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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Manganelli intervista Dio

La Kipple Officina Libraria pubblica, direttamente in eBook, Intervista a Dio, un testo pressoché inedito di Giorgio Manganelli (Milano, 15 novembre 1922 – Roma, 28 maggio 1990), grande narratore, critico, giornalista, saggista e traduttore, una figura di primo piano nello scenario letterario italiano, amatissimo all’estero e che la città dove nacque né la Giunta presieduta dalla Moratti s’è ricordata di lui nel ventennale della morte, né l’attuale assessore alla cultura (vedi QUI) si è mai degnato di rispondere (com’è dovere di ogni funzionario pubblico rispetto ai cittadini che gli si rivolgono) a una lettera aperta rilanciata anche da Google; va compreso: troppo impegnato a litigare con Pisapia per occuparsi di queste bazzecole.
Manganelli in quest’intervista impossibile va oltre l’impossibile intervistando quelli che per molti è il Creatore. Lo fa utilizzando una forma e un approccio altamente sperimentali, senza rinunciare alle caratteristiche innovative che segnano gran parte della sua produzione.
Ora, a distanza di alcuni anni da una prima, fugace apparizione, “Intervista a Dio” è disponibile, in quest’edizione realizzata da Kipple Officina Libraria.
L’opera si avvale della consulenza della figlia dello scrittore, Lietta Manganelli, (qui in foto col padre), che firma anche la prefazione dalla quale estraggo qualche passaggio.

Siamo in pieno paradosso. Dopo aver intervistato dodici personaggi nel regno dei morti, personaggi eccellenti, a cui si rivolge timidamente e con sommo rispetto: “Mi scusi, signore... Maestro... Maestà...” e via discorrendo, Manganelli si sente pronto per la più importante, ma anche la più assurda intervista della sua vita. Decide di intervistare Dio onnipotente, ma essendo questa un’intervista anomala, si trova costretto a stravolgere tutta la struttura delle sue interviste precedenti. Come prima cosa, non è più lui che intervista, ma lascia il compito a un giovane dall’aria teppistica, forse un giornalista.
Non è però l’intervistatore a iniziare, ma ci troviamo di fronte a uno strano Dio balbettante che cerca di mettere insieme nomi e verbi, in realtà senza senso e senza nessun collegamento, come un bambino che stia imparando a parlare o, più probabilmente, un Dio che stia inventando il linguaggio per poter poi parlare con il suo giovane interlocutore
[…] Per di più ignora molte cose che teoricamente non solo dovrebbe conoscere, ma dovrebbe aver creato lui. All’affermazione che all’entrata è stato posto un sordo a ricevere la parola d’ordine, risponde: “Non lo sapevo”, anche se si dichiara soddisfatto della trovata che ritiene estremamente pedagogica. Ma a questo punto sorge un dubbio: se non lo sa, se non l’ha creato Lui, c’è forse qualcuno superiore a Dio, qualcuno sopra di lui? Un dubbio che nel prosieguo dell’intervista si farà sempre più forte […] Questo Dio-Manganelli o Manganelli-Dio può finalmente stravolgere la realtà, farsi un Dio a sua immagine e somiglianza e non viceversa, può mettere in bocca a quel dio quello che Manganelli vuole dire da sempre all’umanità, impedito dalla sua eroica vigliaccheria: “Non vi amo, ma odiarvi è troppo faticoso, diciamo che mi fate schifo!” .

L’e-book è in vendita al prezzo di 1,99 euro sul sito Kipple e sui principali negozi digitali (Amazon, Simplicissimus, Bookrepublic, Bol, e altri ancora). Come accade per tutti gli eBook Kipple, è senza lucchetti digitali DRM ed è disponibile sia in formato ePub sia Mobi.

Ancora una cosa: il Centro Studi Manganelli ha organizzato per aprile un convegno sullo scrittore; cliccando su questo link troverete date e linee dell’avvenimento.


Uno di noi due


Tra le abitudini di lettura che sono cambiate in questi ultimi anni per effetto di una diversa attitudine dell’occhio verso la pagina stampata (forse causa protagonista il ruolo della benvenuta scrittura elettronica, ma anche il concorso di altri media), c’è una minore predisposizione a leggere copioni teatrali. A differenza di tempo addietro, infatti, se ne pubblicano parecchi di meno.
Eppure se ci predisponiamo a quel tipo di lettura che richiede una lentezza non richiesta da altri tipi di testo, possiamo, talvolta trovarci di fronte a piacevoli sorprese.
Ce ne fornisce un’occasione la raffinata editrice Portaparole nella collana “I venticinque” diretta da Elisabetta Sibilio.
Qui, infatti, è stato pubblicato un testo teatrale – titolo: Uno di noi due – di Jean-Noël Jeanneney, storico che ha ricoperto numerose cariche pubbliche, fra cui quelle di Segretario di Stato, presidente di Radio France, presidente della Biblioteca nazionale di Francia. Ogni sabato mattina conduce su France Culture la trasmissione radiofonica “Concordance des temps”.

Siamo al 27 e 28 giugno 1944 e in “Uno di noi due” è immaginato un dialogo tra Leon Blum e Georges Mandel, consegnati dal regime di Pétain ai Tedeschi e internati in una piccola casa annessa al campo di concentramento di Buchenwald. Lì hanno vissuto insieme quasi quattordici mesi, dalla primavera del 1943. Venuti a conoscenza della morte di Philippe Henriot, ministro dell'Informazione del governo di Vichy, messa in atto dalla Resistenza il 28 giugno 1944, entrambi capiscono che uno di loro sarà giustiziato. Sarà Georges Mandel a essere trasferito in Francia, consegnato alla polizia e assassinato nella foresta di Fontainebleau, il 7 luglio dello stesso anno. Léon Blum, dopo avere temuto la stessa sorte, sopravvivrà. I due uomini, tra le reciproche peripezie, angosce e speranze, si confrontano sulle loro visioni del mondo e della politica, facendo riferimento ai due grandi uomini di cui si sentono i discepoli - Jean Jaurès per Blum, Georges Clemenceau per Mandel -, cosicché il loro dialogo sembra spesso a quattro voci.
Il testo si avvale della sapiente traduzione di Angelo Pavia che riesce a rendere scattanti i dialoghi anche quando in qualche occasione corrono il rischio d’appesantirsi.
Lo si legge con interesse perché ha la valenza di un saggio storico, illumina due psicologie di personaggi realmente esistiti e i loro pensieri diversi – talvolta avversi – su di un momento della Storia che non riguarda solo la Francia.
Per quanto mi riguarda, tale interesse suscitato dalle pagine non credo che mi toccherebbe seduto in poltrona a teatro.
Amo, infatti, il teatro di parola quanto una colica renale preferendogli il teatro tecnosensoriale che si avvale delle neo-tecnologie info-elettroniche, un tipo di teatro che ibrida generi e tecniche.
Per intenderci, valga ad esempio Fura dels Bauls oppure Momix.
Sono proprio le neotecnologie (attraverso la loro nuova proposta di concepire il mondo) ad avere reso la divisione fra quei due tipi di teatro tanto evidente quanto, forse, benefica perché permette diverse godibilità a due platee molto diverse fra loro.
Ciò premesso, dal basso dei miei ultratrentennali contributi Enpals, riconosco – e ci mancherebbe che non lo facessi! – la valida varietà di tendenze e gusti e, quindi, lo spazio che occupa il teatro di parola perfino nei suoi aspetti più tradizionali, un po’ meno lo apprezzo quando si tenta di spacciarlo per nuovo, ma non è questo il caso del testo di Jeanneney su cui qui mi sono trattenuto.

Jean-Noël Jeanneney
Uno di noi due
Traduzione di Angelo Pavia
Pagine 84, Euro 12.50
Edizioni Portaparole


Introduzione a Darwin


Nell’aprile del 2006 tre scienziati americani scoprirono nel territorio artico canadese i resti fossili di un pesce osseo dimostrando ulteriormente la validità della teoria darwiniana circa la transizione tra i pesci e i mammiferi – tra cui la specie umana – gli anfibi, i rettili e gli uccelli. Umberto Veronesi commentò la notizia dicendo: “Darwin sarebbe stato assai più soddisfatto del fatto che adesso la scienza non deve più accontentarsi delle scoperte dei paleontologi: la conferma della spiegazione darwiniana ci viene dalla grande scoperta del Dna che è identica in ogni organismo. Il Dna di un virus è uguale a quello di un elefante”.

Daniel Kevles a Spoleto Scienza di anni fa disse “La Chiesa detesta Darwin perché ha osato ficcare il naso nella narrazione giudaico-cristiana dell'origine della vita detronizzando l'uomo dalla sua speciale posizione in cima alla scala biologica, sottraendolo all'autorità morale della religione”.

Ho aperto questa nota con i due episodi citati per presentare un ottimo testo edito da Laterza intitolato Introduzione a Darwin che in modo scorrevole e appassionante attraversa sia in senso storico sia in senso scientifico il pensiero darwiniano e i suoi riflessi oggi.
Questo libro lo dobbiamo a Telmo Pievani, filosofo ed epistemologo.
A proposito, ecco una videopresentazione della splendida mostra “Homo Sapiens” – curata da lui con Luigi Luca Cavalli Sforza – prorogata fino al 9 aprile al Palazzo delle Esposizioni di Roma.
V’invito anche a non perdere un suo precedente volume, a me assai caro, sull’ingerenza della Chiesa nella nostra vita: qui una videointervista fatta a Pievani su quelle pagine.
Altra sua pubblicazione di valore, imparentata tematicamente a Darwin, è “La vita inaspettata” (2011) della quale Raffaele Carcano scrisse: “… è un libro che parte da Darwin, definito come l’uomo che per primo ebbe il coraggio ‘di oltrepassare il segno’; riparte da dove s’era fermato Gould e giunge, infine, ad aggiornare in maniera precisa lo stato dell’arte delle discussioni sull’evoluzione”.
Per conoscere altri titoli d’opere di Pievani, cliccare QUI.
Consiglio ancora un CLIC per leggere una sua sferzante risposta recentemente data al quotidiano dei vescovi italiani “L’Avvenire”.

Introduzione a Darwin è uno dei migliori testi che possediamo in Italia per conoscere la storia di una delle principali illuminazioni del pensiero umano e i suoi riflessi che fondono scienza e filosofia.
Nulla è trascurato nel libro di Pievani su Darwin: né i momenti della vita dello scienziato, né le cronache dettagliate delle sue scoperte ed il contesto in cui avvennero, e neppure le critiche scientifiche interne al darwinismo e quelle esterne, fino alla conclusione del volume che si chiude illustrando i destini editoriali e interpretativi di Darwin in Italia.
Il libro dimostra, infine, ancora una cosa: la madre del Disegno Intelligente è sempre incinta.

Per una scheda sul libro: QUI.

Telmo Pievani
Introduzione a Darwin
Pagine 198, Euro 12.00
Editori Laterza


Doccino, tante storie

La Biblioteca "Ernesto Ragionieri" di Sesto Fiorentino ha una mascotte: Doccino, questo il suo nome.
E’ il protagonista di un nuova pubblicazione per i più piccoli di Simone Frasca che narra le avventure di un libro-gatto in colorate pagine edite da Prìncipi e Principi.
Per conoscere gli altri libri dell’illustrautore Frasca, cliccate sul suo sito web .

Simone è stato anni fa un mio compagno in un viaggio spaziale che finì per lui non troppo bene, se volete sapere perché CLIC!
Salvatosi, a quanto pare, da quella brutta avventura è riuscito di nuovo, per la gioia di noi tutti, a riprendere fogli e matite e mettersi al lavoro come dimostra questo delizioso video.

Per una scheda sul libro: QUI.

Sempre dalla stessa casa Editrice mi è pervenuta un’altra raffinata operazione verbovisiva svolta su quella che Italo Calvino definì ”la storia più bella dei fratelli Grimm”, cioè “La Luna”. Se ne rende interprete Andrea Rauch già illustratore di fiabe di Perrault, “Il giornalino di Gianburrasca” e “Le avventure di Pinocchio”.

Simone Frasca
Doccino, tante storie
Pagine 52, euro 14,00

Andrea Rauch
La Luna
Pagine 32, Euro 12.00

Prìncipi & Princípi


Ravel


Ci sono autori in tante arti che, pur avendo prodotto parecchie opere eccellenti, vedono il proprio nome – almeno per gran parte del pubblico – legato a una soltanto di esse.
E’ il caso del compositore francese Maurice Ravel (Ciboure, 7 marzo 1875 – Parigi, 28 dicembre 1937) che è noto per il suo famoso Bolero composto nel 1928 su richiesta della celebre ballerina franco-russa Ida Rubinstein.
Eppure a vent’anni aveva composto un ammirato “Menuet antique”, e un anno dopo la famosa “Habanera”; e ancora: a 24 anni aveva ottenuto un grande successo con la "Pavana pour une infante défunte" e in seguito collaborerà con Sergei Diaghilev, impresario dei Ballets Russes, creando il balletto "Daphnis et Chloé" che consacrerà il suo talento nel 1912. Niente da fare: per la maggioranza, Ravel è quello del “Bolero”.

Sulla sua figura la casa editrice Adelphi manda in libreria un piccolo volume – Ravel – che illumina sulla vita, i gusti, i tic, le manie di questo musicista.
A scriverlo è Jean Echenoz, autore nato a Orange nel 1947, presente nel catalogo Adelphi anche con altri titoli: Lampi; Correre; Il mio editore, sempre tradotto da Giorgio Pinotti che firma anche l’ottima versione italiana di “Ravel”.
Dalle pagine viene fuori il ritratto in 3D di un uomo che abita in una linda casa piccolissima dove aggira il suo piccolo corpo attento alle cure di bagni profumati e schiumosi, alle prese con il suo imponente armadio con tanti abiti, con la pochette di seta sempre armoniosamente in tinta con una delle sue tantissime cravatte; fumatore accanito di Gauloise, lettore immancabile del quotidiano di sinistra “Le Populaire”, dedito a sbrigativi riti sessuali mercenari.
Che cos’era per lui il Bolero? “Un giorno passando con il fratello davanti allo stabilimento di Le Vésinet: Vedi, gli dice Ravel, è quella la fabbrica del Bolero”. Ma Echenoz tiene a chiarire: “Il fatto che Ravel consideri questo pezzo con una certa degnazione non autorizza gli altri a prenderlo alla leggera. Quando Toscanini lo dirige a una velocità doppia ‘accelerando’, dopo il concerto Ravel gli fa una gelida visita”.
Nel libro è descritto il suo viaggio negli Stati Uniti, la trionfale tournée, il ritorno desiderato e temuto al tempo stesso fino alla fine dovuta a un intervento chirurgico forse senza speranze forse malriuscito. Gli metteranno addosso “il frac, gilet bianco, collo rigido ad aletta, papillon bianco, guanti chiari, non lascia testamento, non restano né immagini filmate, né registrazioni della sua voce”.
Echenoz nulla concede all’invenzione, puntualmente, e puntigliosamente, seguendo Ravel nei suoi gesti e nelle sue giornate sicché mi è sembrata una discutibile idea sottotitolare questo volumetto “Un romanzo”, proprio perché ha il merito di non esserlo, né figura quel sottotitolo nell'edizione francese.
Del resto Pietro Citati, in retrocopertina, ne nega la natura di biografia romanzata.

A chiudere, un paio di citazioni che riguardano Ravel.
Stravinskij, parlandone, lo definì un "artigiano di orologi svizzeri", riferendosi all'intricata precisione dei suoi lavori; in parecchi, però, pensano che la frase di Stravinskij fosse nascostamente velenosa.
George Gershwin raccontò che quando chiese al maestro francese di poter studiare con lui, Ravel gli rispose: "Perché vuoi diventare un mediocre Ravel, quando puoi essere un ottimo Gershwin?".

Jean Echenoz
Ravel
Traduzione di Giorgio Pinotti
Pagine 116, Euro 10.00
Adelphi


O la Borsa o la vita

Il titolo non inganni: non si tratta di qualche malfattore che si rivolge a fornitori di opere o merci a Comuni, Regioni oppure altri Enti pubblici, ma di una rassegna di cinema che spiritosamente è così intitolata.
Mi occupo raramente di rassegne cinematografiche perché, spesso, hanno il difetto di rassomigliarsi fra loro girando intorno a temi simili, ma questa che si svolge da domani a Siena, presso il Complesso museale Santa Maria della Scala, ha il pregio dell’originalità trattando, inoltre, un argomento di grande e sofferta attualità: l’economia.
Tale è, infatti, il tema di O la Borsa o la vita 1929/2011: la crisi nell’occhio del cinema che si articolerà attraverso tre giorni di proiezioni, dibattiti e tavole rotonde.
Si comincia, con “Ma cos’è questa crisi: 1929, ’30, ’31…” si prosegue, venerdì 23 marzo, attraverso la riflessione sulle crisi attuali con “I peggiori anni della nostra vita: Novanta-Duemila” per poi chiudere la rassegna nella terza e ultima giornata, sabato 24 marzo, dedicata al tema “2011-2012 - Una storia non ancora finita” con un incontro al quale parteciperanno alcuni esponenti del mondo dell’economia, dell’imprenditoria e del cinema.

E’ una produzione Campo e Controcampo Siena Film Festival, promossa dall’associazione Amici del Cinema in Terra di Siena presieduta da Antonio Sclavi.
La direzione artistica è di Giovanni Maria Rossi, presiede il comitato scientifico Claudio Carabba.
La rassegna si avvale di contributi del Comune, Provincia, Camera di Commercio, Banca Monte dei Paschi di Siena, e Bassilichi Spa.
Le antologie dei film sono realizzate in collaborazione con la Mediateca Regionale toscana.

Per informazioni è possibile contattare la segreteria info@campoecontrocampo.it o visitare il sito di Campo e Controcampo.
Cliccare QUI per il programma in dettaglio,

Ufficio Stampa
Agenzia Freelance, 0577 219228 - 272123 - fax 0577 247753 – info@agfreelance.it
Sonia Corsi: 335 – 19 79 765
Natascia Maesi: 335 – 19 79 414


L'Ateo


E' il bimestrale dell'Uaar (Unione degli Atei e Agnostici Razionalisti) essenziale riferimento per chi è interessato alle proposte culturali e associative laiche contro ogni forma di condotte confessionali.

Venendo ora al più recente numero della rivista – diretta da Maria Turchetto – troviamo un’ampia parte dedicata al biologo Stephen Jay Gould in occasione del decimo anniversario della sua morte avvenuta il 20 maggio 2002, quando lo scienziato aveva sessantadue anni.
Sul valore della sua opera intervengono Andrea Cavazzini, Anna Maria Rossi, Marcello Buiatti, Giulio Bonali, Federica Turriziani Colonna; il tutto corredato da una bibliografia ragionata di Gould a cura della Turchetto che nella rubrica delle recensioni ci offre un’imperdibile, elettrica stroncatura, ricca di spunti umoristici com’è nel suo stile, del libro di Vito Mancuso “Io e Dio”.

Altri articoli: “Omosessualità e genitorialità” (Laura Castagnoli); “”Cattolici praticanti, non praticanti e atei” (Laura Salvadori); “Il principio di laicità” (Matteo Visigalli); “Scuse a Darwin?” (Francesco D’Alpa); “Dieci ragioni per cui l’ateismo e Darwin non c’entrano col nazismo, a differenza del cristianesimo” (Raffaele Carcano); “Perché è così naturale ‘credere’ “ (Fabienne Lemarchand); “Mosè disse” (Bruno Borgio); “L’(a)teologia di Michel Onfray” (Ascanio Bernardeschi).
Le pagine, come in ogni numero, sono scandite da vignette di note firme quali Vauro e Staino e di autori emergenti.
Insomma, un panorama d’interventi che dovrebbe (e credo ci riuscirà) convincere molti ad abbonarsi a “L’Ateo”: 6 numeri l’anno al costo di 15 euro.

Altra informazione: sono liberamente scaricabili cliccando QUI tutti i numeri de L’Ateo fino al 2008.

La rivista è in vendita nelle seguenti librerie al prezzo di 2.80 euro.


SpotPolitik


Fra i tanti libri scritti sulla comunicazione – e, in particolare, sulla comunicazione politica e della politica – spicca per chiarezza e intelligenza un libro pubblicato da poco dagli Editori Laterza intitolato SpotPolitik Perché la “casta” non sa comunicare.
Ne è autrice una delle migliori menti che abbiamo in Italia nell’indagare i segnali semiologici specie quelli proposti dai nuovi media: Giovanna Cosenza.
E’ professore associato di Filosofia e teoria dei linguaggi all'Università di Bologna. Autrice di articoli e contributi per riviste e volumi collettanei, ha pubblicato tra l'altro La pragmatica di Paul Grice (Bompiani 2002), e curato il volume Semiotica della comunicazione politica (Carocci 2007).
Nel catalogo Laterza figura, giunto alla seconda edizione, Semiotica dei nuovi media.
Dal 2008 scrive il blog Dis.amb.iguando

Perché SpotPolitik è uno studio imperdibile? Per molte ragioni.
Prima fra tutte perché analizzando la maniera di comunicare dei nostri politici ne esce il ritratto di tutta la nostra storia dei più recenti anni con la sua arretratezza culturale, i suoi guasti, i danni – alcuni voluti, altri involontari ma non meno colpevoli – che la “casta” ha inflitto a un intero popolo.
La seconda, fra le principali ragioni di questo necessario libro, è il merito di riuscire a comunicare con maestrìa al lettore gli ingranaggi della comunicazione, le sue regole certe e quelle variabili, trattando una materia complessa in modo non complicato, usando una scrittura veloce, semplice, e – a differenza di altri studi simili che ti fanno ronfare già a pagina 3 – tiene sempre sveglia l’attenzione con frequenti esemplificazioni e non costringendo a tenere accanto un vocabolario per decifrare paroloni.
E ancora: l’autrice mai teme di essere diretta, non si difende dietro perifrasi per concedersi ambiguità difensive; un esempio: “In politica ciò che appare è. Nel bene e nel male”.
Dietro questa semplicità si legge una rete di studi che coinvolgono, senza mai ostentarli, plurali discipline: dalla sociologia all’antropologia, dalla statistica alla teoria dei colori, dallo studio sulla gestualità alla linguistica.
Dall’analisi di Giovanna Cosenza, nessuno dei nostri politici esce bene, neppure Berlusconi che pure in tanti considerano un grande comunicatore; gli viene sì riconosciuta l’abilità che ebbe nel suo apparire sullo scenario con tecniche di comunicazione aziendale allora inedite per i messaggi politici in Italia, ma sono rilevate le sue pesanti cadute e gli errori commessi in questi più recenti anni.
Qualche riconoscimento, parziale, va a Di Pietro, Renzi e Vendola ma che, comunque, più di qualche importante colpo devono pur registrare al loro passivo.
In molti testi è data grande importanza ad Internet e anche nelle pagine di SpotPolitik (“Lo strumento che i politici italiani trascurano di più”, è detto) la cosa è ribadita, ma con una sottolineatura che lo distingue da tanti altri libri: non è la medicina universale ( “La rete infatti può essere uno strumento duttile ed economico per costruire, gestire e rinsaldare il contatto con gli elettori”), non si pensi che da sola – seppure bene usata, e da noi è usata malissimo – può risolvere ogni problema di comunicazione
Il volume si chiude con una sitografia e una bibliografia ragionata per argomenti.
Ecco un libro che dovrebbe essere letto dai politici, soprattutto di quella sinistra di cui sono insoddisfatto elettore.
Ecco un libro straordinario che vi consiglio di leggere, mi ringrazierete.

Per una scheda sul volume: CLIC!

Giovanna Cosenza
SpotPolitik
Pagine 224 con immagini
Euro 12.00
Editori Laterza


Toghe verdi


I principi di un grande ecologista, Serge Latouche, sono riassunti in una formula nota come le 8 R: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare, Ridistribuire, Rilocalizzare, Ridurre, Riutilizzare, Riciclare.
Siamo lontanissimi in Italia (ma anche altri paesi non scherzano) da sia pure una soltanto di quelle R. Forse solo “riciclare” ci appartiene, ma si riferisce al denaro sporco.
Una drammatica testimonianza dei crimini commessi contro l’ambiente, contro donne, uomini e bambini costretti ad ammalarsi gravemente per abusi (spesso impuniti) nel nostro paese lo abbiamo in un libro pubblicato da VerdeNero: Toghe verdi Storie di avvocati e battaglie civili.
Volume prezioso con sentenze, memorie dei penalisti, atti di processi, documenti ufficiali, e una ben articolata intervista a Raffaele Guariniello, di cui è autrice Stefania Divertito, una delle nostre giornaliste di punta nelle inchieste sul malaffare in campo ecologico.
Nata a Napoli nel 1975, è giornalista specializzata in tematiche ambientali. Responsabile della cronaca nazionale per il quotidiano "Metro", collabora con alcuni periodici nazionali. Per la sua inchiesta sull’uranio impoverito durata sette anni ha vinto nel 2004 il premio Cronista dell’anno indetto dall’Unione Cronisti Italiani. Ha pubblicato il libro-reportage “Il fantasma in Europa” (2004, con Luca Leone); Uranio: il nemico invisibile (2005).
Per VerdeNero ha scritto Amianto. Storia di un serial killer (2009).

Scrive Erri de Luca in prefazione a Toghe verdi: “Stefania Divertito fruga nella discarica della memoria pubblica e l’aggiorna. Fa restauro di coscienza civile della nostra sbracata identità di popolo”.

A Stefania Divertito ho rivolto due domande.
Nel corso della tua inchiesta, hai trovato una modalità ricorrente, politica e sociale, all’origine dei tanti disastri ambientali che denunci?

Girando l’Italia uno degli aspetti che mi ha maggiormente colpita è proprio un comune denominatore a tutti i disastri ambientali trovati: l’assenza della politica. Oppure, per dirlo meglio, l’azione nociva della politica. Perché sarebbe erroneo sostenere che la politica è assente nel territorio italiano. Purtroppo è presente. Dico purtroppo perché quando interviene, combina guai. Cambia le leggi, come è accaduto per Porto Tolle per autorizzare la centrale a carbone; convince gli amministratori locali a far passare la Tav e causando quindi il dissesto idrogeologico del Mugello; rilascia le autorizzazioni e chiude un occhio quando serve all’industriale o alla lobby di turno. Invece la politica non c’è mai, salvo rare eccezioni, quando si tratta di difendere il territorio.

Alla disperazione del presente associ una speranza per il futuro? Se no, perché? Se sì, in che cosa risiede?

A differenza degli altri libri da te ricordati che ho scritto, questo mi ha offerto molti spunti di speranza. Vedo spiragli per il nostro futuro nell’azione decisa e inarrestabile dei comitati civici, nella lotta senza sosta e caparbia di magistrati e avvocati di parte civile. Si tratta di un nuovo ambientalismo che sta nascendo davanti ai nostri occhi: siamo passati dall’ambientalismo del “No” a quello del “Perché”. Sempre di più i cittadini vogliono capire, si interrogano, intendono partecipare ai processi decisionali. L’ho visto accadere per l’amianto, per l’Ilva a Taranto, il petrolchimico di Sarroch.
È in questo anelito partecipativo che scorgo e trovo un motivo di sperare che i destini di distruzione e morte che abbiamo seminato nel Paese possano davvero cambiare
.

Le pagine di Toghe verdi hanno una loro prosecuzione sul web.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Stefania Divertito
Toghe verdi
Prefazione di Erri De Luca
Pagine 176, euro 14
Edizioni Ambiente


Remix It Yourself (1)


La casa editrice Clueb ha mandato da poco in libreria un importante libro di uno studioso che ha dedicato la propria ricerca all’immaginario tecnologico: Vito Campanelli (per una sua biobibliografia CLIC).
Il volume è intitolato Remix it Yourself Analisi socio-estetica delle forme comunicative del Web.
La cultura Remix indica un complesso di composizioni derivate dalla combinazione di materiali esistenti e/o modificati generando nuovi prodotti. Tale comportamento coinvolge plurali sfere espressive che vanno dall’estetico al sociale mettendo in discussione la vecchia interpretazione di “opera”, “autore” e anche lo stesso concetto di “copyright”.

Dalla quarta di copertina: “Remix, mashup, sample, loop, cut and paste, embed, edit, post, link, geoposition, tag, quote, retweet, update, share sono alcuni tra i termini tecnici ormai entrati nel linguaggio comune che contribuiscono a delineare un inedito orizzonte: quello delle pratiche creative rese possibili dai media digitali. Tali pratiche hanno saturato ogni frammento di quotidianità e impegnano in un continuum comunicativo gli abitanti di un pianeta sempre più interconnesso e dipendente dalle tecnologie della comunicazione.
Se il paesaggio moderno assumeva consistenza in virtù del modello secondo il quale si usa il passato per costruire il futuro, in quello contemporaneo si impongono tratti peculiari che giustificano i tentativi volti a far emergere la mappa di una nuova cultura, quella appunto del remix, che privilegia, più di quanto sia avvenuto in precedenti epoche storiche, modalità compositive basate sul riutilizzo – più o meno – creativo e consapevole di oggetti culturali preesistenti”.

Alcuni passaggi dalla Prefazione di Alberto Abruzzese: Ad onta delle crescenti e fondate preoccupazioni sul ruolo che i linguaggi digitali potrebbero continuare a svolgere a favore delle più tipiche forme di dominio perpetrate sull’esperienza umana dalla società moderna, resto convinto che in ogni casi si stia entrando in una mutazione straordinaria della percezione del mondo […] Ecco allora che una riflessione sul remix- e Campanelli mostra di esserne estremamente consapevole proprio nell’accostare i contenuti tecnologici di questa pratica alle forme dell’arte senza indulgere ai loro rispettivi specialisti – impone uno sguardo a vasto raggio […] Campanelli ha dunque scritto un libro che è di notevole interesse perché offre molta materia di discussione, e spero che in virtù di questo risulti utile non solo alla ricerca scientifica e all’informazione (i fan delle molteplici attività di remix costituiscono un vasto pubblico) ma anche della formazione universitaria, agli studenti e docenti delle varie discipline che vi sono direttamente e indirettamente coinvolte. A tale riguardo potrebbe persino invogliare l’accademia a correre qualche rischio e mettere in dubbio alcuni suoi statuti storici e interessi corporativi.

Segue ora un incontro con Vito Campanelli


Remix It Yourself (2)


A Vito Campanelli (in foto), ho rivolto alcune domande.

Da quale presupposto ti sei mosso nel tracciare il Remix e la sua valenza espressiva?

Il presupposto dal quale sono partito è che la cultura si è sempre basata sul riutilizzo di materiali preesistenti, tuttavia oggi abbiamo alcuni elementi di novità che, a mio avviso, autorizzano a ritenere che quella contemporanea sia, più delle precedenti, una “cultura del remix”. Innanzitutto va detto che lo scenario emerso grazie alla diffusione globale dei media digitali ha determinato un’incredibile molecolarizzazione del patrimonio culturale dell’umanità, al quale è possibile guardare come a un insieme – tendente all’infinito – di mattoncini (o moduli). Inoltre è facile rendersi conto che non abbiamo mai avuto a disposizione tanto materiale da rielaborare: entrare in Rete significa infatti immergersi in un flusso senza fine di oggetti culturali, tutti estremamente a ‘portata di mano’. Infine la logica del software, che è divenuta dominante nel contemporaneo, si basa sempre più sull’ibridazione di differenti media, linguaggi, forme di rappresentazione, metafore eccetera.
Le tendenze che ho velocemente tratteggiato concorrono a determinare un nuovo paradigma compositivo per il quale ogni creazione si basa sul riutilizzo (più o meno consapevole, creativo ed ‘originale’) di una serie di “mattoncini”, sulla loro ibridazione ovvero sul loro remix
.

Nella Premessa, illustrando il “viaggio nell’Infosfera” che proponi al lettore, ti riferisci anche ad “ambienti offline non rappresentati in Rete ma che non riescono a sottrarsi alla sua influenza”. Puoi esemplificare?

Intendo semplicemente che non è possibile ipotizzare un immaginario che non sia influenzato dalla Rete e che non hanno nessuno senso le distinzioni (che alcuni insistono a proporre) tra reale e virtuale, mondo e meta-mondo eccetera.

Il primo capitolo si apre con una fulminante affermazione che condivido con entusiasmo: “L’originalità (se mai è esistita) è morta”.
Quali novità socio-estetiche questa cosa comporta?

Le novità sono molteplici e tutte di un certo rilievo, ad esempio se guardiamo alle pratiche contemporanee è facile rendersi conto che il confine tra materialità e professionalità si è sbiadito fino al punto da diventare invisibile. Anche un’altra importante categoria della modernità, quella di ‘autore’, si sta rivelando del tutto inadeguata di fronte al diffondersi di forme di autorialità collaborative e partecipative. Al di là di tali (ovvie) constatazioni, l’elemento sul quale ho ritenuto di dover stringere maggiormente il fuoco è l’importanza che le catene di comportamenti ripetitivi hanno assunto nella contemporaneità: ho provato infatti a spiegare come è proprio attraverso la loro continua ripetizione che le forme estetiche del Web si radicano nella società. Anche qui non si tratta di una novità assoluta nella storia dell’umanità, tuttavia la straordinaria contagiosità delle forme estetiche contemporanee, insieme alle peculiari specificità dei network digitali, giustificano i tentativi volti a interpretare l’inedito paesaggio anche attraverso l’elaborazione di nuove categorie e nuovi strumenti d’indagine.

Leggendo il tuo libro mi è sorta una domanda che spero non illegittima: il post-moderno è finito, come alcuni studiosi affermano, oppure assistiamo a una nuova fase della sua esistenza?

Ho forti perplessità in proposito: non credo che il post-moderno sia finito, sembrerebbe invece che proprio ora stia dispiegando in pieno i suoi effetti. Viviamo un’epoca radicalmente post-moderna e la cultura del remix è lì a testimoniarlo; il problema è rappresentato dalla circostanza che gli intellettuali che avevano intuito ciò che oggi è davanti agli occhi di tutti si sono forse annoiati di continuare ad analizzare lo stesso scenario e così ne decretano la scomparsa.
La provocazione che ho indirizzato a quanti continuano ad annunciarne la morte è stata suggerire che il post-moderno potrebbe rivelarsi una categoria a tal punto elastica da riuscire ad abbracciare e dunque a metabolizzare anche la propria fine. Come che sia, ritengo che oggigiorno la prospettiva di gran lunga più interessante sia il post-umanesimo, mi sembra infatti che soltanto attraverso questo irrinunciabile frame concettuale la riflessione sul rapporto tra esseri umani e macchine possa generare linee di pensiero davvero significative
.

Per visitare il sito web di Campanelli: QUI.

Vito Campanelli
Remix It Yourself
Prefazione di Alberto Abruzzese
Pagine 148, Euro 16.00
Edizioni Clueb


Hypercorpus


Una delle liete novità di questi ultimi tempi sullo scenario editoriale è data dalla presenza dell’editrice :duepunti, in foto il logo.
Alcuni suoi titoli che ho recensito di recente in queste pagine: Mai ali che volano alti di Sandro Volpe e Alberto Voltolini, Sadisfaction di Angelo Capasso, L'occhio barocco di Michele Rak.
Per uno sguardo alle ghiottonerie del suo catalogo: CLIC!

Ora l’Editrice ha dato vita a una nuova piattaforma digitale chiamata Hypercorpus, inaugurata il 2 marzo, in cui il tradizionale modo di fare editoria incontra le nuove tecnologie e si confronta con i cambiamenti in atto nella nostra società, nei modi di creare e di consumare cultura.

Ecco il comunicato stampa che ho ricevuto e volentieri rilancio.

“Hypercorpus non è un e-store, non è una trovata commerciale, non è l’ennesima provocazione, è un progetto articolato che vuole chiamare lettori, autori, studiosi, istituzioni e anche gli altri editori a riflettere sulle pratiche, i diritti, i doveri, le strategie e gli obiettivi che dànno senso al nostro lavoro: che è fare libri al di là del fatto che essi siano fatti di carta.
Hypercorpus è uno “scaffale digitale” della biblioteca di :duepunti, in cui parte del nostro catalogo è disponibile in open access. Uno scaffale che vogliamo mettere alla libera portata dei nostri lettori e degli studiosi.
Con l’accordo dei nostri autori e con licenze Creative Commons, estenderemo il progetto con una parte via via crescente del nostro catalogo storico e delle nostre novità editoriali, e avvieremo collane “native digitali”, progetti di crowdsourcing e collaborazione scientifica e altre formule editoriali sperimentali.
Hypercorpus muove dalla riflessione che fare editoria digitale non significa soltanto pubblicare degli ebook, ma che è necessario fare i conti con una nuova fruizione della cultura. Si tratta quindi di convertire al mondo digitale i valori su cui un editore “indipendente” ha sempre riflettuto: le buone pratiche, il rispetto dei lettori e degli autori, in definitiva il senso culturale e politico del proprio lavoro.
Il testo “Fare libri oggi”, firmato da :duepunti, è il manifesto del progetto, oltre che la messa in crisi di un modello, quello dell’attuale filiera della produzione culturale che – ammesso abbia mai funzionato – è ora insostenibile.
È possibile scaricare on-line il testo dalla sezione hypercorpus.
Il libro oggi va incontro a mutamenti che molti a giusto titolo definiscono epocali. Si smaterializza: è sempre meno un oggetto di carta stampata e va divenendo un testo capace di assumere forme varie, veicolato da supporti differenti, scambiato, diffuso, condiviso rapidamente e senza intermediazioni. Con l’eliminazione dei costi stampa e di intermediazione della vendita si va incontro a un potenziale di diffusione e scambio dei saperi, mai raggiunto prima d’ora nella storia dell’umanità. Opporsi a questo fenomeno significa portare indietro la lancetta del tempo per salvaguardare gli interessi economici di una ristretta cerchia.
:duepunti continuerà a fare libri ‘materiali’ (di carta) e ‘digitali’ (sui diversi formati), provando a farli sempre meglio”.


Il corto la scorta le escort

Qualche anno fa presentai in queste pagine web, con grande piacere, come mi càpita con i lavori di Francesco Muzzioli, una sua impresa letteraria intitolata Alla corte del Corto.

Ora, l’Editrice La città e le stelle (nome, credo, ispirato a un romanzo di fantascienza scritto da Arthur C. Clarke), propone in formato audiolibro quel lavoro con il titolo Il corto la scorta le escort.
E’ la versione audio di quel testo, di cui dicevo in apertura, che fu pubblicato da “Le Impronte degli Uccelli” nel 2011 e presentato a Roma al Lavatoio Contumaciale; testo disponibile in edizione cartacea richiedendolo a vilmacostantini@alice.it
Adesso il pacchetto è composto di sei files in mp3, numerati, da ascoltare in successione e di un file di commento firmato da Mario Quattrucci.
Cliccando su questo link quei files sono liberamente ascoltabili e scaricabili.

Ascolto godibilissimo in cui si apprendono avventure e disavventure che accadono in un lontano regno – un paese di fantasia, sia chiaro – chiamato Pitalia.
E’ lo stesso Muzzioli a dare voce alla narrazione… come dite?... chi è il corto?... scommetto che l’avete capito, e questo è un motivo di più per divertirvi ascoltando.


La Rivoluzione siamo Noi

“La Rivoluzione siamo Noi” è una frase di Joseph Beuys che Sergio Messina ha voluto come titolo per una sua mostra – a cura di Rossella Moratto – in corso a Milano presso la Nowhere Gallery.

Da una decina d'anni Sergio Messina ha cominciato a interessarsi, da un punto di vista antropologico, politico ed estetico, all'immaginario pornografico amatoriale del web, affermatosi massicciamente come fenomeno dalla fine degli anni ‘90.
È un viaggio nella pornografia "autoprodotta", che Messina definisce con il nome di Realcore, termine derivato dalla fusione di Softcore (sesso totalmente simulato) e Hardcore (sesso reale ma performato per la telecamera), usati per descrivere la pornografia industriale cui questa nuova pratica si oppone perché fatta da persone reali con desideri reali che utilizzano la tecnologia e la rete per soddisfare i propri desideri.
La ricerca si è articolata nella produzione dello show "Realcore", e di un libro "Real Sex" (per un’intervista a Messina sul volume: CLIC) pubblicato dalla casa editrice Tunuè.

Scrive Rossella Moratto presentando la mostra: C'è il coraggio della verità e dell'unicità del proprio corpo e delle proprie fantasie, che supera il concetto di osceno: non c'è vergogna né pruderie ma sincerità nell'esibizione di nudità e pratiche più o meno esplicite.
Al consumo sessuale massificato e omologato offerto dai corpi artificiali e all'ossessiva e ipertrofica esposizione degli organi sessuali della pornografia industriale si sostituisce qui la testimonianza di un desiderio in atto, individuale e individuato, un felice scambio di piacere, come dimostrano i sorrisi delle persone ritratte. Il sesso è riportato nella sfera dei vero, del quotidiano, magari eccitante o magari anche tragico o patetico, ma sempre concepito e realizzato all'interno di dinamiche affettive di cui chi è fotografato è partecipe insieme a chi lo fotografa e in cui anche chi guarda viene incluso nei gioco. E la riappropriazione e l'autogestione dell'eros svincolata dal meccanismo di produzione- consumo e dalle dinamiche di oscenità e pudore: spazio liberato per il desiderio, disponibile e multiforme. La rivoluzione siamo Noi, omaggio all'omonima opera di Joseph Beuys, ribadisce che l'unica rivoluzione possibile è dentro di noi, nelle nostre idee e nei nostri comportamenti, nella dimensione tangibile dell'oggi e non in quella utopica di un futuro a venire, in questo senso, questo lavoro è una scultura sociale, una grande opera di condivisione sovversiva intesa beuysianamente come processo di trasformazione di relazioni personali, sociali e politiche, individuali e collettive, in grado di scardinare gli ordini costituiti
.

Colgo l’occasione di questa nota per un aspro rimprovero alla rivista “Rumore” che ha chiuso alcune rubriche e fra queste quella che da 16 anni era firmata da Sergio Messina il quale non sempre si occupava di Rock’n’roll, ma sempre in modo r’n’r’, cioè proiettando riflessioni e critiche in uno spazio d’intelligenza che ora mancherà a quella pubblicazione.

Sergio Messina
“La Rivoluzione siamo Noi”
A cura di Rossella Moratto
Nowhere Gallery
Via del Caravaggio 14, Milano
Dal Martedì al Sabato 15.00 - 19.30
Info: (+39) 329 – 21 53 299
Fino al 7 aprile ‘12


Ripuliti

La casa editrice Castelvecchi ha mandato in libreria un prezioso volume che studia un importante momento della vita politica italiana dei nostri anni sia usando gli strumenti dell’inchiesta sia quelli della riflessione storiografica.
Titolo: Ripuliti Postfascisti durante e dopo Berlusconi.
Autori: Daniele NalboneGiacomo Russo Spena.
Daniele Nalbone: giornalista di Liberazione e autore di “Le mani sulla città. Da Veltroni ad Alemanno storia di una capitale in vendita” (2011); “In prima persona. Lotte e vertenze dei comitati territoriali del Lazio” (2010); “Cricca Economy” (2010).
Giacomo Russo Spena: giornalista di Micromega. Collabora per Il Fatto Quotidiano e Il Riformista. È stato redattore del quotidiano il Manifesto e ha lavorato per emittenti tv.
Il libro – prefazione di Guido Caldiron – è una puntualissima ricostruzione dei rapporti che l’estrema destra ha avuto (ed ha) con il PdL e dimostra come aldilà di tante dichiarazioni (e anche divisioni realmente esistenti) la galassia nera sia unita più di quanto si creda. Impressionante al proposito il capitolo "Gli impresentabili nel PdL" dove intorno alla salma dell'ex Nar Peppe Dimitri ai suoi funerali si trovano raccolti in tanti: da Alemanno a noti terroristi neri.
Ai due autori ho posto alcune domande; li sentirete rispondere con una voce sola. Prodigi della tecnologia a bordo di Cosmotaxi.

Nel libro ricorrono i due termini “postfascisti” e “neofascisti”. Qual è la differenza fra “post” e “neo”?

Postfascisti e neofascisti indicano due momenti storici differenti. Nonché due sfere politiche diverse. Una forza neofascista è stato il Movimento sociale italiano, il maggior partito neofascista d'Europa dal dopoguerra. Nel Msi i richiami al fascismo di Mussolini sono stati fin dall'inizio evidenti. Nel tempo, però, soprattutto la sfera giovanile del Msi si è distaccata dal ventennio aprendo le porte al postfascismo. Come ci ha spiegato Marcello de Angelis, parlamentare Pdl e direttore del Secolo d'Italia, ex Terza posizione, per i giovani degli anni 70-80 il neofascismo “era ieri”; il ventennio, il fascismo “l'altro ieri”. Il Msi era una forza politica neofascista. Alleanza nazionale, postfascista.

Ritenete Fini sincero, oppure no, nel tentare di fondare una Destra conservatrice lontana dal “male assoluto”?

Oggi Fini sarà anche sincero. Nessuno, noi in primis, possiamo mettere in dubbio questo. Fini oggi sta giocando una nuova partita politica che punta a creare una nuova forza di destra, europea, lontana dalla destra “berlusconiana” fatta solo ed esclusivamente di “pancia”: populismo, xenofobia, politica urlata. Non possiamo però dimenticare quello che nel nostro libro viene spiegato da pidiellini come Rampelli: Fini ai tempi del passaggio dal Msi ad An era il più “nostalgico tra i nostalgici”, che vedeva in Mussolini un grande statista. Convenienza politica ha poi voluto che in pochi mesi l'attuale presidente della Camera passasse da “Mussolini grande statista” a “Fascismo male assoluto”. Ma la politica, si sa, è dinamica.

Com’è stato possibile che movimenti un tempo extraparlamentari della Destra i quali spesso s’ispiravano al paganesimo di marca nazista si siano ritrovati negli asili berlusconiani cattolici e, soprattutto, filovaticaneschi?

Berlusconi ha di fatto contribuito in maniera fondamentale a sdoganare la destra “neofascista” nella sua trasformazione in Alleanza nazionale. Nel gioco politico del centrodestra, quella destra una volta extraparlamentare si è così ritrovata “costretta” a cambiare veste, a mutare quasi geneticamente, abbandonando la propria storia, in alcuni casi addirittura a rinnegarla, per farsi destra di governo. Fino ad arrivare al momento in cui gli stessi ex neofascisti si sono ritrovati a preferire arruolarsi nelle file berlusconiane per non restare marginali nell'ambiente di destra.

Alla luce del vostro studio, quale immaginate sia nel prossimo futuro, il ruolo che giocherà la Destra nel nostro paese?

Questa è la domanda delle domande. Il futuro della destra è tutt'altro che chiaro. Quel che pare certo è che il Pdl per scegliere il suo prossimo leader ricorrerà alle primarie. Ma, come detto, questo solo per scegliere il candidato premier. Cosa accadrà nel Pdl, tra gli ex An, è però difficile da immaginare. A complicare ancor di più il quadro, ora ci si è messo Berlusconi, l'ex leader, in persona: “non sono sicuro se ci sarà ancora il Pdl sulla scheda del 2013, servirà una cosa nuova” ha spiegato l'ex premier. Certo, un'eventuale scomparsa del simbolo Pdl non sarebbe dovuta alla fine di un percorso e di una storia politica, ma più banalmente alla consapevolezza di Berlusconi della sconfitta elettorale. E allora meglio non partecipare proprio…
Bypassando la competizione elettorale, il quadro che si apre è destra è ancor più complicato: ex Terza posizione che si dicono pronti a seguire “numeri 2” del Pdl come Matteoli; attuali parlamentari Pdl che gridano al “colpo di stato” in relazione al governo Monti che non aspettano altro che creare una nuova grande coalizione che vada da Storace a Casini “ma senza Fini”; ex An oggi La Destra che sono pronti a sostituirsi ai big del Pdl, vedi Storace con Alemanno, e correre alla poltrona di sindaco di Roma. Il tutto con l'ulteriore caos determinato da forze di movimento come Casa Pound o il Popolo di Roma che un giorno seguono Alemanno e il giorno dopo lo attaccano frontalmente. In poche parole, caduto il Re, Berlusconi, è tutti contro tutti
.

Daniele Nalbone – Giacomo Russo Spena
Ripuliti
Prefazione di Guido Caldiron
Pagine 192, Euro 14.00
Castelvecchi


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