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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Trent'anni di silenzio


Sono trascorsi trent’anni dalla morte di Antonio Pizzuto – nacque a Palermo nel 1893 e morì a Roma nel 1976 – uno fra i più grandi autori italiani del secolo scorso.
Antonio Pizzuto, tratto da www.polistampa.itPenso sia un caso letterario fra i più pesanti sulla coscienza di critici e editori.
Certo, di casi letterari in Italia ce ne sono anche degli altri, i primi nomi che mi vengono sulla tastiera, sono quelli di Silvio D’Arzo, Antonio Delfini, Paola Masino, Enrico Morovich, ma il silenzio intorno a Pizzuto credo sia più scandaloso perché la sua scrittura sta prima e oltre ogni sperimentalismo, perché trasforma radicalmente l’italiano da lingua parlata a lingua suonata, perché travolge le strutture narrative tradizionali polverizzando ogni cadenza letteraria a lui precedente.
Eppure di lui in pochi sanno, e noi della setta pizzutiana mai saremo grati abbastanza a Gianfranco Contini che ebbe il merito di scoprire per primo questo scrittore, e, tra gli stranieri, a Michel Butor che ne fu grande sostenitore.
Se volete documentarvi rapidamente su Pizzuto, segnalo una voce di Vikipedia e una biografia ragionata dovuta a Antonio Pane.
Perché Pizzuto non è noto? I motivi sono molteplici.
Pubblicò negli anni ’50 (prima troviamo solo la novella “Rosalia” nel 1912 e poi “Sul ponte di Avignone” nel ’38, addirittura firmato con uno pseudonimo: Heis), anni in cui la sinistra – e proprio da sinistra è bene ricordarlo – favoriva il realismo nazionalpopolare e avversava lo sperimentalismo; non solo in letteratura, pure nelle arti visive, nella musica, nel teatro.
Né certamente giovò a Pizzuto il fatto che avesse lavorato in polizia durante gli anni del fascismo, pur non risultando a suo carico colpe politiche.
E ancora: si diffuse intorno a lui la fama di praticare una scrittura incomprensibile, cosa questa che faceva fuggire molti editori.
Certo facile Pizzuto non è, eppure poiché la sua è una pagina musicale, se il lettore entra in quel ritmo, di colpo gli s’apre dinanzi uno scenario ch’è per niente impenetrabile.
A me pare, invece, piuttosto ostile una pagina tamarriana (la doppia ‘erre’ l’ho messa apposta) perché la Susanna con la sua panna mi fa ronfare già a pagina 3 stordendomi d’incenso. E, poverina, non è la sola a tormentarmi con libri che gli editori mi propongono in lettura per le recensioni che scrivo. Ce ne sono parecchi altri.

Devo ad un grande studioso italiano di Pizzuto, Gualberto Alvino, la segnalazione di un ottimo blog letterario, condotto da Luca Tassinari, che apre la sezione dedicata a Pizzuto con la voce di Carmelo Bene (ardente ammiratore dello scrittore) che legge pagine tratte da “Signorina Rosina”: QUI.
Oltre a questo documento sonoro, si trovano molte altre cose: lettere, polemiche, curiosità, interventi critici.
Da non perdere.



I transumani e i subumani


E’ in atto da tempo, facendosi via via più serrato, il tentativo di certa destra cosiddetta “antagonista” d’agganciarsi a temi d’attualità provando così a sopravvivere.
Il blog di Estropico – il nuovo numero mensile è in Rete da ieri – presenta alcuni di questi tentativi.
Come chi legge questo notiziario sa, sono interessato alla corrente filosofica del Rick_Griffin_Psiche_FuturaTransumanesimo e ospitai tempo fa qui Riccardo Campa che è il maggiore studioso italiano di quelle teorie e direttore della Wta, l'associazione mondiale dei transumanisti.
Teorie che sono state attaccate in modo furibondo dal consigliere di Bush Fukuyama, e in Italia da “Panorama”, “Il Foglio”, “L’Avvenire”, da Marcello Veneziani, da Giuliano Ferrara.
Ma c’è chi ci prova , chiamandosi fuori dalla destra cosiddetta “borghese”, a intrufolarsi tra i transumanisti nella furba mossa di riverniciare vecchie facciate.
E’ il caso, ad esempio, di Guillaume Faye della Nouvelle Droite che in un suo libro “Archeofuturismo”, come dicono a Roma ‘ce stà a provà’.
Estropico, trasversale sì ma che con quelle posizioni nulla ha a che fare, e proprio per questo non teme infezioni, nel segnalare alla lettura il libro scrive tra l’altro: In appendice a Archeofuturismo troviamo una novelletta fanta-geo-politica ("Una giornata di Dimitri Leonidovic Oblomov - Cronaca dei tempi archeofuturisti"). Gli scenari fanta-geo-politici in essa contenuti, per quanto poco convincenti, non lasciano il minimo dubbio su quali siano le paure e le speranze dell'archeofuturismo. Particolarmente inquietante è lo scenario in cui la popolazione musulmana europea viene trasferita di forza nel Madagascar… E' difficile credere che l'autore possa non aver mai sentito parlare del Progetto Madagascar del gerarca nazista Adolf Eichmann e altrettanto incredibile è che abbia voluto elaborare uno scenario simile ed inserirlo nel proprio testo.

Insomma: transumani sì, subumani no.


Isabella nella Blogosfera


Il 14 giugno si è celebrato un anniversario: il Weblog Day.
Locandina-filmPare, infatti, che, secondo certi storici della Rete, fu quello il giorno in cui può ritenersi nata quel tipo di comunicazione che incrocia pubblico e privato. Perché, sempre secondo quegli studiosi, il 14 giugno 1993 al National Center for Supercomputer Applications Mosaic, qualcuno – sarà stato un buontempone? – mise in Rete notizie di utilità aziendale con l’aggiunta di notazioni che riguardavano la sua vita privata.
Più certo, in verità, è l’anno in cui fu coniata l’espressione ‘weblog’: nel 1997, da John Barger.
Da allora ad oggi il numero dei blog in Rete è cresciuto enormemente producendo anche un vero e proprio nuovo genere letterario, da noi studiato, ad esempio, benissimo da Loredana Lipperini che per prima ha avuto l’idea di pubblicare un’antologia di racconti di bloggers: “La notte dei blogger”, edito da Einaudi.
Sia come sia, sto qui a segnalare un nuovo blog, nato pochi giorni fa, ad opera di Isabella Rinaldi.
Isabella, romana che vive a Milano, è una scrittrice della quale tempo fa vi ho parlato del suo libro Hey, men! che ha avuto un meritato successo di vendite.
Il blog che ha messo in Rete, intelligente, brioso, non privo di angoli piccanti, lo trovate QUI.


Sipario ad Annecy


Valentina Cortese in: SiparioMesi fa segnalai che Ottavio Cirio Zanetti stava ultimando il suo nuovo lavoro cinematografico, prodotto da Orlando 22, dal titolo Sipario.
Si tratta di un mediometraggio dal cast stellare: da Alfredo Arias ad Adriana Asti, da Luca Ronconi a Francesca Benedetti, da Gianni Garko a Valentina Cortese (a destra in un fotogramma del film).
Ebbi allora con lui una breve conversazione che potete leggere QUI.
Non mi sbagliavo a intuire che quella produzione s’annunciava come cosa d’estremo interesse.
Ne ho conferma apprendendo che è stata selezionata dal Festival di Annecy.
Vale a dire una delle ribalte internazionali più prestigiose al mondo che accoglie attraverso scelte severe solo giovani talenti.
La proiezione di Sipario avverrà sabato 30 settembre con replica lunedì 2 ottobre.
Voglio sperare (perché sono un inguaribile ottimista) che le antenne televisive pubbliche e private in Italia diano spazio a prodotti come questo che – misteriosamente ma non tanto – sono notati prima all’estero e poi da noi.
Signori dirigenti della tv italiana, so che siete tanto impegnati a difendervi in tribunale da chi v’accusa di malefatte o in tormentose letture del saggista Cencelli, ma un po’ di tempo trovatelo per occuparvi pure di spettacolo.
Presto, sta andando sù il sipario.


Il sogno di una cosa


C’è un’audiodrammaturgia che è quasi scomparsa dai palinsesti radiofonici italiani, e dalla Rai del tutto: il documentario.
Alcune radio straniere lo programmano, in Italia lo si ritrova soprattutto in certe rassegne promosse da regioni o comuni che attraverso il documento sonoro puntano a rintracciare memorie del territorio.
Ecco un’iniziativa, dai costi non proibitivi, che può essere vantaggiosamente praticata da enti locali così avviando la formazione di un’audioteca che punti al recupero del genius loci.
Operai a Belgrado, 1947A Roma, c’è un Centro di produzione, diretto da Andrea Giuseppini, specializzato espressivamente e tecnicamente in quel tipo di composizione acustica: Radioparole, in Rete con un suo sito web.
Tempo fa me ne sono già occupato; per conoscere il profilo di quell’operazione e la biografia del suo ideatore, cliccate QUI. Non sono mancati riconoscimenti alle realizzazioni di Giuseppini, il più recente dei quali è stata l’assegnazione del primo premio al Concorso Redattore Sociale per Memorie di guerra realizzato per la Rtsi, Radio della Svizzera Italiana.
Un altro lavoro assai apprrezzato ha un titolo pasoliniano - Il sogno di una cosa - documentario sulle traversìe dei contadini e degli operai friulani e montefalconesi recatisi con speranze, tragicamente deluse, nella Jugoslavia di Tito.
Al microfono, sfilano le voci di alcuni che ricordano a quasi sessant’anni di distanza le loro dolorose esperienze.
Per saperne di più su questo lavoro ecco il link.



Web Thriller


C’è chi sostiene che la pubblicazione letteraria sul web, consentendo un facile accesso, ha messo in circolo parecchia spazzatura.
E’ vero. La pubblicazione su carta, però, non garantisce automaticamente qualità.
Anche perché esistono editori, a pagamento, che campano grazie ad autori disposti a sborsare somme anche ingenti, autori disposti ad esporsi, spessissimo, a veri raggiri contrattuali, quando una finzione di contratto c’è; la vanità di vedersi pubblicati può giocare brutti tiri e talvolta è castigata duramente, e, aggiungo, giustamente. Così imparano.
In molti che pubblicano in Rete, poi, anche se a parole si dichiarano soddisfatti, s’avverte un senso di frustrazione: è il libro che vogliono. Per quelli lì il traguardo vero resta la cellulosa da imbrattare. Non hanno capito il ruolo che ha la comunicazione elettronica, lo si vede anche dal linguaggio che usano.
I loro pseudoeditori, idem; hanno siti web penosi, degni di ciò che pubblicano.
Non tutto però va così.
Oggi, segnalo un episodio editoriale del tutto diverso.
Non è un caso che vede protagonista uno che prima d’essere editore web è scrittore pubblicato da alcune fra le maggiori editrici italiane; ha un nome che sembra un nickname filosofico: Franco Forte, per il suo sito: QUI.
E’ direttore editoriale di Delosnetwork che distribuisce sulla sua libreria virtuale un buon catalogo. Insomma, uno che ha capito i più fruttiferi rimandi fra edizione (e promozione) elettronica e libro stampato.
Tra i meriti di Delosnetwork, c’è anche quello di proporre in Rete il territorio del criminal-poliziesco e della fantascienza attraverso raccolte di racconti brevi (e la brevità è una caratteristica da troppi trascurata sul web) che un tempo trovavano ospitalità su riviste cartacee oggi pressoché inesistenti.
Una raccolta recente è Colpi di sole, antologia on line a cura di Angelo Marenzana e Mauro Smocovich che vede presenti alcuni dei migliori nomi della giallistica italiana.
Ad esempio, Maurizio Matrone con I come Inferno; Carlo Lucarelli con Tracce e Appunti; Biagio Proietti con Lo sparo; Barbara Garlaschelli con Sonja.
Ci sono altri nomi, tra questi ho notato due miei ospiti dell’Enterprise: Alda Teodorani e Paolo Cingolani che ha scritto un piccolo gioiello con raffinate allusioni alla grande letteratura che s’ispira al Doppio: Pendulum.


Pop-Up


I libri pop-up, sono così chiamati perché sfogliandoli zompano fuori a rilievo figure di personaggi e paesaggi. Libri che alcuni, erroneamente, chiamano “illustrati” e invece è più corretto definirli animati o movibili.
E’ una tecnica che risale al ‘600 e fin d’allora fu destinata ai ragazzi.
Ebbe, più tardi, anche differenti applicazioni, ad esempio, molti scenografi ne facevano uso (specie nel teatro lirico) dall’800 fino a prima dell’avvento delle tecniche elettroniche che hanno permesso veloci ed efficaci tracciati in 3D; e ancora, se ne trovano utilizzazioni ai nostri giorni in certi biglietti augurali.
Il termine pop-up, fu usato per la prima volta negli anni Trenta dall'editore americano Blue Ribbon Press.
Ricordo che, bambino, dopo la guerra mondiale (intendo quella ’40-’45, non ’15-’18… meglio precisare), rinvenni un librino siffatto in casa dei nonni, pubblicato dalla propaganda fascista: v’appariva un Churchill spaventato che ad ogni foglio girato era sempre più in fuga; per fortuna, le cose non erano andate così.
Anche le letterine di Natale, rare oggi (e penso sia un bene), erano fatte in tal modo, e sotto la scena della Natività, che sbalzava dal foglio, maestri e genitori autorizzavano a scrivere false promesse e caramellose bugie, roba degna d’arresti almeno domiciliari.
Ma come si fanno i libri pop-up?
CopertinaDell’Editoriale Scienza – da sempre attenta a forme stimolanti di lettura-laboratorio – segnalo un’ottima pubblicazione sul tema: Costruisco i libri pop-up.
Ne sono autori, Flavio Lucchini e Caterina Tassi.
Sono due ben esperti nell’area didattica, non a caso li troviamo al timone dell’Associazione Attività Educative e Formative che ha sede a Imola.
Per saperne di più su di loro, cliccate QUI.
Il libro – s’avvale d’illustrazioni di Luca Panzavolta – è una guida a costruire, dalla copertina alla rilegatura, un libro pop-up e, quindi, non pone il piccolo lettore dinanzi ad un prodotto solo da vedere, ma lo spinge a costruirne uno per conto suo, sia usando le immagini contenute nelle pagine, sia usandone altre.
A Flavio Lucchini e Caterina Tassi ho chiesto per quale via questo loro volume si rapporta all’attività didattica che svolgono per scuole e istituzioni.
Così mi hanno risposto. Con una sola voce. Prodigi della tecnologia di Cosmotaxi.
Il libro evidenzia proprio il valore pedagogico dell’attività che da numerosi anni proponiamo con il laboratorio “Impaginiamo la fantasia”. Questo valore appare con chiarezza durante ogni incontro dove possiamo constatare il grande entusiasmo con cui viene accolta, da bambine e bambini, la proposta di realizzare un libro insieme a noi: inventare una storia, narrarla ed illustrarla con un libro animato. Infatti la parola “Pop Up” significa in inglese “sollevare”, “alzare” e quindi permettere a delle figure, opportunamente predisposte all’interno della pagina, di muoversi e animarsi in suggestive e fantastiche realizzazioni. Per noi l’importante è avventurarci nel mondo dei libri, vedere come sono fatti, riprodurli, inventarli, costruirli con semplici tecniche di animazione, con materiali differenti, proponendo il libro come uno strumento ludico di apprendimento e come tale viverlo in prima persona.
Quest’agile volume, aggiungo io, è quanto mai provvido a produrre fantasia, esercitare manualità, sviluppare stimoli cognitivi.
Rassegnatevi, ovviamente, ad avere per caso forbici, carta e colla, ma ricordate che i vostri pargoli se non impegnati in quell’attività, potrebbero essere innocenti vittime di trasmissioni pomeridiane di Maria De Filippi o suoi colleghi. Rischio grave, va evitato.

Flavio Lucchini – Caterina Tassi
“Costruisco i libri pop-up”
Pagine 125, Euro 11:90
Editoriale Scienza


Cristiani in armi


La casa editrice Laterza ha pubblicato, nel solco della sua tradizione d'alta qualità, un libro straordinario: Cristiani in armi, una storia sulle idee che nel pensiero cristiano hanno giustificato (spesso, sottolineo io) la guerra o favorito (raramente) la pace dai primi secoli ad oggi, da Paolo di Tarso a Giovanni XXIII, da Clemente di Alessandria a Woytila.
CopertinaN’è autrice Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, docente di Storia della Filosofia Medievale all’Università di Milano; dispone di un sito in Rete dov’è possibile conoscere estesamente la sua imponente bibliografia.
Libro straordinario dicevo, perché con grande semplicità e squillante chiarezza (rarissime a trovarsi negli scritti dei medievisti; diciamo la verità spesso a pagina 3 dei libri di molti di loro già ronfi) analizza avvenimenti e tappe - sia nel contesto storico in cui avvennero, sia osservandone l’eco che risuona ai nostri giorni – di un processo che fra proposizioni e contraddizioni investe filosofia, ideologie, comportamenti morali e prassi politica.
L’autrice affronta una materia insanguinata, eppure, con grande dignità intellettuale non trascura di riflettere pure su alcuni slanci verso la pace presenti, anche in passato, nel mondo cristiano.
In gergo, si dice che un libro come questo è “di catalogo”, cioè dura nel tempo, il contrario insomma di un “instant book”, eppure questo Cristiani in armi a quel merito aggiunge anche quello d’essere in libreria in un momento in cui nuove vampe dello scontro armato fra religioni avvolgono il mondo, basti pensare perfino a quanto accaduto pochi giorni fa in séguito a qualche infausta citazione (voluta o non che sia) di Benedetto XVI.
Anche questa attualità rende imperdibile la lettura di questo volume. Per meglio capire, attraverso lo svolgersi del pensiero cristiano, come sia possibile che una religione nella quale la parola “pace” spesso ricorre, si sia resa protagonista di stragi perfino teorizzandole.
La Bibbia, come tutti i libri sapienziali – Corano compreso, quindi – afferma tutto e il contrario di tutto. Non credo che un dibattito su quelle pagine permetta di stabilire con certezza una tesi piuttosto di un’altra. E’ nelle pagine della storia che va rintracciato il comportamento e le conseguenze del pensiero religioso a qualunque fonte appartenga.
E le conseguenze, specie quelle dovute alle religioni monoteiste, sono state spaventose ieri e sono terrificanti oggi.
Il libro di Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri s’avvale anche di una poderosa bibliografia che favorisce particolari approfondimenti e di un indice dei nomi che rende il volume facilmente consultabile anche per singole curiosità.
Per una scheda sul libro, cliccate QUI.

Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri
“Cristiani in armi”
Pagine 226, Euro 16:00
Laterza



Le vie dei Festival 2006 (1)


Maschere teatraliE’ in corso di svolgimento a Roma la tredicesima edizione della rassegna teatrale Le vie dei Festival 2006 guidata dalla sapiente direzione di Natalia Di Iorio.
L’iniziativa è ideata e organizzata dall’Associazione Cadmo, con il sostegno dell’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma.
Questo Festival ha una sua singolarità, infatti, è un ‘Festival dei Festival’ perché presenta una selezione di spettacoli che hanno partecipato nei mesi scorsi a rassegne italiane e straniere.
La scelta delle produzioni, com’è nel solco del collaudato lavoro di questa rassegna, dà rilievo e visibilità a proposte espressive che si collocano spesso al di fuori dei circuiti più paludati e che, così come i Festival da cui provengono, agiscono sulla pluralità dei codici, sulla scena multisensoriale.
Natalia Di Iorio, Direttrice del Festival: Anche quest’anno, come tu dicevi prima, presentiamo spettacoli selezionati tra le proposte più interessanti dei festival italiani e stranieri portando a Roma, come negli anni scorsi, artisti innovatori dei linguaggi scenici. Così è stato, nelle dodici trascorse edizioni, per Handspring Puppet Company di William Kentridge, Mathilde Monnier, Eimuntas Nekrosius, Alain Platel, Teatro del Silencio, Riksteatern di Lars Noren, Enrique Vargas, Caden Manson. E per italiani, da Danio Manfredini a Enzo Moscato, da Spiro Scimone e Francesco Sframeli a Sandro Lombardi e Federico Tiezzi, da Claudio Morganti a Marco Paolini che sono stati protagonisti dei passati cartelloni.
Con l’edizione 2006, confermiamo la nostra attenzione verso i processi e gli esiti creativi della nuova scena teatrale con spettacoli che riflettono gusti e curiosità di un pubblico che voglia confrontarsi con tematiche e linguaggi attuali
.

Nella nota che segue, diamo uno sguardo al cartellone.


Le vie dei Festival 2006 (2)


Il Teatro I è di scena (al Teatro Sala Uno il 22, 23, 24 settembre) con Prima della pensione del drammaturgo austriaco Thomas Bernhard.
S’astenga dall’andarci chi crede di trovare spunti di riflessione sull’Inps, questa “commedia dell’anima tedesca” si svolge tra le claustrofobiche pareti domestiche della famiglia Höller, dove l’ex direttore di un lager e le due sorelle si preparano a celebrare, come ogni anno, il compleanno del defunto Himmler. La regia sceglie di far incarnare vizi e degenerazioni dei personaggi a maschere non ancora segnate dal tempo, affidando provocatoriamente i ruoli ad attori trentenni.


La Socìetas Raffaello Sanzio
presenta i giovanissimi allievi della Stoa, scuola sul movimento corporeo e psichico che agisce a Cesena da dieci anni. Precedute da un intervento in forma di lectio magistralis (lunedì 2 ottobre ore 19.00 al Teatro India) di Claudia Castellucci, direttrice della Stoa, due sono le proposte in cartellone.
La prima è Ballo in circostanze costrette (Teatro Sala Uno, il 25, 26 e 27 settembre alle 21.00). Sono presentati diversi tipi di “partite”: una con se stessi, che consiste nel raggiungere tutti i punti di due linee e un’altra ancora che si basa sul completamento del proprio nome su una scacchiera alfabetica; infine una a squadre dove viene presa in considerazione l’origine accidentale delle relazioni e dunque il valore intrinseco dell’incontro. La ricerca consapevole e organizzata di queste relazioni, aumenta la potenza dell’ agire e rappresenta il movimento che ognuno compie singolarmente.
La seconda proposta ha un titolo non proprio allegro: Ballo capace di agonia (Teatro India, 2 e 3 ottobre ore 21.00). Sono in scena 24 giovani danzatori. La musica viene creata all’interno del gruppo in base ai passi decisi in precedenza e in accordo con essi, sino a raggiungere una coesione tra battuta e battito.
Il ballo tende a sviluppare i tre modi essenziali della lotta: con sé, con l’altro, con l’insieme.


La Compagnia I Fratellini
proveniente dalla Biennale di Venezia propone La buona madre (Teatro Sala Uno, 29 e 30 settembre), testo goldoniano con un cast di attrici tra le quali spiccano i nomi di Michela Martini e Stefania Felicioli, dirette da Stefano Pagin. Scritta per il carnevale del 1761, è la storia di un complotto di donne contro un uomo, di cui si vuole impedire la maturazione sentimentale e virile. Una tragedia edipica dal tono di commedia che, con la sovrapposizione di alcuni ruoli (ad esempio, la ricca vedova e la ragazza di cui si innamora il protagonista sono interpretati dalla stessa attrice), colloca la vicenda in una dimensione onirica.

Il bolognese Teatrino Giullare presenta (Teatro Sala Uno l’1 ottobre alle ore 21) Finale di partita celebre testo scritto da Samuel Beckett nel 1957. La messa in scena è molto particolare, il dramma – traduzione di Carlo Fruttero – è visto come una partita a scacchi tra attori-giocatori che muovono le pedine e pedine-personaggi che muovono una delle storie più significative ed enigmatiche della drammaturgia del Novecento.

Il Festival, si conclude il 17 ottobre al Teatro India con L'Orda. Storie, canti e immagini di emigranti. E’ il testo che Gian Antonio Stella ha tratto dal proprio omonimo libro sugli aspetti più dolorosi e meno ricordati dell'emigrazione degli italiani.
Lo spettacolo, è portato in scena dalla Compagnia delle Acque di Gualtiero Bertelli, uno dei più noti cantautori italiani. E’ una combinazione tra il monologo e la musica. Il racconto di tante storie di piccoli e grandi eroismi, nel mare torbido di una xenofobia diffusa, si mescola alla proiezione d'immagini di videoteca in larga parte sconosciute, all'esecuzione dei canti che hanno costituito la colonna sonora della grande emigrazione italiana.

Per informazioni e prenotazioni: Cadmo, 06 – 32 02 102; info@leviedeifestival.it
Ufficio Stampa: Simona Carlucci, 0765 – 42 33 64, 335 59 527 89 – carlucci.si@tiscali.it

Le vie dei festival 2006
Festival teatrale
Teatro Sala 1 e Teatro India
Roma
Fino al 17 ottobre


Il futuro della Scienza


Ad aprile di quest’anno tre scienziati americani hanno scoperto nel territorio artico canadese i resti fossili di un pesce osseo che dimostra, ribadendo la validità della teoria darwiniana, com’è avvenuta la transizione tra i pesci e i mammiferi – tra cui la specie umana – gli anfibi, i rettili e gli uccelli.
Charles Darwin: ritratto del 1901 Ma Darwin – scrive Umberto Veronesisarebbe stato assai più soddisfatto del fatto che adesso la scienza non deve più accontentarsi delle scoperte dei paleontologi: la conferma della spiegazione darwiniana ci viene dalla grande scoperta del Dna che è identica in ogni organismo. Il Dna di un virus è uguale a quello di un elefante.
Anche di questo si parlerà nella Conferenza Mondiale del Futuro della Scienza da domani a Venezia.
Quattro giornate nelle quali interverranno premi Nobel, filosofi, scienziati che illustreranno da più visuali come la teoria darwiniana sia l’unica in grado di spiegare i fatti che riguardano la biologia non lasciando spazio – ancora Veronesi – a interpretazioni metafisiche, e neppure alla centralità dell’uomo nell’universo.
Storia e finalità del convegno, giunto alla seconda edizione, sono illustrate anche in un breve video condotto dalla professoressa Chiara Tonelli.
La prima giornata sarà dedicata all’evoluzione della materia, la seconda all’evoluzione della vita, la terza all’evoluzione della mente, la quarta all’etica della scienza che dev’essere al servizio dell’uomo per difenderne l’esistenza, migliorarne la qualità, proteggerla dalle malattie e per dargli la possibilità con il pensiero etico – conclude Veronesi – di elaborare i grandi valori (libertà, tolleranza, solidarietà, pacifismo) da trasmettere alle future generazioni.
Questo progetto saggio sconfigge ogni cosiddetto “Disegno Intelligente” che si sarebbe prestato ad una gag dei fratelli De Rege, come potete vedere nella nota che segue.

Conferenza Mondiale sul Futuro della Scienza
Alla Fondazione Cini, isola di S. Giorgio Maggiore
Venezia: dal 20 al 23 settembre
Info: 02 – 76 40 69 66; info@thefutureofscience.org


Spaghetti celesti


Ben confina con quanto ho esposto nella precedente nota, quanto sto per dirvi.
Nell’ottima rubrica del sabato su ‘il Manifesto’, intitolata Ex Press, Maria Teresa Carbone il 9 settembre ha scritto una cosa, come al solito, interessante, con la sua, altrettanta solita, verve.
Per chi se la fosse persa, provo qui a riassumerla.
Pentola spaziale
Lo scorso anno il Kansas Board of Education nel curriculum di scienze pose sullo stesso piano l’evoluzionismo di Darwin e la teoria creazionista del cosiddetto Disegno Intelligente, teoria cara alle tonache toste e agli atei devoti.
Un 25enne laureato in Scienze, Bobby Henderson, in risposta confezionò una teoria con la quale illustrava come l’universo sia stato creato da un mostro volante a forma di spaghetti – il Flying Spaghetti Monster. Impavido, scrisse al Kansas Board facendo rilevare che la sua ipotesi aveva le stesse basi logiche del Disegno Intelligente, perciò poteva essere inserito nei programmi scolastici con pari dignità.
In un anno il sito di Henderson ha avuto uno strepitoso successo e con esso la religione pastafariana; quella birba di Bobby ha scritto pure un libro The Gospel of the Flying Spaghetti Monster – che è stato recensito da Simon Singh sull’autorevole Telegraph che così scrive: il vangelo degli spaghetti ha notevoli ambizioni, visto che non si limita a spiegare come sia nato l’universo, ma affronta anche la teoria della gravità (dovuta alle noodly appendages, le appendifettuccine del mostro).
La maggioranza antievoluzionista del Kansas Board of Education, giorni fa, è stata costretta a dimettersi seppellita da un mare di risate.
Grazie Maria Teresa per l’informazione. E per la notizia del lieto fine.


E' lì la festa


A Porta Pia.
Publio Morbiducci: statua al bersagliereIl 20 settembre 1870, i bersaglieri sconfissero l’esercito papalino di Pio IX, al secolo Giovanni Maria Mastai Ferretti. Scrisse il ‘Sillabo’ documento finora mai smentito dal Vaticano che in 80 proposizioni condannava tutta la filosofia moderna, ogni forma di progresso e perfino il cattolicesimo liberale; fu ferocemente antisemita tanto da confinare nuovamente gli ebrei nel ghetto.
E’ stato puntualmente beatificato da Wojtyla il 3 settembre 2000.
A proposito del Sillabo, per intenderne appieno la portata storica, consiglio la lettura de Il Sillabo e dopo commentato da Ernesto Rossi, Kaos Edizioni.
Quest’anno la data riveste particolare importanza anche per le recenti, infauste, dichiarazioni di Benedetto XVI che hanno rinfocolato intolleranze e odi .
Martedì 19 il Sindaco di Roma Walter Veltroni e la Delegata alle Politiche della Multietnicità Franca Eckert Coen presiederanno un convegno (ore 17:00, Sala del Carroccio, Campidoglio) sul significato del 20 settembre.
Mercoledì 20, alle 10:00 a Porta Pia, sarà celebrata la ricorrenza.
Il convegno di domani s’avvarrà di relazioni tenute da Massimo Cattaneo, docente di Storia Moderna all’Università degli studi di Napoli “Federico II”; Maurizio Fumo Consigliere Corte di Cassazione; Paolo Naso, Direttore di “Confronti”.
Ecco che cosa dice della festosa data Maria Mantello Vicepresidente dell’Associazione Nazionale del Libero Pensiero Giordano Bruno:
In quel famoso 20 settembre Roma divenne finalmente capitale d’Italia e finiva il potere del papa re. Si apriva un orizzonte di fattiva emancipazione dalla sudditanza della fede. Oggi, di fronte a rigurgiti che vorrebbero la legge dello Stato laico e democratico asservita a diversi catechismi religiosi, Porta Pia è un simbolo di progresso e di civiltà. E’ un monito contro i fanatismi della fede di casa nostra e d’importazione, perché ci aiuta a ricordare che prima di omologanti appartenenze di gruppo, c’è l’individuo che ha il diritto dovere di autodeterminarsi e di progettarsi nel rispetto responsabile della propria ed altrui libertà.
Finale in versi. Concludo questa nota con quelli d’una canzone dell’epoca:

A Roma ci sta un papa
che di soprannome
si chiama Pio Nono
lo butteremo giù dal trono
lo butteremo giù dal trono
.

E così, infatti, avvenne. Prosit!


Scrivendo scrivendo


C’è un giallo che non c’è, o quasi. Chiarisco il mistero.
Il giallo che manca nascerà fra poco, tra il 22 e il 24 settembre a Castell'Arquato.
L’avvenimento si chiama Missingiallo.
Cin Cin!La scrittura scorrerà sotto gli occhi del pubblico presente nel borgo che vedrà comporsi parola per parola la gialla faccenda su un maxischermo e per chi sta a casa, fosse pure a Tokio o a New York, sulle pagine web aperte per l'occasione da Bol.
Lo scritto di ogni sera sarà pubblicato la mattina seguente sul quotidiano "La Libertà di Piacenza" com’era tradizione un tempo dei romanzi d'appendice.
Il libro finito sarà poi stampato e allegato alla rivista “Noir”.
A condurre il pubblico nei meandri del processo creativo saranno i critici Tecla Dozio e Carlo Oliva che commenteranno ‘in diretta’ l'evolversi della trama, gli stili dei vari autori, i loro tic, i loro trucchi per mantenere la storia nella traccia definita. Già, perché è stato stabilito che la storia, ricca di suspence ça va sans dire, sarà ambientata nel mondo di Miss Italia, il concorso di bellezza che si tiene negli stessi giorni a Salsomaggiore.
Il giallo verrà scritto da alcuni tra gli autori che hanno ideato il progetto: Gianni Biondillo, Fabrizio Canciani, Marco Del Freo, Marcello Fois, Patrick Fogli, Barbara Garlaschelli, Maurizio Matrone, Andrea G. Pinketts, Roberto Valentini.
La singolare performance, voluta dal Comune di Castell’Arquato, è organizzata dalla rivista “Noir”, dall'Associazione Culturale Giallo & Co., dalla Libreria del Giallo di Milano e da Rancho Comancho.
Non finirà tutto la sera del 24 settembre. Perché, a partire da ottobre, Missingiallo avvierà la selezione dei giovani autori intenzionati a partecipare alla prossima edizione.
Per informazioni, si può scrivere alla già citata Associazione Giallo & Co.


Nextech Festival


Radio a galenaDi RadioPapesse – articolazione websonora del senese Palazzo delle Papesse, uno dei migliori poli d’arte contemporanea in Italia – mi sono occupato in una precedente nota dove ci sono notizie sul profilo di quel palinsesto; per leggere cliccate QUI.
Le dichiarazioni che allora rilasciarono i conduttori di quella webradio trovano conferma nelle cronache quotidiane che s’accingono a fare del Festival Nextech dedicato allo scambio multisensoriale fra musica e ambiente visivo.
Il Festival si svolgerà a Firenze dal 21 al 23 settembre presso la Stazione Leopolda.

Per informazioni sulle trasmissioni: info@radiopapesse.org; tel. 0577 – 22 07 26


Food Sound System


Conoscete Don Pasta?... No?... Vergognatevi. Solo un po’, ma vergognatevi.
Katia Cardon: Don PastaDon Pasta, al secolo Daniele De Michele, è un dj-economista, appassionato di gastronomia che unisce le sue passioni e conoscenze nel progetto “Food sound system: manuale politico di gastronomia musicale”.
Nasce come dj in Salento, da dieci anni suona a Roma, dove vive, collezionando presenze in diversi club e centri sociali.
E’ membro fondatore del Clash City Rockers Sound System, collettivo aperto di dj che organizza eventi ed iniziative musicali nei Centri sociali romani.
Ha scritto un libro - edito da Kowalski che ha ricevuto recensioni a destra e a manca… veramente a destra poche, più a manca et pour cause.
Food Sound System è un progetto multimediale dove si combinano la passione per la cucina del Salento, esibizioni musicali e riflessioni culturali, attraverso performances, eventi gastronomici, istallazioni, mostre.
Lo spettacolo già in tournée in Italia, Francia e Spagna, ha partecipato ad importanti eventi all'Auditorium di Roma, a Slow Food on film, alla Città del Gusto del Gambero Rosso, a Taste di Pitti immagine a Firenze, al Mercatino del Gusto di Maglie, alla Notte Bianca di Napoli, e certamente avrò scordato qualche altra piazza.
Per i prossimi appuntamenti, cliccate con fiducia sul suo sito web.
Buon ascolto e buon appetito!



La resistibile ascesa di BB


Che barba!
Che barba! Com’era prevedibile, nel cinquantenario della morte di Bertolt Brecht, la casella di posta di chi conduce webmagazine si è affollata di comunicati che segnalano tante cose. E’ capitato anche a me. Era già accaduto nel 1998 col centenario della nascita del drammaturgo tedesco.
Se dovessi pubblicare tutto quanto mi perviene in comunicati su quanto si va facendo, e si farà, in spettacoli, convegni, mostre, libri, parlate e sconcionamenti vari, un Cosmotaxi non basterebbe e dovrei affittare una seconda licenza.
Ed ecco levarsi un coro di voci ammirate nei riguardi di ‘BB’, come lo chiamavano Julian Beck e Judith Malina, i fondatori del Living Theatre.
La mia voce non s’unirà a quel coro.
Il suo teatro cartellonistico e gridato mai mi è piaciuto, la sua concezione dell’arte come strumento di lotta e d’utilità sociale meno ancora. Sto dalla parte di Giorgio Manganelli che affermava: “Lo scrittore deve scegliere in primo luogo di essere inutile”.
Aldilà però del mio giudizio sul valore di Brecht (tutti i gusti, si sa, sono discutibili, e il mio più di tutti), ciò che non tollero è che passi per un difensore della libertà e un protagonista democratico.
Fu, invece, una bic stalinista.
Ai nostri giorni, in cui il comunismo d’antan funziona meno d’un tempo, si cerca di far passare Brecht come un dissidente, un comunista eretico. Ci ha provato pure Bertinotti, improvvisatosi saggista, commemorando forse più se stesso che Brecht.
Macché! L’ha detta giusta Slavoi Zizek - nel saggio Tredici volte Lenin – sostenendo, in modo impavido, che “Brecht è precisamente l'ultimo artista ‘stalinista’, e la sua grandezza è tale non malgrado il suo stalinismo, ma a causa di ciò”. D’accordo, è una dichiarazione senza vergogna, ma, almeno, è uno che ha il coraggio di dire le cose (stolte) che dice, così come stanno: Brecht fu stalinista.
Ad esempio – episodio illuminante che viene trascurato dai suoi apologeti – applaudì l’intervento dei carri armati sovietici nel giugno 1953 a Berlino est, ed inoltre, va ricordato che beccò un “Premio Stalin” che non risulta sia mai stato conferito ai dissidenti.
La biografia di Brecht scritta da John Fuegi, poi, completa il quadro del personaggio documentando anche come avesse trattato le donne che avevano dato determinanti contributi ai suoi testi. Da Elisabeth Hauptmann, secondo alcuni la vera autrice dell’’Opera da tre soldi’, a Ruth Berlau che gli avrebbe dettato pagine e pagine del ‘Cerchio di gesso del Caucaso’, da Margarete Steffin alla finlandese Hella Wuolijoki che gli avrebbe suggerito le battute più taglienti del ‘Puntila’ fino a Marie-Luise Fleisser.
A queste sfortunate, Brecht avrebbe derubato – secondo Fuegi, già anticipato in quest’accusa da altri biografi quali Werner Hecht, Klaus Vülker e Werner Mittenzwei – anche parte dei diritti d’autore.
Brecht?... pfui!.


Azul oscuro, casi negro


Quest’anno a Venezia, tra i premi ad autori e interpreti di opere presenti al Festival del cinema, c’è stato, per la prima volta, anche uno dell’Uaar, Unione degli Atei e degli Agnostici razionalisti.
Le telecamere, terrorizzate, si sono tenute lontane dall’avvenimento e pure la stampa, ad eccezione de L’Avvenire e de La Padania che hanno stizzosamente attaccato quel premio.
La giuria era composta da Maria Turchetto, docente universitaria a Venezia, direttrice de “L’Ateo”; Maria Chiara Levorato, professoressa dell’Università di Padova; Paolo Ghiretti, studioso di cinema.
Staino
A consegnare il premio – un globo d’oro del Maestro Giovanni Corvaja – doveva essere Sergio Staino ma non è riuscito ad essere a Venezia e ha mandato per farsi perdonare la vignetta che vedete qui accanto.
Il premio è andato a Azul oscuro, casi negro del giovane regista spagnolo Daniel Sanchez Arevalo.
La motivazione: Questo bel film mostra con realismo e umorismo come la vita, i sentimenti, i desideri siano troppo complessi per essere ingabbiati nell’asfittico modello della “famiglia naturale” cara alle religioni. La Spagna contemporanea dà un’ulteriore indicazione per affrontare in modo aperto e laico un mondo che cambia.
Ecco che cosa ne pensa di Arevalo FilmUp.
Per il sito del film (sarà mai distribuito in Italia?), clicca QUI.


Fiori per Weil


“Il 31 agosto 1943, un martedì, il giornale ‘Tuesday Express’ della piccola città di Ashford nel Kent pubblicava in prima pagina questa notizia: Professoressa francese si lascia morire di fame“.
Comincia così un bel libro di Gabriella Fiori pubblicato da Garzanti.
Copertina libro
Quella professoressa francese era Simone Weil.
Nata a Parigi nel 1909 proveniva da una famiglia ebrea non praticante. Studiò filosofia e per alcuni anni insegnò al liceo. Poi si dimise e lavorò come operaia.
Allo scoppio della guerra civile spagnola, nel 1936, si unì ai militanti anti-franchisti.
Nel 1938 si convertì al cristianesimo. Morì a 34 anni in Inghilterra nel ’43.
Simone Weil è il titolo del volume di cui è autrice Gabriella Fiori che è laureata in Lettere moderne, specializzata in inglese e francese presso le Università di Cambridge e Grenoble, traduttrice. Ha insegnato nelle scuole secondarie e alla Queen’s University di Belfast. E’ autrice di Simone Weil, une femme absolue tradotto in italiano (1991), giapponese (1994), in coreano (2005), in spagnolo per i lettori argentini nel 2006; e autrice anche di Anna Maria Ortese, o dell’indipendenza poetica (2002), per una nota su questo titolo, cliccate QUI.
Mi è piaciuto questo recente libro – s’avvale di una prefazione di Carlo Bo – dedicato alla Weil. La Fiori ha il gran merito di riuscire a scrivere una biografia e un saggio al tempo stesso, seguendo le tappe della vita di quella grande pensatrice e riflettendo sugli snodi del pensiero che portarono la Weil dall’anarcosindacalismo fino ad una tormentata conversione (sulla cartella d’accettazione dell’ospedale ove morì, come riferisce la Fiori, “lo spazio riservato a Religione rimane in bianco per volontà della paziente”). Chissà, forse anche per questo, ed altri problematici modi di vivere il cristianesimo, la Weil, combattente in Spagna contro il fascismo, non ha avuto chi per lei reclamasse che fosse fatta “santa sùbito” come invece è avvenuto per un papa che volò per stringere la mano a Pinochet (ecco le foto) e che ne ha aureolati parecchi: 488 santi e 1345 beati; più che un record, una gag.
Simone Weil di Gabriella Fiori, per documentazione e contenuto critico, è un lavoro che sarà imprescindibile per chi in futuro s’occuperà della pensatrice francese.
All’autrice ho rivolto qualche domanda.
Nello scenario dei nostri giorni in che cosa ravvisa l’attualità del pensiero della Weil?

Nel clima generale di indifferenza al pensiero chiaro, questo genio-donna di portata rivoluzionaria immensa nell’ambito etico della vita quotidiana di ognuno sul piano personale e sociale, ci interpella sulle domande ultime, al centro questa: “Che senso ha la tua vita?”.
La sua, breve, multipla e unificata insieme, tramite l’attenzione e l’azione, è stata spesa a vivere e pensare tutti i nostri problemi-chiave che lei, da profeta, ha visto già fra le due guerre: il rapporto fra scienza-tecnologia e vita quotidiana; la guerra e la pace; patriottismo e internazionalismo; la società e l’individuo; le leggi e la libertà ; la religione in quanto adesione a una chiesa determinata e in quanto vitalità morale; la cultura in quanto maturazione dei germi di vita celati nella terra del passato e come conoscenza e studio di tutti gli aspetti del presente da diffondere fra tutti gli esseri umani tramite l’educazione e l’autoeducazione.

Alla luce di quanto ha appena detto, lei trova oggi continuatori del pensiero della Weil?

Pur sottesa ai mutamenti spirituali e culturali del XX secolo (preti operai, nouveaux philosophes, Concilio Vaticano II), sia in questi sia nella diffusione della sua opera, l’influenza weiliana è stata soprattutto un lascito individuale (Albert Camus, Louis Jouvet, T.S. Eliot, Iris Murdoch, Adriano Olivetti, Ignazio Silone, Elsa Morante...). Anche oggi è così.
Non è ascoltata nelle zone decisionali per la Costituzione europea, le basi etiche della scienza, l’uso non dannoso dei mezzi per i fini della “aspirazione al bene” che è la prima fame morale dell’uomo.
Tuttavia i continuatori ci sono: sono tanti, e di molti paesi: Europa, Stati Uniti, Brasile, Giappone, Africa. Bravi, giovani e meno giovani, traducono, commentano, scrivono libri su di lei. Non sono meri studiosi, data la loro lucida dedizione esistenziale. Confluiscono, per associazione o notizia bibliografica, nella Association pour l'Etude de la pensée de Simone Weil.

Gabriella Fiori
“Simone Weil”
Pagine 498, Euro 18:50
Garzanti


Pagine d'autunno


Questa settimana tutte le scuole, anche le più pigre, riaprono le aule e i nostri ragazzi tornano a scuola.
E’ il primo anno, dopo troppi, senza la Moratti ministro. Festeggiamolo!
Ed ecco due regali adatti per figli e nipoti (dai 9 anni in su) propri o di amici, due libri stampati dalle Edizioni Dedalo, pubblicati nella collana Piccola Biblioteca della Scienza.

Alain Schuhl – ricercatore nel campo delle nanoscienze e professore di Fisica all’Università Henri-Poincaré di Nancy, in Francia – propone una singolare passeggiata all’interno di uno strumento diventato familiare ma non troppo conosciuto.
Il libro s’intitola Cosa c’è dentro il computer? e spiega che cosa accade dal momento in cui si preme il pulsante d’accensione fino a quando usiamo il computer per ricercare notizie o giocare.
Nelle pagine, tre bambini curiosi rivolgono domande all’autore che risponde con parole semplici ai loro quesiti.

Laurent Degos – professore all’Università ‘Denis Diderot’ e direttore dell’Istituto di Ematologia all’Ospedale ‘Saint-Louis’, a Parigi – propone, invece, un altro viaggio: all’interno del nostro corpo.
Con lui, infatti, s’esplora il mondo delle cellule che sono presenti sia nelle balene e nei giganteschi baobab sia nelle piccole formiche, nei ragni e naturalmente negli esseri umani. Ma quanti tipi di cellule ci sono nel nostro corpo? Come sono fatte? A che cosa servono?
Il professor Degos è più fortunato del suo collega Schuhl, infatti, i bambini che gli rivolgono incalzanti domande, qui, sono solo due.

Alain Schuhl
“Cosa c’è dentro il Computer?”
Traduzione di Marcello Di Bari
Pagine 64, Euro 7:50

Laurent Degos
“Il mio corpo: centomila miliardi di cellule”
Traduzione di Cristina Marullo Reeditz
Pagine 64, Euro 7:50

Edizioni Dedalo


Karlheinz Deschner


Cosmotaxi segnala sempre con piacere scrittori e opere che agiscono in area laica.
Oggi è la volta di un grande studioso tedesco: Karlheinz Deschner.
Karlheinz Deschner
Nato a Bamberg nel 1924, ha studiato letteratura, filosofia e storia all'Università di Würzburg.
E’ stato vincitore di premi letterari tra cui l’Arno Schmidt (1988) e l’Erwin Fischer (2001).
Deschner dimostra, rifacendosi con articolatissima documentazione tratta da autorevoli fonti di ogni periodo, l'infondatezza delle teorie della Chiesa cristiana e di tutta la sua tradizione.
Come, ad esempio, in Anticatechismo e in Il gallo cantò ancora volume quest’ultimo pubblicato in Germania nel 1962 e soltanto ventisei anni dopo, nel ’98, in Italia.
La principale opera di Deschner è Storia criminale del Cristianesimo di cui potete leggere un assaggio su questo ottimo sito che contiene anche tanti altri reportage da meritare d’essere messo tra i preferiti.
Ho avuto il piacere d’ospitare tempo fa su questo webmagazine il principale studioso italiano (e curatore de la Storia criminale del Cristianesimo) di Deschner che è Carlo Modesti Pauer, l’intervista – con ampi riferimenti allo scrittore tedesco – la trovate QUI.
Diceva Shopenauer: “Le religioni sono come le lucciole: per brillare hanno bisogno del buio”.
Deschner ce ne spiega il perché.


La terra del silenzio


C’è una piccola casa editrice che seguo da qualche tempo con interesse (vedi QUI e anche QUI) perché si distingue per pubblicazioni al servizio di cause civili, è la Infinito Edizioni.

Copertina In questi giorni, ad esempio, ha pubblicato La terra del silenzio, volume che parla della tragedia dei Kurdi stretti geograficamente e politicamente in una morsa (si trovano divisi tra Turchia, Iran, Iraq e Siria) che procura da anni deportazioni e stragi ad un popolo di trenta milioni di persone.
L’autore è Mehmet Barut, poco più che quantenne, ha provato in prima persona gli effetti di quel dramma.
Docente di sociologia all’Università di Mersin, è stato processato in Turchia per la sua attività di sostegno agli sfollati. Nonostante sia stato assolto, l’Università ha avviato un procedimento disciplinare nei suoi riguardi che s’è concluso con il licenziamento.
Ma non di questo si parla nel libro – prefazione di Marco Revelli, presentazione di Barbara Laveggio – perché le sue pagine, come avverte il curatore Giuseppe Rinaldi, appartengono “ad un genere letterario ben preciso, quello del rapporto di ricerca di impostazione sociologica”.
Insomma non si tratta di un libro spiaggiaiolo e se state depressi per qualche ragione non ve ne consiglio la lettura. Lettura, invece che è necessaria per chiunque, sia depresso o non, lavori nella carta stampata, nelle radiotv, sul web anche se non si occupa di politica estera perché è un documentario su di una tragedia umana trattata dalla grande informazione soltanto quando accadono guai troppo grossi per poterli trascurare.
“Le cifre che la ricerca presenta” – scrive Marco Revelli – “descrivono con la forza dei numeri il quadro di una vera e propria ‘catastrofe umanitaria’ […] l’uso sistematico verso i Kurdi della violenza e della minaccia, le uccisioni, la distruzione di case e beni, lo sterminio del loro bestiame”.
Né va dimenticata la strage ad Halabja del marzo 1988 (100.000 morti) che Saddam operò usando i gas tossici.
Libro forte e necessario questo di Mehmet Barut, volume che vede la luce anche grazie al sostegno dell’Istituto per la cooperazione allo sviluppo (Ics) di Alessandria e il GÖÇ-Der, Associazione dei Migranti fondata a Istanbul nel 1997.

Mehmet Barut
“La terra del silenzio”
Pagine 187, Euro 12:00
Infinito Edizioni



Esterni a Terni


Nasce con un impegnativo e ghiotto cartellone il primo Festival internazionale della creazione contemporanea in Umbria, si chiama ESTERNI; questa grafica non è una mia invenzione, bensì degli organizzatori che hanno così voluto dare un’indicazione (un po’ criptica, in verità) delle sorgenti logistiche e ideative della rassegna.
Per chiarirsi le idee e informarsi delle finalità espressive del Festival, cliccate QUI.
Terni, che già s’avvale di un importante centro di produzione cinematografico a Papigno (Roberto Benigni, ad esempio, vi ha girato le scene del film vincitore del Premio Oscar "La vita è bella" e "Pinocchio"), con questa manifestazione teatrale si pone in modo maiuscolo tra i poli culturali italiani e c’è da sperare che i media se ne accorgano e le dedichino lo spazio che merita.
EsTerni è guidata da una direzione artistica formata da Leonardo Delogu, Linda Di Pietro, Lucio Mattioli, Massimo Mancini.
La proposta del Festival si muove negli spazi della nuova espressività fra teatro, musica e performance sensoriale con una particolare, e meritoria, attenzione – com’è rilevabile dagli spettacoli selezionati – al genius loci.
Per consultare il programma, c’è in Rete un sito web.

ESTERNI
Festival Internazionale
20 – 30 settembre
Info: 0744 – 54 41 307
mail: info@exsirterni.it


A lume di naso


Lo senti l'odore ?... Napalm figliuolo, non c'e' nient' altro al mondo che odori così… mi piace l' odore del napalm di mattina…

Il Colonnello Kilgor (Robert Duvall) al Capitano Willard (Martin Sheen).
Da “Apocalypse Now” di Francis Ford Coppola, 1979.

Odori: copertina


Per fortuna, non tutti sono come il Colonnello Kingor.
Vi presento oggi un libro sugli odori. E’ di Gianni De Martino.
E preciso subito che l’autore non la pensa come quel Colonnello.
Il volume, intitolato Odori, ebbe tanto successo allorché uscì che s’è resa necessaria una seconda edizione che l’autore ha ampliato, proponendone anche una nuova prefazione.
Per il seducente indice del libro (che mantiene le promesse del sommario), cliccate QUI.
In questa nostra epoca moralmente mefitica (... ma quale epoca non lo è stata?) che, forse proprio per questo, reclamizza un’infinità di deodoranti, l’olfatto, gli odori, si cerca di esiliarli, e De Martino ne indaga il perché come spiega anche in quest'intervista.
Lontani i tempi in cui il tronfio assessore collegiale Kovalev di Gogol, s’accorge una mattina, specchiandosi, di aver perso il naso, ora il naso pur con le sue evoluzioni tecnologiche (come, ad esempio quello elettronico) sembra destinato soprattutto agli studi di chirurghi estetici che aspettano invano l’arrivo dei pur bisognosi Cyrano e Pinocchio.
Nei meandri degli odori s’aggira ancora Ceronetti, tanatofilo annusatore notturno di miasmi, forse mèmore di ciò che afferma Émile Cioran: “L'uomo emana un odore particolare: fra tutti gli animali soltanto lui sa di cadavere”.
Importante e necessario, quindi, questo studio di Gianni De Martino che ho incontrato di recente ad un convegno - 'Lo sguardo di Dioniso' - sugli stati di coscienza e (insieme con rapidi cenni biografici) ne trovate tratteggiato il suo originale intervento QUI.
Un gran bel libro Odori. Ve ne consiglio la lettura. Mi ringrazierete.
Ho aperto questa nota con una citazione, per amore di simmetria, la concludo con un’altra.
Ma qui è tutt’altra musica, è proprio il caso di dire visto che si tratta di un aforisma d’Igor Stravinsky; su di un metaforico olfatto e il suo rapporto con l’arte ha usato un’immagine felicemente suina: “Il naso sente l’odore e sceglie. Un artista è una specie di maiale che cerca tartufi”.

Gianni De Martino
“Odori”
Pagine 336, Euro 13:50
Editore Apogeo


Born Somewhere


Francesco Zizola: Salvador de Bahia

Ancora pochi giorni per visitare la mostra Born Somewhere in corso a Roma: 90 immagini di bambini che con i loro volti dallo sguardo dolente (accusatorio per molti) raccontano tragedie della guerra, delle malattie, di soprusi visti e subiti.
I bambini vittime delle guerre, dello sfruttamento e dell'aids sono i protagonisti di 90 fotografie di Francesco Zizola realizzate nei 30 Paesi in cui ha lavorato.
Le immagini raccontano le dure realtà di quei Paesi, ma restituiscono ai volti ritratti la loro purezza e bellezza, che si possono cogliere al di là delle guerre in Angola, Sudan, Afghanistan e Iraq, al di là dello sfruttamento minorile in Brasile e Indonesia.
Questa mostra al Museo di Roma in Trastevere è il frutto di una ricerca durata tredici anni che ha portato Zizola in Angola, Iraq, Afghanistan, Kenya, Brasile, Sudafrica, Chad, Uzbekistan.
Francesco Zizola, inizia la professione nel 1981.
Dal 1986 sceglie il fotoreportage come attività principale collaborando con "L'europeo", "Epoca", "Newsweek", "Stern", "The European".
Dal 1989 al 1991 realizza reportage in Albania, Corea del nord, Romania, Germania, Kenia, Israele, Russia e Jugoslavia. Dal 1992 ha avviato il progetto "Eredi del Duemila" sulla condizione dell'infanzia nel mondo, con il contributo del Comitato italiano dell'Unicef, ottenendo nel 1996 il premio "The Pictures of the year" dell'Associazione nazionale della stampa e nel 1997 il premio “Word press Photo of tre year” con una foto sull'Angola.
Dal giugno 2001 è entrato a far parte dell'agenzia Magnum Photos.
Ha scritto di lui il critico Gilberto Dimenstein: Le foto di Zizola portano i segni della catastrofe di ogni giorno, ma anche il segno della speranza.
E Giuliana Scimé sul Corriere della Sera: Zizola è un fotogiornalista di razza, erede dei grandi fotografi che hanno affascinato con le immagini dell'informazione colta e consapevole.

Francesco Zizola
“Born Somewhere”
Museo di Roma in Trastevere
Piazza Sant’Egidio 1b
Fino al 24 settembre
Ufficio Stampa: Simona Carlucci: tel. 0765 – 423364; 335 - 5952789


Le voci di dentro


Teatro e carcere è un tema che incrocia una virtù e un rischio.
La virtù appartiene a tutti coloro che si dedicano a questa mai abbastanza lodata attività svolgendo all’interno dell’istituzione carceraria la pratica scenica come occasione di riscatto sociale e rappresentazione di una realtà dalla quale in troppi, colpevolmente, distraggono lo sguardo; il rischio è quello di cadere in una vociante retorica che vuole tutti i reclusi come vittime. Perché se è vero, ed è verissimo, che tanti in libertà – da teste incoronate a capi scornati padroni di banche, tv,ville, e qualcuno tra questi perfino in Parlamento – meriterebbero di stare in una cella, è altrettanto vero che non tutti i carcerati meritino tanta compassione: stupratori, mafiosi, e tanti altri.
Sono fra quegli elettori di sinistra che non hanno gradito l’indulto, perché ne hanno goduto anche coloro con reati contro la pubblica amministrazione, poliziotti violenti con responsabilità accertate, datori di lavoro colpevoli di morti bianche…
Tema delicato e difficile è, quindi, quello del teatro e carcere.
Il guardiano
Tra i tanti che se ne occupano, c’è un Centro che – dal lavoro fin qui svolto – mi pare assommi virtù sociali e artistiche evitando di cadere in quella retorica di cui prima dicevo.
E’ il Cetec - Centro Europeo Teatro e Carcere - il cui prossimo impegno, a Roma il 3 settembre al Giardino degli Aranci, lo vedrà presentare Diario di Bordo: memorie di teatro e carcere al XIII Festival Internazionale del Teatro Urbano.
Il Cetec nasce come cooperativa sociale e, oltre a un percorso artistico che ha attraversato confini (s’è esibito in Francia, Inghilterra, Germania, Irlanda, Spagna), promosso laboratori multietnici, prodotto teatro dentro e fuori le carceri, ha realizzato anche concrete possibilità di reinserimento lavorativo per molti.
Ad animare il Cetec è Donatella Massimilla, regista e drammaturga.
Ha iniziato la sua attività formandosi come attrice e partecipando a progetti e laboratori con maestri del teatro contemporaneo, fra cui Julian Beck, Jerzy Grotowsky, Eugenio Barba, Heiner Muller. Dal 1981 al 1986 ha lavorato al Festival Internazionale di Santarcangelo di Romagna. Dal 1989 è attiva come regista e pedagoga nell’Associazione Ticvin Teatro di Milano e ne “La Nave dei Folli”, la storica compagnia del carcere di San Vittore, inaugurando una delle primissime esperienze di teatro in carcere in Italia e in Europa. Fonda la cooperativa Centro Europeo Teatro e carcere, dirigendo laboratori di formazione e spettacoli presenti in rassegne teatrali e festival italiani e stranieri.
A Donatella Massimilla ho chiesto: nel contesto teatrale italiano e europeo, il Cetec, per la poetica sostenuta e il lavoro artistico e rieducativo svolto, in cosa si differenzia dalle altre compagnie italiane che si dedicano al tema teatro-carcere?
Così mi ha risposto.
La lunga esperienza del Cetec nasce da un quindicennale lavoro di ricerca per rendere utopia concreta le parole di Bertold Brecht: “teatro come luogo di cambiamento”.
Per questo il Cetec, insieme ad altre realtà nazionali ed europee ha promosso reti e scambi di conoscenza e di opportunità, tali da creare una cultura dell’incontro e dello scambio di esperienze, pensando a una Casa per il ‘dopo’ dove possano collaborare ‘maestri e margherite’, senza il bisogno di sottolineare chi si è formato artisticamente dentro e chi no… ”l’importante è essere bravi attori, se poi si viene a sapere che ho fatto scuola di vita e teatro a San Vittore, a me va bene lo stesso..” ripete sempre Romeo Martel, collaboratore artistico da dieci anni della Compagnia.
La ricerca artistica e poetica sviluppata dal Cetec nei dieci anni a S. Vittore con la ‘Nave dei Folli’, ma anche nelle esperienze residenziali e intensive nelle carceri di Rebibbia a Roma - come a Berlino, Barcellona, Cambridge - ha caratteristiche profondamente femminili… ci siamo presi cura delle persone e del loro bisogno di esprimersi non solo a livello espressivo, vocale e fisico, ma anche e soprattutto con una originale e appassionata trasformazione di vissuti e memorie degli attori in nuove scritture sceniche e “autodrammaturgiche”. Negli ultimi anni, l’uso del video e di nuovi linguaggi cinematografici ha contaminato il lavoro artistico della compagnia producendo documentari e produzioni audiovisive che saranno prossimamente pubblicate

Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web: l’Ufficio Comunicazione è affidato a Marta Volterra, marta.volterra@fastweb.net; 338 - 61 33 556


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