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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Guido Zaccagnini


Il 28 dicembre di un anno fa ci ha lasciati più soli Guido Zaccagnini.
La sua figura ha un posto particolare nella vita delle mie amicizie, grande persona, oltre agli anni di frequenti, felicissimi, incontri, le telefonate pressoché quotidiane, nessuno più di lui mi ha dato tante illuminazioni perché aldilà della sua specializzazione sulla musica era uno storico della cultura. Lettore instancabile dalle plurali curiosità spaziando dalla letteratura alle arti visive, dal teatro al cinema, dai fumetti alla tv.
Quanto alla musica, faccio il regista da cinquant’anni e mai mi è capitato – come, invece, mi è capitato con Guido con cui ho avuto la fortuna di collaborare – un musicista con pari competenze dalla lirica al jazz, dalla sinfonica al folk, dall’eletrroacustica al rock.

Circa la sua biografia di artista e docente, ricordo qui, molto sintetizzando, alcuni tratti.
Nato a Roma nel 1952, si laureò al Dams di Bologna con Aldo Clementi diplomandosi poi in pianoforte al Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli
Ha insegnato storia della musica al Conservatorio di Perugia, alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Roma Tre e al Conservatorio di Musica di Santa Cecilia a Roma.
Ha fondato e diretto per dieci anni l'ensemble cameristico Spettro Sonoro, con il quale ha eseguito e registrato l'intero corpus compositivo di Friedrich Nietzsche.
Ha composto musiche di scena per il teatro, il cinema, sceneggiati radiofonici.
Ha lavorato per RadioRai sia quale autore sia quale conduttore divenendo voce storica di Radio Tre; in anni più recenti a quel microfono ha alternato collaborazioni con Rai News 24 e Rai 5.
Collaboratore alle pagine di quotidiani, settimanali e riviste specializzate, gli è stata affidata curatela e traduzione del libro di Charles Rosen "La generazione romantica" (Adelphi, 1997) e di Maynard Solomon "Su Beethoven" (Einaudi, 1998).
Ha pubblicato una monografia su Berlioz ("Hector en Italie", Pendragon 2002) e il suo ultimo volume è stato "Una storia dilettevole della musica. Insulti, ingiurie, contumelie e altri divertimenti" (Marsilio, 2022).
In questo video un’intervista rilasciata a Rai News su quel libro.


La poesia ti guarda

La Galleria d’Arte Moderna di Roma celebra il sessantesimo anniversario dalla nascita del Gruppo 70, un sodalizio artistico intramontabile nel panorama delle neoavanguardie e delle ricerche verbovisive italiane.
Titolo: La poesia ti guarda, a cura di Daniela Vasta (in foto).
L’esposizione è un omaggio a quel gruppo che ha segnato un momento cruciale nell’evoluzione artistica del secondo dopoguerra.

Tra i fondatori l’artista Lamberto Pignotti.
In foto una sua opera: “dipende dal punto di vista", 1971

A lui ho rivolto alcune domande.

Come e quando nacque il Gruppo ’70 ?

Il Gruppo 70 nacque a Firenze nel maggio del 1963 con il Convegno “Arte e Comunicazione” al Forte Belvedere. Ne facevano parte, oltre che il sottoscritto, poeti quali Eugenio Miccini, artisti come Antonio Bueno, musicisti come Giuseppe Chiari.

Che cosa significò nello scenario delle arti visive e letterarie la nascita del Gruppo ’70 ?

Nello scenario delle arti visive e letterarie, la nascita di questo gruppo fece risaltare l’uscita dai singoli comportamenti artistici e un’idea più globale di arte, che poneva, allo stesso tempo e in vari modi, l’idea di interartisticità e intermedialità.

Ci furono critici che allora vi sostennero? Se sì, quali nomi?

Fra i critici che fin d’allora ci hanno variamente sostenuti farei il nome di: Gillo Dorfles, Luciano Anceschi, Renato Barilli e Umberto Eco. Per altro, Umberto Eco diceva di far parte del gruppo 133, avendo avuto le sue presenze e sostenuto i suoi momenti critici nell’ambito di tutti e due i gruppi.

Che cosa vi rendeva vicini e che cosa lontani dal Gruppo ‘63?

La vicinanza fra il Gruppo 70 e il Gruppo 63 si è verificata nel segno della differenziazione da un tipo di arte e letteratura tradizionali. In fondo io l’ho considerato come un fronte unico delle avanguardie.
Quello che me lo fa sentire lontano, o diverso, è proprio ciò che prima indicavo come interartisticità e intermedialità. Sostanzialmente, il Gruppo 63 si è definito nell’ambito letterario ed è dai critici letterari che ha avuto maggiore attenzione. Ciò che rende oggi più attuale il Gruppo 70 nel suo complesso è proprio l’idea che l’arte non va ravvisata e definita nei singoli confini. È l’idea di interartisticità e interdisciplinarietà che ancora oggi ne fa ravvisare la sua identità.

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La poesia ti guarda
A cura di Daniela Vasta
Gall. Arte Moderna
Via Francesco Crispi 24, Roma
info@galleriaartemodernaroma.it
Fino al 5 maggio 2024


La tigre e i gelidi mostri

Sono trascorsi pochi giorni dal 12 dicembre, in quella data, nel 1969 si ebbe la strage di Piazza Fontana.
Oggi in un nuovo libro troviamo I risultati di una ricerca che ha portato alla luce nuovi nomi (e probabilmente non ultimi perché non è da escludere che altri ancora ne verranno scoperti) appartenenti a una rete di complicità estesissime.
Titolo del volume: La tigre e i gelidi mostri Una verità d'insieme sulle stragi politiche in Italia.
Autori: Gianfranco Bettin e Maurizio Dianese.

Dalla presentazione editoriale.

«Chi ha portato la bomba esplosa in piazza Fontana? E quella in piazza della Loggia a Brescia? Quanti neofascisti erano presenti a Bologna il giorno della strage alla stazione? Quale rete di mandanti e complici ha voluto e favorito le stragi? Non a tutte queste domande è stata data risposta. C’è ancora una parte buia della storia, dicono le sentenze. Ma c’è chi, in queste tenebre, continua a cercare.
Gli autori ricostruiscono i giorni e i minuti che hanno preceduto le stragi – le “stragi politiche” – e gli identikit e i nomi, alcuni mai fatti prima, di chi le ha eseguite. E l’ambiente, la trama da cui sono scaturite, che conduce dentro le casematte stragiste e cospirative, negli apparati di Stato italiani e atlantici. Nel fondo nero dell’attacco alla Repubblica, sferrato per lunghi e sanguinosi anni contro la “tigre” del cambiamento, così temuta dai reazionari di ogni tipo, contro l’innovazione sociale e politica e lo sviluppo della democrazia sotto il segno della Costituzione.
Due fili incandescenti si snodano. Il filo rosso sangue delle stragi, da piazza Fontana a Bologna, e il filo nero dei colpi di Stato minacciati o tentati ma comunque incombenti.
Si compone così una “verità d’insieme”, che arriva ai mandanti e ai responsabili politici della strategia eversiva, figure di assoluto rilievo istituzionale e politico – davvero i “gelidi mostri” di Nietzsche – oltre a funzionari e agenti di apparati chiave dello Stato e alla rete terroristica neofascista.
Indagare, scavare nelle stragi e nelle trame, cercare la verità anche oltre le risultanze processuali significa dar conto di cosa sia davvero avvenuto in Italia in quei decenni cruciali la cui ombra si allunga fino a oggi».
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Scrive su “La tigre e i gelidi mostri” Carlo Feltrinelli in una nota introduttiva: Questo nuovo libro racconta episodi sconosciuti, o reinterpretati alla luce di fatti nuovi e di nuove chiavi di lettura; episodi cruciali di una storia che inizia ben prima e finisce molto dopo piazza Fontana. Una storia le cui ombre e i cui artigli giungono fino a oggi. Per questo è bene, è giusto, è necessario continuare a cercare quella “verità d’insieme” invocata dal giudice Mario Amato proprio alla vigilia della sua uccisione, che era anche la vigilia della strage di Bologna, da parte dei neofascisti sui quali indagava.
A questa ricerca della verità, sempre da verificare e da affinare, ci ostiniamo a dare spazio e strumenti, dedicandovi la nostra consapevolezza e l’investimento civile e culturale della casa editrice
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Per leggere un estratto: CLIC.
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Gianfranco Bettin – Maurizio Dianese
La tigre e i gelidi mostri
Prefazione di Carlo Feltrinelli
320 pagine * 20.00 euro
Feltrinelli


Mural per Michelle Causo

Se 109 è cifra che non sbaglio, per difetto, tante sono ad oggi le donne uccise dal principio di quest’anno 2023.
A Roma, uno dei più recenti episodi cruenti ha visto vittima la 17enne Michelle Causo.
Domenica scorsa le è stato dedicato tra le mura delle case popolari nel quartiere di Torrevecchia che ha visto la sua fine un murale (o “mural” se preferite dirlo in spagnolo), di cui è autore Nicola Lucioli, in arte Noah, di lui notizie e biografia QUI.
Il progetto è stato realizzato con la collaborazione del Comitato Torrevecchia Primavalle, Municipio Roma XIII, ATER Roma e La Città Ideale.

Estratto dal comunicato stampa.

«Il 28 giugno 2023 il corpo di Michelle Causo, vittima di femminicidio a soli 17 anni, è stato ritrovato senza vita in un carrello della spesa accanto ai cassonetti della spazzatura in via Stefano Borgia in zona Primavalle. La comunità di quartiere si è stretta intorno alla famiglia in ricordo della giovane ragazza e si è mossa per realizzare un murales commemorativo. L’obiettivo è quello di “tenere viva la memoria di una ragazza straordinaria”, come sottolineato dal Comitato Torrevecchia Primavalle. Il Comitato ha avviato un’attività di fundraising per poter realizzare l’opera dedicata alla ragazza, invitando tutti a fare la differenza e contribuire alla promozione della solidarietà all’interno della comunità stessa.

Il progetto nasce da una rete di realtà virtuose ed attiva sul territorio da un punto di vista culturale, sociale, formativo e divulgativo: il Comitato Torrevecchia Primavalle che in prima persona si è speso nella realizzazione dell’iniziativa, La Città Ideale, di Fabio Morgan, progetto che s’impegna nella produzione di eventi legati al quartiere di Torrevecchia, il Municipio XIII e ATER Roma che si sono resi disponibili a collaborare attivamente per la realizzazione di questo progetto e per aver messo a disposizione gli spazi.

"Riteniamo che questa giornata rappresenti un importante segnale per il nostro territorio e per la cittadinanza tutta” - afferma Sabrina Giuseppetti, presidente del Municipio XIII - “per il significato che il murales vuole e deve avere, sia per il particolare periodo storico che stiamo vivendo che per qualsiasi tempo a venire, come monito e come opportunità di riflessione. Un caldo pensiero va alla famiglia di Michelle e un ringraziamento sentito al Comitato Torrevecchia che tanto si è speso per giungere a questa realizzazione e a chi ha volontariamente contribuito a finanziare quest’opera. Ringraziamo in particolar modo Fabio Morgan e “La Città Ideale” per la sua preziosa collaborazione nello sviluppo progettuale e nel dialogo istituzionale. Come Amministrazione vogliamo mantenere vivo il ricordo di Michelle e abbiamo avviato le procedure per dedicarle un parco del municipio che possa diventare - unitamente a questo murales - simbolo del contrasto ai femminicidi, alle discriminazioni di genere, agli stereotipi, a tutto ciò che alimenta la violenza sulle donne e la violazione dei loro diritti".

Il comitato Torrevecchia Primavalle si esprime così sulla storia di Michelle: “La nostra Michelle ha una storia fatta di risate, giornate a scuola e nei cortili della nostra periferia, di volontariato e di ricerca di un’adolescenza serena. Il suo futuro è stato spezzato ma questo murales è per non dimenticare. Il Comitato Torrevecchia Primavalle, gli amici, i parenti e i quartieri uniti chiedono Giustizia.”

“Quando una comunità viene scossa da un evento così sconcertante come la scomparsa di Michelle” – dichiara Fabio Morgan, direttore de La Città Ideale – “è importante rimanere uniti e mantenere vivo il ricordo di quanto successo far sì che ciò serva da monito per il futuro. Come Città Ideale ringraziamo Valentina Barna e ci stringiamo attorno alla famiglia e ad un quartiere in cui cerchiamo di portare molto delle nostre idee e delle nostre tematich”».

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Ufficio stampa HF4 www.hf4.it
Marta Volterra marta.volterra@hf4.it
Valentina Pettinelli valentina.pettinelli@hf4.it 347.449.91.74
Matteo Glendening matteo.glendening@hf4.it 391.137.06.31


Registrar

Spesso càpita di leggere o ascoltare la parola Registrar.
Ma chi è? Che cosa fa? Dove lavora?
La figura del Registrar si colloca nell’organigramma museale, di gallerie, fondazioni e Istituzioni culturali, con una competenza trasversale, che la mette in stretto contatto con direttori di musei, di grandi manifestazioni fieristiche e biennali, curatori, artisti, maestranze, conservatori museali e organizzazioni internazionali per la conservazione del patrimonio. Professione che percorrerà sempre di più le strade del futuro.
Volendo darne una definizione sintetica: il registrar si occupa della movimentazione delle opere, ma movimentare un’opera d’arte è qualcosa di estremamente complesso.
Tra le sue competenze c'è la conoscenza delle caratteristiche materiali e strutturali delle opere di cui si occupa, una preparazione in ambito legale (dai contratti di prestito alle questioni relative agli adempimenti per la circolazione internazionale), nonché la padronanza dei principi in materia di tutela delle integrità dell’opera, della sua autenticità, tramite il monitoraggio dello stato di conservazione delle stesse e la redazione di condition report e facility report con verifica delle polizze assicurative. La necessità di costruire un Master in Professione Registrar nasce dalla volontà di strutturare tutto questo sapere in un insegnamento vero e proprio, allineandosi così ad analoghe esperienze internazionali.

Un’occasione per frequentare un corso professionale per diventare “Registrar” è quella prospettata dall'Accademia Aldo Galli di Como.

Dal comunicato stampa.

«L’Accademia Aldo Galli di Como.è l’unica proposta in Italia dedicata specificatamente al Registrar, importante figura professionale del mondo dell'arte
Sono aperte le iscrizioni alla terza edizione del Master in Professione Registrar, Coordinato da Alessandra Donati e patrocinato da REGISTRARTE (Associazione Italiana Registrar di Opere D'Arte) e da ACACIA (Associazione Amici Arte Contemporanea Italiana), il Master ha ottenuto il riconoscimento del MIUR e conferisce 60 Crediti Formativi, registrando fino a questo momento un tasso di occupazione del 100%.
Il Master alterna lezioni teoriche a esercitazioni pratiche e si conclude con un tirocinio dall’alto valore formativo presso alcune delle più importanti istituzioni legate al patrimonio storico e contemporaneo. L’obiettivo del Master è formare professionisti altamenti specializzati che rappresentano già una figura chiave a livello internazionale e sono sempre più necessari e richiesti nel panorama nazionale: gli “angeli custodi” dei beni artistici.
È rivolto a laureati e diplomati in ambito artistico e culturale (Storia dell’Arte, Estetica, Conservazione e Gestione dei Beni Culturali), restauratori, archeologi e curatori, ma è adatto anche ai laureati in altre discipline, giuristi e architetti che vogliono acquisire le competenze professionali specifiche per lavorare all’interno di enti espositivi, istituzioni museali, fondazioni e gallerie d’arte. Al termine del Master, gli studenti sono in grado di applicare le proprie competenze e di gestire la movimentazione di collezioni pubbliche e private, di valutare l’opportunità del prestito o delle nuove collocazioni delle opere, la loro corretta conservazione e la valutazione di eventuali rischi legati a queste operazioni».
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Ufficio stampa: Irene Guzman | mail: irenegzm@gmail.com | Tel. +39 349 1250956
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Informazioni:
Accademia di Belle Arti Aldo Galli IED Network
+39 031.30.14.30 |
info@accademiagalli.com



Apogeo e l'Intelligenza Artificiale

La più bella definizione dell’Intelligenza Artificiale l’ho trovata finora scritta da Carola Barbero: “… ci aiuta e ci confonde, ci isola e ci connette, ci delude e ci stupisce, registrando tutto senza capire niente”.
In quest’epoca delle ‘psicotecnologie’ (copyright Dennis De Kerchove), l’IA è diventata protagonista sulla stampa quotidiana e periodica, alla radio, alla tv, sul web, impersonando al tempo stesso ogni Bene ed ogni Male.
Nello scenario contemporaneo la digitalizzazione ha avuto un impatto eccezionale con una serie di progressi tecnologici: l'Internet delle cose, la blockchain, l'automazione robotica dei processi, i veicoli autonomi, l'analisi dei big data, la sterminata memoria d’Internet.
L’IA è tutto questo più altro e proietta l’umanità in un mondo inimmaginabile appena pochi anni fa.
Vari e contrastanti i giudizi sull’IA.
• Sam Altman, fondatore e Ceo di OpenAI al Senato degli Stati Uniti:
“La mia più grande paura è che il campo dell’AI possa davvero far male al mondo. Se questa tecnologia prende la direzione sbagliata. Penso anche alle elezioni presidenziali americane, area di grande interesse”.

• Lo scienziato taiwanese Kai-Fu Lee, tra i massimi esperti al mondo di IA:
“La tecnologia genera sempre preoccupazioni. Anche l’automobile era considerata spaventosa, e così l’elettricità ed i personal computer. Le tecnologie nel breve termine creano problemi. Sul lungo periodo però tutte le innovazioni hanno portato più benefici che danni”.

• Helga Nowotny docente di studi sociali all’Eth di Zurigo:
“L’IA con gli algoritmi predittivi usa big data trascorsi per prevedere il futuro, ma così facendo perpetua il passato e riduce le possibilità di cambiamento. Il rischio è di trovarci a vivere in un mondo deterministico in cui il futuro è già deciso a priori”.

• Hiroshi Ishiguro, docente all’università di Osaka, noto per il suo lavoro su androidi dall’aspetto umano:
“L’AI è fluida e transgender. ChatGPT è solo un grosso data base, un enorme modello statistico. Non pensa nulla, non può creare concetti suoi ma è bravissima a riorganizzare i concetti che ha dentro, su cui ha studiato e imparato. Nel prossimo decennio ci sarà utile quale strumento quando ci serviranno robot non come li conosciamo ora, ma robot avatar teleoperati da remoto al cui interno mettere la nostra presenza, così da poter camminare in posti distanti, lavorare, studiare, superare gli handicap, partecipare a incontri.

La casa editrice Apogeo ha pubblicato un volume che guida chi si avvicina all’AI sia per fare i primi passi in un percorso professionale sia per curiosità: Intelligenza Artificiale spiegata in modo semplice.
L’autore è Rishal Hurbans
Esperto di ingegneria del software e Intelligenza Artificiale. Nella sua carriera è stato alla guida di numerosi team e progetti per diverse aziende. Appassionato di meccanica e strategia aziendale, è autore di successo e speaker apprezzato a livello internazionale

Per meglio apprezzare il libro è utile dare uno sguardo all’Indice: CLIC.

Dalla presentazione editoriale

«L'Intelligenza Artificiale consiste nell'addestrare con specifici algoritmi un sistema informatico ad affrontare problemi in modo sistematico. Conoscere questi algoritmi è dunque fondamentale per addestrare un computer a svolgere attività come individuare frodi bancarie, creare opere d'arte, riconoscere oggetti in un'immagine, interpretare il significato di un testo oppure suggerire prodotti da acquistare e programmi da guardare. Questa guida illustrata aiuta a capire come funzionano senza dover faticare su migliaia di pagine di teoria e insegna ad applicarli a problemi reali.
Attraverso spiegazioni chiare, diagrammi, esempi ed esercizi, si impara a implementare algoritmi di IA differenti, da quelli di ricerca a quelli evolutivi, dall'intelligenza degli sciami al machine learning.
Una lettura stimolante, perfetta per programmatori alle prime armi, studenti, appassionati di informatica che vogliono apprendere i meccanismi e i segreti dell'Intelligenza Artificiale»

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Rishal Hurbans
Intelligenza Artificiale
348 pagine * 35.00 euro
E-book (Epub e Kindle) 24.99
Apogeo


Storia della recitazione teatrale (1)

Tutto il mondo è un teatro e tutti gli uomini e le donne non sono che attori: essi hanno le loro uscite e le loro entrate; e la stessa persona, nella sua vita, rappresenta diverse parti”.
(William Shakespeare, As you like it, 1599-1600 (Atto II, Scena VII).

La casa editrice Marsilio ha pubblicato un volume di grande vastità storica e di critica: Storia della recitazione teatrale Dal mondo antico alla scena digitale

L’autore è Claudio Vicentini.
Professore emerito di Storia del teatro dell'Università di Napoli "L'Orientale", dove ha fondato il corso di laurea in Linguaggi multimediali: arte teatro cinema. Ha insegnato Teorie e tecniche della recitazione nella University of California a San Diego e Los Angeles. Attualmente dirige il programma internazionale di ricerca Acting Archives sulle tecniche di recitazione nel teatro e nel cinema. Autore di numerosi volumi, per Marsilio ha pubblicato: Pirandello. Il disagio del teatro (1972), L'arte di guardare gli attori (2013) e La teoria della recitazione. Dall'antichità al Settecento (2012).

Per dare un’idea della grandezza dell’opera basta dare uno sguardo all’Indice delle oltre 800 pagine del volume: 1) Il mondo antico. Dalle pratiche magiche all’oratoria greca – 2) La recitazione drammatica – 3) L’età romana – 4) Il Medioevo – 5) La nascita della recitazione moderna – 6) La nuova scena europea – 7) La recitazione del Settecento in Italia e in Francia – 8) La recitazione del Settecento in Inghilterra e Germania 9) L’età della crisi. – 10) La recitazione drammatica dell’Ottocento – 11) Il virtuosismo. Dall’opera lirica al balletto, al varietà e ai numeri del circo - 12 I modelli dell’Oriente – 13) Il mondo nuovo della recitazione – 14) I modelli della recitazione drammatica del primo Novecento – 15) Dal secondo Novecento agli inizi del Duemila.

È un libro imperdibile per noi che lavoriamo nello spettacolo, ma anche per chi è interessato alla storia dell’espressività di noi umani che trova nella scena una delle sue più alte cifre.

Dalla presentazione editoriale

«In una prospettiva aperta sulla straordinaria civiltà della recitazione sviluppata nei paesi d’Oriente e d’Occidente il libro traccia una storia della recitazione teatrale in cui le grandi figure della recitazione drammatica, i leggendari attori del teatro greco e romano, dell’età di Shakespeare e di Molière, del teatro romantico e del teatro contemporaneo, si collocano in un contesto più ampio dove emerge l’importanza delle forme di recitazione a torto considerate minori: via via i combattimenti dei gladiatori e gli scontri dei tornei, l’arte dei trovatori, dei buffoni di corte, dei cavallerizzi, schermitori, lottatori, clown, dei cantanti e castrati delle scene dell’opera lirica, delle celebrità del circo e dei baracconi delle fiere, e poi del music hall, del cabaret e delle sperimentazioni delle avanguardie.
Fino alle singolari forme di recitazione che vedono oggi l’attore impegnato a confrontarsi
davanti al pubblico con le risorse del mondo digitale, gli effetti della motion capture, la presenza del cyborg sulla scena teatrale.
Viene così offerta al lettore la più ampia e dettagliata storia della recitazione raccontata secondo i più aggiornati criteri della storiografia teatrale, uno strumento essenziale per gli studiosi e i cultori dell’arte dell’attore».

Segue ora un incontro con Claudio Vicentini.


Storia della recitazione teatrale (2)

A Claudio Vicentini (in foto) ho rivolto alcune domande.

Nello scrivere questa monumentale storia della recitazione teatrale qual è stata la prima cosa che ha deciso di fare assolutamente per prima e quale per prima assolutamente da evitare?

Per prima cosa? Scrivere in modo chiaro, semplice. Da evitare, scrivere in modo difficile. E poi fornire qualcosa di utile per capire quello che gli attori fanno davvero sulla scena, dai tempi antichi fino a oggi: una storia raccontata seguendo i più recenti risultati della ricerca.

Maurizio Grande in un suo intervento di anni fa si chiese: “Ma chi è l’attore: un corpo promosso a figura? Una maschera promossa a persona? Un sostituto promosso a originale?”
Una sua risposta a quelle domande
?

Penso sia un artista che entra in azione per catturare e intrattenere un pubblico di spettatori con il proprio corpo, utilizzando in forme sempre nuove tutte le sue risorse, movimenti, gesti, espressioni del volto, delle mani, delle braccia, suoni, parole.

Le nuove tecnologie – cui lei dedica spazio nell’ultimo capitolo – quali nuovi problemi pongono all’attore?

Le nuove tecnologie hanno messo in questione la realtà del corpo dell'attore di fronte agli occhi del pubblico. In forma ovviamente diversa nel cinema e nel teatro. Nel cinema, tradizionalmente, il corpo dell'attore diventa un'immagine artificiale che ne conserva l'aspetto. Per rendere questa immagine un personaggio efficace e convincente la recitazione si è dovuta adattare alle esigenze delle inquadrature, dei movimenti della macchina da presa e del processo di montaggio. I tempi della recitazione e i rapporti dell'attore con i partener di scena si sono sostanzialmente alterati. Poi, negli anni novanta, è arrivata la motion capture, la procedura capace di registrare i movimenti di una figura nello spazio e di tradurli in dati elaborati dal computer. Il corpo dell'attore è diventato allora un materiale per creare figure completamente diverse dal suo aspetto, ma capaci di conservare in modo estremamente preciso, in ogni sfumatura, i suoi movimenti, gesti ed espressioni. L'attore, con il corpo costellato di sensori, si è trovato a recitare in un ambiente neutro senza alcun punto di riferimento, oggetti reali, interlocutori presenti. Il che ha richiesto un'ulteriore revisione delle tecniche da adottare. In molti casi si è arrivati a risultati eccellenti, a veri e propri capolavori, come la resa del personaggio di Gollum costruito sulla straordinaria recitazione di Andrew Serkins nel ciclo del Signore degli anelli...

… e sulla scena teatrale?

… sulla scena teatrale le nuove tecnologie hanno invece innescato forme di recitazione in cui l'attore davanti al pubblico mette in gioco il proprio corpo, in tutta la sua concreta realtà materiale, con immagini artificiali che nascono, si trasformano, ruotano e si muovono intorno a lui, in maniera sempre più flessibile e dinamica. A volte si proiettano su di lui producendo effetti comici, oppure magici, curiosi, dinamici, suggestivi su cui deve lavorare. L'arrivo della motion capture ha poi profondamente modificato le forme di questo nuovo gioco teatrale: è l'attore stesso che con il proprio corpo, sempre visibile e presente agli occhi degli spettatori, può creare con i suoi movimenti, o anche con le semplici contrazioni dei muscoli o la temperatura e le pulsazioni cardiache, le immagini e gli effetti scenografici con cui interagisce. Compito dell'attore a questo punto non è più interpretare o esprimere alcunché, ma lavorare sulla scena per produrre, montare e gestire un insieme di immagini di cui il suo corpo costituisce una parte.

Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans… insomma, che cosa vuol dire per lei “teatro di ricerca” oggi?

Il trauma si è verificato alla fine dell'Ottocento quando la tradizionale arte dell'attore che si era sviluppata per quatto secoli sulle scene europee si è incrinata e dissolta, mentre nascevano nuove concezioni della realtà e della società, visioni multiformi e contrastanti degli avvenimenti storici, sensibilità e percezioni difformi della condizione umana che avrebbero agitato la vita artistica e culturale del Novecento. La ricerca e la sperimentazione sono così diventate le caratteristiche essenziali dell'attività teatrale e della recitazione contemporanea. Nella prima fase, l'età delle avanguardie, la ricerca è stata sostanzialmente orientata a creare le forme che si sarebbero dovute imporre nel futuro. Oggi, dopo le più avanzate sperimentazioni della seconda parte del secolo, dagli happening in poi, la ricerca è diventate l'anima stessa della vita teatrale, senza alcuna pretesa di prefigurare l'arte del futuro. Non per nulla anche l'impiego sulla scena di tecniche o soluzioni del passato, o anche appena consolidate, oggi avviene sempre nella forma di revisioni, modifiche, esperimenti indispensabili per rendere interessante, significativo, il lavoro dell'artista. Insomma il "teatro di ricerca" non è altro, oggi, che il teatro

Qual è la cosa che le fa venire la scarlattina (o altra patologia) quando la vede a teatro in un attore oggi?

Proprio la scarlattina non saprei. Molto fastidio quando un attore usa trucchi troppo rozzi e scoperti per cercare l'apprezzamento del pubblico. Poi tutte le forme di eccessi, forzature. E poi quando un attore sbaglia i tempi. Ma è solo un errore tecnico, non provoca troppo fastidio, almeno se non continua per tutto lo spettacolo.

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Claudio Vicentini
Storia della recitazione teatrale
816 pagine * 38.00 euro
Marsilio


Elogio della vanità

Diceva Gesualdo Bufalino: “Quanto male è nato dal pregiudizio che il biasimo sia intelligente e l'elogio stupido”.
Se non fossi ateo, direi: parole sante!
E quanti sono gli elogi (sia quelli agiografici sia quelli ironici) in letteratura? L’elenco è forse sterminato, e sterminatore forse per chi legge.
Si pensi all’elogio dantesco di S. Francesco nel canto XI del Paradiso, all’Elogio della Follia di Erasmo, all’Elogio degli Uccelli nelle Operette morali di Leopardi, e i tanti elogi spesso anonimi, alla modestia, all’eroismo, alla maternità, e, perfino, alla povertà, alla miseria, alla morte… ma qui francamente mi pare che si esageri!
Né mancano ai nostri giorni (escludendo quelli fatti per servilismo su qualche foglio) altri nobili scritti: Elogio della lettura di Vargas Llosa, Elogio della letteratura di Zygmunt Bauman, Elogio dell’imperfezione di Rita Levi Montalcini, Elogio della penna stilografica di Giuseppe Neri, Elogio della Disarmonia di Gillo Dorfles, Elogio della zoccola di Mauro Giancaspro … insomma un elenco che a scorrerlo tutto facciamo notte.

La casa editrice Settecolori va a ingrossare, meritoriamente, quell’elenco pubblicando Elogio della vanità Ovvero vediamo un po' come siamo combinati malamente.
Ne è autore Giuseppe Berto (Mogliano Veneto, 27 dicembre 1914 – Roma, 1º novembre 1978).
QUI la sua biografia.

In Rete esiste un sito web a lui dedicato.

A proposito di “Elogio della vanità: le sue pagine sono popolate da “Ombre che cercano la consistenza” – scrive Annarita Celentano – “ombre che anelano a ingannare gli altri fingendosi, autoproclamandosi, concrete, reali. Berto, acutamente, ci smaschera e, insieme, sbugiarda anche sé stesso, in quanto uomo. Ci deride e ci ama. Si deride e si ama. Come solo un padre conosce il proprio figlio, come un dio con la propria creatura, come un demiurgo che vede riflessa nella propria immagine quella della sua creatura e, quindi, smascherandola, sbugiarda anche sé stesso e la propria vanità; la propria assoluta inconsistenza.

Saverio Vita in “Un fulgorato scoscendere. L’opera narrativa di Giuseppe Berto”, scrive: “La pagina di Berto è viva, perché la sua tessitura è complicata da un groviglio emozionale di vergogna e senso di colpa che, se ben letto, restituisce ai lettori la pienezza di un vero, dimenticato protagonista del Novecento”.

Ingiustamente dimenticato. A concorrere in quell’oblio, oltre alle dinamiche di mode letterarie che trovano eco nei media amplificandone la portata, c’è stato anche quanto di politico pativa la figura dello scrittore. Volontario in truppe fasciste, fino ad essere prigioniero “non collaborante” degli americani.
Qui si apre una questione finora irrisolta e che tale per sempre resterà.
Dovremmo forse disconoscere il valore storico letterario di Gorkij (io non lo amo e detesto il realismo socialista) e della sua penna stalinista? Oppure il teatro di Bertolt Brecht perché applaudì i carri armati sovietici a Berlino nel ’53?
Disprezzare Marinetti per la sua adesione al Fascismo fino alla ignominiosa Rsi – suo ultimo testo "Quarto d'ora di poesia della X Mas" – meritandosi allora la definizione che molto prima gli aveva affibbiato D’Annunzio: Un cretino fosforescente? No, il Futurismo è stato un grande movimento rinnovatore adottato anche in Russia da poeti e intellettuali comunisti (da non invidiare, però, la loro sorte poi sotto l’occhio del governo di quel paese). Oppure Pirandello che subito dopo l’omicidio Matteotti va in soccorso di Mussolini richiedendo d’iscriversi al Pnf con un umiliante messaggio rivolto al Duce? Corrado Alvaro da allora scrisse il su nome con la scansione grafica: Pi Randello? No, Pirandello è un capitolo maiuscolo della drammaturgia non solo del Novecento. O ancora giudicare male la magnifica opera di Celine, da me amatissima, un gigante nella storia letteraria del secolo scorso perché stampò infami libelli antisemiti?
Credo possibile la pratica, io, ultimo fra quelli che la esercitano, divido il giudizio tra l’opera e il suo autore. Semmai la prima splendida, la seconda ributtante. Impossibile, forse, è il contrario.
Berto, poi, è un caso particolare. Perché negli ultimi anni non è da escludere che tra le concause del suo disagio psichico vi fosse anche una cifra di delusioni storiche, ideologiche, concomitanti con quelle esistenziali. Nessun partito, infatti, può vantarne la vicinanza, né lui si reca a votare, Scrive Corrado Piancastelli in "Berto" (La nuova Italia, 1970): «A destra lo ritengono di sinistra, i comunisti pensano che sia fascista, e i fascisti lo giudicano un traditore. Egli, per conto suo, è convinto d'essere pressappoco un anarchico».

Giuseppe Berto ha scritto grandi pagine. E se “Il male oscuro” è indubbiamente la sua opera maggiore, altri titoli, compreso “Elogio della vanità”, contengono lampi di una scrittura smagliante che ne fanno un magnifico scrittore. Si ha la sensazione nei suoi lavori minori che sia stato tradito dalla pigrizia, dal non volere raffinare quanto era perfettamente in grado di fare.

QUI un documentario in cui appare sia Berto sia autorevoli critici che parlano di lui.

Dalla presentazione editoriale.

«Elogio della vanità, scritto nella primavera del ’65 per quella che avrebbe dovuto essere la Strenna della Rizzoli. Berto pochi mesi prima aveva pubblicato Il male oscuro romanzo di cui stava – vanitosamente – assaporando le fortune mediatiche. Un pamphlet di un autore eretico, sul peggiore dei peccati umani, prima “censurato”, poi casualmente perduto, rimasto di fatto inedito per quasi cinquant’anni. Attraverso lo specchio deformante della vanità Giuseppe Berto immortala l’inutile agitarsi di una società, la nostra, orfana di qualsiasi criterio di discernimento e del furore della rivolta. Al liquefarsi di tutto, non rimane che combattere giorno per giorno per preservare dal maligno la propria coscienza. Il resto non è vanità, ma semplicemente “vano”».

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Giuseppe Berto
Elogio della vanità
Introduzione di Cesare de Michelis
80 pagine * 12.00 euro
Edizione numerata
Editore Settecolori


E' pericoloso essere felici

Che cos’è la felicità?
“La felicità consiste nell'ignoranza del vero”.
(Giacomo Leopardi)
“Il successo non è la chiave della felicità. La felicità è la chiave del successo”.
(Albert Schweitzer)

E che cos’è l’invidia?
“La felicità è sempre soggetta all'invidia, soltanto la miseria non è invidiata da nessuno”.
(Socrate)
“Oh, l'invidia. Che cosa amara è guardare la felicità attraverso gli occhi di un altro uomo”.
(William Shakespeare)

La felicità e l’invidia sono i due poli fra i quali si svolge un gran bel libro pubblicato dalla casa editrice Quodlibet intitolato È pericoloso essere felici L’invidia degli dèi in Grecia.
Sì, perché anche gli dèi possono provare invidia di noi umani.
Com’è possibile? Lo spiega l’autore di quel volume: Dino Baldi filologo.
Ha pubblicato Morti favolose degli antichi (2010), Oracoli, santuari e altri prodigi (2013), Vite efferate di papi (2015), le traduzioni commentate della Spedizione verso l’interno (Anabasi) di Senofonte (2012), della Germania di Tacito (2019), della Terribile lingua tedesca di Mark Twain (2021), e la nuova edizione con introduzione e note del romanzo L’isola dei ciechi di Giuseppe Fraccaroli (2013). Tra i suoi saggi, Filologi e antifilologi (Le Lettere, 2006) e Enea Piccolomini. La filologia, il metodo, la scuola (Gonnelli, 2012).
Altre notizie QUI.

Volete un esempio d’indignazione verso gli dei? Ecco come Calipso si rivolge ad Ermes: «Voi dèi siete spietati, e gelosi più di ogni altro: invidiate le dee quando sposano un uomo che amano e dormono accanto a un mortale».

Baldi illustra il suo lavoro in questo video.

Dalla presentazione editoriale di “È pericoloso essere felici”.

«In Omero, Zeus assegna i destini agli uomini attingendo da due orci posti accanto a sé, uno colmo di beni e l’altro di mali. Questa mescolanza determina il corso della vita umana, che non deve, non può essere interamente felice: la felicità è un privilegio esclusivo degli dèi, e l’uomo che supera, anche senza volerlo, il limite invisibile assegnato ai mortali viene colpito con tanta maggiore spietatezza quanto più si è spinto in alto nella scalata al cielo.
È questa la cosiddetta «invidia degli dèi», ben nota come formula, spesso fraintesa nel suo significato profondo. Com’è possibile che gli dèi provino invidia per gli uomini? Come può chi ha tutto e ha potere su tutto nutrire un sentimento così tipico della meschinità umana? Dal confronto con divinità poco compassionevoli, e dal sentirsi fuori posto in cielo e in terra, nasce la saggezza greca arcaica, che ha posto temi e problemi con i quali tutto il pensiero religioso, filosofico e politico dei secoli successivi si è dovuto misurare. Attraverso le vicende esemplari di Prometeo, Creso, Policrate, Serse, Agamennone, si ricompongono le molte facce di una visione etica e sociale inquieta, avvincente per chi crede che il modo migliore per conoscere e comprendere uomini tanto lontani nel tempo sia, prima di tutto, quello di ascoltare le loro storie».

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Dino Baldi
È pericoloso essere felici
264 pagine * 18.00 euro
Quodlibet


Quando Darwin incontrò Flash Gordon (1)


Non è stato facile fare incontrare il grande scienziato con il noto personaggio dei fumetti. Anche perché il primo è nato nel febbraio 1809 e il secondo nel gennaio del 1934.
Però ,Marco Ciardi, storico della Scienza, li ha convocati nel territorio di Ludiland dove tutto è possibile ed ecco il resoconto di quell’incontro pubblicato dalla casa editrice Carocci con il titolo Quando Darwin incontrò Flash Gordon Scienza e cultura di massa tra Otto e Novecento.

Ciardi è stato già gradito ospite di questo sito in occasione di altri suoi libri: Il mistero degli antichi astronauti - Breve storia delle pseudoscienzeIl pianoforte di Einstein - Frankenstein.

Dalla presentazione editoriale.

«Nel corso dell’Ottocento, generi letterari come il sovrannaturale, il poliziesco, il fantasy, i mondi perduti e la fantascienza hanno ampliato i modi di circolazione della scienza, affiancati progressivamente da due nuove forme d’arte e di intrattenimento: il cinema e i fumetti. Il libro “Quando Darwin incontrò Flash Gordon” esplora le storie di Mary Shelley, Edgar Allan Poe e Jules Verne, in continuo dialogo con le discipline scientifiche, dall’astronomia alla biologia, descrive i viaggi nel tempo e l’attacco dei marziani narrati da H. G. Wells, e rivela che Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes, fu anche inventore di meravigliose avventure popolate da dinosauri. Non mancheranno Emilio Salgari e Topolino, Tarzan e Isaac Asimov, Superman, l’Uomo Invisibile e King Kong, Einstein e Freud, assieme a tanti altri autori e personaggi reali o immaginari. Per scoprire quando Darwin incontrò Flash Gordon».

Segue ora un incontro con Marco Ciardi.


Quando Darwin incontrò Flash Gordon (2)


A Marco Ciardi (in foto) ho rivolto alcune domande.

La motivazione che ti ha spinto a scrivere questo libro

Le motivazioni sono molteplici. Da sempre sono interessato alle intersezioni tra saperi, tra discipline. Per formazione sono contrario all'inquadramento delle conoscenze in settori scientifico-disciplinari, come si è soliti dire a livello ministeriale e accademico. Quindi, occupandomi professionalmente dell'evoluzione del pensiero scientifico nell'età moderna e contemporanea, per me parlare dei rapporti tra scienza, letteratura, cinema e fumetti è abbastanza naturale. Il periodo preso in esame nel libro vede nascere quella che oggi chiamiamo divulgazione scientifica, ma è importante ricordare che la scienza non si diffuse soltanto su riviste come “Nature” (nata nel 1869), che peraltro aveva caratteristiche ben diverse da quelle che conosciamo oggi (e a questo ho dedicato un paragrafo del mio libro), ma attraverso canali come, appunto, il cinema e i fumetti. Da molti anni sto insistendo non solo sul ruolo culturale dei comics, ma sul fatto che i fumetti debbano essere considerati una fonte storica dotata della stessa dignità di tutte le altre. Non dobbiamo dimenticare, inoltre, la nascita della fantascienza che, soprattutto grazie alle riviste “pulp” americane, fu un veicolo di diffusione della scienza a livello di cultura di massa. Molte di queste riviste, tra l'altro, avevano al loro interno rubriche di divulgazione scientifica, che proponevano contributi molto interessanti. Poi, è evidente, parlando di motivazioni, non posso fare a meno di ricordare la mia passione verso il cinema, i fumetti e la scienza, che è nata quando ero piccolo e che progressivamente ho avuto la fortuna di portare anche dentro il mio lavoro. Tanto per fare un esempio, oggi non solo sono membro dei consigli scientifici o direttivi di istituzioni o riviste accademiche nell'ambito della storia della scienza (che è la mia disciplina universitaria), ma anche del consiglio direttivo dell'Anafi (Associazione Nazionale Amici del Fumetto e dell'Illustrazione).

Che cosa nasce dall’immaginario incontro tra Darwin e Flash Gordon?

Nel libro viene preso in esame il rapporto tra letteratura, cinema e fumetti e tutte le discipline scientifiche, dalla matematica alla chimica, dalla psicologia all'astronomia, fino al complesso territorio dei fenomeni spiritici (basti pensare al caso di Arthur Conan Doyle, l'inventore di Sherlock Holmes, ma anche del “mondo perduto” popolato da dinosauri). Tuttavia, come si evince facilmente dal titolo, è evidente che Darwin e la sua opera (spesso male interpretata e distorta) rappresentino un filo conduttore della storia, che mostra come il “darwinismo” si sia diffuso capillarmente proprio attraverso queste forme d'arte, passando – solo per limitarsi a qualche esempio – dalle straordinarie avventure create da Edgar Rice Burroughs (John Carter di Marte, Tarzan, il ciclo di Pellucidar e molto altro) a quel capolavoro cinematografico rappresentato da “King Kong”, uscito nel 1933. Fino al momento in cui, proprio l'anno successivo, nasce Flash Gordon, creato da Alex Raymond, uno dei maestri della storia del fumetto, nelle cui storie la presenza di Darwin non mancherà di farsi sentire. Un incontro che testimonia ancora una volta quanto numerose e proficue siano le relazioni tra discipline e saperi, tra scienza e arte. Nel libro si va comunque oltre Flash Gordon, mostrando come il tema dell'evoluzione sia centrale anche nella nascita di un supereroe come Superman, che vede la luce nel 1938. Senza dimenticare che la storia che ho provato a raccontare ha un punto di inizio, che vorrebbe essere in qualche modo anche un riferimento per la conclusione: “Frankenstein” di Mary Shelley.

Con il cyber punk Darwin e Flash Gordon continuano a parlarsi? Se no, perché? Se sì, tu che hai origliato i loro discorsi che cosa si dicono?

Certamente continuano a parlarsi. Prima di tutto perché le conseguenze scientifiche, etiche e sociali del darwinismo e dell'evoluzionismo sono state decisive per la comprensione del nostro posto nella natura, abbattendo barriere che sembravano impossibili da abbattere, come quelle fra regno animale e mondo umano. Conseguentemente è diventato molto più semplice riflettere sul fatto che non esiste una differenza così netta tra naturale e artificiale, che è una delle tematiche caratterizzanti il cyberpunk. Flash Gordon, dal canto suo, è un personaggio che ha continuato a vivere a lungo, per decenni (anzi, si è parlato proprio di recente di un suo ritorno a fumetti), travalicando l'ambito dei comics per essere protagonista in tutti i media (chi si ricorda il film del 1980 con la colonna sonora dei Queen?). Perciò, attraverso l'analisi complessiva della vita di un personaggio come Flash Gordon è possibile analizzare anche come si è evoluta la scienza nel corso dei decenni e come è stata rappresentata all'interno di un fumetto. Ma, naturalmente, Darwin e Flash Gordon rappresentano anche due simboli, simboli di un dialogo che è sempre esistito fra scienza, letteratura e arte. Origliando i loro discorsi, la cosa più importante che ho percepito è che dobbiamo fare di tutto per non far morire questo dialogo, sempre costantemente minacciato, che molti vorrebbero impedire.

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Marco Ciardi
Quando Darwin incontrò Flash Gordon
212 pagine * 17.00 euro
Carocci Editore


2 libri 2

Segnalo due libri che aiutano molto bene a far capire i giorni che viviamo.
“La sciagura” (la… ops!... il presidente Giorgia Meloni, e, visto il titolo, chi sennò?).
Autore Andrea Scansi, Edizioni PaperFIRST, 16 euro.

“Iconografia della Destra” (dai neofascisti del Msi ai postfascisti Fratellastri d’Italia).
Autore: Luciano Cheles, volume ricchissimo d’immagini, Edizioni Viella, 29 euro.

Ottime strenne per antagonisti.


Kabloona, l'uomo bianco

Quanta letteratura è stata ispirata dal viaggiare: da Marco Polo a Jack Kerouac, da Jules Verne a Bruce Chatwin, da W. G. Sebald a Tiziano Terzani e a tanti tanti altri autori. Ognuno con le sue considerazioni sull’andare, sulla meta, sul ritorno.
Ecco due modi opposti di considerare il viaggio.
“Viaggiare è una brutalità. Obbliga a perdere di vista il comfort familiare della casa e degli amici. Ci si sente costantemente fuori equilibrio”.
(Cesare Pavese)
“La meta di un viaggio mai è un luogo, ma la gioia di un nuovo modo di vedere le cose”
(Henry Miller)
Nel bellissimo “I viaggi, la morte”, Gadda spiega la sua “dialisi degli umani in sedenti e migranti”, per affermare – dal punto di vista di coloro “che tornano dai paesi lontani” – “la desolata vanità del mondo spaziale a meno di non mettersi nella prospettiva del secreto interiore dell’essere”.
E in quell “secreto” è invitato a entrare il lettore nelle pagine di un luminoso libro pubblicato dalla casa editrice Adelphi: Kabloona L’uomo bianco.
L’autore è Gontran de Poncins (1900 – 1962), più precisamente Jean-Pierre Gontran de Montaigne, visconte di Poncins, discendente di Montaigne.
Gontran lascia i morbidi agi e gli accettabili disagi di Parigi e va nelle terre gelide al nord del Canada, dove la temperatura è normalmente di 40 gradi sotto zero, dove abitano gli Inuit da noi più noti quali eschimesi.
Vuole andare proprio lì “… a vivere con gli eschimesi. Non quelli della Groenlandia che, arguivo, erano addomesticati sotto la tutela governativa; non quelli dell’Alaska, che intagliavano souvenir per i turisti; ma gli eschimesi canadesi, quelli dell’Artico Centrale che, vivendo in regioni così remote e difficili da raggiungere, conducevano ancora la vita primitiva di mille anni prima”.
Perché recarsi in quella terra dalla natura inospitale fra gente lontanissima dal nostro pensare, sentire e agire? Scrive: “Una buona parte di questo libro diventa la storia dell’incontro tra due mentalità e della graduale sostituzione, in me, della mentalità europea con quella eschimese. Certo, questa sostituzione non è mai stata totale, né per periodi prolungati. L’europeo in me continuava a protestare, a ribellarsi; e specie quando lo sforzo fisico sembrava insopportabile, s’impuntava e rifiutava d’accettare la necessità di adottare il punto di vista eschimese – e ne subiva le conseguenze. Ma nei limiti del possibile per me, credo di esserci riuscito”.

Non è, quindi, Kabloona un documentario (ma lo è pure riferendo usi e costumi là conosciuti), no, non è questo il fine di de Poncins. La sua finalità: esplorare la possibilità di un trapianto d’anima, sfida antropologica estrema di una trasformazione della sua personalità psichica. Si può qui aprire un discorso complesso, il libro lo merita, tra l’indagare le motivazioni profonde che spingono l’autore a tanto ardire. Ogni ipotesi è legittima. La più semplice la suggerisce (a credergli) l’autore. Che cosa ha appreso lassù sulla cima del pianeta?
“Gli Inuit mi hanno insegnato soprattutto ad accantonare le cose: la fretta, l’inquietudine, la ribellione, l’egoismo. Mi ci è voluto un anno per imparare queste lezioni e all’improvviso mi rendo conto che il mio anno al Nord non è stato, come pensavo, un anno di conquista degli elementi, ma di conquista di me stesso. E, vista la singolarità della conquista, l’Artico non è più una fonte di sofferenza ma di gioia. È il crogiolo dove, con lentezza e pazienza, in certa misura, si sono sciolte le scorie della mia natura. Qui nell’Artico ho trovato la pace, la pace che non ero mai riuscito a trovare fuori. Fatta eccezione per i monaci, o per chi affronta circostanze straordinarie come la guerra o il pericolo, non c’era altro modo per trovare la pace”.
Ha trovato la pace? Anche qui dubitarne è legittimo perché la scrittura di De Poncis è come vedere il retro di un arazzo: fili, nodi, intrecci di nastri, che lasciano a chi guarda (qui a chi legge) intuire quali figurazioni stanno al lato opposto. Tracce che rivelano nascondendo e nascondono rivelando. Già, figure. Il libro è scandito da disegni dell’autore.
Disegni che mi hanno fatto pensare a Giorgio Manganelli che in "Migrazioni oniriche" scrive che “ai quadri, riflesso della ‘mentita consistenza’ del mondo”, preferisce i disegni, “appartenenti ‘al luogo discontinuo dei fantasmi”.

Risvolto

«Nel 1938 un visconte francese avventuroso e un po’ avventuriero, sempre alla ricerca di un senso da dare alla vita, decide di partire per l’estremo Nord, al di là del Canada, dove vivono le popolazioni più “primitive”. Nel racconto di questa esperienza – una lenta e progressiva acclimatazione, in ogni senso, al nuovo mondo – tutto incanta fin dal primo istante: le durissime prove di resistenza, l’asprezza degli elementi, descritti con una vivacità e un’immediatezza fuori del comune, ma sopra ogni altra cosa l’incontro con gli Inuit, i più arcaici abitanti dell’Artico. Dapprima irrigidito nella sua supremazia di Kabloona, “uomo bianco” – si spingerà a dire che gli Inuit “non pensano”, il che secondo i nostri angusti canoni potrebbe sembrare vero –, Gontran de Poncins finirà per imparare molto da queste genti, che non si pongono affatto il problema di dare un senso alla vita, come scopriremo in pagine profonde, spiazzanti, educative nel senso più alto della parola. E nell’ora sofferta del ritorno, si renderà conto, inaspettatamente, di essere diventato uno di loro. Il suo cuore rimarrà lì, come quello di noi lettori, illuminati da un’avventura che, superando ogni distanza, riesce a farci entrare nell’anima di un popolo e di un tempo che non potranno essere più».

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Gontran de Poncins
Kabloona
Disegni e fotografie dell’Autore
Con la collaborazione di Lewis Galantière
Traduzione di Marco Rossari
332 pagine * 24.00 euro
Adelphi


Natale si avvicina

Per molti è motivo di felicità, per me di angoscia.
Quei giorni di obbligatoria festosità invitano a nutrirsi più di psicofarmaci che di torroni.
Tra l’altro, sono feste lunghe, almeno a Pasqua sono pochi giorni, Gesù non fa in tempo a morire che già resuscita e vola in cielo. Dopo si sopporta un po’ di scampanìo, ce la sbrighiamo rapidi e torna la sospirata pace!
A Natale c’è pure l’abitudine di scambiare doni. Altra calamità.
I soli regali che si fanno più volentieri sono quelli destinati ai ragazzi perché vederli allegri nel riceverli rende felice anche il più duro dei cuori.

“C'è sempre qualche vecchia signora che affronta i bambini facendo delle smorfie da far paura e dicendo delle stupidaggini con un linguaggio informale pieno di ciccì e di coccò e di piciupaciù. Di solito i bambini guardano con molta severità queste persone che sono invecchiate invano; i ragazzi non capiscono cosa vogliono e tornano ai loro giochi, giochi semplici e molto seri”.
Così Bruno Munari (1907 - 1998), grafico e designer italiano ha scritto in “Fantasia”.
Quella vecchia signora rassomiglia tanto a molta letteratura per ragazzi che - pur migliorata rispetto a quella di anni fa – spesso fallisce i suoi obiettivi di comunicazione.
I più ricorrenti difetti: sbagliare il target di età facendo libri troppo complessi per i più piccoli e troppo semplici per i più grandi; non aver compreso i segnali della nostra epoca che con l’animazione cinematografica, la tv, i videogiochi, ha reso la percezione dei ragazzi diversa da quella di un tempo; errore: usare un linguaggio che non riesce a coinvolgere i lettori cui è destinata.
Livio Sossi, saggista, docente di Letteratura per l’infanzia all’Università di Udine, autore del saggio “Scrivere per i ragazzi” (Campanotto Editore), rispondendo a un’intervista di Mary B. Tolusso che gli chiede “Come scrivere per i ragazzi oggi? Quale linguaggio usare?” Così risponde: “I ragazzi si riconoscono in quello che leggono. Il problema dell’accostamento dei giovani alla lettura è determinato principalmente dalla necessità di riscoprire se stessi nella scrittura. Ecco perché in questo tipo di letteratura si presentino pure delle espressioni colorite, al limite anche le parolacce, o un linguaggio che deriva dai media, dalle formule degli sms. È necessario liberare la scrittura per l’infanzia dall’enfasi inutile, dall’eccessiva aggettivazione. E dai diminutivi. Perché pare quasi che tutto il mondo del bimbo sia minuscolo, ridotto o riduttivo. Questo il bambino non lo accetta”.

Credo che tutto ciò sia stato ben capito dalla casa editrice Lindau che si misura, e lo fa molto bene, con le pubblicazioni più difficili: quelle rivolte ai più piccoli.
Fra poco scatta l’implacabile domanda (almeno fra i paesi che non hanno guerre in casa) di che cosa mettere sotto l’albero natalizio.
Ho scelto alcune recenti proposte di Lindau. Adatte ai più piccoli e a varie tasche.
Dateci un'occhiata.


Il presepe di San Francesco


… ma si dice presepe o presepio?
L'Accademia della Crusca scioglie il dubbio: “Si possono usare entrambe le forme, come del resto ha fatto uno dei padri della letteratura italiana, Alessandro Manzoni, in diversi suoi scritti”.
Altro dubbio. presepe oppure albero di Natale? La tradizione dell’albero natalizio è molto più antica di quella del presepe. L’abitudine di decorare alcuni alberi era diffusa già tra i Celti durante le celebrazioni per il solstizio d’inverno (ma questo Salvini non lo sa; voleva imporre “la più antica tradizione del presepe per le feste” mentre proprio i suoi cari Celti…).
Quel dubbio, in realtà non ha ragione d’esistere. Possono convivere benissimo. La multiculturalità è una forza dei popoli. Alcuni hanno tentato di accreditare la tesi secondo la quale il presepe fosse patrimonio dei credenti e l’albero, invece, dei laici. In Italia si tende sempre a dividere, a fare schieramenti contrapposti. Siamo capaci di ridurre della dottrina dei contrari in filosofia a una partita scapoli – ammogliati.
Chi scrive queste righe è ateo, ma tra le cose care ho il presepe. E non sono il solo ateo ad avere cara quella scena con paesaggio di sughero, figurine di terracotta, muschio con il suo inconfondibile odore che mi riporta all’infanzia, era quello per me l’odore di Natale, il profumo della festa. Oggi, con gli anni che ho, il presepe mi fa attraversare il tempo forse anche perché il presepe ne contiene alquanti.
Scrive Marco Belpoliti, vecchio amico di questo sito: “Il presepio contiene più temporalità: il tempo narrativo, il tempo mitico e il nostro tempo”.
Sì, mi piace il presepe. Non ne sono costretto dalla pietà come accade a Tommasino nel finale di Natale in casa Cupiello, ma dal ricordo di lampi di gioia infantile (e oggi lampi di dolce malinconia). Mi piace il presepe anche con spudorati falsi come quel pulcinella in posa di ballo col triccaballacche davanti alla grotta. Mi piace meno il presepe vivente, con tutto il rispetto per San Francesco che l’ha inventato. Lì il falso vuole sembrare vero. Nel presepe di sughero e terracotta il falso dichiara la sua falsità e ne va fiero, assemblea di fantasmi immobili colti in un fotogramma 3D del passato.

Uno splendido libro sul presepe è stato pubblicato dalla casa editrice il Mulino, ha per titolo: Il presepe di San Francesco Storia del Natale di Greccio. Ne è autrice la grande medievista Chiara Frugoni (1940 – 2022) QUI la sua bio.
Ho avuto l’onore di averla ospite su Nybramedia in occasione di alcune sue pubblicazioni, per esempio: Le paure medievali o Donne medievali e anche A letto nel Medio Evo. Tutti pubblicati da il Mulino.

In questo ultimo – ultimo purtroppo in tutti i sensi – “Il presepe di San Francesco” (splendidamente stampato tanto da renderlo una preziosa strenna natalizia sia per credenti o sia per laici senza distinzione, come ho già scritto prima) si legge nella presentazione editoriale: «Voglio evocare il ricordo di quel Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del cuore i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, e come fu adagiato in una greppia quando fu messo sul fieno tra il bue e l’asino.
Con queste parole – secondo il suo primo biografo – Francesco chiede a un fedele amico di Greccio di predisporre quanto serve per realizzare il presepe. Ma dove sono i personaggi principali, la Madonna e il bambino? Perché mai Francesco sceglie di rappresentare il Natale solo attraverso la greppia colma di fieno, fra due animali non nominati dai vangeli canonici? Saper leggere e mettere a confronto le fonti con rigore e sottigliezza, saper decifrare le immagini con acume finissimo: armata degli strumenti in cui eccelleva, Chiara Frugoni si avvicina – e noi con lei – alla figura del santo di Assisi, illuminando la vera posta in gioco del Natale di Greccio, quel potente messaggio di pace che dal 1223 ancora oggi vibra di una mai sopita spiritualità rivoluzionaria».

In questo video Chiara Frugoni parla del suo libro rivelando qualche sorpresa a proposito del presepe.

Chiudo ancora con Marco Belpoliti e il Presepe:
“La fedeltà a se stessi è quella all’infanzia, alla propria infanzia. Il presepio non è solo l’infanzia della Divinità, che ha dominato la nostra storia occidentale per due millenni. Il presepio è il ritorno al proprio Io bambino. Riguarda quel tempo, che non è passato, ma continua ancora, ogni volta che si fa il presepio. Un tempo mitico, si dovrebbe dire, perché anche questa temporalità fuori dal tempo, per quanto diversamente dal passato, oggi la pratichiamo ancora, in tutto ciò che è sospensione del tempo feriale dominante, nel tempo della festa, nelle mitologie del contemporaneo e ancora, per nostra fortuna nel presepio. Non sarà molto, tuttavia non è neppure poco”.

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Chiara Frugoni
Il presepe di San Francesco
con 100 ill. b/n e colore
270 pagine * 38.00 euro
Il Mulino


Il cavaliere inesistente


Quest’anno Italo Calvino è stato ricordato largamente come merita in occasione dei cento anni dalla sua nascita.
Mi sono occupato di lui su questo sito QUI quando mesi fa è stata pubblicata una nuova edizione della raccolta “Il libro dei risvolti”.

Siamo alla fine del 2023 ed ecco ancora un ricordo della sua opera.
Se, infatti, a Roma abitate, o siete di passaggio nelle date che troverete alla fine di questa nota, non perdetevi lo spettacolo per la regìa di Tommaso Capodanno Il cavaliere inesistente al Teatro India.
È tratto dall'omonimo romanzo di Calvino.
Perdonate una citazione che mi riguarda. Ricordo che nei primi anni ’80 ho diretto a Radio Rai un adattamento di quel testo che ebbe a protagonista il grande Dario Penne, attore straordinario, voce storica del nostro doppiaggio.

È forse interessante osservare come Calvino crei un cavaliere inesistente, lui proprio che alla vista dedica non poca attenzione (e nel Cavaliere inesistente gli occhiali hanno un non piccolo ruolo) così, infatti, nota Silvio Perrella: “«Insomma il cervello comincia nell’occhio». Italo Calvino scrive la frase, dopo aver perlustrato ipotesi fisiologie e filosofie della vista, e aggiunge: «Quest’ultima frase la dico io e speriamo sia giusto». In ogni caso è insieme affascinante e perturbante immaginare che una parte del nostro cervello sia a vista, a contatto con l’aria e gli altri elementi; e che dunque dobbiamo stare attenti, attentissimi, a evitare che questa parte così preziosa di noi non abbia traumi. L’occhio pensa le immagini del mondo mentre altri occhi lo stanno osservando, come avviene ne La spirale, una delle Cosmicomiche più pregnanti, dove assistiamo alla nascita dell’occhio, resasi necessaria perché la bellezza di una conchiglia ha sviluppato con i suoi barbagli cromatici il desiderio di essere vista e goduta e contemplata“.

Al Teatro India Tommaso Capodanno dirige un cast tutto al femminile.
Ecco un estratto dalle sue note di regìa.
«Con Il cavaliere inesistente, Calvino ha creato uno dei personaggi più suggestivi della letteratura novecentesca, capace di segnare la crescita di molte generazioni, tra cui la mia (…) Agilulfo è pura forza di volontà: nei modi e nelle azioni, sarebbe il paladino perfetto, se non fosse che non esiste. Tale conflitto lo rende potentemente umano e vicino a noi. La storia di questo eroe impossibile ribalta ironicamente l’immaginario dei racconti cavallereschi e rende protagoniste figure solitamente marginali (…) Lo spettacolo indaga le tematiche dell’identità e dell’esistenza, mettendo al centro i tre elementi principali del romanzo: una voce narrante di donna, un cavaliere che non c’è e un gioco fanciullesco di guerra e di amore. In scena ci saranno quattro attrici, quattro Bradamante che, attraverso le parole di Calvino, racconteranno le vicende di Agilulfo, Gurdulù, Rambaldo, Torrismondo e gli altri. Oltre ad agire diventando via via i personaggi della storia, le interpreti (Francesca Astrei, Maria Chiara Bisceglia, Evelina Rosselli, Giulia Sucapane) manovreranno una grande armatura bianca, come se fosse una marionetta, dando vita al Cavaliere Agilulfo».

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Ufficio Stampa Teatro di Roma: Roberto Roscani
tel. 06. 684 000 308 --- 345.4465117
e_mail: ufficiostampa@teatrodiroma.net

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Teatro India
Lungotevere Vittorio Gassman 1
Il cavaliere inesistente
da Italo Calvino
adattamento scenico di
Matilde D’Accardi - Tommaso Capodanno
regia: Tommaso Capodanno
info: 06 - 877 52 210
dal 6 al 16 dicembre


Un nome


Che cos’è la Microstoria?
Il dizionario afferma: “Metodo d'indagine storiografica impostata sulla raccolta e la disamina di fatti minimi e di ambienti circoscritti (la vita di un villaggio, di una famiglia, di una persona, di un episodio)”.
Le cose, però, sono anche più complesse come si può notare QUI.
La Storia, la grande Storia (o Macrostoria) contiene un’infinità di microstorie, molte delle quali mai le sapremo, di altre dobbiamo essere grati a quegli osservatori che le hanno portate alla nostra conoscenza.
Che poi, quelle storie tanto micro non sono. Lo sono per volumetria dell’avvenimento rispetto alla grande Storia, ma non per la portata (morale o immorale) che contengono.

Ad esempio, la storia contenuta nel libro che mi accingo qui a presentare è un’imponente quanto tragica microstoria per lo spessore esistenziale, morale, storicamente esemplificativo di un’epoca italiana non lontanissima dai nostri giorni.
Sono – e non sono il solo – grato alla casa editrice Giuntina che ha pubblicato Un nome.
E grato all’autore Paolo Ciampi. Giornalista e scrittore fiorentino.
Sue notizie biografiche QUI
Nelle pagine si apprende di Enrica Calabresi (in foto), nata a Ferrara nel 1891. Fu docente di Scienze all’Università di Pisa e di Firenze, insegnante nelle scuole medie e poi nella scuola ebraica durante gli anni della guerra.
CLIC per leggere la sua biografia.

Sul link precedente c’è un errore. Calabresi non morì ad Auschwitz, ma prima di arrivarci.
Fra le sue allieve un nome illustre Margherita Hack.
Su questo sito ebbi il piacere di fare anni fa una conversazione con lei
La grande astronoma così scrive nella prefazione a “Un nome”: Questo libro ruota attorno alla figura di una donna dall’aspetto fragile, una donna estremamente timida, che chi, come me, ha conosciuto solo come la professoressa di scienze, riteneva chiusa, poco o punto comunicativa: una figura di cui ci si sarebbe dimenticati facilmente, se non fosse per il fatto di essere stata colpita da quella ingiustizia disumana che furono le leggi fasciste sulla «difesa della razza ariana. Infatti, Enrica Calabresi si era macchiata della grave colpa di essere nata ebrea (…) Questo libro si pone a pieno titolo accanto a quegli indimenticabili documenti della barbarie nazifascista che sono il Diario di Anna Frank e Se questo è un uomo di Primo Levi. Senza dimenticare che il grande merito di aver sottratto all’oblio il lavoro scientifico di Enrica va a due ricercatrici della Specola, il Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze, Marta Poggesi e Alessandra Sforzi.
Leggendo queste pagine ho sempre in mente l’ultima immagine che mi è rimasta indelebile di Enrica Calabresi: una figurina esile, vestita dimessamente, che camminava rapida, quasi strisciando contro i muri di una di quelle stradette dietro Piazza della Signoria, parallele a Via del Corso, diretta probabilmente a quella che ora ho saputo essere la sua casa, in Via del Proconsolo (…) Questo libro ci fa rivivere quegli orrori, che non dovremo mai dimenticare, perché non si ripetano. Mai più
».

Dalla presentazione editoriale.

«All’inizio è solo un nome. Un nome e molte domande: cosa ha bloccato la carriera di Enrica Calabresi, giovane e brillante scienziata in anni in cui per una donna era difficile perfino accedere agli studi superiori? E cosa è successo di lei dopo che ha abbandonato l’università? È davvero la stessa persona che anni più tardi, nei mesi più terribili dell’occupazione nazista, si uccide nel carcere di Firenze per sfuggire alla deportazione? È da queste domande che prende avvio un libro che è insieme commossa biografia, appassionata inchiesta giornalistica, riflessione a più voci sulla barbarie delle leggi razziali ma anche sulle scelte che ognuno di noi è chiamato a fare – anche solo per non dimenticare. Enrica Calabresi, la professoressa ebrea, lo ha fatto fino in fondo, con i suoi sogni, il suo rigore, la sua silenziosa resistenza all’orrore. Una storia riemersa dall’oblio, ma non dal nulla: perché ancora oggi, da Milano a Gerusalemme, ci sono persone che si portano nel cuore Enrica; persone che hanno amato la scienza e di scienza hanno vissuto proprio grazie alla loro professoressa. Una storia vera e vibrante, costellata di sorprese, che ci aiuta a intravedere la primavera oltre ogni inverno».

…………………………………..

Paolo Ciampi
Un nome
Prefazione di Margherita Hack
230 pagine * 15.00 euro
Giuntina


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