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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Le Parole, i Giorni


Cosmotaxi Special per “Le Parole, i Giorni”

Poggibonsi, 30 - 31 maggio 2008


Le Parole, i Giorni


Ogni parola che si pronuncia fa pensare al suo contrario.

Johann Wolfgang Goethe


Le Parole, i Giorni: 2 giorni 2


Dedico con gran piacere questo ‘special’ a Le Parole, i Giorni, Festival di breve e scattante durata che intorno, sotto e sopra le parole, esercita gioco e riflessione, monellerie e pensieri.
Due giorni liberi da poeti e romanzieri che in tanti calzano festivalini e festivaloni della mezza lega per intorcinarsi su versi e trame, dibattere cupamente sugli ‘strumenti narrativi’ (… quelli, amici, si vendono in cartoleria, sono i pennarelli, le matite, i fogli), costringendo la marchesa, poverina, ancora ad uscire sempre alle cinque (senza sapere ormai dove andare, e sapeste come sbuffa!); misurare, interpellando avieri e falegnami, sui metri che li separano dal cielo (sono tre?... trentatre?); ad andare dove li porta il cuore (che è poi sempre un villaggio turistico con messa a mezzogiorno).

Opera di Nanni BalestriniDue giorni di parole intrecciate e sconvolte come forse nell’opera verbovisiva di Nanni Balestrini che vedete in foto.

Due giorni, questi di Poggibonsi, di parole, paroline, parolacce, e mai paroloni.
Due giorni in cui si ha coscienza che crediamo di parlare e veniamo parlati.
Il tragico greco che scrive i suoi versi obbedendo a regole ferree che conosce perfettamente è più libero del poeta che scrive quello che gli passa per la testa, schiavo com’è di regole che ignora.
E’ un concetto sul quale ruota l’Oulipo. Le neuroscienze, oggi, sempre più danno ragione a quell’intuizione scovando automatismi del nostro sistema nervoso centrale, mettendo in crisi tanta roba un tempo attribuita alla cosiddetta ispirazione.
La famosa “contrainte” oulipiana obbliga lo scrittore a seguire percorsi carcerari (spesso da lui stesso ideati) che passando di cella in cella lo vede incontrare epifanie e benvenuti svelamenti del pensiero scandaloso di noi umani.
Ben vengano, dunque, questi due giorni con le loro parole birichine e sapienti specie in uno dei momenti più mesti della storia del nostro paese, in cui le parole sono maleodoranti d’incenso, portano in testa parrucchini, ora inciuciano in un loft da malaffare, ora sibilano in decrepite stanze ripitturate color arcobaleno, e più di una fra loro s’imbelletta da zoccola.
Dice Samuel Beckett: “Quando s’è nella merda fino al collo, meglio mettersi a cantare”.


Le Parole, i Giorni


La parola è un'ala del silenzio.

Pablo Neruda


Le Parole, i Giorni: Cartellone


Questo Festival di ludolinguistica “Le Parole, i Giorni” ha per sottotitolo I bisquizzi di Poggi Bonizzi, fra poco saprete che cosa significa.
E’ alla sua prima edizione.
Si svolge nei giorni 30 e il 31 maggio a Poggibonsi, vicino Siena, è guidato da Idolina Landolfi e realizzato dal Comune di Poggibonsi con il sostegno della Fondazione Monte Paschi di Siena e s’avvale della collaborazione di Vernice Progetti Culturali.
LogoSi gioca con le parole in compagnia di molti ospiti, troppi per scriverne qui i nomi, ma fra qualche rigo troverete un link che permette di rintracciarli tutti.
Molteplici impegni avranno: Stefano Bartezzaghi, suo il sottotitolo della rassegna che allude all’antico nome di Poggibonsi, un nome bello ma che per misteriosi leggi psicofonetiche suona curioso; Stefano Bollani (agisce in Rete un suo sito web); Enzo Golino; il Gruppo Fonografico Rapsodi.

Tanti i momenti in programma, particolare attesa per una gara uomo-macchina – chiamata WebCrow – ideata da Marco Gori - Marco Ernandes - Giovanni Angelici del Dipartimento di Ingegneria dell'Informazione dell'Università di Siena
'Web Crow' è il nome di un programma che riesce a risolvere i cruciverba, come quelli della Settimana Enigmistica. Il sistema genera una lista di possibili risultati per ogni definizione e poi riempie lo schema seguendo algoritmi che mirano ad ottenere lo schema completo più promettente.


Nomi dei partecipanti e programma del Festival in dettaglio: CLIC!

Tutti gli avvenimenti sono ad ingresso libero.


Le Parole, i Giorni


Le parole sono le mie puttane.

Denis Diderot


Le Parole, i Giorni: Dario Ceccherini

Ci sono in Italia circa milletrecento Festival, ma ne nascono tanti e ne periscono di più. Qualcuno dice che sono troppi, ma è pur certo che è diventato un vero e proprio medium e una delle occasioni finora (sono pessimista per il futuro), in cui la scena espressiva più avanzata riesce a trovare spazi sempre negati da Raiset, e assai spesso dal circuito teatrale, cinematografico, e da molte gallerie d’arte.
Certo, esiste anche la Sagra della Salsiccia, contro la quale, se ben organizzata – la sagra, non la salsiccia – nulla ho da ridire e ben venga; esiste anche la presenza di Rassegne che se sparissero non mi vedrebbero tra i piangenti, ma c’è un modo per valutare la serietà di queste proposte: la pluralità di generi tra le occasioni offerte e la capacità di legarsi sia alle nuove produzioni artistiche sia alle ragioni del territorio che li ospita, al suo ‘genius loci’.
E’ dall’incrocio di questi due dati che s’ottiene il profilo della politica culturale espressa.
Poggibonsi risponde esclamativamente all’impostazione di quell’indagine di poco fa perché da anni, pur essendo una località di poco meno di trentamila residenti, produce, in continuità, una serie d’avvenimenti che spaziano dal teatro alla musica, dalle arti visive alla convegnistica sul sociale.
Teatro PoliteamaSi pensi, ad ulteriore esempio, al Teatro Politeamain foto – (l’Amministrazione Comunale è socia di maggioranza) diventato non solo un polo culturale per tutta la Valdelsa, ma attira visitatori per i suoi spettacoli anche da altri territori.
Largo merito di quest’attività va all’Assessorato alla Cultura di Poggibonsi guidato da Dario Ceccherini.

A lui ho chiesto: quali sono le principali linee espressive che guidano le tue scelte?

La ricerca e il confronto tra arti e saperi. Poggibonsi ha una storia caratterizzata da attraversamento, distruzione e ricostruzione. La sua collocazione all'incrocio di importanti vie di comunicazione ne ha segnato la fortuna e la fragilità. L'ultima distruzione, per effetto dei bombardamenti anglo americani, rase al suolo più del 70% dell'abitato.
Da una parte guardiamo questa storia, la recuperiamo e la raccontiamo affidandola a diversi strumenti – il teatro ad esempio.
Dall'altra, questa città di incontri e scambi ha spinto a fare dell'attraversamento e del confronto il tema dominante delle scelte culturali.
Abbiamo chiesto di interpretare questi concetti all'arte contemporanea, a Paladino, Gormley, Eliasson, Rehberger, Ward, Sarkis; a un ciclo di conferenze dedicato quest'anno al concetto di straniero. Con la rinascita del Teatro Politeama, con la pluralità dei suoi spazi abbiamo immaginato una rassegna, “FeniceFestival”, che fa dialogare arti e saperi: cinema letteratura fumetto teatro musica, quest'anno
.

Anche “Le parole, i giorni” risente di questa impostazione?

Sì, con l'idea, la volontà di giocare con il nome di questa città, che a molti suona curioso. Ecco allora un convegno ludico scientifico dedicato alla parola liberata con il gioco, sottratta all'usura della convenzionalità, vivificata dal calembour. Non solo conferenze però, anche teatro, anche musica, anche i più avanzati saperi informatici al servizio del gioco linguistico. Che poi lasceranno il passo a una due giorni, “Narrazioni libera tutti” che, centrata sulla letteratura, sulla riflessione storica e sulla musica, riprenderà e svilupperà il tema della libertà.


Le Parole, i Giorni


L'odore dei gerundi la stordiva!

Marcello Marchesi


Le Parole i Giorni: Idolina Landolfi


Scrittrice, traduttrice (dal francese e dall'inglese), ha scritto testi di narrativa e saggistica per le maggiori case editrici italiane.
Ha curato volumi dedicati ad autori italiani e francesi dell’Otto e del Novecento (tra gli altri, Corazzini, Lautréamont, Lesage G. de Nerval, Villiers de l'Isle-Adam, Th. Gautier, Barbey d’Aurevilly, E. Dabit, J. Derrida, M. Tournier, E. Wiesel, Boris Vian).
Ha diretto per molti anni, la rassegna internazionale di poesia “DiVersi Racconti” e il premio di narrativa “Lo Stellato”, curando i relativi volumi di racconti e poesie.
Ha coordinato la sezione letteraria nell’ambito del festival “Benevento Città Spettacolo”.
Da più di vent’anni si occupa delle opere del padre, Tommaso, ripubblicandone le opere, con apparati critici e note, e curando i volumi di atti. Ha fondato, nel 1996, il Centro Studi Landolfiani che raccoglie i materiali bibliografici riguardanti lo scrittore e organizza conferenze e convegni sulla sua opera. Redige inoltre la rivista “Diario perpetuo”, Bollettino del Centro di cui sopra.

A Idolina Landolfi ho chiesto: com’è nata l’idea di fare ‘Le parole, i giorni’ e quale la finalità espressiva di questi incontri dedicati alla ludolinguistica?

L’idea è stata di Dario Ceccherini, assessore alla cultura del Comune di Poggibonsi che per questo tipo di approccio alla lingua ha sempre avuto – ho scoperto via via che ne approfondivo la conoscenza – una particolare predisposizione. E mi ha coinvolto sapendomi a mia volta cultrice della lingua – da scrittrice, da traduttrice – nelle sue ‘infinite possibilità’, che è appunto il titolo dato al convegno che si terà qui .

In molte locuzioni popolari: a che gioco giochiamo…non sta alle regole del gioco… ed altre ancora, mi pare che il gioco sia evocato come possibile trappola, vi circola intorno quasi un senso d’inquietudine.
Il gioco provoca allarme? Quale la sua carica sovversiva?

Più che di allarme parlerei del fatto che è spiazzante, e attraverso il gioco – di qualsiasi natura esso sia – abbiamo modo di dire cose che altrimenti non diremmo, di stabilire con l’altro un rapporto su un diverso piano. I nostri antichi padri lo sapevano bene.
Ecco, in tal senso forse il gioco appartiene, e al contempo fonda, un piano di realtà disgiunto dalla realtà comunemente intesa. Così è “sovversivo”, certo, nel senso etimologico del termine
.

La performer Laurie Anderson canta "Language is a virus" citando William Burroughs che diceva "Il linguaggio è un virus venuto dallo spazio". Lei è d’accordo con quella definizione? Se no, perché? E, se sì, qual è oggi la principale insidia di quel virus?


Credo che uno degli studi più interessanti in assoluto sia quello che riguarda la carica straniante del linguaggio; nei codici verbali, nelle trasposizioni sulla pagina, e soprattutto in quanto, della lingua, resta al di qua della pagina, ciò che viene taciuto eppure, per una sua miracolosa virtù, dalla pagina traspare –il che è poi il vero bagaglio di ogni grande scrittore.


Le Parole, i Giorni


Le parole, vergognose del loro corpo, hanno l'anima in vendita.

Jacqueline Duval


Le Parole, i Giorni: Gruppo Rapsodi


Amo il teatro di parola quanto si può amare una colica renale, eppure esistono casi (rari) in cui lo apprezzo e mi distraggo, temporaneamente, dalla Fura dels Baus o dai nostrani Motus per goderne le performances.
Uno di questi casi, è rappresentato dal Gruppo Fonografico Rapsodi che praticano un vertiginoso e divertente stile verbale.
Presentano al Festival in prima nazionale “Ammazzare il tempo”.
Luca Bombardieri e Tommaso Pippucci in scena, con il contributo di Duccio Ancillotti fuori scena, ci ricordano che, come disse Auden, “ogni parola è una puttana”, da creatura pia può trasformarsi in lieta bestemmiatrice, gli scivoloni di senso diventano slittamenti dei sensi.
Stefano Bartezzaghi ha scritto di loro: “A me sarebbe bastata anche una riga, per convincermi: è la riga che dice ‘Ho visto celibi pieni di nubili’. Sembra facile il gioco di parole: più è bello, più facile sembra e meno facile è […] A volte si pensa a Bergonzoni, altre a Flaiano: ma ‘Ho visto celibi pieni di nubili’ chi avrebbe potuto dirlo? Il gioco di parole è perfetto, nel suo piccolo, è impersonale e senza tempo”.

Al Gruppo Fonografico ho chiesto: le parole nascondono o rivelano?
Li sentirete rispondere con una voce sola. Prodigi della tecnologia di bordo di Cosmotaxi.

Nascondono o rivelano? Entrambe le cose. Visto che la parola seduce, sceglie o ti invita a scegliere per lei quanto scoprire e quanto invece lasciare coperto. Scoprire e coprire sono entrambi parte dello stesso gioco di seduzione: la parola si lascia tentare, si lascia catturare oppure si dilegua in mezzo ad altre e ti confonde. E' in questa continua oscillazione irrisolta tra il suo concedersi e negarsi che sta il 'logoequilibrismo'.

Teatro di avanguardia, sperimentazione, alternativo, e poi con i fatali prefissi neo, post, trans. insomma, che cosa vuol dire per voi "teatro di ricerca" oggi?

I prefissi e le etichette funzionano con i numeri di telefono o con i capi di moda. Con l'arte effettivamente un po’ meno, anche se fanno comodo. L'artista è o dovrebbe essere privo di etichetta, e non perchè maleducato, bensì perchè dovrebbe avere sempre in sé l'innata tentazione di violare le regole del cerimoniale vigente per crearne uno nuovo. E' questo che dovrebbe renderlo capace di scandalizzare o di stupire, e pertanto tutta l'arte, in questo caso il teatro, è istintivamente ricerca, originale e personale. Non ha nome, o se ce l'ha si è accontentata di uno che gli è stato messo da altri a posteriori.

Per entrare nel sito web del Gruppo, cliccate www.rapsodigruppofonografico.it


Le Parole, i Giorni

Quello che ho detto, ho detto… e qui lo nego!

Totò


Le Parole, i Giorni: ringraziamenti


Questo ’special’ è stato realizzato grazie al puntualissimo lavoro di Natascia Maesi dell’Ufficio Stampa Vernice Progetti Cuturali di Siena.

A Roma in redazione ha lavorato Lisa Monti.


Le Parole, i Giorni: alla prossima

Colmi, lazzi, scherzi, inezie,
stupidaggini, freddure,
cose serie oppur facezie,
cose molli e cose dure

cose dette o ancor da dire,
frasi fatte, frasi sfatte,
desiderio di morire,
salamini e caffè e latte.

Ettore Petrolini


Special Le Parole e i Giorni 30 - 31 Maggio

Cosmotaxi Special per “Le Parole, i Giorni”

Poggibonsi, 30 - 31 maggio 2008

Fine


Facce di bronzo


Meglio chiarirlo sùbito: il titolo di questa nota non tragga in inganno, non si parla del nuovo governo.
Si tratta di racconti imperniati tutti sulla presenza tra i personaggi di uno che ha faccia di bronzo, di tolla, da schiaffi.
Lo ripeto ancora per dissipare equivoci: non si parla del nuovo governo.
Ventisei racconti firmati da altrettante autrici unite in un disegno editoriale che l’anno scorso già portò in libreria Cuori di pietra.
La cosa nacque tempo fa quando una mattina Annamaria Testa (a proposito visitate il sito che di recente ha ideato: Nuovo e Utile) passeggiando con Elena Mora e chiacchierando su questo e quello ad un tratto sorse l’idea di fare un’antologia di racconti con due solo costanti: che fossero tutti scritti da donne, su di un tema prefissato, e finanziare con i diritti di questo libro un progetto a favore delle donne.
Continuando a passeggiare, il progetto si precisò e nacque Cuori di pietra; il ricavato delle vendite fu devoluto all’Unicef per finanziare un programma di prevenzione della trasmissione dell’Hiv da madre a figlio in Malawi.
A distanza di un anno, visto il successo della precedente esperienza, Mondadori manda ora in libreria Facce di bronzo catalogo dei senza vergogna e anche qui l’incasso del libro sarà interamente devoluto a un fine umanitario: finanziare, attraverso l’Unicef, un progetto, grazie al quale si intende abolire o per lo meno ridurre entro il 2010, la pratica delle mutilazioni genitali femminili in Egitto.
A differenza delle (poche) iniziative analoghe, eticamente pregevoli ma, spesso, crudeli verso la letteratura, questi racconti – tutti scritti da penne professioniste – sono di valorosa scrittura sia quando tratteggiano momenti amari sia quando raffigurano avventure grottesche.

Le autrici: Maria Pia Ammirati. Alessandra Appiano, Stefania Bertola, Anna Carugati, Dede Cavalleri, Luisa Ciuni, Maria Corbi, Geppi Cucciari, Donatella Diamanti, Tiziana Ferrario, Chiara Gamberale, Barbara Garlaschelli, Laura Laurenzi, Lorenza Lei, Loredana Lipperini, Elena Mora, Maria Rita Parsi, Gabriella Piroli, Emanuela Rosa-Clot, Nicoletta Sipos, Neliana Tersigni, Rosa Teruzzi, Annamaria Testa, Laura Toscano, Silvia Vaccarezza, Nicoletta Vallorani

Acquisti on line e scheda sul libro: QUI.

AA. VV.
“Facce di bronzo”
26 racconti
Pagine 346; Euro 9:00
Mondadori


Audiodoc


Nel 1824, Giacomo Leopardi nel “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani”, scriveva: Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano il più cinico dei popolacci […] Gl’italiani hanno piuttosto usanze ed abitudini che costumi.
E’ passato più di un secolo, ma le cose stanno ancora così. Ecco perché – aldiquà e aldilà degli infiniti errori della sinistra, al governo prima e ‘ombra’ più che mai all’opposizione oggi – stanno passando tra gli applausi provvedimenti contro alcuni reati, ma trascurando del tutto altre misure su temi quali: evasione fiscale, mancata sicurezza nei cantieri e fabbriche, severo controllo degli appalti, e via centrodestreggiandosi.
In una città come Roma, in cui il problema della sicurezza esiste (anche se in misura notevolmente inferiore ad altre capitali), nella prima riunione del consiglio comunale si discuterà se e dove intitolare una strada a Giorgio Almirante firmatario del ‘Manifesto della razza’ e proibire l’uso della cucina multietinica nelle scuole, giusto per incoraggiare l’integrazione e lo scambio delle culture.
Sicché, di colpo, pare che molti guasti italiani (stragi senza colpevoli, corruzione, presenza di deputati condannati o inquisiti per frodi allo Stato, tante regioni governate da mafia, camorra, ‘ndrangheta) siano innocenti birichinate e solo e soltanto i rom siano l’unico problema della nostra comunità.
Tutto questo avviene per una pessima gestione dell’informazione operata dalla sinistra quando poteva farlo e da un suo mancato intervento energico laddove necessitava operarlo.
Lunga, forse troppo lunga, premessa per dire di un nuovo Centro d’informazione che pratica una particolare specializzazione espressiva: l’audiodocumentario, come testimonianza storica e osservatorio critico sul sociale.
Il tutto deriva da una precedente esperienza condotta da Andrea Giuseppini (Radioparole) di cui trovate una nota QUI.
LogoIl nome della nuova struttura è Audiodoc ed è presente in Rete con un suo sito web.
Andrea s’avvale d’esperti della comunicazione sonora e insieme con loro ha fondato questo Centro: Marcello Anselmo - Anna Maria Giordano - Roman Herzog - Lea Nocera - Sara Zambotti; operatori che hanno lavorato con radio italiane e straniere (Radiorai, Rtsi Radio Svizzera di Lingua Italiana, Radio Popolare Network, l’emittente pubblica tedesca Ard Radio), e inoltre con università, archivi storici e istituzioni di promozione culturale sia a livello locale sia nazionale.
Producono ritratti, inchieste, memorie, reportages da ascoltare su Internet ed eventualmente scaricare e comprare per l’audioteca personale, oppure per un’audioteca di scuole o università.
Insomma, creare sensibilità e interesse intorno al documentario sonoro, incentivarne anche nel nostro paese la produzione, la diffusione e la sperimentazione. Con Audiodoc s’intende pure promuovere prodotti da inserire in festival e rassegne, alimentare percorsi formativi e di ricerca in collaborazione con soggetti che lavorano con il suono come mezzo di documentazione storica, narrazione, indagine, creazione artistica.
In catalogo già esistono preziose realizzazioni: la persecuzione dei Rom e dei Sinti da parte dei nazisti, voci dalla Risiera di San Saba, un’indagine sull’idea del Nemico, un ritratto del filosofo Giorgio Agamben e altro ancora che potete consultare QUI.
Ecco un’iniziativa che andrebbe incoraggiata soprattutto da quanti agendo nelle Istituzioni hanno ancora voglia di diffondere un’informazione storica e culturale che dissipi paure, aiuti a conoscere, spieghi origini di tanti fenomeni sociali che possono sembrare nati ieri.

Audiodoc
Associazione Audio Documentaristi
Via Rodi 25, 00195 Roma
audiodoc@audiodoc.it


Dallo sciamano al raver


Il filosofo e sociologo Georges Lapassade è, con René Lourau, il fondatore dell’“analisi istituzionale”; nella sua lunga carriera, – è nato nel 1924, insegna all’Université Paris VIII, Saint Denis – si è occupato delle culture nordafricane e afroamericane, con particolare interesse per i temi della ‘transe’.
E’ fra quegli studiosi che non s’è limitato allo studio librario, ma durante lunghi viaggi ha fatto esperienze dirette con droghe, riti, incontri.
A lungo ha frequentato il Living Theatre, in Brasile avvenne una rottura fra il gruppo americano e lui, la pace avverrà anni più tardi.
Ha scritto testi teorici di psico ed etno-sociologia, riflettendo sulle modalità dell’inchiesta sul campo; ha indagato fenomeni di comunicazione e aggregazione, come l’hip hop, il rap, le technotranse.

Ora le Edizioni Urra-Apogeo ripubblicano un suo fondamentale testo che vide la luce presso Feltrinelli nel 1980: Dallo sciamano al raver
Traduzione e cura del testo – prefazione di Gilberto Camilla – sono di Gianni De Martino che di Lapassade è fra i maggiori studiosi italiani; agisce in Rete un sito web dove ne troverete la biobibliografia.
Tempo fa mi occupai di un suo singolare libro Odori, ed ora segnalo la prossima uscita di “Capelloni & Ninfette” (Costa & Nolan), mentre è nelle librerie in Francia la traduzione, a cura di Christian Pirlet presso le edizioni Biliki, di Hotel Oasis che fu pubblicato nel 1988 da Mondadori con una prefazione d’Alberto Moravia.

A Gianni De Martino ho chiesto: quali sono le caratteristiche principali del procedere di Lapassade?

L’implicazione personale nei gruppi, le organizzazioni e le istituzioni, che egli “misura” come l’agrimensore di cui parla Kafka nel ‘Castello’, per farne emergere la verità e i segreti (in genere legati, freudianamente, ai soldi e al sesso). E l’idea che l'educazione si radichi nel corpo, nella sensibilità, nell'immaginario, oltre che nell'intelletto, per affrontare la comprensione scientifica di una complessità in movimento.
E’ un procedere che si richiama all’analisi istituzionale (il movimento della psicosociologia francese nato all’Università di Parigi-Vincennes), allo studio degli etnometodi di Harold Garfinkel
.

C'è in Lapassade l'ipotizzare, nell'area della transe, una continuità tra le esperienze psichedeliche d’anni fa e il rave dei nostri giorni.
Non tutti gli antropologi e sociologi sono d'accordo e anche Camilla nell'introduzione manifesta qualche perplessità.
Tu come la pensi? E, se differenze ci sono fra i due momenti storici, in che cosa le ravvisi?

La transe – ovvero questa disponibilità alla dissociazione radicata in un corpo più arcaico, prima dell’individualità già costituita, legata alla neotenia della specie umana e in connessione estatica con il mondo, ‘in statu nascendi’ - è un’entità assai difficile da circoscrivere, così come i problemi posti dalla possibilità di accedere a stati modificati di coscienza (Altered States of Consciousness), altri dalla percezione ordinaria e talvolta apportatori di una visione più lucida e più diabolica, come testimonia, per esempio, l’esperienza poetica, o quell’uso accresciuto del corpo che sembrava costituire l’obiettivo degli hippies e di quei “gruppi di transe” derivati dal cosiddetto “movimento del potenziale umano”, californiano, e in particolare dall’analisi bioenergetica.
Le esperienze psichedeliche erano legate a sostanze enteogeniche come l’hashish, il peyote e l’Lsd, nel tentativo di agire chimicamente su “punti di incrinatura”, che potevano rivelarsi anche molto distruttivi, e aprire “le porte della percezione” a fini conoscitivi o spirituali
.

E Il fenomeno dei rave?

Questo investe la generazione techno che sembra invece “proiettata”, come osserva Camilla, “verso una edonistica ricerca di ‘inconsapevolezza’: non a caso la sua sostanza-bandiera è l’Ecstasy, una droga che, almeno nel contesto in cui viene utilizzata, è tutto meno che un contributo ad una nuova e più profonda consapevolezza”.
Una cosa è “accendersi” o essere “high mind”, “I got hig”, “volare alto” come tra illuminazione e abbaglio si diceva nel gergo hippie, altra cosa è “sballare” o “calarsi”.
A parte le differenze fra i due momenti storici, rivelate anche dal linguaggio delle diverse esperienze, in entrambi i casi si tratta di un uso radicale ed eccessivo del corpo, dagli esiti incerti e certamente – in mancanza di una cultura del buon uso della transe e di rituali di avvicinamento in ambiti appropriati e circoscritti - pericoloso dal punto di vista dell’affermazione di un io personale, ben individualizzato.
Ma, d’altra parte, la “maturità”, l’essere adulti, è forse, come sostiene Lapassade, un apprendimento, una maschera, una menzogna apollinea.
Il difficile viene dopo, quando ci si toglie la maschera
.

Per una scheda sul libro e bio di Lapassade: QUI.

Georges Lapassade
“Dallo sciamano al raver”
Traduzione e cura di Gianni de Martino
Prefazione di Gilbero Camilla
Pagine 300, Euro 15:00
Edizioni Urra - Apogeo


Kinkaleri


Compagnia teatrale dal nome misterioso.
Che cosa vorrà dire "Kinkaleri"? Interrogato un oracolo scenico, ha risposto come segue.
Quincaillerie, kinkaleri, chincaglieria. Dal francese, all’albanese, all’italiano, un recipiente onnicomprensivo, una stanza di scaffali pieni, un emporio dalla vetrina indistinta e poco luminosa, dove per cercare qualche cosa ti deve spingere la curiosità ad entrare e rovistare senza ordine e metodo.
Non c’è che dire, un nome che promette bene.
E mantiene le promesse, poi, nel vedere all’opera questo gruppo che un giorno invitai nella mia taverna spaziale.
N’è passato di tempo da allora, i Kinkaleri hanno calcato le scene di mezzo mondo, attraversato anche spazi extrateatrali, sempre proponendo una cifra espressiva che, sui temi da loro scelti, alle risposte preferisce le domande, alle certezze il dubbio.
Foto di scenaOra, propongono un nuovo spettacolo trovando un riferimento progettuale in uno dei più famosi classici del repertorio teatrale; titolo e sottotitolo: Alcuni giorni sono migliori di altri fantasmi da Romeo e Giulietta.
Dopo il lavoro negli scorsi anni sulla rappresentazione come forma di spettacolo libera da un unico senso narrativo, questa performance interpretata da Giulio Nesi e Filippo Serra segna – come informa un comunicato web – l’inizio di una nuova fase creativa dettata dalla voglia di misurarsi con strutture drammaturgiche sempre più complesse.
Ed ecco quel testo shakespeariano – scritto presumibilmente fra il tra il 1594 e il 1596 – già frequentato in teatro in una pluralità di modi, che serve da spunto per un viaggio enigmatico dentro un lenzuolo, due buchi per gli occhi, che copre un corpo, o meglio, un fantasma. E – conclude la dichiarazione dei Kinkaleri – “un fantasma non va mai da uno psicanalista”.
E fa benissimo, aggiungo io.
Vista la presenza di due maschi in scena, e non risultando un vissuto di Giulietta en travesti, viene da chiedersi che fine abbia fatto la sfortunata ragazza veronese.
Per saperlo, non resta che vedere lo spettacolo: debutta in prima nazionale a Prato il 4 giugno, sarà successivamente presentato al Festival di Santarcangelo, per poi proseguire in tournée.

Maggiori informazioni sul sito web della Compagnia.


Mi compro una Gilera


Ci sono pochissimi scrittori italiani d’oggi che leggo con piacere (tutti assai diversi l’uno dall’altro), fra questi c’è Paolo Nori.
Insieme, tempo fa, compimmo anche una traversata spaziale.
E più ancora, fra i suoi libri, m’è piaciuto questo Mi compro una Gilera pubblicato di recente da Feltrinelli.
N’avevamo avuto una parziale anticipazione in Tre discorsi in anticipo e uno in ritardo
Perché mi piacciono le sue pagine? Presto detto. Perché è uno dei pochissimi – e non soltanto fra quelli che scrivono adesso – ad usare l’io narrante con una lingua diretta che scandisce i ritmi e le emozioni del pensiero creando un monologo, interiore o esteriore non so decidermi, che coinvolge il lettore, non lo lascia sulla porta di chi sta parlando costringendolo ad appizzare le orecchie per meglio sentire, no, quella parlata, leggendola, la senti dentro di te come stereofonia del sentimento della vita.
Perché mi è piaciuto questo suo più recente libro? Perché non è un romanzo (genere che oggi mi pare pressoché insensato frequentare; sono fra quelli che ritengono lo abbia seppellito Queneau con “Esercizi di stile”) pur essendo narrazione e ritratto di un personaggio: Nori, protagonista di sé stesso.
In Mi compro una Gilera, si parla di molte cose, esistenziali e storiche, letterarie e politiche (e sul politico-impolitico c’era già stato un gran suo bel libro Noi la farem vendetta), attraverso episodi di minima cronaca s’approda all’interpretazione di un’epoca e dello sguardo che l’osserva.
E’ un libro che rinuncia a trame per narrare scenari, il rapporto micro-macro, continuamente proposto, investe più vissuti privati e pubblici, la memoria a furia d’esercitarsi su emotività e raziocinio si disfa non senza qualche clownerie.

A Paolo Nori ho chiesto: su quale pista corre questa Gilera nella storia della tua produzione?

La critica principale che è stata fatta ai romanzi che mi han pubblicato, è che sono tutti uguali. Se dovessimo dar retta a questa critica, Mi compro una Gilera, rispetto agli altri libri che mi han pubblicato, è uguale. Io non credo che sia così, ma io ho un punto di vista molto parziale, che mi dovrebbe impedire, anche, in un certo senso, di parlar di queste cose. E io, tra l'altro, non solo per i romanzi che hanno pubblicato a me, ma per tutti i romanzi in generale, penso che sia quasi impossibile, riassumere un romanzo. Perché la sostanza, di un romanzo, secondo me, è in quello che non c'è scritto, e non c'è scritto perché non si può dire. Tuttavia, poi, dei romanzi si parla, si giudicano, si compendiano, se ne scrivono quarte di copertina, che sono poi anche loro un po’ dei riassunti, e di Mi compro una Gilera così come degli altri. Allora forse la cosa più sensata, mi viene da dire, da fare, per dire in dieci righe qualcosa di questo romanzo (e siamo forse già oltre), è riportarne la quarta di copertina, che è questa: “Avete mai fatto caso al fatto che oggi, in Italia, c'è pieno di gente che quarant’anni fa era atea e comunista adesso son diventati cattolici? Io, non lo so, se trovassi qualcuno che quarant’anni fa era cattolico e adesso è ateo e comunista, sarei curioso di andarci a cena insieme, con uno così, invece non esco mai di casa, praticamente.

Per una scheda sul libro: QUI.

Per ascoltare in voce l’autore: CLIC!

Paolo Nori
“Mi compro una Gilera”
Pagine 127, Euro 10:00
Feltrinelli


Reliquie dei sogni


Ad Asti, la Fondazione Eugenio Guglielminetti, in collaborazione col Comune, promuove una serie di mostre e incontri tesi ad approfondire i temi espressivi degli anni ’60 da dove (si pensi, ad esempio, a Fluxus) derivano molte delle successive tendenze fino a lambire le esperienze elettroniche dei nostri giorni.
Tra le iniziative, un omaggio espositivo a Valerio Miroglio (Cassano Magnago, Varese 1928 – Asti, 1991) intitolata Reliquie dei nostri sogni e dedicata ad opere – dipinti, tecniche miste e monotipi su carta – realizzate fra il 1946 e il 1968.
La mostra è curata con passione e competenza da Marida Faussone - che s’è avvalsa dell’allestimento di Giuseppe Orlandi - alla quale molto dobbiamo della riscoperta e della storicizzazione di questo singolare artista il quale all’impegno politico che lo contraddistinse unì, tra i primi in Italia, un rifiuto allo zdanovismo e al realismo socialista (…ah, l’avessero ascoltato! – perché poi, come s’è visto gli hanno dovuto dato ragione quei critici della miope sinistra che un tempo l’avversarono) anticipando movimenti che esploreranno i territori dell’intercodice.
La sua opera s’articolò su più orizzonti: dalla pittura alla scultura, dalla fotografia alla grafica, dalla letteratura alla radio.
Valerio MiroglioMiroglio (accanto, in una foto scattata ad Asti nel ‘76), ha percorso in solitudine un tracciato espressivo meditato e gioioso, ragionato ed emozionato, attraversando stili e tecniche che lo portarono a riscoprire e rivisitare anche antiche forme visive, come ad esempio l’arazzo, passione che condivideva con Mirò; chissà, forse quelle quattro lettere iniziali comuni ai loro nomi contengono qualche epifania.
Allorché anni fa Rossana Bossaglia fu l’ordinatrice di un’antologica, scrisse fra l’altro … Miroglio arrivò assai presto a una forma di citazionismo che, sulla matrice dada, si spingeva non soltanto verso operazioni dissacratorie e ironiche, bensì verso il concetto dell’arte come obbligatoria rivisitazione, del limite dell’arte, e della sua vivibilità solo mercè l’utilizzo di feticci.
In una conversazione con la Bossaglia, anni dopo quella mostra, parlando di Miroglio, ad un tratto mi disse che una delle cose che più l’aveva colpita era stata la capacità di trasferire considerazioni e procedimenti di tipo scientifico in linguaggio artistico. E qui s’arriva ad un punto centrale dell’opera di Valerio che, ancora una volta, è stato in anticipo sul modo odierno di fare scambio fra arte e scienza, espressività e tecnologie.
Che cosa sarebbe stato l’Identigod (opera nella quale il suo volto va in modo birichino a fondersi con quelli di grandi leaders religiosi e politici, fino a confondersi con l’immagine di Dio) se avesse potuto praticare (e non c’è dubbio che l’avrebbe praticata) la tecnica del morphing sul web?
Discepolo dell’effimero, maestro di dispersione, uomo dal pensiero elegante, Valerio mai curò la promozione di se stesso. Questa mostra, e altre che spero verranno, fa recuperare una figura che molto ha dato e troppo ci manca.

Valerio Miroglio
“Reliquie dei nostri sogni”
Fondazione Guglielminetti
Corso Alfieri 375, Asti
Info: 0141 – 399 466; 0141 - 43 74 54.
Fino al 20 giugno 2008


Il Carnera tradito


Non sono pochi i film brutti in circolazione in questi giorni, ma nessuno potrà strappare il primato a Carnera di Renzo Martinelli.
Primo CarneraE’ una incompleta biografia del pugile italiano nato a Sequals nel 1906 e lì morto a 61 anni nel 1967; incompleta perché, con opinabile scelta, non è raccontata l’ultima parte della vita del campione. In verità, di Carnera non è raccontata bene neppure la sua vita che trova spazio sullo schermo, perché è del tutto clamorosamente trascurato, solo per dirne una, lo sfruttamento truffaldino (non inferiore moralmente a quello operato dai disonesti managers del pugile) che della sua figura fece il fascismo per poi, allorché le fortune sportive del boxeur declinarono, rapidamente abbandonarlo; ormai più non serviva, anzi si temeva che le sue sconfitte riversassero onta su Mussolini.
Dice Martinelli all’Agi: In ‘Carnera', come negli altri miei film, ripropongo un tema che ritengo fondamentale: l’assoluta necessità di riscoprire la nostra identità e i nostri valori, che non vuol dire intolleranza ma avere consapevolezza della nostra cultura.
Soprattutto in questo momento in cui l’Europa ha smarrito la propria identità e ha abdicato ai propri valori cristiani, fondanti di questa civiltà
.
Smarrisce l’identità anche Carnera, perché ben si sa che era un uomo buono, ma non un pirla come, invece, è raffigurato nell’infelice pellicola.
E, sempre ispirandomi alla dichiarazione del patriottico regista, ammetto tutta la mia fondamentale intolleranza verso fumettoni televisivi di tal sorta e reclamo l’assoluta necessità che tali film ci siano risparmiati, e questo per salvaguardare i valori fondanti dell’arte cinematografica.
Anche sul piano della rappresentazione pugilistica la figura di Carnera è tradita, perché come ha scritto uno che se n’intende - il pugile Vincenzo Cantatore su Repubblica – quel peso massimo non boxava come nel film dove lo fanno assomigliare stilisticamente a Rocky Balboa.
Concludo con un appello ai Governi del mondo: fate un decreto legge che impedisca a chiunque, dopo “Toro scatenato”, di girare un biopic su di un campione del pugilato
E questo anche per salvare l’integrità di qualche dissennato che si proponesse tal progetto: rischia di finire ko prima del suono del secondo gong, com’è accaduto a Martinelli.

“Carnera”
Regìa di Renzo Martinelli
Protagonista: Andrea Iaia
Uscita in Italia: 9 Maggio
Durata: 123’00”
Distribuzione Medusa


Nessuno li ha visti


Il 25 maggio, è la Giornata internazionale dei bambini scomparsi che per il terzo anno consecutivo ottiene il sostegno della Commissione europea, mantenendo inalterato il messaggio che vuole trasmettere: non dimenticare tutti i bambini che, nel mondo, risultano spariti, e diffondere speranza e solidarietà ai genitori che non hanno notizie dei loro figli e non sanno dove si trovano o che cosa sia loro capitata.
Un appuntamento molto importante, poiché al di là dei fatti di cronaca che fanno balzare in prima pagina solo alcune storie, il fenomeno di questi bambini presenta dimensioni allarmanti, ovunque.
Il Centro europeo per i bambini scomparsi e sfruttati a scopo sessuale cita per il 2005 ben 2438 nuovi casi in Europa, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente.
Le stime statunitensi del Department of Justice’s Office of Juvenile Justice and Delinquency Prevention indicano che nel 1999 è stata segnalata la scomparsa di 797.500 bambini.
Perché spariscono? Dove vengono condotti? Chi li porta via? E a quale scopo?
L’editrice Newton Compton manda in libreria Il libro nero dei bambini scomparsi che propone una risposta a questi e ad altri inquietanti interrogativi analizzando tanti casi di minori sottratti alle proprie famiglie.
In collaborazione con la Polizia di Stato, l’Interpol e i Ministeri dell’Interno e Giustizia, l’autrice Caterina Boschetti – giornalista, nata a Cesena nel 1977, per la Newton Compton pubblicò l’inchiesta Il libro nero delle sette in Italia ed è stata ospite allora di questo sito con una sua dichiarazione QUI – s’addentra nella selva delle ragioni nascoste dietro la sparizione di un minore: dalla fuga volontaria al sequestro di persona, dal traffico d’organi alla pedocriminalità. Il risultato è un lavoro che superando i confini nazionali ed europei offre nuovi contributi al tema dell’infanzia negata. Una situazione in cui, tra tentativi di estorsione ed episodi di riduzione in schiavitù, il bambino diventa il principale bersaglio di forme nuove e spietate di criminalità.

Ecco l’Indice del libro che sarà dal 29 maggio in libreria:

Rapimenti a scopo estorsivo: Augusto De Megni e Farouk Kassam,
La sottrazione di minore da parte di un genitore: il caso Tullio Brigida
Pedocriminalità: Simone Allegretti, Lorenzo Paolucci, Silvestro delle Cave
Gli ammazzabambini: il Mostro di Marcinelle e il Mostro di Foligno
Il bambino come merce: il caso di Angela Celentano
Omicidi, vendette e ricatti: il caso di Denise Pipitone, Tommaso Onofri e la
nebulosa vicenda di Emanuela Orlandi
I bambini vittime di guerra (dal Ruanda al Libano, dall’Iraq all’Afghanistan i bimbi dimenticati)

Il volume s’avvale in Rete di un proprio sito web.

Caterina Boschetti
“Il libro nero dei bambini scomparsi”
Pagine 480, Euro 12:90
Newton Compton


Nessun porco è signorina


Esistono scrittori che riescono a lanciare messaggi sapienti e amari divertendo i lettori; una di queste (rare) penne appartiene a Marcello D’Orta.
Chi non ricorda Io speriamo che me la cavo? Uno dei maggiori successi editoriali italiani degli ultimi vent’anni.
In quelle pagine sfilava un’umanità infantile che scriveva temi sgrammaticati ma con corretta grammatica del pensiero svelando aspirazioni e drammi di ragazzi in una situazione sociale “sgarrupata” e birbante.
Libro certamente divertente, ma che conteneva più di un segnale su come le cose potevano precipitare, com’è accaduto; su come una plebe non sia riuscita a farsi popolo, a trovare mai una via di riscatto – vecchio dramma di Napoli che va dal Cardinale Ruffo e i suoi sgherri fino a quel rozzo protoberlusconi che fu Achille Lauro, e arriva all’odierno fallimento delle nuove amministrazioni di sinistra.
Nel tempo, altre produzioni di D’Orta si sono succedute che pur non avendo avuto la stessa eco di quella sua più famosa opera (ma la prima edizione di D’Orta va sempre esaurita in un lampo), io le considero preziose. Come Fiabe sgarrupate oppure quell’allegro e pur tenebroso viaggio tra i misteri di Napoli che è Nero napoletano di cui Marcello nel corso di una traversata spaziale che facemmo insieme mi disse: “A Napoli ho avuto la culla e qui ho (già) la tomba. Ho voluto mostrare una città diversa, non quella classica “solare”, ma quella “lunare”, la millenaria città ricca di miti, misteri e leggende. Un libro che è una vera e propria guida (tant'è che ogni capitolo è corredato da piantine stradali, disegnate dal sottoscritto) e anche un'autobiografia”.

Ora, un nuovo, godibilissimo, lavoro di D’Orta è in libreria, s’intitola Nessun porco è signorina nuovi temi dei bambini napoletani.
Il volume nasce da una sua intuizione amorosa e birichina: far riflettere ragazzi di Napoli sulla presenza degli animali intorno a noi – sul rapporto che abbiamo con loro, sulla nostra visione di questi esseri – invitandoli a scrivere temi sull’argomento.
N’esce un corollario di pensieri espressi con incerta grammatica e avventurosa sintassi (anche da qui divertimento assicurato per i lettori), ma di grande civiltà.
La corrida, la caccia, la vivisezione, sono condannate in un modo spontaneo, a botta rapida che talvolta sfiorano battute degne di Totò.
Ho invitato qui D’Orta a fare quattro chiacchiere sul libro.
In un passaggio, lo sentirete sperare che gli adulti considerino un giorno anche gli animali come creature di Dio. Io, da ateo quale sono, preferirei che li considerassero creature della Natura. Ma, siccome amo gli animali quanto li ama Marcello, sono pronto a dire (e il sacrificio per me è grande, credetemi!): se per non straziarle c’è bisogno di considerarle creature di Dio, ebbene le si consideri pure tali, uffà!
Il libro nasce da un particolare progetto ideato da D'Orta che... ma è meglio che sia lui a spiegarlo.

Questo libro nasce con due finalità: sensibilizzare gli adulti sul tema-animali, e sostenere la Lav nelle sue battaglie. Sensibilizzare gli adulti vuol dire indurli a considerare gli animali come creature di Dio, e per tanto meritevoli di rispetto. Oggi più che mai queste creature sono oppresse dall'uomo: molte specie sono in via di estinzione non per selezione naturale ma per le stragi che ne fanno gli uomini. Dalla caccia alla vivisezione, dallo sfruttamento a fini ludici (circhi) alla corrida, ad altro ancora. Gli animali sono diventati le nostre vittime preferite.
La seconda finalità è aiutare economicamente la Lav nelle sue battaglie animaliste. Una percentuale sulle vendite del libro andrà infatti a questa meritevole associazione
.

Sono trascorsi quasi vent'anni dai temi scritti dai ragazzi napoletani di "Io speriamo che me la cavo". Sul piano antropologico, quali consonanze o diversità hai notato in questi ragazzi d’oggi nella tormentata Napoli dei nostri giorni?

I ragazzi di "Nessun porco è signorina" sono quelli di "Io speriamo che me la cavo": Arguti, ironici, attenti alla realtà che li circonda. Da questo punto di vista non è cambiato nulla. Però nei temi di "Io speriamo che me la cavo", essi prendevano le distanze dalla camorra (a quel tempo si fronteggiavano gli uomini di Cutolo e della Nuova Famiglia), di recente, studenti del quartiere Miano hanno scritto temi in cui inneggiavano alla camorra. Questo significa che qualcosa di terribile è accaduto, e si prospettano scenari estremamente pericolosi. Interi quartieri si armano a difesa di scippatori e boss, e i ragazzi finiscono con il considerarli eroi da imitare.

Leggetelo questo libro, vi divertirete e sosterrete una giusta lotta. E regalatelo pure, vi saranno grati.

Per una scheda sul volume: CLIC!

Marcello D’Orta
“Nessun porco è signorina”
Pagine 129, Euro 14:00
Mondadori


Blue Box


La Galleria Civica di Modena , diretta da Angela Vettese, continua a proporre alcuni fra gli aspetti espressivi più vivaci della scena delle arti visive europee.
Lo fa stavolta con l’austriaco Heimo Zobernig (1958, Mauthen, Carinzia) la cui ricerca si e' sviluppata, dalla prima metà degli anni Ottanta sino ad oggi, intorno agli interrogativi relativi al ruolo dell'arte ed al rapporto che essa sviluppa con il contesto all'interno del quale viene presentata.
La mostra, a cura di Cornelia Lauf, organizzata e prodotta dalla Galleria Civica e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena , s’articola in due progetti: l'installazione di libri d'artista e quella di un "blue box" creato espressamente per gli spazi espositivi della Palazzina dei Giardini, e, quindi, si tratta di un lavoro da considerare quale site specific.
Il "blue box" è un dispositivo impiegato per le produzioni televisive. Crea un effetto ottico attraverso il quale lo sfondo che si intende riempire con un altro contenuto, se pitturato di blu, scompare per poi essere sostituito da altro materiale video in fase di montaggio. In questo modo emerge uno spazio negativo-positivo, l'invisibile si rende visibile. A Modena i materiali della struttura del "blue box" alludono all'impalcatura e al tessuto che recentemente ricoprivano la facciata dell'antica serra ducale nelle fasi della sua ristrutturazione.
Precedenti installazioni del "blue box" avvenute nelle gallerie di Varsavia, Baden e Chicago sono rintracciabili nell'installazione modenese ma questo intervento intende rivolgersi espressamente allo spazio e alla storia della Palazzina.
Ad accompagnare la mostra, un portfolio contenente tre libri d'artista ideati da Zobernig e prodotti dalla Galleria Civica di Modena in collaborazione con Christophe Boutin e Onestarpress, casa editrice con sede a Parigi.
Le tre opere, di 64 pagine, sono raccolte in un cofanetto di cartone. I primi due volumi propongono precedenti progetti e il terzo, invece, è un documento della mostra, con testi critici della curatrice Cornelia Lauf, Angela Vettese, e Laura Bruni.
Heimo Zobernig vive e lavora a Vienna. Ha esordito lavorando per il teatro e le arti performative. Il suo lavoro è stato esposto a Documenta IX e Documenta X (1992, 1997), alla Biennale di Venezia (1988, 2001) e in numerose mostre personali e collettive, tenutesi, tra l'altro, a New York, Nizza, Kunsthalle di Berna, Wiener Secesion di Vienna, Renaissance Society University of Chicago, Galleria Portikus di Francoforte, Museum Moderner Kust di Vienna, lK21 Kustsammlung Ständehaus di Düsseldorf.

Ufficio Stampa Galleria: Cristiana Minelli: 059 – 203 2883; galcivmo@comune.modena.it

Heimo Zobernig
“Blue Box”
Galleria Civica di Modena
Palazzina dei Giardini
Corso Canalgrande
Ingresso gratuito
Fino al 20 luglio 2008


Il purgatorio dei laici


Fra i tre immaginari regni d’oltretomba, è proprio il Purgatorio ad essere il più moderno, fu inventato al Concilio di Lione nel 1274, prima non c’era. Servì a rimpinguare stremate casse ecclesiastiche nelle quali finivano le indulgenze. Un paio di secoli dopo, il frate domenicano tedesco Johann Tetzel, come un piazzista che vende balsami per i calli, prometteva urlando nelle piazze “Appena la moneta tintinna nella cassa, l’anima balza fuori dal fuoco!” e Martin Lutero a sentirlo s’incazzava di brutto.
Fu la cantica dantesca un grande spot per il Purgatorio.
Si pensi a Manfredi quando dice “che qui per quei di là molto s’avanza”, ossia che oboli e preghiere potevano far salire in Paradiso anche uno scomunicato pentito come lui.
Ma lasciamo le anime purganti ed occupiamoci di un piccolo grande libro: Il purgatorio dei laici Critica del neoclericalismo; il titolo del volume usa quel luogo diabolico per indicare il purgatorio, tutto terrestre, vissuto in questi anni dai laici spesso ridotti in ginocchio (espressione che ricavo da un altro titolo, di Carlo Augusto Viano).
N’è autore Paolo Bonetti, docente di Bioetica nella facoltà di Scienze dell'Università di Urbino; è pubblicato dalle Edizioni Dedalo.
L’autore avverte che il volume è un Journal che raccoglie scritti composti su occasioni d’attualità fra il 1996 e il 2007. Ora di un Journal, si sa, importanti sono le date, ma qui c’è la prima, ragionata, birichinata di Bonetti: le toglie tutte. Perché? Perché scrive: “… i problemi della costruzione di un autentico Stato laico in Italia sono rimasti gli stessi, anzi si sono aggravati […] tutto è rimasto immobile, nonostante i cambiamenti apparenti, nella politica di una classe dirigente che non riesce a diventare europea”. Ognuno dei pezzi è perciò “ancora perfettamente comprensibile senza inutili note”.
Vero. Vero e tragico.
In Il purgatorio dei laici sfilano i tanti vizi, tic e tabù di una società pesantemente condizionata dal Vaticano; né vengono risparmiate critiche ai tanti falsi liberali di destra e di sinistra.
E’ un libro che mi ha fatto pensare quanto poco, in Italia, dobbiamo sorprenderci dell’esistenza dei cosiddetti “atei devoti” perché questo è un paese che sull’ipocrisia, sul tartufismo basa moltissimi rapporti sociali, è un paese in cui difensori della famiglia unita si proclamano tre leaders politici del centrodestra ognuno dei quali ha più famiglie in carico.
Un paese sul quale già nel 1824 Leopardi scriveva nel ‘Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’italiani’: “Le classi superiori d’Italia sono le più ciniche di tutte le loro pari nelle altre nazioni. Il popolaccio italiano il più cinico dei popolacci […] Gl’italiani hanno piuttosto usanze ed abitudini che costumi".

Ho chiesto a Paolo Bonetti: la nostra società è del tutto catatonica, immobile?

Ci sono settori della società italiana che si sono mossi, in sintonia con i cambiamenti dell'economia, dei rapporti sociali e di un costume che si è fatto più europeo, più libero e meno gravato da antichi tabù. Quella che si è mossa molto poco, nonostante il gran parlare che si è fatto, in questi ultimi anni, di seconda Repubblica (adesso, addirittura, si comincia a parlare di terza, speriamo con un esito migliore) è stata la politica, resa torpida da vecchie paure che generano soltanto vecchie idee. Tutti parlano di riforme e di riformismo, mentre, in realtà, la classe politica, di destra e di sinistra, insegue tenacemente tutti gli interessi corporativi, timorosa di perdere il consenso elettorale, anche se ha ormai perduto, forse irreparabilmente, quello morale.

Ma allora perché gli italiani continuano a votarla? Non è questa la dimostrazione che essi non sono migliori dei loro rappresentanti?

In questa domanda c'è del vero. Nella società italiana esiste uno squilibrio fra la vivacità intellettuale e la debole fibra morale, che si manifesta in una tendenza diffusa all'ipocrisia e al cinismo. E' una storia antica e si lega al particolare tipo di educazione religiosa che quasi tutti gli italiani ricevono fin dalla prima infanzia. Il cattolicesimo nostrano (ce ne sono altri diversi, si pensi a quello francese) non educa quasi mai al sentimento della libertà e della responsabilità individuale. Questo atteggiamento è all'origine anche delle nostre disgrazie civili. Battersi per la laicità delle istituzioni vuol dire promuovere una morale civica che sappia tenere assieme la rivendicazione dei diritti con l'assunzione dei doveri, che difenda tutte le libertà, ma insegni anche il rispetto della legge comune democraticamente votata. Gli uomini di cultura liberale si occupino meno delle beghe di partiti piccoli e grandi, e molto più di questioni sostanziali, come la scuola o il mondo dell'informazione: forse gli italiani, stimolati da chi ha il coraggio di manifestare apertamente le proprie idee, dimostreranno di essere più svegli di quanto non si creda.

Il volume si chiude con uno scambio epitolare fra Bonetti e Bobbio e un dialogo con il cattolico Sergio Belardinelli.
Scheda sul libro, indice del volume e biografia dell’autore: QUI.

Paolo Bonetti
“Il purgatorio dei laici”
Prefazione di Enzo Marzo
Pagine 218, Euro 15:00
Edizioni Dedalo


Creativa 2008


A Rignano sull’Arno, vicino Firenze, si è alla vigilia della IX edizione di Creativa ‘08, festival interdisciplinare che riunisce esperienze d’arte digitale, microeditoria, mail art, e altre produzioni nate nell’area del multicodice.
Ad ideare Creativa, nel 2000, e a guidarne ancora oggi la rotta è il poliartista Franco Focardi, per una sua biografia: QUI.
E a chi se non a lui (nella foto) chiedere lumi su che cos’è Creativa quest’anno?

Franco Piri FocardiCreativa: tre giorni di immersione totale nei linguaggi dell’arte contemporanea. I fili lasciati liberi di scorrere si stanno per riannodare carichi di nuove esperienze creative: performance, giovani artisti, energie in movimento, desiderio di incontro e di comunicazione. Oltre 60 artisti saranno presenti, dall’Italia e dall’Europa. La voglia di un’arte totale che coinvolga tutto il nostro essere nella consapevolezza che l’uomo ne è il centro è oggi ancora più viva in una vita che altrimenti scorre a pezzi divisa per settori, sempre più frammentata, specializzata ma anonima ed insoddisfacente.
Il pubblico non troverà certo a “Creativa” le risposte ai problemi della contemporaneità ma qui almeno proverà a immergersi dentro ed a vivere sulla pelle anche le contraddizioni che la ricerca comporta. Se l’arte deve essere esperienza personale che la si provi direttamente lasciandosi coinvolgere! Se dobbiamo abbattere il muro che si è alzato tra lo spettatore e l’artista lo si faccia!

Per il programma: CLIC!

“Creativa 2008”
Rignano sull’Arno
Dal 23 al 25 Maggio


Sale e Arte


Lo “Spazio Arte Legnano” ha per acronimo Sale e per vieppiù indicare la sapida ispirazione che lo guida ha lo slogan più sapore all’arte.
Due le mostre in corso.
Di Leonardo Cremonini, bolognese, nato nel 1925, sono raccolte circa settanta opere realizzate negli anni della sua formazione all’Accademia di Brera tra il 1944 e il 1950.

Nella foto, Cremonini Nel suo atelier parigino fotografato nel 1963.

Flavio Arensi e Alberto Buffetti curano la mostra di quest’artista che ebbe elogi da Mario Sironi e piacque a Elio Vittorini.
Autore di una neofigurazione densa di enigmi e inquietudini, dopo temi espressionisti dal sapore surreale ha affrontato un complesso gioco di rimandi tra realtà e immaginazione.
Le opere in mostra aiutano a capire le origini e gli approdi del suo percorso espressivo.


Marco Mazzoni (Tortona, 1982), proposto da Flavio Arensi, è un disegnatore che lavora con matite e le sue immagini con teste precisate e corpi da ectoplasmi fanno pensare a un fumetto d’oggi realizzato con personaggi d’un tempo lontano.
Titolo dell’esposizione: “Antropologia di un cannibale”.

Il catalogo per entrambe le mostre è dell’Editore Allemandi.
Ufficio Stampa: Elisabetta Benetti, 0331 – 47 12 44

Leonardo Cremonini
Marco Mazzoni
Palazzo Leone da Perego
Legnano, via Gilardelli 10
Fino al 6 luglio 2008


ArtaPart


Da tempo seguo con interesse il lavoro di Barbara Martusciello perché credo che sia tra le più vivaci, e intellettualmente oneste, presenze nello scenario della critica d’arte oggi.
Barbara MartuscielloTempo fa è stata anche ospite della mia taverna spaziale e – come vedete in foto – attraversò le vie cosmiche senza casco, roba da megamulta galattica.
La sapevo impegnata nella sezione Creatività_Arti Visive del periodico on line Agor@ Magazine, anche al Museo del Design Contemporaneo Virtuale, inoltre, alle prese con la stesura di tre libri e nella preparazione di alcuni progetti espositivi sia per gallerie private sia per spazi istituzionali, ma che avesse trovato anche il tempo per essere caporedattore di un nuovo webmagazine mi mancava fantasia per immaginarlo.
E’ nata in Rete, infatti, Artapartofcult(ure) che la vede lì al lavoro.
Pubblicazione dal taglio veloce ma non per questo meno pensoso, con bella grafica, buonissima navigabilità, e una ricca documentazione su quanto accade e succederà nelle arti visive.

Perché c’è bisogno di una nuova rivista d'arte telematica? – si chiede Barbara – La risposta, una delle possibili risposte, è: perchè ancora non siamo concorrenziali, in questo settore specialistico on-line rispetto ad altri paesi; perchè Internet è ancora sotto-utilizzato nel nostro ambito; perchè in questo contesto più c'è, meglio è, se è di qualità; perchè può portare nuovo dibattito in un settore in espansione ma ancora piuttosto chiuso; fornire la possibilità di un ulteriore punto di osservazione, un'altra finestra, una voce nuova e "rosa" che, se non fa la differenza, fa certamente "bene", se ben assestata.

La presenza “rosa” che costituisce il team direttivo di Artapartofcult(ure) è quanto mai autorevole.
L’editrice è Raffaella Losapio che guida da tempo e con successo studio.ra (attualmente ospita Gialloperugino di Nello Teodori) ed è una protagonista della scena artistica di ricerca.
Direttrice Responsabile: Isabella Moroni, giornalista, critica teatrale e letteraria, fondatrice di SOS Razzismo Italia e ideatrice di tante riviste in Rete.
Responsabile web e immagine è l’artista Giampaola Marongiu.
Il tutto è prodotto dalla Galleria studio.ra e KGfree.com.

Cin Cin!


Neurouverture


Quando esce un nuovo libro di Oliver Saks rappresenta un duplice avvenimento: scientifico e letterario. Perché questo grande neurologo inglese (nato a Londra nel 1933, vive e lavora negli Stati Uniti), oltre a indagare particolari, rari, fenomeni che investono il rapporto tra sensi e cervello, scrive in modo tanto raffinato che le sue pagine sono di godibilissima lettura e hanno il pregio di fare comprendere complessi fenomeni psichici anche ai non addetti ai lavori.
Dal famoso “Risvegli” del 1973, passando per “L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello” (1985), “Un antropologo su Marte” (1995), “Zio Tungsteno - Memorie di un'infanzia chimica” (2001), tali virtù sono riscontrabili anche in questo recente Musicofilia – tradotto in modo eccellente da Isabella Blum – che Adelphi ha pubblicato di recente.
Da tempo non si crede più all'effetto Mozart, per cui sarebbe bastato ascoltare brani di quel compositore per raggiungere grandi prestazioni intellettuali (... pare... ma ssst!... che l’accertamento scientifico della vanità di quella teoria risalga a quando l’Onorevole Bondi, invano, tentò l’esperimento ascoltando più volte l’opera omnia di Mozart, nulla ricavandone, tanto da passare al più confacente per lui ascolto d’Iva Zanicchi; ma questo Sacks non lo scrive perché non lo sa), però la musica è di grande aiuto nello sviluppare il linguaggio, nel superare difficoltà dislessiche, riorganizzare movimenti del corpo alterati da patologie.
Una testimonianza italiana al proposito si trova QUI.
Nel descrivere storie cliniche da lui assistite, Oliver Sacks, anche in Musicofilia, impernia la sua trattazione sulla necessità di promuovere una scienza ed una clinica che, pur nel loro assoluto rigore, non trascurino la fondamentale attenzione alla "dimensione umanistica" riposta nel senso delle necessità e dei bisogni della soggettività umana.
Ecco un illuminante passaggio: … quando le neuroscienze si sono occupate di musica, lo hanno fatto concentrandosi quasi esclusivamente sui meccanismi neurali prestando – fino a pochissimo tempo fa – una scarsa attenzione agli aspetti affettivi dell’apprezzamento e della comprensione musicali. Eppure la musica è anche essenzialmente emozionale, proprio come è anche essenzialmente intellettuale.
Il volume – corredato da una poderosa bibliografia – è articolato in quattro parti: Tormentati dalla musica; Le dimensioni della musicalità; Memoria, movimento e musica; Emozione, identità e musica.
Nelle pagine scorrono casi che sembrano usciti da narrazioni della letteratura fantastica, ma riguardano uomini esistiti e fatti realmente accaduti, come – per citarne uno solo – l’episodio che racconta di un tale che mai aveva amato la musica classica, ma poi investito al volto da un fulmine, sopravvissuto all’incidente, approda in un nuovo mondo emotivo tanto da diventare concertista.
Attraverso una trattazione avvincente per osservazioni fatte e ipotesi di studio, Sacks dimostra come la musica coinvolga il cervello intero, interessandolo dal punto di vista emotivo, motorio e cognitivo. Fino ad assumere ruolo di protagonista in casi che sembrano ai confini della realtà.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Oliver Sacks
“Musicofilia”
Traduzione di Isabella Blum
Pagine 434, Euro 23:00
Adelphi


Scosse di Street Art


Nata al principio degli anni ’70 come Graffiti Art nei ghetti afroamericani statunitensi, proponendo segni d’opposizione sociale, oggi, evolvendosi nelle tecniche (dallo ‘sticker’ o adesivo allo ‘stencil’ o cartoncino ritagliato, passando per lo spray fino a videoproiezioni – un posto a parte occupa Shane Waltener: usa intarsiare muri con pasta di zucchero, glassa, coloranti commestibili, caramelle e così ha dolcificato pareti del Victoria and Albert Museum e della Tate Britain) e acculturandosi anche attraverso talvolta raffinate citazioni, è generalmente diffusa con il forse più giusto nome di Street Art.
In Italia, ha fatto discutere di recente anche un movimento per il restauro di quest’arte stradale che ha visto risorgere l'Arcangelo firmato Ozmo, pseudonimo dell'ottimo Gionata Gesi che è stato tempo fa anche ospite di questo sito nella Sez. Nadir.

Ora s’annuncia una grande mostra in Italia sul fenomeno sulla Street Art: un viaggio tra mondo underground e cultura overground; un terremoto creativo – non a caso si chiama Scala Mercalli – che scuoterà per due mesi l’Auditorium di Roma. Oltre cinquanta artisti, centinaia di opere, decine di quadri dai formati giganti, sculture di grande impatto scenografico, tanti progetti realizzati per l’occasione.
Curatore della mostra è Gianluca Marziani di cui mi sono occupato di alcune precedenti imprese già da anni fa, vedi QUI e QUI.
Adesso, Gianluca Marziani nel realizzare questo nuovo progetto è partito da una domanda: che cosa è accaduto dopo le esperienze del graffitismo? Quali fatti hanno determinato le nuove forme del writing metropolitano in una vicenda dalle molteplici articolazioni figurative?
“Scala Mercalli” intende, quindi, ragionare sui vari linguaggi che stanno diversificando l’incursione urbana negli spazi che una città contemporanea mette a (volontaria e involontaria) disposizione.
Lo fa in tre scosse ovvero in tre gruppi di date.
Dice il curatore: Scala Mercalli è una scossa progressiva dal cuore creativo. Il sisma riguarda le modalità d’intervento urbano ma anche la maniera con cui gli artisti ripensano il disegno e la pittura, linguaggi primordiali che si combinano ai rumori e agli odori della città odierna. Un mondo dove la critica sociale, il rigore etico e l’intelligenza concettuale si sposano con la potenza dei risultati estetici. Un progetto per ribadire il valore storico di un movimento spostaneo che si ritrova assieme su comuni riferimenti, creando una comunità ideale in cui le differenze avvicinano e danno omogeneità generazionale.

Ufficio stampa: Musica per Roma tel. 06-80241 – 231 – 228 – 261
ufficiostampa@musicaperroma.it

“Il terremoto creativo della Street Art Italiana”
A cura di Gianluca Marziani
Coordinamento Davide “Atomo” Tinelli
Auditorium Parco della Musica di Roma
Fino al 31 Luglio 2008


Umano troppo umano


E’ questo il titolo della terza edizione di “Fotografia Europea” – voluta dall’attivissimo Assessorato alla Cultura di Reggio Emilia guidato da Giovanni Catellani e sostenuto da una pluralità di Partners – dedicata quest’anno al Corpo indagato nelle sue molteplici declinazioni: antropologiche, sociologiche, estetiche fino a quelle forme che con il supporto di nuove tecnologie prefigurano il post-umano.
A questo proposito, mi piace ricordare un importante testo pubblicato da Meltemi l'anno scorso, Texture: manipolazioni corporee tra chirurgia e digitale di Emanuela Ciuffoli.
Felice è la scelta del titolo Umano troppo umano che esplicitamente cita quello nietzschano del 1878, “libro per spiriti liberi” in cui il filosofo tedesco allontanandosi sia da Schopenhauer sia da Wagner riflette su illuminazioni logico-scientifiche.
Conclusa il 4 maggio la prima parte di Umano troppo umano con una ricca serie di eventi animati da figure di rilievo internazionale (ad esempio: Derrick de Kerckhove, Umberto Galimberti, Adriana Cavarero, Giovanni De Luna), la mostra resterà aperta fino all’8 giugno.
Per una passeggiata nella photogallery: QUI.

Ad ideare e coordinare eventi e mostra è Elio Grazioli che Cosmotaxi già ospitò in occasione della pubblicazione Arte dal 1900 da lui curata per Zanichelli.
A Grazioli ho chiesto: quali gli aspetti che differenziano “Fotografia Europea” da altre manifestazioni nazionali simili?

Principalmente tre: il carattere monografico, cioè la forte coerenza di tutta la manifestazione intorno al tema scelto per ogni edizione: l’anno scorso “Le città e l’Europa”, quest’anno “Il corpo”. Non è così semplice richiamare tutti gli invitati e i partecipanti a confrontarsi con il tema e l’impostazione, il taglio, che indichiamo, ma la sua riuscita è garanzia di interesse dell’insieme della manifestazione.
Il secondo aspetto di originalità credo che sia poi l’apertura a scrittori e saggisti di diverse discipline attinenti al tema scelto, che non solo sono stati invitati a scrivere per il catalogo – che diventa, detto tra parentesi, ben più che un “catalogo” – ma a partecipare in prima persona agli incontri con il pubblico che hanno animato i quattro giorni seguenti la serata dell’inaugurazione.
Il terzo aspetto è quello della committenza ogni volta ad alcuni autori di opere prodotte per l’occasione e, almeno in parte, acquisite. Offrire possibilità di questo tipo a “giovani” autori non è cosa da poco, e d’altro canto la collezione di “Fotografia Europea” si sta arricchendo di anno in anno in maniera significativa e originale
.

Non solo performers quali Orlan, Stelarc, Stelios Arcadiou, Yann Marussich, usano il proprio corpo come esplorazione antropologica della fisicità. Penso, ad esempio, a quanto accade alla Genetic Savings and Clone che ha ispirato la nascita della BioArts Gallery alla quale si riferiscono gli artisti biopunk – come Dale Hoyt che n’è capofila - che considerano le biotecnologie una nuova forma estrema di Body Art. Come interpreti quest’interesse delle arti per una sorta di neocorpo?

Quello del corpo è tornato ad essere un argomento molto urgente oggi. Il corpo sta materialmente cambiando molto, in diversi modi: plastiche, biotecnologie, protesi sempre più raffinate e integrate nel corpo stesso, ma anche incidenza delle tecnologie del virtuale sulle nostre percezioni sensoriali, e altro ancora. Quello che abbiamo voluto affrontare noi, anche per circoscrivere il campo e non disperdersi in mille rivoli tematici, è stato principalmente invitare alla verifica sensoriale, “aptica in particolare, cioè tattile, come richiamo alla “concretezza” e all’“umanità”, come scandisce il titolo della manifestazione, a costo di rischiare di essere “troppo umani”.
La fotografia ha un ruolo importante in questo ambito, non solo di documentazione, di testimonianza dei cambiamenti e del punto di vista, ma anche come laboratorio di sperimentazione delle trasformazioni, con la funzione di recuperare e sperimentare attraverso l’immagine, cioè attraverso la vista, l’incidenza degli altri sensi, in particolare del tatto, che è il senso più vivo del nostro rapporto con le cose, con la loro sostanza, con la loro “presenza”
.

Ufficio Stampa: Ex Libris
mail: ufficiostampa@exlibris

Ufficio Stampa Comune di Reggio Emilia: Patrizia Paterlini
tel. 0522 - 45 65 32; mail: patrizia.paterlini@municipio.re.it

“Umano troppo umano”
A cura di Elio Grazioli
Per info: CLIC!
Reggio Emilia
Fino all’8 giugno ‘08


Nove arti in Festival


Il Fenice Festival nasce come un festival dedicato a nove arti, alle loro contaminazioni e ai loro incontri creativi.
E’ organizzato dal Comune di Poggibonsi, dalla Fondazione MPS e da Vernice Progetti Culturali.
Giunto alla sua terza edizione, si svolge presso il teatro Politeama di Poggibonsi.
E’ diretto da Michele Crocchiola.
Dopo aver ospitato Roger Corman, Peter Greenaway, Enki Bilal, Francisco Solano Lopez, Lawrence Ferlinghetti, Carlo Mazzacurati e tanti altri artisti italiani e internazionali, il "Fenice Festival" presenta quest'anno fra gli altri Alejandro Jodorowsky, Moebius, Marlene Kuntz, Daniele Biacchessi, Gaetano Liguori.
Molto attesa la prima assoluta di “Il gorilla” di Alejandro Jodorowsky. Al teatro Politeama: venerdì 16 maggio alle 21,30 in scena lo spettacolo teatrale del regista cileno tratto da “Relazioni per un'accademia” di Kafka.

Per il Programma, cliccare QUI.

Ufficio Stampa: ufficiostampa@verniceprogetti.it
Tel. 0577 – 27 21 23; Fax 0577 – 24 77 53

Fenice Festival
Poggibonsi (Siena)
Dal 13 al 18 maggio


Special per Futuro Presente


Cosmotaxi Special per Futuro Presente

Rovereto, 5 - 10 maggio 2008


Futuro Presente


Molti sono spaventati dal nuovo, a me terrorizza il vecchio.

John Cage


Futuro Presente: Maurizio Cau


Maurizio Cau, Dottore di ricerca in Studi storici a Trento, Presidente del Nuovo Cineforum di Rovereto, è uno dei Direttori artistici del Festival cui dedico questo Special.

A lui ho chiesto: quale il progetto e quale la finalità del programma di questa IV edizione di “Futuro Presente”?

L’edizione di quest’anno del festival intende indagare i rapporti tra arte e nuove tecnologie, con particolare riferimento agli sviluppi che il digitale ha avuto in ambito musicale, performativo e visuale. L’interazione tra creatività e tecnologia sarà osservata per mezzo di significativi omaggi ad artisti del calibro di William Forsythe, Ryoji Ikeda, Klaus Obermaier, Joshua Davis, cui seguiranno incursioni nelle forme più attuali e nelle tendenze più innovative della musica, del cinema e della virtualità. Uno spazio particolare sarà riservato a Studio Azzurro, il laboratorio di ricerca artistica che ormai da 25 anni si occupa di installazioni multimediali, linguaggi e nuove tecnologie, spaziando dalla grafica all’animazione, dalla fotografia al cinema.
Accanto alla dimensione performativa e spettacolare condensata in concerti, proiezioni, spettacoli e installazioni, sono previsti numerosi incontri con esponenti di rilievo che da anni riflettono sul ruolo della tecnologia in ambito artistico e sulle mutazioni delle strutture della comunicazione e delle relazioni sociali causate dallo sviluppo tecnologico; ad esempio, ci saranno incontri con Derrick de Kerckhove, Peppino Ortoleva, Domenico Quaranta, Maria Grazia Mattei, Lelio Camilleri, Matteo Bittanti)
.

Mi pare che molto del programma, giri sull'asse musica/cinema. Perché tale scelta? E su quali cursori si muove?

Sì, una componente importante di quest’edizione del festival è costituita dall’intreccio tra musica e cinema o, più in generale, tra musica e arti visuali. In ambito artistico sono sicuramente due spazi in cui il dialogo con lo sviluppo tecnologico e con il progresso delle ricerche in campo digitale si è manifestato con la forza maggiore. Abbiamo scelto in particolare di riservare la seconda serata di ogni giornata a concerti in cui l’elettronica cerca di disegnare un nuovo spazio sonoro con cui avvolgere frammenti più o meno noti della storia del cinema. Spesso le classiche rimusicazioni dei film si limitano a riproporre una trama sonora di accompagnamento alla pellicola. Noi ci siamo sforzati, commissionando progetti ad importanti artisti dell’elettronica di ricerca, di far interagire la dimensione visuale del cinema e quella musicale dell’elettronica per dare vita ad una serie di spettacoli che non siano semplici concerti né semplici visioni. Si tratta infatti di rimontaggi di materiale della classicità cinematografica, scanditi da una base sonora che non rimanda alle trame musicali originarie. Tutte le performances musicali saranno in ogni caso accompagnate da allestimenti visuali, non necessariamente di derivazione cinematografica, a dimostrazione di quanto l’asse musica/arti visive sia al centro della programmazione di quest’anno.


Futuro Presente: Team e Programma

Futuro Presente è organizzato da Incontri Internazionali di Rovereto, Nuovo Cineforum Rovereto, Dissonanze Armoniche e realizzato con la collaborazione del Mart, Museo d'Arte contemporanea di Trento e Rovereto.


L’organigramma completo dello staff di “Futuro Presente”: QUI.


Per il programma: CLIC!


Futuro Presente


Lo sostengo fino al rogo escluso.

Francois Rabelais


Futuro Presente: Luigi Baresi


Dopo due incontri al Mart di Trento (vedi Programma), lo storico Studio Azzurro – da venticinque anni protagonista in Italia e all’estero di creazioni legate ai linguaggi delle nuove tecnologie – proporrà dal crepuscolo a notte fonda: Tracce e partecipazione videoinstallazione urbana per facciate storiche, sussurri, testi e immagini, realizzazione ideata proprio per il Festival ‘Futuro Presente’.

A parlare di Studio Azzurro, ho invitato Giuseppe Baresi che dal 1982 al 1986, vale a dire nei primi anni d’attività dello Studio, vi ha collaborato a tempo pieno.
Successivamente, lo troviamo regista e direttore della fotografia.
I suoi video e film, spesso al confine tra documentario e videoarte, trattano poeticamente i temi dello spazio e del viaggio.
Dal 1985 inizia ad alternare l'attività di direttore della fotografia a quella di filmmaker e produttore indipendente. Contemporaneamente approfondisce alcune sue particolari linee di ricerca: il diario di viaggio, i making-of di cinema e la documentazione d'eventi teatrali e di danza indagati attraverso una personale ottica espressiva.
Con i suoi film/video e documentari di creazione ottiene vari premi ed una costante presenza nelle principali rassegne video e cinematografiche internazionali.
Insegna presso l'Accademia di Belle Arti di Brera - Dipartimento Arte e Media, tiene dei Corsi e Master sul cinema documentario e non-fiction per la Scuola di Cinema Televisione - Nuovi Media di Milano e per lo IED Istituto Europeo di Design.

Creazione di Studio AzzurroEcco quanto Giuseppe Baresi ci ha detto.


Nonostante la loro precisione le immagini di Studio Azzurro - prodotte nel corso di oltre 25 anni - non hanno il "peso" dell'essere definitive, di chiudere.
Lasciano invece molte aperture e domande. Questa è una loro particolare qualità.
Raccontano di paesaggi, stati d'animo, corse, nuotate, voli e pensieri.
Che sono poi condizioni e azioni del vivere così provvisorie, ma cariche dell'esperienza
percepita in chi la sa osservare.
Forse le finalità espressive di cui si parla e ci s’interroga sono proprio quelle di lasciare delle tracce, delle impronte su strade diverse tra loro che aiutano a fermarci, pensare e ri-orientarci in mezzo al chiasso e alla inutile abbondanza di immagini e stimoli eccitati del vivere contemporaneo
.


Futuro Presente


L’arte è magia liberata dalla menzogna d’essere verità.

Theodor Adorno


Futuro Presente: Domenico Quaranta

Martedì 6 mag, alle 19:00, nella Sala Conferenze del Mart, si terrà un incontro con Domenico Quaranta.
Tra gli avvenimenti del Festival, è tra i più interessanti, il tema, infatti, è Il passaggio dal web 1.0 al web 2.0.
Domenico Quaranta (per il suo sito web: QUI ) è curatore e critico d’arte contemporanea.
Vive e lavora a Brescia, scrive su Flash Art ed è particolarmente attento alla Net Art e ai nuovi media digitali.
Non a caso è stato co-curatore di mostre come “Connessioni leggendarie. Net.Art 1995 – 2005 “
(Milano 2005) e “Holy Fire. Art of the Digital Age” (Bruxelles 2008) e affianca alla produzione editoriale in tema anche l’insegnamento con un corso di “Net Art” presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano.

A Domenico Quaranta, ho chiesto d’illustrare in sintesi il profilo del suo intervento.

Domenico QuarantaCon l'avvento del Web 2.0, la Net Art ha visto la rete “commerciale” appropriarsi di alcune sue storiche istanze, e ridefinirle in termini di prodotti. Le pratiche di networking sono sfociate nei social network come Facebook e Friendster; i media indipendenti fioriti nel corso degli anni Novanta devono oggi competere con Youtube, il cui motto (‘Broadcast yourself’) ha soppiantato quello di Indymedia (‘ Don't hate the media. Become the media’). Le mappature della rete lasciano il posto agli aggregatori di tag come delicious, le vecchie, care homepage ai blog.
Nel contempo si sono affacciati alla ribalta nuovi mostri sacri, mentre si sono rafforzati i sopravvissuti al crollo della New Economy. Google, Amazon, Ebay sono più forti e più friendly che mai, e controllano con benevolenza il nostro accesso all'informazione, alla cultura, alla merce. Network sociali e mondi virtuali ci spingono a trascorrere online buona parte della nostra vita, e a ritenere quella che qualcuno ha cominciato a chiamare “seconda vita” più interessante della prima.
A questa evoluzione, l'arte reagisce in forme molto diverse: Alcuni scelgono la strada del sabotaggio e della parodia dei "mostri sacri", o quella dello sfruttamento dal basso delle loro potenzialità comunicative per operazioni di “media hacking”; altri si riappropriano in chiave nostalgica di elementi ed estetiche del Web 1.0: tabelle e frame, gif animate e sfondi lampeggianti, design amatoriale; altri ancora si servono in maniera anomala di queste piattaforme, ora mettendole in discussione ora riconducendole a nuovi usi, in una inesauribile varietà di forme. Invece di tentare una sistemazione critica, inutile e probabilmente controproducente in questa fase, nel corso del mio intervento passerò in rassegna una serie di declinazioni possibili del fare arte in rete nell'epoca del web 2.0: da UBERMORGEN.COM a Eva e Franco Mattes, da MTAA a Olia Lialina e Dragan Espenished, da Les Liens Invisibles a Gazira Babeli, da Second Front a Marisa Olson
.


Futuro Presente


La creatività è l'arte di sommare due e due ottenendo cinque.

Arthur Koestler


Futuro Presente: Maria Grazia Mattei

Venerdì 9 maggio, alle 19:00 – Sala Conferenze del Mart – incontro con Maria Grazia Mattei sul tema Arte digitale. Le radici del nuovo.
Maria Grazia Mattei, figura di spicco internazionale negli studi sul mondo digitale, si occupa sin dal 1982 delle nuove tecnologie di comunicazione progettando mostre, rassegne internazionali, festival e convegni sul rapporto tra arte e nuovi media.
Nel 1995 ha fondato MGM Digital Communication, Studio di ricerca e consulenza sui new media e dal 2005 dirige il programma Meet the Media Guru, ciclo d’incontri con personaggi italiani e stranieri, promosso dal Forum Net Economy di Milano (Camera di Commercio , Comune e Provincia di Milano).
MGM Digital Communication, s’avvale della collaborazione di Francesca Luzzana e dal 5 al 12 maggio propone tre manifestazioni:
Visioni Digitali - Pangea Day Milano - Meet The Media Guru

A Maria Grazia Mattei, ho chiesto: dove rintracci le radici del nuovo?

Maria Grazia MatteiLe radici del nuovo – e per nuovo intendo la dimensione culturale che sta cambiando con l’impatto delle nuove tecnologie digitali; mi riferisco allo scenario artistico ma anche ai media classici, al mondo della comunicazione, dell’economia –, quelle radici stanno fortemente radicate negli anni ’60. Da lì, infatti, parte una traiettoria di ricerca espressiva con movimenti sperimentali che già guardavano ai media, allora soprattutto alla televisione e al suo ruolo nella società e nella cultura. Da quei movimenti, come ad esempio ‘Fluxus’ ma non solo, è partita la ricerca che ha generato quello che oggi chiamiamo mondo digitale.
'Fluxus' ma non solo. Si pensi, infatti, all’Arte Programmata che è iniziata ben prima, negli anni ’50. Movimenti che hanno intaccato l’idea dell’arte come appannaggio non di un unico artista, ma collettiva, translazionale, diffusa, che circolasse, che connettesse, e fosse anche interattiva come lo era l’Arte Programmata anche se quell’interattività non era fisica, ma riflessiva, percettiva che comunque metteva in moto i sensi, l’intelletto e la fantasia delle persone
.

Insomma, quelle esperienze degli anni ‘60 contenevano in nuce una nuova chiave di lettura e d’interpretazione dell’arte?

Sì, da quei processi, poi, nasceranno altri movimenti, uno per tutti quello definito Computer Art e in quel momento si gettano le basi della rivoluzione digitale. Gli artisti allora mettendo mano ai primi computer, resi disponibili da alcune grandi società come, per citarne una, la Bell & Telephone, hanno cominciato a costruire in quel periodo i programmi che traducevano il pensiero in immagini, proponendo una creatività che da intellettuale si faceva fisica rappresentata in immagini virtuali allora bidimensionali. Da quel momento prende il via una ricerca che andando avanti nel tempo negli anni ’70, ’80, arriva ai nostri giorni producendo quanto vediamo anche grazie allo sviluppo di tecnologie che partite da macchine nate soltanto per essere destinate al calcolo diventano macchine calibrate per avere pure un’espressione visiva passando dal bidimensionale al tridimensionale e investendo plurali aree: il cinema, gli effetti speciali, le telecomunicazioni. Questo processo di digitalizzazione dell’informazione e della creatività, destinata anche al grande pubblico, prende le mosse esattamente negli anni ’60; lì ci furono esperienze di sinestesia fra immagine e suono, lì le prime ricerche sull’interfaccia uomo-macchina, lì nasce quello che sarà l’universo tridimensionale, la realtà virtuale.
Il nuovo, quindi, ha le sue radici là, in quel crogiuolo d’intuizioni, d’idee, di critica verso la comunicazione e la società di massa
.

Credi che oggi siano le relazioni sociali a guidare le tecnologie o viceversa?

Il rapporto fra tecnologie e società è sempre un rapporto ambiguo e mai unidirezionale.
Certamente ci sono state tecnologie suggerite nelle loro soluzioni, nel loro sviluppo, da comportamenti sociali e, viceversa, comportamenti sociali determinati dalle tecnologie, ma questo è accaduto soprattutto per il desiderio di quegli artisti d’avanguardia che richiedevano alle tecnologie soluzioni in grado di realizzare progetti, a prima vista utopici. Oggi, però, mi sembra che quello che sta accadendo sul piano sociale (considerare la società come un insieme d’individui e non massa informe, è un punto cardine della nuova cultura digitale) fa sì che la tecnologia, più che determinare o essere determinata, cerchi sempre più d’interpretare questa società mutante
.


Futuro Presente


Artista è soltanto chi sa fare della soluzione un enigma.

Karl Kraus


Futuro Presente: Bruno Fornara


Sabato 10 maggio, alle ore 16:00, nella Sala Conferenze del Mart, il critico cinematografico Bruno Fornara parlerà di Zbigniew Rybczynski e ne mostrerà alcune opere.
Rybczynski, polacco nato a Lodz nel 1949, è uno dei più grandi maestri e sperimentatori del linguaggio audiovisivo dei nostri anni.
Ha ricevuto numerosi premi, tra cui l’Oscar per il cortometraggio d’animazione nel 1983 e l’Emmy nel 1990.
Bruno Fornara – ha intitolato il suo intervento Dalla macchina da presa alle macchine da cinema – è presidente della Federazione Italiana Cineforum e docente alla Scuola Holden; per conoscere il suo pensiero sul cinema e altro ancora, vi segnalo una sua vivace dichiarazione QUI.

A lui ho chiesto un flash sul profilo artistico di Zbig.

Bruno FornaraSperimentare raccontando. Questo sta facendo Zbigniew Rybczynski dagli inizi degli anni settanta, e questo continua a fare. L'idea di sperimentazione è legata, nel nostro modo di pensare, all'astrazione, alla separatezza, a un mondo visivo in cui del reale resistono solo labili tracce. E dove anche la narrazione tende a scomparire o comunque a inchinarsi di fronte alle necessità di costruire nuove, mai viste prima, forme di espressione. In Rybczynski, nato a Łódz, in Polonia, poi emigrato negli Usa, la sperimentazione si accompagna invece al racconto. È il raccontare che si fa sperimentale, che si apre a possibilità e spazi diversi: grazie alle macchine, grazie al lavoro di elaborazione delle immagini dentro i computer. La macchina da presa, che si rifà al reale, interagisce con le immagini costruite dai computer. E il risultato è un altro mondo, singolare, nel quale il nostro mondo dialoga con luoghi inventati, probabili o impossibili.
Tecnologia e riflessione. Riuso del cinema, sguardi al passato, invenzioni di futuro
.

Come detto in apertura di questa nota, Zbigniew Rybczynski è vincitore di un Premio Oscar; l’ottenne con “Tango”.
Otto vertiginosi minuti di genialità che potete vedere QUI grazie all’ottimo sito guidato da Paolo Festa.


Futuro Presente


Non esiste un'avanguardia, ci sono solo persone un po’ in ritardo.

Edgard Varèse


Futuro Presente: Matteo Bittanti


Il 10 maggio – Sala Conferenze del Mart – alle ore 18 in teleconferenza da San Francisco Matteo Bittanti videoillustrerà il tema "Schermi interattivi”; titolo omonimo del suo recentissimo libro pubblicato da Meltemi.
Tempo fa, Matteo è stato ospite della mia taverna spaziale e lì si parlò a lungo di videoludica.
Ora, gli ho chiesto di affinità e differenze tra cinema e videogiochi.

Matteo BittantiAnche se i due media usano gli stessi linguaggi e codici (immagini, parole, suoni), l'esperienza di fruizione di un film è più vicina a quella letteraria. Il videogioco non è un medium narrativo o, meglio, è ‘post-narrativo’: il fruitore di un testo ludico svolge contemporaneamente il ruolo di lettore e scrittore. Il cinema non offre questa ambivalenza. Detto altrimenti: i videogiochi non sono dei racconti "tradizionali" (e per molti non sono nemmeno racconti): essi consentono di simulare delle azioni all'interno di uno spazio virtuale, di navigare ambienti tridimensionali. Il videogame è un insieme di possibilità, un set di problemi da risolvere, un contesto di sperimentazione. Le azioni che si producono all'interno di questo spazio sono a) (potenzialmente) infinite e b) diverse, laddove gli eventi narrati in un film sono a) limitati e b) fissi. Va inoltre precisato che in alcuni videogiochi si verificano fenomeni di ‘gameplay emergente’, ovvero forme di interazione non previste dai progettisti stessi: il giocatore non si limita a seguire "itinerari" predisposti a monte, ma genera forme di gioco impreviste. Un film, per converso, ri-presenta sempre i medesimi eventi nell'ordine predisposto dal creatore del testo. Se non si tiene conto di questa differenza cruciale, si fraintendono alcune caratteristiche 'peculiari' dei due media.

Mi pare che questo sia un errore commesso da alquanti registi…

Sì, è l'errore che hanno commesso i registi che per primi hanno tentato di tradurre in film le "non-storie" dei videogiochi. La forza del ludus digitale non risiede nelle sue componenti narrative che sono spesso banali e stereotipate, ma nella libertà di azione che offre all'utente. Questo aspetto si perde completamente nel passaggio dal monitor al grande schermo per i limiti intrinseci del medium cinematografico - qui non manipoliamo immagini, ma ci lasciamo manipolare. Ovvero: il cinema può solo "simulare" l'interattività del videogioco. Inoltre, fino a oggi, Hollywood ha largamente frainteso la natura peculiare del medium, assegnando progetti di adattamento a registi e sceneggiatori che non avevano grande familiarità con il "codice sorgente".

La situazione, però, tu sostieni che va cambiando. Vorrei degli esempi…

Penso al film tratto da “Silent Hill” diretto da Christophe Gans e sceneggiato da Roger Avary, entrambi gamer dichiarati. Una pellicola afflitta da innumerevoli problemi, beninteso, ma che tuttavia presenta aspetti interessanti. Sta di fatto che nonostante i frequenti – e spesso clamorosi – insuccessi al botteghino, gli adattamenti videoludici si stanno imponendo come uno dei generi più popolari a Hollywood. In termini squisitamente numerici, stanno ormai eguagliando le sempreverdi traduzioni cinematografiche dei fumetti. In realtà, le due industrie non potrebbero essere più differenti: mentre le vendite di ’comics books’ sono in crisi da anni, specie negli Stati Uniti, i videogame stanno acquistando sempre maggiore popolarità e forza commerciale. Ripeto: il passaggio dal monitor al grande schermo richiede che venga completamente ripensata la logica stessa dell'adattamento.

E come dovrebbe muoversi?

Lungi dal riassumere banalmente la cosiddetta "trama" del videogame, il film technoludico dovrebbe espanderne il mondo finzionale, costruire nuove mitologie e sviluppare un nuovo linguaggio. Se Hollywood è riuscita a trasformare un'attrazione di un parco a tema in una vera e propria industria culturale – mi riferisco chiaramente a ‘Pirates of the Caribbean’ – non si vede perché non sia possibile fare lo stesso con un medium assai più ricco. Tra i progetti in fase di sviluppo che potrebbero segnare una svolta nella tormentata storia degli adattamenti cineludici segnalo, tra i tanti, ‘Prince of Persia’, prodotto dall'onnipresente Jerry Bruckheimer per Walt Disney Pictures e ‘Max Payne’, interpretato dal carismatico Mark Wahlberg e diretto da John Moore (‘Behind Enemy Lines’). Io non ho perso le speranze di vedere ‘Halo’ (attualmente in limbo) e ‘Gears of War’ (previsto per il 2010), anche se le cose migliori probabilmente arriveranno da film di animazione come ‘Resident Evil: Degeneration’ e ‘Dead Space’. Del resto, il videogame è più vicino al cartone animato che al cinema "live", no?


Futuro Presente

Da quando i pittori non muoiono più a cavallo, non vedo perché un pittore dovrebbe morire davanti a un cavalletto.

Marcel Duchamp


Special per 'Futuro Presente'


Cosmotaxi Special per Futuro Presente

Rovereto, 5 - 10 maggio 2008

Fine


Convegno su Landolfi (1)


“La penna che laggiù correva qui s’impunta e per avviarla ci vuol la mano di Dio […] anche l’anno passato, qui, faceva il medesimo lavoro, e tornata laggiù riprese a correre. A che si debba il fatto, se all’inchiostro, all’aria del luogo o a più seri e segreti motivi, non so”.

Chi così scrive è Tommaso Landolfi, con ‘laggiù ‘ si riferisce a Pico, con ‘qui’ ad Arma di Taggia; le righe sono estratte da “Rien va” opera diaristica del 1963.
Nato nel 1908 a Pico (allora in provincia di Caserta, ora in provincia di Frosinone) è uno fra i più importanti scrittori sperimentali del novecento letterario italiano, autore di romanzi, racconti, poesie, opere teatrali e favole. Si è formato nella Firenze intellettuale degli anni trenta, ma è in realtà un personaggio isolato e unico nel panorama della letteratura italiana novecentesca. I più avvertiti critici lo inseriscono nel grande filone europeo della letteratura fantastica e visionaria, quello che va da Sade a Hoffmann, da Poe a Gogol, da Lautréamont ai Surrealisti francesi.
Nel 1932 si laureò in lingua e letteratura russa, con una tesi su Anna Achmatova; dal russo, così come dal francese e dal tedesco, sarà traduttore magistrale .
Oppositore del regime fascista, subì nel 1943 un mese di carcere alle Murate, a Firenze. Sporadici, nell’arco dell’intera vita, i soggiorni all’estero, nelle capitali d’Europa; più lunghi i periodi trascorsi a San Remo o a Venezia, le ‘città del gioco’, dove fu attirato da quella sua grande passione cui ha dedicato tante indimenticabili pagine.
Morì a Roma nel 1979.

Per celebrare il centenario della nascita di Landolfi e per portare a conoscenza di un vasto pubblico, soprattutto giovanile, la sua produzione letteraria, su proposta di Silvana Cirillo (per una sua bio: QUI) e del Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dell'Università 'La Sapienza' di Roma, è stato istituito un Comitato Nazionale patrocinato dal Ministero per i Beni Culturali, in cui sono confluiti molti studiosi dell’opera landolfiana e critici italiani e stranieri.
Le celebrazioni si sono aperte con un convegno inaugurale svoltosi a gennaio nella Facoltà di Lettere, cui ha preso parte Giorgio Albertazzi, che ha letto alcune pagine del testo teatrale "Scene dalla vita di Cagliostro", scritto per lui da Landolfi nel 1963 in occasione del programma televisivo “Pecore Nere”.

Il 7 e 8 maggio a Roma, presso la Facoltà di Lettere della" Sapienza", si terrà il primo Convegno internazionale organizzato dal Comitato, dedicato alla analisi e all'approfondimento del ruolo di Landolfi nell'àmbito del panorama europeo, sia in qualità di scrittore sia come traduttore; molto spazio sarà dato allo studio della sua filosofia e del suo linguaggio, all'individuazione dei generi toccati e delle intersezioni che ne sono derivate.
Il convegno è articolato in tre sessioni, rispettivamente presiedute da Walter Pedullà, Anna Dolfi, Giulio Ferroni, e vede la presenza di prestigiosi relatori provenienti da università italiane e straniere: Clelia Martignoni, Denis Ferraris, Vladimir Krysinski, Simonetta Lux, Wiliam Marx, Philippe Di Meo, Vincenzo Cerami, Luigi Fontanella, Mario Domenichelli, Domenico Scarpa, Michele Mari, Leonardo Lattarulo, Maurizio Dardano, Denis Ferraris, Andrea Cortellessa, Simona Di Bucci, Cristiano Spila.
Tra le future iniziative è prevista per marzo 2009 una mostra documentaria, che sarà ospitata dalla Biblioteca Nazionale di Roma e da lì approderà poi in altre città.

Convegno internazionale di studi su Tommaso Landolfi
Facoltà di Lettere
Università “La Sapienza”, Roma
Nei giorni 7 e 8 maggio 2008


Convegno su Landolfi (2)


Come detto nella precedente nota il convegno internazionale di Studi su Tommaso Landolfi è frutto di una proposta di Silvana Cirillo (in foto) e del Dipartimento di Italianistica e Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Silvana Cirillo la mattina del 7 maggio svolgerà una relazione tracciando un ritratto critico dello scrittore.

A lei ho chiesto: quali carte scompiglia Landolfi e come lo fa?

Silvana CirilloIncipit, finali, percorsi intermedi, digressioni e strade sterrate, note e asterischi, epigrafi dediche e appendici: le opere di Landolfi, che sembrano nascere e crescere “a caso” per proliferazione interna, sono in effetti il risultato complessissimo di un’arte consumata e di una prosa che si presenta quasi ovunque, più o meno prorompentemente, metaletteraria. “Lui racconta per esiti” - diceva Carlo Bo - “per conseguenze” Vero, ma in realtà tra cause e conseguenze mette tanto spazio e tale iato, che il lettore si dimentica spesso da dove è partito e prima di arrivare fa in tempo a perdere la bussola: in senso stretto e in senso metaforico! Così Landolfi si diverte a moltiplicare le possibili soluzioni, le infinite onde di ritorno, a confondere il lettore, soprattutto a togliergli le certezze offerte dal “canonico” narratore onnisciente.

Non esistono allora punti fermi nella narrativa di quest’autore?

Si può cercare quanto si vuole, ma di punti fermi nella narrativa di Landolfi, non se ne trovano, né tanto meno di verità rivelate o di esposizioni sistematiche o concettuali verosimili e perentorie: la narrazione procede in una continua contestazione di se stessa e della possibilità, quindi, di avere un senso, ogni enunciato è sistematicamente se stesso e il contrario, ogni nome può essere sostituito da un altro, ogni storia suggerisce più conclusioni. E si apre quasi sempre con incipit ”a cipolla”. E se il finale aperto può essere considerato uno dei sintomi della più sfacciata modernità letteraria, non gli è certamente da meno l’incipit “a rebus”- per restare nel linguaggio del gioco - landolfiano.

A proposito di incipit, poco fa, prima di cominciare questa nostra conversazione, accennavi a Calvino…

Sì, quando Italo Calvino sognava di creare un’opera capace di uscire dai confini ristretti dell’io individuale, ovvero dal suo consueto parlarsi addosso, e che ne frantumasse il ‘self’, pensò a un libro di soli incipit, che desse voce, oltre che ad altri simili a noi, anche: “a ciò che non ha parola: l’uccello che si riposa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra il cemento la plastica”, questo nelle Lezioni americane.
Tommaso Landolfi frantuma anche lui sovente il ‘self’, non scrivendo testi di soli incipit, ma scrivendo incipit a tante voci. Affidando monologhi a personaggi senza ‘self’ essi stessi, nevrotici e psicotici, sdoppiati e squilibrati come i paranoici di Dalì e dando spazio da protagonisti a bestie di ogni tipo e a figure assurde e indefinibili
.

Qualche esempio…

L’io di Maria Giuseppa, il Tale della Morte del re di Francia, il verme del Mar delle blatte, la scimmia, i ragni, le donne-capra, le canie, le cotenne…
“Scrivere è danzare sulla corda” diceva Saltykov Scedrin e “fare una riverenza ogni quattro passi”
.

Rischiare?

Certamente, rischiare. Mettersi comunque in questione, scegliere i percorsi, le strade, gli ostacoli, i traguardi: anche Landolfi danza sulla corda e fa capriole col linguaggio e nei suoi giochi letterari azzarda anche il salto mortale. Funambolo, trapezista, vero equilibrista della parola, nel circo e nel carnevalesco, ovvero nel grottesco e nella risata, nella caricatura e nella farsa trova gli spunti per inventare i suoi personaggi balordi e guastare le feste a un mondo troppo ordinato e codificato.


Care Scimmie


Così è intitolato l’editoriale - una coppa di gelato al veleno – nel nuovo numero del bimestrale L’Ateo diretto da Maria Turchetto.
La rivista contiene, fra altri temi, tre saggi sul pensiero di Darwin firmati da: Andrea Cavazzini, Federica T. Colonna, Carlo Alberto Redi.
Darwin, 1809 - 1882Riflettere su Darwin in questi tempi in cui un furente Vaticano attacca la ricerca scientifica, è cosa di grande utilità culturale e civile.
Scrive Daniel Kevles, storico della Yale University: “Nel seicento la Chiesa teme Copernico che rimuove la Terra dal centro del sistema solare minando l'autorità dei teologi…poi perseguiterà Darwin che ha osato ficcare il naso nella narrazione giudaico-cristiana dell'origine della vita detronizzando l'uomo dalla sua speciale posizione in cima alla scala biologica, sottraendolo all'autorità morale della religione…adesso combatte i nuovi filoni della ricerca".
Nello stesso numero, un articolo di Giacomo Grippa ricorda il frate filosofo Giulio Vanini al quale a Tolosa, nel 1619, il boia cattolico tagliò la lingua, lo strangolò e, per essere più sicuro del suo lavoro, ne adagiò il corpo su di un rogo.
L’Ateo è una rivista che, oggi più di ieri ha un ruolo importante nello scenario culturale italiano per via dei ritorni del settarismo religioso (non solo cattolico) che non si limita ad amministrare fette d’improbabili cieli, ma vuole entrare nelle nostre vite, condizionando le leggi che regolano le società.

Il costo annuale dell’abbonamento al bimestrale è di 15 euro.
E’ possibile effettuare il pagamento online tramite carta di credito o versamento postale; per le modalità, cliccare QUI.
Ancora una cosa: se volete ben indirizzare il Cinque per Mille, destinatelo alla stessa Associazione che apparirà nel link qui sopra.


Il circo capovolto


C’è una parte dell’Olocausto che è meno ricordata, riguarda i Rom.
Tempo fa in queste pagine, segnalai Radioparole – Centro di produzione documentaristico diretto da Andrea Giuseppini – che proprio a quel tema ha dedicato nel 2004 un fondamentale lavoro di 90’00”; il titolo è Porrajmos che nella lingua dei Rom significa "divoramento" e indica la persecuzione e lo sterminio che il Terzo Reich attuò nei loro confronti.
Oggi, segnalo un libro, edito da Feltrinelli, che sullo stesso argomento riflette.
E’ intitolato Il circo capovolto, lo ha scritto Milena Magnani che conduce in Rete un blog dedicato al volume.

Scrive l’autrice: Il tema centrale è il ‘porrajmos’, l’olocausto rom, ma anche la possibilità di rivendicare una cultura troppo a lungo dimenticata e offesa. Io l’ho scritto per rendere omaggio a tutti gli artisti nomadi, i funamboli, i saltimbanchi, i musicisti viaggianti che sono scomparsi a Auschwitz Birkenau, a Mathausen, a Bergen Belsen e in tanti altri campi ancora. Ho scritto per loro e per i bambini che oggi giocano nelle acque dei canali, vicino alle baracche, in mezzo alle pance dei lenzuoli stesi. La verità è che si continuano a stabilire linee di confine. Senza aver fatto nulla perchè capiti, ci si trova collocati di qua o di là da una recinzione. Però io dico che si deve provare a camminare sopra la recinzione, calpestandone il filo spinato, in un eterno sconfinamento.

Per ascoltare l’incipit di Il circo capovolto: QUI.

Per un reading video: CLIC.

E ancora: un’intervista.

Milena Magnani
“Il circo capovolto”
Pagine 166, Euro 12:50
Feltrinelli


Concertone


Su Cosmotaxi scarseggiano le recensioni di trasmissioni Tv e più di uno mi ha giustamente rimproverato.
Il fatto è che da tempo ho l’abbonamento a Sky per non vedere Raiset, e (orrenda Fox a parte) su quella piattaforma ci sono programmi che seguo volentieri: documentari sullo Spazio, sulla Storia, sul mondo degli animali, sull’universo scientifico, deboluccia la programmazione cinematografica ma qualche buon film talvolta c’è, imponente quella sportiva laddove figurano come sport anche il biliardo e il poker, incomprensibile l’assenza nel palinsesto della zecchinetta, della morra cinese e della palletta pazza.

Ieri, però, su Raitre per circa un’ora ho visto il tradizionale ‘concertone’ del primo maggio .
Pochi buoni complessi, pochi bravi cantanti, ma… ma soprattutto circolava in tutto il programma un'insopportabile aria da Zecchino d’oro, da reduci guerrieri delle furerie.
Assistito da un Calvados, ho cambiato programma appena in tempo per vedere la finale ai rigori di Fiorentina – Rangers… sigh!… no, decisamente non era serata.


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