi aspetti lei dispone fin dal suo esordio di tutti i suoi talenti, che nel tempo non farà che raffinare. Ma la sua grande lezione sull'umano e sull'universo, sullo splendore e il tremore di esserne parte, e sulla responsabilità che ne deriva («Sono lieta di aver speso la mia vita per questo. Sono lieta, in mezzo alle mie tristezze mediterranee, di […] dirvi com'è bello pensare strutture di luce, e gettarle come reti aeree sulla terra, perché essa non sia più quel luogo buio e perduto che a molti appare, o quel luogo di schiavi che a molti si dimostra», scriverà, in chiusura di carriera, in Corpo celeste, fra altre mirabili testimonianze del suo impegno come abitante della terra e cittadina del cosmo), la sua grande lezione, dicevo, è in corso d'opera. L'esperienza del dolore come principio di conoscenza e di “visione” è ancora troppo privata e troppo intensa, dominante e restrittiva della sua sensibilità, e tale da limitare ancora con forza quello che sarà il suo grandioso e peculiare colloquio con tutte le forme della creazione (l'umano compreso, ma certo non prioritario).

Quale la caratteristica o le caratteristiche che rendono la Ortese una figura importante nella letteratura italiana del Novecento?

Tali caratteristiche sono molteplici, eppure a mio vedere tutte coerentemente convergenti in un unico, grande e ben riconoscibile progetto, che fa di lei una pensatrice di prim'ordine alla quale, non a caso, questo nostro presente ripetutamente si rivolge. La Ortese infatti, fin dai primi racconti, ma soprattutto da L'Iguana (1965) in poi, è autrice di narrazioni ad alta densità meditativa, ovvero di un “pensare in figure” che ha “pre-figurato”, peraltro con stupefacente lungimiranza, quanto la filosofia e la scienza (e la fantascienza) odierne vanno con profitto ed emozione dibattendo: vale a dire la necessità, oramai improrogabile, di ridimensionare l'umano in ragione della biodiversità che imperiosamente lo interpella, nonché di tutte le promesse mancate dell’umanesimo e del disastro planetario cui il cosiddetto antropocene ha in definitiva fatto approdo
L’opera della Ortese, sorta di atlante sommamente “inclusivo” degli abitanti del pianeta, è per esempio lo spazio di innumerevoli «pratiche di compagnia» (quelle che, secondo donna haraway, consentono di «vivere e morire bene insieme su questa terra») fra specie differenti, ivi comprese quelle messe in atto dalle inedite e non catalogabili creature che hanno dato il titolo ai suoi testi più famosi – L'Iguana appunto, e poi Il cardillo addolorato e Alonso e i visionari -, oltre che a un gran numero di racconti brevi.
È un'opera marcata da cima a fondo, per fare un altro esempio, da quella distintiva «reverenza nei confronti della sacralità della vita», quel «rispetto profondamente radicato verso tutto il vivente» che anticipa la grande lezione di Vandana Shiva. E vi sono contenute in nuce altresì quella vocazione alla «geopietas», quella capacità di disegnare prospettive «antropoverdi», quella visione senz'altro «cosmopolitica» e quella ferma aspirazione a una «eco-giustizia multispecie», o a una «etica multispecie» senz'altro (oltre che le prove generali di una autentica «sim-poiesi» ovvero del con-crearsi, e del farsi reciprocamente esistere, di creature necessarie al divenire l'una dell'altra), di cui si discute oggi (fra autorità quali Paul Gilroy, Isabelle Stengers, Anna Tsing, Rosi Braidotti, Karen Barade, Lynn Margulis e molte altre), e di cui la Ortese testimonia fin dai suoi esordi pur dandone suprema prova negli anni della sua maturità.

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Anna Maria Ortese
Vera gioia è vestita di dolore
a cura di Monica Farnetti
con una nota di Stefano Pezzoli
Pagine 160 * Euro 14.00
Adelphi



Viaggio attraverso l'Intelligenza Artificiale


Oggi propongo un viaggio attraverso l’Intelligenza Artificiale (IA) guidato da Raffaele Gaito, uno che se ne intende alla grande.
Vedo già radunati alcuni che si apprestano a salire sul Cosmotaxi che attraverserà un cielo di Codici e Logaritmi.
Mentre si sistemano, vi trattengo con quattro chiacchiere.
Poi alla fine di questo pezzo ci sarà la partenza con un semplice CLIC.

La più bella definizione dell’IA l’ho trovata finora scritta da Carola Barbero: “… ci aiuta e ci confonde, ci isola e ci connette, ci delude e ci stupisce, registrando tutto senza capire niente”.
In quest’epoca delle ‘psicotecnologie’ (copyright Dennis De Kerchove), l’Intelligenza Artificiale è diventata protagonista sulla stampa quotidiana e periodica, alla radio, alla tv, sul web, impersonando al tempo stesso ogni Bene ed ogni Male.
Nello scenario contemporaneo la digitalizzazione ha avuto un impatto eccezionale con una serie di progressi tecnologici: l'Internet delle cose, la blockchain, l'automazione robotica dei processi, i veicoli autonomi, l'analisi dei big data, la sterminata memoria d’Internet.
L’IA è tutto questo più altro e proietta l’umanità in un mondo inimmaginabile appena pochi anni fa.
Vari e contrastanti i giudizi sull’IA.
Eccone uno. Il più catastrofico di tutti. È di Geoffrey Hinton, Licenziatosi da Google per essere libero d’avvertire – così dice – il mondo dei rischi dell’IA fino a considerarla nel futuro una possibile causa dell’estinzione dell’umanità: si pensi, ad esempio, all’IA che crei un supervirus che ci stermini. D’accordo, ma anche le bombe atomiche (ce ne sono tantissime in depositi noti e altri segreti) possono fare un olocausto nucleare. Però non piovono dal cielo o s’innalzano da sottomarini da sole. Necessario qualcuno che le faccia partire. Confondere lo strumento con l’uso che se ne fa è una vecchia trappola. O dovremmo rinunciare all’elettricità perché può provocare folgorazioni e serve a infliggere la sedia elettrica?
Di seguito alcuni pareri sull’IA. Negativi e positivi.

Sam Altman, fondatore e Ceo di OpenAI al Senato degli Stati Uniti:
La mia più grande paura è che il campo dell’AI possa davvero far male al mondo. Se questa tecnologia prende la direzione sbagliata. Penso anche alle elezioni presidenziali americane, area di grande interesse”.

• Lo scienziato taiwanese Kai-Fu Lee, tra i massimi esperti al mondo di IA:
La tecnologia genera sempre preoccupazioni. Anche l’automobile era considerata spaventosa, e così l’elettricità ed i personal computer. Le tecnologie nel breve termine creano problemi. Sul lungo periodo però tutte le innovazioni hanno portato più benefici che danni”.

• Helga Nowotny docente di studi sociali all’Eth di Zurigo:
L’IA con gli algoritmi predittivi usa big data trascorsi per prevedere il futuro, ma così facendo perpetua il passato e riduce le possibilità di cambiamento. Il rischio è di trovarci a vivere in un mondo deterministico in cui il futuro è già deciso a priori”.

• Hiroshi Ishiguro, docente all’università di Osaka, noto per il suo lavoro su androidi dall’aspetto umano:
L’AI è fluida e transgender. ChatGPT è solo un grosso data base, un enorme modello statistico. Non pensa nulla, non può creare concetti suoi ma è bravissima a riorganizzare i concetti che ha dentro, su cui ha studiato e imparato. Nel prossimo decennio ci sarà utile quale strumento quando ci serviranno robot non come li conosciamo ora, ma robot avatar teleoperati da remoto al cui interno mettere la nostra presenza, così da poter camminare in posti distanti, lavorare, studiare, superare gli handicap, partecipare a incontri.

In generale, due i principali timori avanzati da frettolosi gazzettieri e furenti tecnofobi: l’IA ci ruberà il lavoro? E ancora: che ne sarà del nostro privato?
Alla prima domanda faccio rispondere da Raffaele Gaito distraendolo per un momento dai preparativi per l’imminente partenza.
Videoascoltatelo

Seconda paura: l'intrusione dell'AI nel nostro privato.
Ma per questo non è necessario aspettare quanto può combinare l’IA. Già accade con le telecamere di servizio piazzate ovunque e alcune con possibilità di riconoscimento facciale. Sono occhi indiscreti, ma al tempo stesso hanno permesso l'arresto di fior d'infami. E per dirne un’altra, vogliamo - come desidera il centro-destra al governo... chissà poi perché... provate a indovinare - limitare le intercettazioni telefoniche che hanno svelato loschi traffici di politici, tangentisti, mafiosi, e tanti altri meritevoli di patriottiche galere.
E ancora: è solo in ChatGPT e siti simili che troviamo l’Intelligenza Artificiale? Macché.
Come nota Francesco Marino: “Piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram hanno alla base l’IA. E Google. La posta elettronica Gmail impara nel tempo il modo di scrivere messaggi, e, sulla base del contesto, ci suggerisce la possibile prossima parola da usare”.
Questi sono solo parte di esempi di quanto già adoperiamo, vantaggiosamente, quello strumento, e non da ieri.
Ci sono ricadute, come segnalano tanti sociologi, che profilano inevitabili inconvenienti, ma ciò è connaturato al progresso di noi umani. Paul Virilio (non troppo amico delle nuove tecnologie), con frase volutamente candida, scrive “prima dell’invenzione del treno non c’erano incidenti ferroviari”. Ecco perché è stata estremamente goffa la decisione (non a caso precipitosamente rientrata) del governo Meloni di bloccare ChatGPT esponendoci, come scrive Filippo Santelli “… ad una figuraccia planetaria. Avremmo bisogno, invece di istituzioni con competenze adeguate ad affrontare cambiamenti epocali. Invece, in Italia, sia sulla carne sintetica sia sull’AI procediamo con editti bulgari”.

Francamente credo poco ad una regolamentazione internazionale dell’IA con un corpo di leggi (non so con quanta sincerità dice di crederci Elon Musk) che limitino innovazioni in quello strumento tecnologico già tanto avanzato (almeno come appare a noi del primo quarto del XXI secolo). Difatti, se pure tutti i paesi del pianeta firmassero un tale accordo c‘è da sorprendersi se qualcuno poi segretamente conducesse ulteriori ricerche?
“A Musk dico” – afferma l’albanese Mira Murati Chief Technology Officer di OpenAI – “che anche noi temiamo certi rischi ma la soluzione non è bloccare la ricerca, l’innovazione, bensì svilupparla insieme con la società raccogliendo i segnali che ci provengono anche da chi avversa questa tecnologia”.

Dopo questo sproloquio mi collego con Raffaele Gaito che guiderà chi fra voi lo vorrà (… toh, anche la rima) attraverso l’universo IA in un vivace percorso in più tappe.
Buon viaggio! Per partire basta un CLIC.


"Guerra" di Louis-Ferdinand Céline

Imperdibile.
Guerra di Louis-Ferdinand Céline (Courbevoie, 27 maggio 1894 – Meudon, 1º luglio 1961), pubblicato da Adelphi, è opera incompiuta ma per niente minore. Contiene tutti i segni linguistici di questo gigante della letteratura. L’atrocità di una scrittura infuocata che nulla risparmia e si risparmia. Inoltre, la capacità di mantenere la stessa tensione nel descrivere tragedia e commedia. Si pensi qui, in “Guerra”, alle feroci pagine iniziali del ferimento che subisce il protagonista Ferdinand sul campo di battaglia e l’irresistibile comicità di un assurdo pranzo bandito per festeggiare la sua medaglia al valore.
L’acuto dolore fisico patito in un ospedale, la sfrenatezza sessuale che vive nelle stesse stanze provocata da una matura infermiera sadica e vogliosa, tutti momenti di vita scanditi dall’ascolto delle cannonate lontane che maciullano corpi, oppure dal sentire le schioppettate vicine delle fucilazioni di disertori o autolesionisti giustiziati in un cortile vicino. Un’altalena fra orrore e disperazione in queste pagine di “Guerra”.
Pagine splendidamente tradotte da Ottavio Fatica che già si misurò anni fa con Céline traducendo, insieme con Eva Czerkl, “Colloqui col professor Y”. QUI una sua riflessione su “Guerra”.

In questo molto breve video Céline dà una definizione di se stesso ricorrendo a un paragone che molto dice della sua avventura umana e artistica.

In copertina:
Otto Dix, Sentinella morta in trincea, dal ciclo La guerra (1924). Acquaforte e puntasecca. Museum of Modern Art, New York.

Dalla presentazione editoriale.

«Primo, folgorante scampolo degli inediti rubati nel 1944 dall’abitazione di Céline, e rocambolescamente ricomparsi quasi sessant’anni dopo la sua morte, “Guerra” narra episodi contemporanei alla prima parte di “Viaggio al termine della notte”, come se da esso fosse stato espulso e poi abbandonato in una stesura ancora grezza e incandescente. Dal momento in cui riprende conoscenza, seguiamo Ferdinand, vent’anni, ferito a un braccio e con una grave lesione all’orecchio dovuta a un’esplosione, mentre cerca di guadagnare le retrovie attraverso campi di battaglia disseminati di cadaveri, in una notte visitata da presenze ostili, fantasmi quanto mai reali. Lo ritroveremo in un ospedale, in mezzo a malati e farabutti d’ogni risma, affidato alle cure di un’infermiera sadica e vampiresca. Qui fa amicizia con il malavitoso parigino Bébert e con sua moglie Angèle, che al fronte batte il marciapiede per lui: spunto per nuovi episodi grotteschi, esilaranti e raccapriccianti al tempo stesso, dove Céline preme sul pedale di una sessualità oltraggiosa e sfrenata. Infine, l’inattesa partenza per Londra, un posto dove andare come sempre a perdersi.
Céline è scrittore da dimenticare, hanno detto, se vuoi vivere, anche se vuoi soltanto leggere, capace com’è di rendere illeggibili gli altri scrittori. «Mi sono beccato la guerra nella testa. Ce l’ho chiusa nella testa» dice Ferdinand all’inizio di queste pagine, come se l’esperienza bellica – divenuta esperienza acustica – fosse solo la propaggine di una guerra molto più estesa e devastante, interna alla materia cerebrale. Eppure, attraverso il suo delirio – il suo parlottio ipnotico, sbracato e ininterrotto, come il fischio del rimorchiatore sulla Senna, nella notte, che chiudeva il Viaggio –, ci si accorge che Céline è stato l’unico scrittore capace di nominarla.
Dalla parte dei Buoni nessuno ha trovato la parola».

Ancora due cose.
Per leggere le prime pagine del libro: CLIC!

Per ascoltare la voce di Celine cantare “Règlement” da lui composta: RICLIC!

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Louis-Ferdinand Céline
Guerra
Traduzione di Ottavio Fatica
A cura di Pascal Fouché
Con una Premessa di François Gibault
Pagine 156 * Euro 18.00
Adelphi


La memoria del mondo (1)

Lo Stadio Palatino, all’interno del Parco Archeologico del Colosseo, sarà ancora una volta scenario del Festival internazionale Letterature di Roma: con uno svolgimento in cinque serate.
Il Festival ha avuto un'anteprima: cinque appuntamenti con ospiti internazionali: Bernardine Evaristo, Ali Smith, Brenda Lozano, Anna Maria Gehnyei Karima, un incontro con la cinquina del Premio Strega di quest’anno.

Il titolo scelto per questa XXII edizione è La memoria del mondo.
L’immagine-logo del Festival è firmata dall’illustratrice Laura Riccioli che ha immaginato una giovane donna che spicca un volo dalle rovine del Palatino fino a toccare la Luna: levità e fantasia presenti nell’idea di mondo del Festival.

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Potremmo a ragione definirlo un Festival audioverbovisivo perché in cartellone le voci di tanti autori italiani e stranieri saranno intervallate da eventi di spettacolo.
Il maiuscolo programma è a cura di Simona Cives che dirige la Casa delle Letterature.
Risponderà fra poco ad alcune mie domande.
Nella stesura del programma si è avvalsa del contributo di un comitato composto da Paolo Di Paolo - Melania Mazzucco - Davide Orecchio - Igiaba Scego - Nadia Terranova.
La regia dei numerosi interventi scenici sono a cura di Fabrizio Arcuri.

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Miguel Gotor, Assessore alla Cultura di Roma, così dice del Festival.
Lo straordinario scenario del Palatino torna ad accogliere il Festival Letterature. La bellezza unica di Roma e la qualità degli autori protagonisti nell’edizione 2023 sono la formula vincente di questo Festival internazionale, di cui Roma è orgogliosamente promotrice. Saranno cinque serate di grande interesse, incardinate sul tema comune della ‘Memoria del mondo’ e con un omaggio all’opera di Italo Calvino, di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita.
Un’edizione che ci farà riflettere sulla contemporaneità, sul rapporto tra presente e passato.
Voglio ringraziare, per il grande lavoro svolto, Simona Cives, lo staff della Casa delle Letterature e l’Istituzione Biblioteche di Roma oltre a tutti gli autori, editori e attori coinvolti".
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Segue ora un incontro con Simona Cives.


La memoria del mondo (2)


Fra i luoghi di Roma tra i più attivi nel proporre cultura ne spicca uno in particolare che ha per obiettivo l’avvicinamento del pubblico alla letteratura sia italiana sia straniera. Si tratta della “Casa delle Letterature” che da qualche tempo ha meritatamente conquistato l’attenzione di giovani, meno giovani e dei media ed è, quindi, non a caso, tra le protagoniste dell’Estate Romana ’23 con il Festival di cui queste note si stanno occupando.
Durante tutto l’anno, presenta autori che parlano dei propri libri, illustrano le tendenze cui appartengono, le ragioni stilistiche del loro scrivere, il loro rapporto con la società.
Tale attività è agita in modo dinamico, lontano dalla sussiegosa maniera in cui si svolgono tante iniziative consimili, in un modo da definire “colto e non culturale” (copyright Angelo Guglielmi) come il grande critico intendeva era da farsi la diffusione dei saperi. Proprio per queste modalità la Casa riscuote un grande successo come testimoniano le massicce presenze a quegli incontri con scrittrici e scrittori.
Responsabile della Casa delle Letterature, e curatrice del Festival Internazionale Letterature, è Simona Cives.
Si occupa, da diversi anni, di organizzazione d’attività letterarie presso l’Istituzione Biblioteche di Roma che hanno assunto con la sua direzione non solo il ruolo di un eccellente luogo di studi e progetti, ma anche quello di un attore teso a un’effervescente comunicazione con la città.

A lei (in foto) ho rivolto alcune domande.

Quali le finalità di questo Festival?

Letterature Festival ha l’obiettivo di far conoscere al grande pubblico il meglio della letteratura nazionale e internazionale attraverso una lettura “dal vivo” di testi inediti da parte degli autori presenti sul palco, senza intermediazioni. Il Festival, che giunge quest’anno alla sua ventiduesima edizione, è frequentato dai lettori appassionati, ma ha anche la finalità di far scoprire autori e mondi letterari diversi a chi non legge e a chi si affaccia con curiosità a una manifestazione che si colloca nell’ammaliante scenario dello Stadio Palatino.

Nello stendere il programma qual è stata la prima cosa che hai deciso di fare assolutamente per prima e quale quella assolutamente per prima da evitare?

Ogni anno il Festival pone un titolo e un tema che possano essere uno spazio di riflessione. L’edizione dell’anno scorso era intitolata “Tempo nostro”, con chiaro riferimento al periodo della pandemia e con la volontà di riprendere una serie di “sospesi” legati al momento trascorso. Per questa edizione ho voluto individuare, per prima cosa, un titolo che potesse essere innanzitutto uno spazio di riflessione sul ruolo della letteratura; la prima cosa che ho voluto invece evitare è inseguire le uscite, le novità editoriali, ma proporre libri e autori che valga la pena sempre e comunque di conoscere.

Il Festival reca il titolo “La memoria del mondo”. Da dove viene quel titolo?

“La memoria del mondo” è il titolo di un racconto e di un’opera di Italo Calvino, del quale ricorre quest’anno il centenario della nascita. Il libro raccoglie venti storie cosmicomiche nelle quali l’immaginazione è sollecitata da letture scientifiche. Quattro storie sulla Luna, quattro sulla Terra, quattro sul sole, le stelle, le galassie, quattro sull’evoluzione, quattro sul tempo e sullo spazio: come i miti per gli antichi, la scienza è la base per una narrazione contemporanea sulle origini del mondo. I personaggi dei racconti dialogano e immaginano scenari futuri in uno spazio in cui si muovono le ombre dei dinosauri, la Terra si è appena solidificata e la Luna esplode nel cielo. Una narrazione, dunque, sul passato lontanissimo, sull’origine del mondo e sulle sue prospettive - ma anche sulla possibile fine della vita sulla Terra, a cui nel racconto “La memoria del mondo”, che dà il titolo a tutta l'opera, consegue la domanda sulla trasmissione del sapere e della memoria: quale sarà il racconto di noi e della nostra storia?

Perché tra i tanti titoli di Calvino hai scelto proprio quello?

Mi piaceva innanzitutto fare un richiamo a una tra le opere meno note dell’autore. Il titolo, al di là dei contenuti presenti nel libro, è particolarmente suggestivo: lo Stadio Palatino è la memoria del mondo, e anche il racconto della letteratura è la memoria del mondo. Ma ancor più perché quest’opera è forse la più vicina, negli intenti dello stesso Calvino, a chi si occupa tutti i giorni, come noi, di promozione della lettura. “La memoria del mondo” fu pubblicato infatti nel 1968 non per la normale distribuzione libraria ma per il Club degli editori; poi, significativamente, nel 1975 fu riproposto nella Biblioteca Giovani Einaudi. Con questo libro Calvino non voleva rivolgersi ai lettori cosiddetti “forti”, ma a chi aveva poca pratica della lettura; il suo è stato in qualche modo un tentativo di allargare il campo dei lettori.

Quale criterio è stato usato nella scelta degli autori che sono in cartellone?

Il criterio principe utilizzato nella costruzione del programma è quello della qualità. Gli autori ospiti della manifestazione, in tutto sedici, provengono da paesi diversi e sono spesso pluripremiati, tutti comunque di alto profilo. Ne cito solo alcuni: Fernando Aramburu, Julie Otsuka, William Vollmann, Margaret Atwood, Nicola Lagioia, Jeanette Winterson. Nella selezione ho cercato di fotografare, come negli anni precedenti, la varietà della produzione editoriale, e di rappresentare piccoli, medi e grandi editori.

Viviamo in un’epoca in cui si fa sempre più fitta l’ibridazione dei generi.
Quale ruolo gioca la letteratura in questo scenario d’intercodice dei linguaggi
?

La nostra epoca si caratterizza spesso come un grande spazio di libertà, ma anche per la difficoltà di raccontare le cose con un unico linguaggio. Si tratta certamente di un portato di questo tempo in cui la lettura è sempre più ipertestuale e dove spesso non c’è spazio per la letteratura solo scritta e per una lettura lenta e profonda. La letteratura può però continuare a rivendicare la bellezza della parola, così come ci ha insegnato anche Calvino: scrivere è un’avventura, uno spazio di sperimentazione, un viaggio verso infiniti immaginari possibili.

In questo primo quarto del secolo come sono vissute, in prevalenza, le metropoli dagli autori che dal tuo osservatorio internazionale hai avuto la possibilità di conoscere? Hai un ricordo di qualcuna o qualcuno in particolare ?

Le metropoli raccontate dai nostri autori sono un grande caleidoscopio che riflette la varietà e la diversità delle storie delle persone. Mi viene in mente la grande Bernardine Evaristo, scrittrice britannica nata da madre inglese e padre nigeriano, vincitrice del Man Booker Prize, che ha aperto il ciclo delle anteprime del Festival. Nel suo romanzo “Ragazza, donna, altro” ci sono mille storie sentimentali, familiari, professionali diverse e il racconto di una molteplicità di vite, che formano un romanzo anticonvenzionale e che offrono una lettura inedita di una grande metropoli europea.
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Per conoscere il programma delle cinque serate: CLIC.
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Per i redattori della carta stampata, radio, tv, web:
Ufficio Stampa: Tandem
Francesca Comandini +39 340 3828160 - press. francescacomandini@gmail.com
Paola Turco +39 339 5886669 – press. paolaturco@gmail.com
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“La memoria del mondo”
Festival Internazionale Letterature
XXII edizione: 3, 5, 9, 11 e 13 luglio
Inizio delle serate ore 21.00
Accesso allo Stadio Palatino ore 20.30
Via di San Gregorio 30, Roma
Per informazioni: Tel. 06 06 08
Mail: casadelleletterature@bibliotechediroma.it
Ingresso gratuito fino a esaurimento dei posti


Ma perché siamo ancora fascisti?


Dopo il grande successo di “Mussolini ha fatto anche cose buone” di cui mi sono occupato QUI e Noi però gli abbiamo fatto le strade Francesco Filippi è giustamente riconosciuto quale una delle voci importanti nell’analisi storica del fascismo in Italia.

In libreria un suo nuovo, eccellente, libro: Ma perché siamo ancora fascisti?

Dalla presentazione editoriale

«Francesco Filippi avendo effettuato il suo meticoloso e definitivo lavoro di «debunking» sulle numerose e ostinate leggende relative al ventennio fascista e alla figura del duce, ancora così diffuse nel nostro paese, dirige ora la sua affilata analisi verso i motivi che hanno portato tanti nostri concittadini a cadere vittime, ancora oggi, di una propaganda iniziata oltre due generazioni fa. Com’è possibile – ci si chiede in molti – che dopo tutto quello che è successo – dopo una guerra disastrosa, milioni di morti, l’infamia delle leggi razziali, la vergogna dell’occupazione coloniale, una politica interna economicamente fallimentare, una politica estera aggressiva e criminale, un’attitudine culturale liberticida, una sanguinosa e lunga guerra civile… –, oggi ci guardiamo intorno, ben addentro al terzo millennio, e ci scopriamo ancora fascisti? Ma cos’altro avrebbe dovuto succedere per convincere gli italiani che il fascismo è stato una rovina?
Eppure, ancora si moltiplicano le svastiche sui muri delle città, cresce l’antisemitismo, un diffuso sentimento razzista permea tutti i settori della società e il passare del tempo sembra aver edulcorato il ricordo del periodo più oscuro e violento d’Italia: a quanto pare la storia non ci ha insegnato abbastanza, non ci ha resi immuni.
Per aiutarci a capire perché, Filippi in questo libro ci racconta molte cose: ci racconta com’è finita la guerra, cosa è stato fatto al termine del conflitto e cosa non è stato fatto, quali provvedimenti sono stati presi nei confronti dei responsabili, quali invece non sono stati presi, cosa hanno scritto gli intellettuali e gli storici e cosa non hanno scritto, che cosa è stato insegnato alle nuove generazioni e che cosa invece è stato omesso e perché. Soprattutto, ci mostra come noi italiani ci siamo raccontati e autoassolti nel nostro immaginario di cittadini democratici, senza mai fermarci a fare davvero i conti col passato. Che, infatti, non è passato».

Per sfogliare le prime pagine: CLIC.

QUI un video n cui Filippi, presentato da Michele Luzzatto, parla del suo libro.

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Francesco Filippi
Ma perché siamo ancora fascisti?
Pagine256 * Euro 12.00
Bollati Boringhieri


Il governo Goebbels (1)

Torna graditissimo ospite di questo sito Giovanni Mari con un nuovo libro pubblicato dalla casa editrice Lindau intitolato Il governo Goebbels. Trenta ore di morte e menzogne. Un originale documento su uno dei momenti meno conosciuti e studiati del Terzo Reich.

Mari è giornalista al «Secolo XIX» di Genova. Si è occupato a lungo dello scontro tra i partiti politici italiani, interessandosi in particolare al tema della propaganda politica.
Ha pubblicato il saggio Genova, vent’anni dopo. Il G8 del 2001, storia di un fallimento e il romanzo storico Klausener Strasse. 1970: caccia al cadavere di Hitler, il diario segreto del KGB. Più recente, sempre per Lindau, La propaganda nell'abisso.

Dalla presentazione editoriale.

«Adolf Hitler si uccide alle 15,30 del 30 aprile 1945. Contrariamente a quanto si crede, lo scettro del Terzo Reich non passa immediatamente nelle mani del grand’ammiraglio Dönitz, che poi metterà il sigillo sulla resa nazista. Il nuovo cancelliere è Joseph Goebbels, il cantore del regime: gestirà il suo debole e allucinato governo, circondato dai carri armati nemici, per sole trenta ore. Poi si ucciderà con la moglie, dopo aver ammazzato i sei figli.
In quell’attimo di storia, Goebbels non rinuncerà alla propaganda, infarcita di menzogne, e alla sua cultura di morte: cercherà di tagliare le gambe ai gerarchi in fuga e di manovrare Dönitz con messaggi contraddittori, tentando infine di trattare, senza successo, proprio con gli odiati bolscevichi.
Documenti alla mano, Giovanni Mari analizza le tardive nomine testamentarie di Hitler, illustra l’effettiva estensione del Reich al 1º maggio 1945, ricostruisce le ultime battaglie attorno al Reichstag e il tentativo di tregua con i sovietici, raccontando una vicenda che pochi conoscono davvero».

Segue un incontro con Giovanni Mari.


Il governo Goebbels (2)

A Giovanni Mari (in foto) ho rivolto alcune domande.

Questo lavoro a quali domande intende rispondere?

In parte è la stessa domanda che mi aveva spinto a scrivere “La propaganda nell’abisso”: fino a quale punto può spingersi il totalitarismo? Lavorando sul Panzerbär, l’ultimo giornale dei nazisti, mi ero soffermato sulla propaganda, capace di arrivare fino a istigare i cittadini al suicidio. Nel caso del “Governo Goebbels” estendo il discorso alla politica, al senso dello Stato, al concetto di partito e – ancora una volta – al rispetto della popolazione. Come si può chiaramente constatare, in entrambi i casi, il limite non esiste e il totalitarismo, in questo caso il nazismo, sprofonda nell’inferno, abolendo qualsiasi cognizione di coscienza, di legalità e di Storia.

Goebbels a capo del governo, Doenitz a capo dello Stato.
Goering e Himmler destituiti di ogni carica e indicati da Hitler per iscritto quali traditori.
Quali colpe venivano addossate loro dal Fürher?

Goering, che era considerato da tutto il nazismo come il naturale successore designato, e Himmler furono accusati di alto tradimento e processati in contumacia, senza legge né avvocati, nel bunker. Himmler addirittura condannato a morte. Le loro colpe erano quelle di aver tramato contro un Hitler che entrambi avevano dato, ed era la verità, per spacciato. Goering chiedeva i poteri per prendere in mano il Reich da fuori Berlino. Himmler trattò con gli inglesi per destituire Hitler, prendere il potere e trattare un armistizio.

Quale era la situazione politica e militare, in cui si mosse il governo Goebbels?

Anche se il Reich non si era estinto, come invece siamo soliti pensare, la Germania era già sconfitta. I sovietici erano a poche ore dalla completa conquista di Berlino e a Est della capitale ormai controllavano stabilmente tutti i territori, salvo fortezze isolate e a esclusione della Boemia. A Ovest gli angloamericani erano arrivati all’Elba e avevano messo in sicurezza quasi tutto il continente a esclusione dell’Austria. A Nord invece il Reich occupava ancora parte dei Paesi Bassi, la Danimarca e tutta la Norvegia. I tedeschi avevano ancora più di tre milioni di soldati sul campo ma sostanzialmente impossibilitati a combattere, a muoversi e a ricevere rifornimenti. In sostanza, il Reich sarebbe stato annientato in una manciata di giorni, come in effetti avvenne. Immediatamente dopo la morte di Goebbels cadde Berlino, all’alba del 2 maggio 1945.

Nel brevissimo tempo che Goebbels ebbe a disposizione riuscì se non a fare leggi a dettare almeno disposizioni?

Non fece leggi, ma tentò una trattativa di tregua con l’Armata Rossa dando una legittimità ai bolscevichi che fino a quel punto aveva considerato pubblicamente come non-umani. Inviò suoi parlamentari oltre le linee per stabilire una tregua al fine di trasferire il governo del Reich a Nord e poter trattare. La trattativa andò malissimo, ma consentì a Stalin di sapere per primo della morte di Hitler. Per il resto, Goebbels stabilì l’impossibilità di una capitolazione, con una direttiva che poi i generali violarono subito e diede ancora ordine di giustiziare i disertori o i traditori. Insomma, continuò fino all’ultimo istante la tragica follia nazista, idolatrando Hitler e vaneggiando di futuri verdetti storici.

Piero Gobetti: "La storia è sempre più complessa dei programmi". “La Rivoluzione liberale”, 1924.
Alain: "La storia è un grande presente, e mai solamente un passato". “Le avventure del cuore”, 1945.
Elias Canetti: "Imparare dalla storia che da essa non c'è niente da imparare". “La tortura delle mosche”, 1992.
E per Giovanni Mari la storia che cos'è
?

Non meriterò mai di essere accostato a questi giganti. Anche perché io la Storia devo ancora finire di studiarla. Per questo penso che sia una rotta da esplorare, ben sapendo che tale esplorazione non finità mai. So che molti pensano che la Storia non sia maestra di vita, ma per quanto mi riguarda, fino a oggi, credo che per me lo sia stata. Il problema è che non finisce mai di impartire la sua lezione e quindi conoscerla non basta per garantire all’umanità pace e giustizia.

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Giovanni Mari,
Il governo Goenbels
Pagine 226 * Euro 19.00
Edizioni Lindau


La scienza dell'incredibile

Chi è Massimo Polidoro?
Scrissi di lui tempo fa e non mi resta che plagiare me stesso.
Nato a Voghera nel 1969, è un giornalista, scrittore e divulgatore scientifico italiano, segretario nazionale del Cicap ("Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze").
A Voghera si sussurra su di un'affettuosa sua amicizia con una “casalinga di Voghera” mentre è in cattivi rapporti con il "pastore abruzzese" e il "bracciante lucano" gli altri due del noto terzetto letterario inventato da Arbasino anche lui nato a Voghera, come pure lì nacque Carolina Invernizio.
Se Dylan Dog è l’investigatore dell’Incubo, Polidoro lo è dell’Insolito e francamente il suo còmpito non è meno difficile di quello del detective londinese perché siamo accerchiati da tante bufale sui giornali, alla radio, alla tv, da strani convegni e libri bugiardi… Giuda balllerino!
E Polidoro che fa? Li smaschera inesorabilmente uno ad uno facendosi odiare dalle folte schiere di venditori di frottole ammantate mo’ di scientificità e mo’ di paranormalità… dite che non esiste quella parola? E io vi dico di sì perché l’ho inventata io.

Una delle sue più recenti imprese è la pubblicazione del libro La scienza dell’incredibile Come si formano credenze e convinzioni e perché le peggiori non muoiono mai.
“Questo libro” – ha scritto il filosofo della Scienza Telmo Pievani – “è prezioso proprio perché ci aiuta ad allenare la parte più difficile, ed esaltante, dell’imperfetta natura umana: saper dire di no alle scorciatoie mentali”.

Dalla presentazione editoriale.

«Attraverso la narrazione di alcune storie incredibili, il libro perlustra le radici biologiche e psicologiche che alimentano la necessità di credere e, ricorrendo alle ricerche più recenti, scopre le funzioni tuttora svolte dai sistemi di credenza.
Nel corso delle pagine, si acquisisce familiarità con gli strumenti dell’indagine scientifica e, imparando a valutare l’attendibilità e la veridicità delle credenze, ci abitueremo a ragionare come scienziati, diventeremo consapevoli dei nostri limiti ed errori, e a trattare con chi non vuol dare retta alla ragione. Ma, soprattutto, impareremo a coltivare l’unico vero antidoto contro il pregiudizio e la superstizione: una curiosità inesauribile.
Eccole in azione, le credenze: le troviamo in chi vede complotti ovunque o in chi compie atrocità, pensandosi nel giusto; le riconosciamo in chi cerca conforto negli extraterrestri, in medium o guru di varia origine e provenienza; le sentiamo radicate in chi crede in entità spirituali e cerca spiegazioni sovrannaturali. Perché?
Massimo Polidoro, il più celebre indagatore di misteri e smascheratore di inganni al servizio della scienza, ci conduce a esplorare uno dei bisogni più antichi dell’uomo: credere».

QUI un breve video in cui l’autore presenta il suo libro.

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Massimo Polidoro
La scienza dell’incredibile
Pagine 256 * Euro 17.00
Formato Kindle: Euro 9.99
Feltrinelli


CircoinFest

Se abitate a Roma o siete di passaggio fra il 24 giugno e il 23 luglio non perdete quanto propone il Teatro di Roma che apre l’estate negli spazi all’aperto del Teatro India e di Teatro Torlonia con l’inedito Festival dedicato al Nuovo Circo contemporaneo, CircoinFest, per la prima volta nella programmazione di un Teatro Nazionale, con un palinsesto di spettacoli in uno scambio multidisciplinare di tecniche, poetiche e pubblici.

Per un approfondimento sul rapporto fra teatro e circo, così scrivono Valentina Garavaglia e Serena Alessandro in “Circo e Teatro”: «Nel terzo millennio lo spettacolo circense è protagonista di un processo di rielaborazione e rivoluzione dei vari aspetti che lo compongono, dal punto di vista estetico, organizzativo, produttivo e ricettivo. Accanto alla conferma del suo forte potere seduttivo e di coinvolgimento ha, al contempo, mostrato una grande capacità di adattamento ai diversi pubblici e contesti: si è sviluppato in ambiti nuovi e secondo differenti declinazioni sociali che ne hanno messo in luce le potenzialità peculiari dal punto di vista dell’inclusione e della capacità di aggregazione. Alla luce di tali premesse, il circo, la sua storia e le sue declinazioni, unitamente al suo potenziale nel mercato dello show business, sono entrati a far parte delle materie affrontate nei Corsi di Studio accademici, nei progetti europei, nei corsi professionali di vario tipo».

Una proposta, quella del Teatro di Roma, che invita alla riflessione sul rapporto fra circo e teatro.
Ecco un video sulle origini del circo, video adatto alla visione sia di ragazzi sia di adulti.

Ancora una cosa di non poca importanza.
Gli spettacoli di "CircoinFest" sono rappresentazioni che avvengono senza animali così come per primi hanno proposto il famoso Cirque du soleil, il Millennium Circo e altre - non poche - Compasgnie circensi.

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Ufficio Stampa Teatro di Roma: Amelia Realino
tel. 06. 684 000 308 --- 345.4465117
e_mail: ufficiostampa@teatrodiroma.net

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QUI comunicato stampa e programma con orari spettacoli.


Quel brivido nella schiena (1)


La casa editrice il Mulino ha pubblicato un imponente saggio intitolato Quel brivido nella schiena I linguaggi della letteratura.
L’autrice è Carola Barbero.
Insegna Filosofia del linguaggio e Filosofia della letteratura all’Università di Torino.
Fra i suoi libri, usciti da Carocci, «Filosofia della letteratura» (2013) e «Significato» (con Stefano Caputo, 2018); «L’arte di nuotare. Meditazioni sul nuoto» (Il Melangolo, 2016); «La porta della fantasia» (Il Mulino, 2019).
Questo sito ha conosciuto due suoi piccoli (piccoli, solo per numero di pagine) capolavori: Addio. Piccola grammatica dei congedi amorosi, e Un burattino nella Rete. Tradurre Pinocchio in Internet.

Dalla presentazione editoriale di “Quel brivido nella schiena”.

«Che cos'è, in fondo, la letteratura? E come dobbiamo considerare il linguaggio di cui è composta? È questo l'interrogativo fondamentale da cui sono partiti i filosofi per affrontare questioni centrali quali la differenza tra il linguaggio delle opere letterarie e il linguaggio ordinario, il nesso tra verità e significato, forma e contenuto, stile e autore. Pur riconoscendo l'utilità degli strumenti d'analisi, l'autrice esorta a non dimenticare mai di leggere i testi letterari dalla prima all'ultima pagina, per provare a capire che cosa dicono, perché lo dicono e se ce ne importa ancora qualcosa. E a leggerli magari anche lasciando che la spina dorsale prenda il sopravvento. Del resto, come ricordava Nabokov nelle sue lezioni, la sede del piacere estetico è fra le scapole, e il cervello non è che il proseguimento della spina dorsale».

Seguono mie indiscrete domande sull’intimità delle pagine di Carola Barbero.


Quel brivido nella schiena (2)

A Carola Barbero (in foto) ho rivolto alcune domande.

Come nasce questo libro e con quali intenzioni?

Questo libro nasce da un conto in sospeso – che avevo con la filosofia analitica da un lato e con la letteratura dall’altro – e con un obiettivo specifico – non dimenticare con che spirito ci accostiamo alle opere letterarie quando proviamo a dismettere i panni del filosofo o quelli dello studioso, ci rilassiamo e lasciamo che la spina dorsale prenda il sopravvento. Sì, la spina dorsale, perché benché si legga con gli occhi e con la mente, la sede del piacere estetico, come ben ci insegna Vladimir Nabokov (commentando «Casa desolata» di Charles Dickens), è tra le scapole.
La filosofia analitica del linguaggio, a partire da Gottlob Frege e Bertrand Russell, ha considerato il linguaggio della letteratura come profondamente diverso da quello, cosiddetto, «serio» (i cui enunciati, dotati di valore di verità, possono portare ad un avanzamento delle nostre conoscenze). Su questa linea i filosofi si sono quindi domandati se «Sherlock Holmes abita al 221b di Baker Street» e «Sherlock Holmes è stato inventato da Conan Doyle» potessero essere considerati (in un certo senso) veri (rispettivamente dentro e fuori la finzione), e come invece si dovessero trattare enunciati quali «Sherlock Holmes è il detective più famoso del mondo» (inclusi i detective reali?), «Sherlock Holmes è più alto di Hercule Poirot», «La Londra di Holmes e quella di re Carlo III sono la stessa città». Tante sono state le considerazioni fatte al fine di risolvere problemi di logica, semantica, metafisica e ontologia.
Tuttavia, accostarsi alla letteratura facendo propri esclusivamente strumenti e obiettivi analitici di questo tipo significa chiedere davvero alle opere letterarie quello che queste possono offrire (per parafrasare un passo del «Second Common Reader» di Virginia Woolf)? Non è forse invece un modo di studiarle, quasi dissezionarle, per trovare risposte a domande centrali per la filosofia analitica e per testare la bontà di certe teorie? Forse sì. Il che non vuol dire che sia necessariamente un errore fare un uso strumentale della letteratura per chiarirsi le idee in filosofia analitica, però se pensiamo alle opere letterarie in cui ci siamo imbattuti e di cui abbiamo apprezzato lo stile, le proprietà estetiche e la struttura, sorge naturale il dubbio che così facendo corriamo il rischio di perderci qualcosa di importante riguardo alla letteratura e al tipo di esperienza che ne facciamo. Non è sufficiente analizzare le opere letterarie, occorre anche leggerle dall’alto in basso e dalla prima all’ultima pagina, provando a capire che cosa dicono, come lo dicono, perché lo dicono, se ce ne importa ancora qualcosa o se non ce ne importa più niente.

Nel comporre questo saggio qual è la cosa che hai deciso di fare assolutamente per prima e quale quella per prima assolutamente da evitare?

La prima cosa che ho deciso di fare è stato di mettere molta letteratura, sia per quanto riguarda gli esempi letterari (ce ne sono molti, da Dante a V. Woolf, da F. Maraini a R. Carver, S. Beckett e J. Joyce) sia per quanto riguarda quello che pensano gli scrittori riguardo alla loro attività. Quelli che ho cercato di evitare sono stati eccessivi tecnicismi talvolta presenti nei dibattiti e che possono essere respingenti per il lettore facendogli cogliere solo il lato complicato della questione e non quello intrigante e avvincente che invece è parimenti presente.

Un tema che non è solo giuridico, ma attraversa vari campi della società e della creazione: l’Intelligenza Artificiale. Al proposito scrivi: “Ci aiuta e ci confonde, ci isola e ci connette, ci delude e ci stupisce, registrando tutto senza capire niente”. In questo clima ‘psicotecnologico’ (copyright Dennis De Kerchove), chi è l’autore? Quale il rapporto con la sua opera?

Quella relativa al problema dell’autore quando è in questione una intelligenza artificiale è una domanda molto difficile, soprattutto quando si tratta di programmi così elaborati da produrre anche nuovi contenuti. Se le descrizioni, i toni, lo stile, i vocaboli usati, e tutto ciò è stato fatto per creare quell’opera e veicolare quei significati sono ciò che possiamo a ragione considerare come l’opera d’arte, allora «autore» sarà colui che non soltanto ha realizzato determinati atti creativi che si sono concretizzati nell’opera, ma che può anche dirsi al contempo responsabile dell’atto di creazione dall’inizio alla fine del processo. Applicando questa riflessione a opere realizzate da AI quali «Comes the Fiery Night» e «1 the Road», è possibile sostenere che D.H. Cope e R. Goodwin siano effettivamente gli autori, dal momento che hanno creato i programmi, facendo sì che funzionassero in un certo modo, in molti casi ritenendo anche di dover intervenire apportando modifiche ai contenuti generati dal software. Cope e Goodwin hanno poi lavorato affinché questi contenuti assumessero una forma particolare: stampa su carta, una raccolta, un certo formato, ecc. Infine, hanno dato un titolo alle loro opere e hanno deciso come presentarle, dove, a chi. Considerando tutti questi passaggi, sembra plausibile ritenere Cope e Goodwin, con le loro azioni creative, come i legittimi autori di quelle opere, mentre i programmi che di fatto le hanno prodotte possono essere visti come gli strumenti utilizzati nel processo di creazione.

………………………..

Carola Barbero
Quel brivido nella schiena
Pagine 280 * Euro 26.00
Il Mulino


Messaggi in bottiglia

In un’epoca come la nostra in cui le comunicazioni sono velocissime grazie a mail e WhatsApp c’è anche chi le affida a un mezzo non proprio fulmineo e neppure indirizzato a un preciso destinatario perché usa scrivere il proprio messaggio su di un cartiglio infilato in una bottiglia e affidato alle onde del mare.
Forse anche perché non teme, in quanto a velocità di recapito, di sfigurare troppo con le poste (e non solo quelle italiane) che ancora talvolta recapitano oggi lettere spedite da soldati che combattevano la Prima Guerra Mondiale.
I messaggi in bottiglia hanno ispirato pagine di letteratura, film, fumetti, brani musicali, ecco alcuni esempi.

Esiste in Italia un collezionista di messaggi in bottiglia?
Sì, abbiamo un nome maiuscolo (maiuscolo non solo in Italia) è quello di Roberto Regnoli.
È. stato medico ortopedico, primario a Termoli, in Molise.
Da anni cerca, e trova, messaggi in bottiglia.
Per entrare nel suo sito web, bussate con un CLIC!

Molte le interviste che gli hanno fatto, ne presento una fra le tante.

Parte dei messaggi raccolti sono presenti nel libro Amore dal mare di cui Regnoli è autore insieme con altri titoli.

A lui (in foto) ho rivolto alcune domande.

Con la tua larga esperienza di lettura di quei messaggi quale idea ti sei fatta di quei singolari scrittori?

Esistono diversi messaggi in bottiglia. Molti sono bambini che vogliono sapere dove è arrivato il loro messaggio. Altri sono scherzi, disegni o persone annoiate durante una lunga traversata in barca. Ma i messaggi più belli sono quelli d'amore. Chi si è innamorata di una donna (uomo ) e vuole affidare la sua gioia al mare. Oppure un amore finito e affidano il loro dolore al mare. Ci sono anche messaggi a persone morte in mare. Uno degli ultimi è un ragazzino sottoposto a "bullisno" che affida la sua disperazione alle onde del mare. Il mare è come un confidente ascolta tutti e non critica mai.

È possibile che esistano messaggi in bottiglia vecchi di secoli? Ne hai mai trovato uno?

La "moda" dei messaggi in bottiglia è antichissima. Sembra che lo studio delle correnti marine d'atlantico sia stata fatta dagli inglesi, che gettarono in acqua migliaia di bottiglie con dentro un foglio di carta per rispondere, una sterlina e un sigaro. I messaggi più vecchi che ho trovato datavano da sei mesi al massimo di un anno. Dopo la sabbia li copre.

A chi volesse scrivere un messaggio in bottiglia oggi quali consigli daresti per assicurare lunga vita a quei cartigli: bottiglia di vetro o plastica? Scrivere con quale inchiostro? Quale tappo usare?

Per scrivere un messaggio, duri nel tempo e che non venga cancellato dal sole o dall'acqua del mare, bisogna seguire determinate regole. La bottiglia deve essere di vetro e non di plastica. Il vetro non è inquinate e non degenera sotto il sole. La bottiglia deve essere chiusa con un tappo di sughero e sigillata con la cera lacca. Il messaggio deve essere scritto con la matita. La grafite è un minerale e non si cancella sotto i raggi del sole. La scrittura, possibilmente in stampatello, deve essere avvolta all'interno del messaggio.

Una domanda forse indiscreta. Hai mai lanciato un messaggio in bottiglia?

Rispondo alla tua domanda con un SI’.
Ho mandato due messaggi; uno si è perso, l'altro è stato trovato dopo Bari e mi hanno scritto. Inoltre, tutte le volte che trovo dentro una bottiglia un indirizzo, io scrivo e il più delle volte mi rispondono.

……………………………………………………………………………..

Ancora una cosa ho da aggiungere.
Come in altri anni, anche in questo 2023 i messaggi in bottiglia saranno esposti in mostra.
A Termoli (Castello Svevo) nei giorni 11,12,13 Agosto dalle 20 alle 24.

Concludo questa nota con un invito all’ascolto di un brano in tema. i Police in Message In A Bottle.


Editoriale Scienza per l'estate


Ho appreso con molto piacere che la casa Editoriale Scienza nell'àmbito del Premio nazionale di divulgazione scientifica promosso dall’Associazione Italiana del Libro, ha ricevuto un riconoscimento speciale per essersi distinta “nell’efficacia della comunicazione scientifica rivolta a un target giovanile”.
Da anni, infatti, segnalo l’impegno di quest’Editrice sia per lo specifico obiettivo di pubblicazione che si è dato, la Scienza spiegata ai ragazzi, sia per l’originale forma grafica con la quale veicola i contenuti dei libri che edita interpretando la lettura dei più giovani in maniera interattiva.
Editoriale Scienza è una presenza culturale quanto mai necessaria specialmente in questi tempi funestati da negatori delle scienze, da no vax, da ciarlatani che osano senza vergogna discettare di terra piatta, Disegno Intelligente (sic!), e altre amenità propalando fake news che avvelenano società e politica.
Nel gruppo che a Editoriale Scienza lavora c’è non soltanto moderna competenza ma pure amore per ciò che là si produce.
La casa, fondata da Helene Stravo, oggi è condotta da sua sorella Sabina
In redazione Federica Friedrich, Giacomo Spallacci, Micol Doria; l’ufficio stampa è affidato a Marilisa Cons e Anna Girardi.

Alla vigilia delle vacanze estive spesso ci s’interroga su quali libri regalare ai ragazzi.
Fra le proposte di Editoriale Scienza segnalo due titoli per due differenti fasce di età
Dagli 11 anni in su: Ragazze in capo al mondo di Laura Ogna con illustrazioni di Giulia Sagramola.

Dalla presentazione editoriale

«È un volume pieno di coraggio e audacia questo che racconta la vita di dieci donne che, tra XIX e XX secolo, si sono ribellate alle consuetudini, hanno rotto schemi consolidati, mettendo spesso a repentaglio la loro incolumità per raggiungere angoli di mondo ignoti.
Le viaggiatrici ed esploratrici narrate nel libro sono: Gertrude Bell, Ida Pfeiffer, Nellie Bly, Carla Serena, Alexandra David-Néel, Monica Kristensen, Vivienne de Watteville, Annie Smith Peck, Freya Stark, Isabella Bird».

Aggiungo io: dieci storie, dieci vite, dieci esempi di donne coraggiose che rivelano quanto torto abbia un Dottore della Chiesa, qual è San Tommaso d’Aquino, che così scrive “La donna è fisicamente e spiritualmente inferiore (…) Essa è addirittura un errore di natura, una sorta di maschio mutilato, sbagliato, mal riuscito”.
Ovviamente, ben diversamente la pensa Rita Levi Montalcini: "Geneticamente uomo e donna sono identici. Non lo sono dal punto di vista epigenetico, di formazione cioè, perché lo sviluppo della donna è stato volontariamente bloccato".
Ha scritto Norberto Bobbio “Sono convinto da tempo che l’unica rivoluzione che potrà cambiare il mondo è quella femminile”.
Quelle dieci donne ne sono un’eloquente testimonianza.

Altra proposta per un’età sui 7 anni: Enigmistica per cervelli curiosi.
Testi di Giulia Tedesco illustrazioni di Nina Cuneo.

Dalla presentazione editoriale.

«Schemi logici, cruciverba illustrati, sudoku, codici da decifrare, labirinti, disegni da completare e colorare, differenze da trovare, operazioni da calcolare…
Tante pagine illustrate ricche di giochi e attività su matematica, geometria e logica, per trascorrere ore di divertimento assicurato.
Vere e proprie sfide per mettere in moto il cervello».

…………………………………..

Laura Ogna
Ragazze in capo al mondo
illl. di Giulia Sagramola
Pagine 142 * Euro 18.90

…………………………………..

Giulia Tedesco
Enigmistica
Pagine 44 * Euro 7.90

…………………………………..

Editoriale Scienza


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