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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Svestite da uomo


L’esercizio della professione giornalistica può portare, talvolta (sempre che non si tratti di Belpietro o Feltri) vantaggi alla scrittura. A questo pensavo giunto all’ultima pagina del più recente libro di Valeria Palumbo, una storica che ha lavorato a lungo nel periodico ‘Capital’, per essere poi a capo della redazione attualità e cultura di ‘Amica’ fino a diventare, come lo è oggi, caporedattore de ‘L’Europeo’.
La sua scrittura, infatti, è lontana dalle prolisse e sussiegose penne purtroppo spesso impugnate dagli storici, riuscendo, come in certi efficaci resoconti giornalistici, a rendere tese e rapide le pagine ricostruendo e interpretando fenomeni, periodi, personaggi.
Lo avevo già notato in un suo precedente volume intitolato La perfidia delle donne e, se possibile, ancora di più in un testo mandato dalla Bur in libreria da poco: Svestite da uomo Donne in abiti maschili dalla Grecia antica all’Iran di oggi.
Copertina_libroSi tratta di uno studio sul fenomeno del travestitismo femminile che giunge in un momento in cui molti accenti delle nuove culture, da quella gay a quella fetish al transgender alle trasformazioni d’identità possibili in Second Life, hanno dato nuovi significati al vestirsi, spogliarsi e travestirsi.
L’autrice partendo dalle mitiche Amazzoni approda fino ai nostri giorni, attraversando secoli e secoli fitti d’episodi e personaggi, presentando donne che si vestono da uomo per necessità, caso, virtù, burla, sfida.
Personaggi – non sempre omo o bisessuali – noti, e assai spesso meno noti, che, sia per occasione sia per convinzione, hanno inciso sui costumi di varie epoche fino alle profonde modificazioni del presente.
Libro che si legge con gran piacere ricco com’è di biografie e aneddoti che anche quando si profilano più scabrosi mai sono trattati in modo pruriginoso.
E’ un volume scritto in modo che tutti lo possono gustare e, tengo a sottolinearlo, può fare gran comodo avere sottomano a chi lavora nelle redazioni della carta stampata, delle radiotv, del web, perché si rivelerà prezioso in molti momenti professionali sia per spunti e sia per arricchire articoli e trasmissioni.
A proposito di trasmissioni, è un lavoro che se le reti radiotelevisive non fossero dirette, come spesso accade, dalle teste di silicio che purtroppo le dirigono, si presterebbe ad una sua ghiotta versione per le antenne.
La scrittrice, nelle ultime pagine, chiosando la sua ricerca, riflette sul fatto che “in ogni epoca gli esseri umani apprendono a mettere in scena se stessi”. E se Shari Butler sostiene che noi tutti siamo obbligati a conformarci ad una data norma, maschile o femminile, per ottenere un’identità riconosciuta dagli altri, per poter agire e far parte dell’umanità, la Palumbo va oltre scrivendo: “La coscienza che quella norma varia nel corso della storia e a seconda delle culture, dovrebbe però permetterci, oggi, di decidere più liberamente a che gioco giocare”.


Valeria Palumbo
“Svestite da uomo”
Pagine 339; Euro 9:80
Rizzoli – Bur


Ultracorpi


E’ questo il titolo del più recente libro – da pochi giorni mandato in libreria da Liguori – di Paola De Sanctis Ricciardone.
Antropologa, è docente di Storia della Cultura Materiale all’Università della Calabria, Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti.
Fa parte del Consiglio Direttivo dell’Aisea (Associazione Italiana per le Scienze Etno-Antropologiche), è responsabile per la Calabria - lei di nascita abruzzese - della Simbdea (Società Italiana per la Museografia e i Beni Demoantropologici).
Dizioni che, messe tutte assieme, possono atterrire ogni passante. Ma quel passante sbaglierebbe ad appaurarsi perché la De Sanctis Ricciardone oltre al suo aspetto da bambinaccia impertinente, è donna spiritosa come potete rendervene conto ascoltandola in una sua conversazione mentre vola addirittura sull’Enterprise di Star Trek.
E scrive in modo sapiente e divertito al tempo stesso, ricordo prima di Ultracorpi, i suoi precedenti titoli: “Antropologia e Gioco” (Liguori, 1994); “Il Tipografo Celeste” (Dedalo, 1987); “Nemici immaginari” (Meltemi, 1996).
Copertina-UltracorpiIn questo volume, si parla di figure e materiali diventati feticci da collezionisti, ripercorrendone storia, prodigi e significati.
Splendide su tutte, le pagine dedicate ad Elvis Presley; credo sia il più bel saggio mai scritto in Italia sui segni trasmessi dal corpo-icona di quel celebre cantante.
Così come avvincente è il capitolo, scritto col ritmo del giallo, che narra le vicende, tra il tenebroso e la gag, del brano musicale ”Masked Ball” divenuto famoso perché presente sia nella scena dell’orgia in “Eyes Wide Shut” di Kubrick e sia nell’ambigua pubblicità ‘Red Passion’ del Campari soda.

A Paola De Sanctis Ricciardone, ho chiesto qual è il filo che lega i saggi contenuti in questo suo libro.

Il libro parla di ultracorpi. Nel senso proprio del film di Don Siegel del 1956. In realtà il titolo originale era The Invasion of the Body Snatchers.
E che facevano i baccelloni alieni piovuti dallo spazio sulla terra? “Ghermivano”, predavano corpi degli abitanti di una tranquilla cittadina californiana e ne ottenevano repliche perfette per attuare un programma micidiale di invasione della terra. Il film fu visto come un classico film di fantascienza paranoide americana tipico della Guerra Fredda (alieni cioè bolscevichi). In realtà credo che parlasse anche di paure più profonde e antiche. Tra l’Otto e il Novecento, per via delle rivoluzioni industriali e tecnologiche, si sviluppano varie ansie relative alla perdita dell’autenticità, artistica, etnica, storica, folklorica.
A me invece i predatori-trasfiguratori di corpi “autentici” interessano, e questo libro parla di loro: di collezionisti e musei, dei polimeri artificiali che ghermiscono le materie ‘nobili’ e le serializzano in merci di consumo, di Las Vegas, la cui urbanistica vampirizza l’architettura monumentale europea, dell’imprenditoria che trasforma in bene immobile intangibile la vita e le opere di idoli popolari come Elvis Presley, del mondo della pubblicità, del marketing e del branding che fagocita di tutto, musica, musei, arte, paesaggi. E anche la festa popolare, declinata in una sorta di perenne “imperfetto folklorico” (‘come eravamo’) mostra degli usi dell’autenticità locale che hanno sempre più a che fare con il branding territoriale a fini turistici.
Sai immaginare Siena senza il suo Palio?

Per una scheda sul libro, cliccate QUI.

Paola De Sanctis Ricciardone
“Ultracorpi. Figure di cultura materiale e antropologia”
Pagine 155; Euro 11:50
Liguori Editore


Note notturne per Jean Vigo


Da oggi fino al 31 Maggio, presso il Teatro Palladium di Roma, si svolge la terza edizione del “Dams Film Festival”, rassegna di cortometraggi promossa dal Dams e dal Dipartimento Comunicazione e Spettacolo dell'Università Roma Tre.
La sera del 29 sarà dedicata ai documentari, quella del 30 alla videoarte, il 31 invece è di scena la fiction.
Per il programma, cliccate QUI.
Dal nutrito cartellone, spinto dal mio vecchio amore per il lavoro di Jean Vigo, scelgo d’occuparmi di una performance cinemusicale che proprio al grande regista francese è rivolto dai Giovani Artisti Associati, gruppo fondato da Alessandro Del Vecchio - Andrea Farri - Leone Orfeo.
Quest'evento speciale del 31 maggio – si svolgerà dalle 22.00 alle 23.00 – intitolato Omaggio musicale a Jean Vigo, verrà presentato da Giorgio De Vincenti, Enrico Ghezzi, Vito Zagarrio.
In proiezione i corti “À propos de Nice” (25’00”, 1929), “Taris, roi de l’eau” (11’00”, 1931) saranno commentati dal vivo con musiche originali di Andrea Farri.
Foto di scenaIl compositore, al pianoforte, sarà accompagnato da Andrea Colella (contrabbasso) e Roberta Montisci (fisarmonica).
Andrea Farri, figlio d’arte, la madre è Lucia Poli, nonostante la giovane età, ha, infatti, 25 anni, ha già al suo attivo un notevole curriculum artistico.
Studia armonia e composizione alla Scuola di Musica Popolare di Testaccio con il jazzista Andrea Alberti. Due sono le correnti musicali che lo influenzano maggiormente: l'impressionismo di inizio ‘900 e la musica languida e decadente delle balere della Riviera nel secondo dopoguerra. Inizia a scrivere musiche per il teatro fin da giovanissimo. Nel 2004 firma la sua prima colonna sonora cinematografica ("A levante" di AA VV, prodotto da Edoardo Winspeare). Laureato in Storia Contemporanea all'Università di RomaTre, ha fatto anche numerose esperienze da assistente alla regìa (tra cui "La tigre e la neve" di Roberto Benigni). Nel 2006 scrive e dirige musiche per i corti surrealisti di Jean Vigo ottenendo un marcato successo al Batik Film Festival di Perugia e l’applauso di Luce Vigo, figlia del regista.

La sua sarà un'interpretazione musicale di Vigo “dal sapore melodico e demodè” come recita un comunicato stampa.
L'esecuzione dal vivo aiuta il pubblico ad entrare nel mondo surreale, giocoso ma anche spietato di Vigo ed è utile a far capire quello che Federico Fellini riassumeva in una frase: "La musica so' radiazioni pericolose."

Ad Andrea Farri ho chiesto: quali elementi del cinema di Vigo ritieni che siano ancora attuali oggi?

Nei due corti di Vigo trovo che si mescolino insieme surrealismo, visionarietà, irriverenza, ironia... Insomma personalmente trovo attualissimo Vigo, probabilmente molto più attuale di noi oggi. L’unico lungometraggio che gli hanno prodotto l’ha fatto su commissione con una storia banale che lui stesso detestava, ma gli è servita per inventare un nuovo linguaggio: il cinema moderno.

Nella tua operazione musicale su che cosa hai prevalentemente puntato? Quale la principale scommessa espressiva?

Su niente in particolare. Non ho voluto né rimusicare in chiave moderna né fare una rivisitazione discodance, mi piaceva semplicemente poter lavorare su un classico, in tempi in cui la musica ci avvolge, e si usa dalle pubblicità agli ascensori, mi piaceva ripartire da zero, musicando i cortometraggi di uno dei padri del cinema che però era – ironia della sorte – mio coetaneo. Vigo aveva infatti sui venticinque anni quando ha girato “Taris” e “À propos de Nice”.
La musica che eseguiamo dal vivo in trio (pianoforte, contrabbasso e fisarmonica) è insomma un’interpretazione personale di quel mondo surreale di Vigo, in cui siamo finiti un po’ tutti; il mondo dei bambini, dell’acqua, della sensualità, delle nuvole, degli angeli, delle donne nude, dei gabbiani, del mare… e insomma spero che piaccia
.

Lo spettacolo avrà repliche estive e per i redattori della carta stampata delle radiotv, del web, i riferimenti per saperne di più sono: giovaniartistiassociati@gmail.com oppure Leone Orfeo +39. 392 – 26 04 682

Per lo spettacolo del 31 maggio:
Teatro Palladium
P. Bartolomeo Romano 8, Roma
info@teatro-palladium.it
06 – 57 06 77 61/66


160 caratteri gialli


Quanti romanzieri sono al lavoro mentre leggete questo rigo?
Impossibile saperlo!
Ogni più nera previsione sul numero dei romanzi che verranno dati alle stampe (funesta calamità che s’abbatte su colpevoli lettori e incolpevoli redattori costretti a recensirli per guadagnarsi da vivere), ogni più infausto pronostico è destinato ad essere tragicamente smentito perché sempre approssimato per difetto!
Da quando poi gli italiani hanno scoperto d’essere scrittori di gialli e noir, un vero tzunami letterario s’è abbattuto sul nostro paese che ha tante colpe, ma, forse, non meritava, nonostante tutto, tale punizione che pare voluta da quel dio crudele appena uscito ghignando da una tipografia dell’Antico Testamento.
Telefono a teschiPerò… però… uno spettro s’aggira per il Web.
Un fantasma vendicatore, raffinato scrittore perciò mai narratore, che ha per nome Antonio Zoppetti e gestisce uno dei più vertiginosi angoli della Rete che potete conoscere cliccando QUI.

Questa notizia è anche un trailer perché prossimamente Antonio Zoppetti, con la sua funambolica webscrittura piene di bricconate dalla A alla Zeta (tenendo fede alle sue iniziali), sarà ospite di questo webmagazine nella Sez. Nadir.

Antonio Zoppetti, lanciò nel 2005 – ben prima cioè d’imitazioni che verranno – il gioco dei gialli da sms, consistente nello scrivere un giallo in max 160 caratteri, possibilmente senza rinunciare a movente e arma delitto.
Per averne un assaggio bussate a questo link e vi sarà aperto.
Domani, alcune composizioni saranno ospitate e lette nella Libreria del Giallo di Tecla Dozio.

Libreria del Giallo
Via Peschiera 1, Milano
Mercoledì 30 maggio
Ore 19:00


Il settimo splendore (1)


Dante, nel XXI canto del Paradiso sente Beatrice che gli dice: Noi sem levati al settimo splendore; lo avverte, con fare da hostess spaziale, che s’è compiuta l’ascensione sul settimo pianeta, Saturno. L’ascensione, come in precedenti occasioni, “s’è compiuta in un attimo, altre volte il Poeta” – come nota il commento scartazziniano – “se n’accorgeva dall’accresciuta bellezza del riso di Beatrice che qui non ride perché egli non potrebbe sopportare il fulgore di tal riso tra le anime dei Contemplanti”.
Presso i Greci, Saturno era Crono figlio di Urano (il Cielo), e di Gea ( la Terra ). Detronizzò il padre e prese il suo posto; ma a sua volta, per timore di essere destituito da uno dei suoi figli, divorava crudi e senza sale i neonati che sua moglie, Rea, partoriva. Grazie ad un sotterfugio, quest'ultima riuscì ad ingannarlo e a salvare Giove, che dopo essersela vista brutta appena poté spodestò il vorace padre e diventò padrone dell'Olimpo.
Insomma, Saturno è pianeta severo, malinconico che invita alla meditazione, ma è anche pianeta fantastico che spinge alla creazione.
In tal senso, Giorgio Cortenova – con l'assistenza di Patrizia Nuzzo, Milena Cordioli, Tiziano Stradoni, e la collaborazione di Michel Haggerty e Marisa Mantovani – ha ordinato una splendida mostra, in corso a Verona, intitolata: Il settimo splendore La modernità della malinconia.
E’ una vita che giro per mostre e visitando l'esposizione veronese rabbrividivo al pensiero dell’enorme fatica che dev’essere costata riunire 200 opere, 130 protagonisti, 6 secoli di storia dell’arte; non mi meraviglia che ci siano voluti quattro anni di quotidiano lavoro per riuscirvi.
Altra nota di merito è un azzeccatissimo allestimento che ha evitato la trappola del percorso cronologico preferendogli quello tematico.
Sicché accade, per fare un esempio solo, che nella sezione ‘Il teatro della storia e della vita’, accanto ai volti settecenteschi di Pietro Rotari troviamo le Six Heads del video di Bill Viola e quelle ci fanno godere meglio queste, e queste quelle.
Flavia Da Rin, In un tracciato che ha origine nel Quattrocento e giunge fino ai nostri giorni (nella foto un'opera del 2005 di Flavia Da Rin: 'Senza Titolo') "proponendo della malinconia quella ‘versione’ oscurata ma non estinta, né mai del tutto emarginata nella macchina psicanalitica e farmaceutica di cui la modernità è stata prodiga, fino alla condanna nei lager, nelle galere e nei gulag. Più i poteri politici sono stati forti e assoluti, più la malinconia tradotta in chiave patologica è servita a scongiurare la creativa rivolta all’arte; più l’arte ha fatto da scudo allo sguardo obliquo che attraversa l’anima”.
Così scrive Giorgio Cortenova che ascolterete più diffusamente nella prossima nota che dedico alla mostra veronese.

Il settimo splendore s’avvale anche di una felicissima occasione di contatto col pubblico dato da un blog.

Il catalogo, edito da Marsilio, 416 pagine con 350 illustrazioni a colori e b/n, è ricco di una serie di saggi guidati, sezione per sezione da Cortenova e con scritti di molti autori (troppi per citarli qua), ma li trovate, insieme con altre informazioni, tutti cliccando QUI.

L’Ufficio Stampa è guidato come meglio non si potrebbe da Maria Marinelli.

“Il settimo splendore”
Verona, Palazzo della Ragione
Info e prenotazioni: 199.199.111
Fino al 29 luglio 2007


Il settimo splendore (2)


Come già detto, Il settimo splendore è a cura di Giorgio Cortenova.
Nato a Como, nel 1944, compie gli studi universitari a Bologna, dove si laurea sotto la guida di Luciano Anceschi e dove insegna Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Accademia di Belle Arti.
Si afferma negli anni Settanta come saggista e curatore di mostre nei musei italiani ed europei.
Dal 1985 è Direttore della Galleria d'Arte Moderna-Palazzo Forti di Verona.
Ha pubblicato numerosi saggi e libri, tra cui: Picasso: la vita e le opere, per Arnoldo Mondadori, tradotto e pubblicato in cinque lingue.
Il suo più recente saggio, Prearo Editore, titolo: Dal Naufragio e Ritorno.

A Giorgio Cortenova ho rivolto la seguente domanda.
Nell’introduzione del catalogo affermi che “il fatto di essere tristi senza saperne decifrare il perché rappresenta in sintesi la malinconia. Ma come tutte le sintesi anche questa non riesce a contenere l’affiorare continuo, attraverso i secoli, di un ventaglio di ipotesi in cui i termini si moltiplicano, si scontrano e s’incrociano in sintonia con il mutare dei tempi”.
Qual è l'elemento più rilevante che, rispetto al passato, connota la malinconia così come ci appare dalle arti visive dei nostri giorni?

Giorgio CortenovaFacciamo un esempio: Canova e Tuttle. Il primo ricerca l’energia della forma attraverso la bellezza; si rivolge al mondo classico e lo assume come un nuovo possibile impegno per il suo presente, come un dovere morale e per certi versi etico. Il secondo vuole attingere alla bellezza attraverso il massimo di energia della forma. Entrambi sono artisti “ideologici”; entrambi “sfrondano” ciò che si presenta in eccesso rispetto alla purezza della forma. Li ho infatti inseriti nella stessa sezione, proprio quella dedicata alla “bellezza ideale”.
Per alcuni aspetti è possibile sottolineare il fatto che il concetto di assoluto si presenta nella contemporaneità come un dibattito ancora più profondo per quanto riguarda la perassi, la tecnologia legata al “fare”. Insomma l’arte è un “dovere” non tanto per ciò che s’intende rappresentare, ma per come si lavora con gli strumenti della propria specificità
Ma veniamo al contemporaneo in senso più stretto, vale a dire all’era cosiddetta “post-moderna”, tenendo presente che anch’essa è per certi versi tramontata e che i giovanissimi dimostrano di volerne uscire, eventualmente rivolgendosi versi rinnovati minimalismi.
Facciamo un altro esempio: Pannini e Salvo, che convivono in mostra nella sezione dedicata ai ruderi e alle rovine della storia. Il primo si rivolge alle rovine romane con il sentimento della grandezza che pure naufraga nel tempo, come ogni opera umana, mentre invece la natura, opera divina, sopravvive al trascorrere del tempo e si perpetua in esso. Il secondo trasferisce quella stessa realtà nel sogno, nell’eterno teatro della fantasia, che diviene neo-metafisica e dunque si colloca al di fuori del tempo, in uno spazio ludico in cui l’assoluto è metaforicamente rappresentato come luce ideale e perciò incontaminata
.

A Vienna, al manicomio di Gugging, c'è un padiglione chiamato Haus der Kunstler, la Casa degli Artisti, dove alcuni ricoverati sono diventati pittori (Walla, Garber, Kernbeis, e altri) riconosciuti anche dal mercato,esposti in una delle più prestigiose gallerie viennesi Galerie Nachst St. Stephen.
Tutto questo per chiederti: pensi che l'arte sia una malattia o una terapia?

L’arte non è né una malattia, nel senso medico del termine, né una terapia. L’arte è definibile solo nei termini di una comunicazione profonda, in contrasto con la comunicazione quotidiana, indotta, ristretta nei codici del dialogo rituale e strumentale.
L’arte nasce quando “non abbiamo più parole”, quando sentiamo il linguaggio ufficiale inadeguato a ciò che vogliamo esprimere, che ci inebria e ci tormenta.
In questo senso l’arte è molto simile all’amore. Perciò l’arte è nata e può nascere ovunque, in ogni tempo e luogo. L’artistico, che appartiene all’arte come la dolcezza appartiene allo zucchero, senza con ciò connotarne l’essenza, può di fatto rappresentare malattia o terapia. Ma l’arte è un miracolo imprevedibile, perfino difficile da individuare: è un’”imsgo”, un fantasma della mente che si concretizza in realtà dove e quando meno te l’aspetti
.


In CL


Non fuggite!... Ve lo assicuro, qui non si parla della teterrima Comunione e Liberazione.
Il ‘campo’, nella fotografia e nelle riprese cinematografiche, è un termine usato per indicare l'ampiezza dell'ambiente inquadrato.
Nei dizionari tecnici, si distinguono così vari campi: “Campo totale”, "Campo medio", "Campo lunghissimo", e "Campo lungo" dove, in quest’ultimo caso, l'ambiente, pur essendo ripreso in maniera ampia, presenta un centro di interesse, eventuali figure umane sono distinguibili, ma rimangono inglobate nel paesaggio; il termine è talvolta usato anche riferito al suono.
Nelle sceneggiature, l’indicazione ch’appare è CL, con inquietante somiglianza alla sigla della nota organizzazione cattolica.
CopertinaTutto questo diretto ai non addetti alle fatiche dello spettacolo, per presentare un libro che proprio In Campo Lungo si chiama.
Lo ha scritto un’autrice che dallo spettacolo proviene, avendo a lungo lavorato in Tv e alla radio, ma che gioca un tiro elegantemente ambiguo fin dalla copertina di quel volume – pubblicato da Quasar – perché quel termine non lo riferisce allo spazio, ma al tempo.
Si tratta di un libro di poesie. Come sanno i pochi che leggono le mie pagine web, un libro di versi di solito non trova spazio in queste mie note quotidiane e non perché io non ami la poesia ma perché troppi si ritengono poeti e minacciosi avanzano brandendo i loro insidiosi volumetti.
Queste righe sono un’eccezione e nessuno di quelli è autorizzato a riproporsi, sia ben chiaro!
Diceva saggiamente Longanesi: “L’arte è un appello cui molti rispondono senza essere stati chiamati”. Ecco, la penso così specie per i poeti, seguiti a ruota dai pittori. Basta loro un mozzicone di matita e un foglio, oppure un pennello, pochi colori, una tela, e il guaio – cioè la loro opera – è fatto; benvenuta sia l’elettronica che almeno rende, ancora per poco, un po’ meno facile la produzione di scrittura e immagini.
L’eccezione di oggi è per una scrittrice che tutta la merita e, anzi, ben altri spazi per qualità e numero meriterebbe: Marina Mariani.
Nata a Napoli vive a Roma, ha pubblicato prevalentemente raccolte di versi, suoi editori: Einaudi, Guanda, La Nuova Italia; molte le testate che hanno ospitato sue poesie, da “La Fiera Letteraria” a “Linea d’Ombra”; tante le trasmissioni di Radiorai che si sono avvalse della sua preziosa presenza, da ‘Audiobox’ a ‘Radiotre Suite’ a ‘Fahrenheit’.
Per Quasar, ha pubblicato un librino delizioso in prosa “Una bella perdita di tempo” di cui trovate notizie cliccando QUI.
In Campo Lungo si riferisce, come detto prima, non allo spazio ma al tempo, quello con la T maiuscola, metronomo d’angosce e di gioie (due parole che così dispongo non solo per ragioni alfabetiche), plessimetro di anni che sembrano momenti, e attimi che valgono anni.
La pendola è forse tra le più silenziose armi per ferire e ferirsi, questo risuona nei raffinatissimi versi della Mariani che in quelle pagine presenta estratti della sua produzione che va dal 1944 al 2006.
Ebbi la fortuna di conoscere Bobi Bazlen, nel ‘62 o ’63 non ricordo precisamente, ascoltando da lui sempre cose rilucenti quelle poche volte che lo vidi. In una di quelle disse che, spesso, un grande libro ha l’ultimo rigo ch’è perfettamente stampabile come seguente al primo.
Nel volume di Marina Mariani: il primo rigo (1944) dice: Rintoccano campane - l’ultimo (2006) di questo volume: Ma c’è ancora tempo. Considerando tutto quanto c’è in mezzo, e v'invito a leggere, ditemi voi se non ha ragione Bazlen…

Marina Mariani
“In Campo Lungo”
Pagine 144; Euro 10:00
Quasar Edizioni


Agenzia per viaggi virtuali


Proprio così. Non è fantascienza. Esiste sul serio, si chiama Sinthravels ed è stata ideata da Mario Gerosa, il maggiore esperto in Italia, e forse non solo in Italia, di mondi virtuali.
Prossimamente sarà ospite della mia taverna spaziale sull'Enterprise e là, prendendo spunto dal suo recente libro Second Life, pubblicato da Meltemi, parleremo a lungo di paesaggi e vite virtuali.
A Mario Gerosa, ho rivolto alcune domande a proposito di Synthravels.
Perché è nata quest'idea dell'Agenzia per viaggi nei mondi virtuali? E' necessaria una guida per esplorare quei mondi?

Per esplorare i mondi virtuali molto spesso è necessario fare evolvere il proprio personaggio. Bisogna farlo diventare molto forte, in grado di sconfiggere i mostri o i nemici che gli si possono parare dinnanzi, in modo che possa girare liberamente in tutti i territori di un certo mondo. Per fare ciò, occorre passare molto tempo davanti al monitor, e non tutti hanno questa possibilità. Ecco allora l'idea di offrire delle visite guidate, che ha dato vita a Synthravels, la prima agenzia di viaggi per tour nei mondi virtuali. Non uno, ma molti mondi virtuali.

Come funziona l'Agenzia? Ci si prenota come per un qualunque viaggio? Bisogna specificare i propri interessi nel tour?

L'agenzia offre un servizio di intermediazione tra guide e viaggiatori. Ci si prenota per un viaggio in un certo mondo, specificando un ventaglio di giorni e ore in cui si vorrebbe “partire”. A questo punto troviamo una guida disponibile negli stessi orari e mettiamo in contatto le persone interessate. L'idea di base è proprio di creare dei tour mirati, cuciti su misura: per esempio, le gallerie di Second Life oppure i mostri di World of Warcraft, oppure le architetture futuribili di Entropia Universe.

Ogni gruppo di viaggiatori è accompagnato da una guida. Ritieni che questa figura possa diventare in un prossimo futuro una professione accolta negli Istituti scolastici per guide turistiche?

Credo proprio di sì. In maggio il settimanale Newsweek ha pubblicato un reportage sui nuovi modi di viaggiare, e i viaggi virtuali avevano una loro sezione, dove era citata Synthravels. Per cui, sono convinto che in futuro i viaggi nel cyberspazio diventeranno parte integrante della nostra esistenza e le guide per i viaggi virtuali saranno sempre più richieste. Tra l'altro, queste guide potrebbero essere viste non solo come esperti per visitare i mondi virtuali, ma anche come consulenti per viaggiare nei labirinti del web.


Guidando guidando


Stimo da tempo Paolo Marchi e, come tanti, aspettavo con gioia la pubblicazione dell'annunciata sua Guida - Identità Golose - in libreria da pochi giorni.
Ho provato, purtroppo, una delusione.
Una delle cose che apprezzo in Marchi è l'originalità del linguaggio, qui, invece, s'assiste ad un'omologazione sugli stereotipi di tante penne: scontati giri di frase, aggettivazione pigra, qualche vaghezza.
Non ci sono punteggi per i locali prescelti e la cosa può essere apprezzabile (il punteggio sta già nel fatto d'essere inseriti in quelle pagine), ma quando si va sui prezzi, giusto per fare un'originalità ecco che viene indicato quanto costa l'antipasto, il primo, il secondo... senza somma finale, insomma dovete avere a tiro una calcolatrice; come sia venuta questa bislacca idea all'ottimo Marchi è un mistero.
Noto – e lo dico con gioia, condividendo – che sono stati esclusi i locali di città quali Napoli, Bari, Palermo. Giusto. Ma quanto avrei gradito due parole di Paolo su questa scelta! Così come mi sarebbe piaciuto per ogni regione una scheda introduttiva con quelle fulminanti riflessioni alle quali ci ha abituati Marchi nelle sue preziose newsletters.
La Guida costa 19 euro. Con tutto il rispetto per chi ci ha lavorato, risparmiateli.
E poiché scrivo questa nota da Torino dove mi trovo per lavoro, segnalo un locale che merita d'entrare fra le cucine d'autore, quello di Nicola Batavia cioè 'l Birichin dove ho trascorso giorni fa due ore di feste del palato. Sono sicuro che in una prossima edizione della Guida di Identità Golose verrà posto riparo a questa non lieve dimenticanza.


Kill Time


A Roma, all’Auditorium Parco della Musica, dal marzo scorso agisce un progetto intitolato Artist’s Corner.
E’ a cura di Anna Cestelli Guidi e Carla Subrizi che hanno invitato alcuni artisti di varie pratiche visuali ad un lavoro ‘site specific’ dislocato in quegli spazi che durante il giorno restano vuoti, una sorta di non luoghi che se animati possono riservare più di un’epifania.
L’appuntamento è mensile e da metà maggio è la volta di Carola Spadoni.
Ha studiato cinema a New York; dal 1992 ha scritto e diretto un lungometraggio – Giravolte -, tre documentari, sei cortometraggi e tre videoclip.
Dal 1998 espone in gallerie d’arte e musei i suoi video, film ed installazioni.
Nel 2003 è tra i vincitori del Premio Giovane Arte Italiana della Darc, espone alla 50° Biennale d’Arte di Venezia l’opera “Dio è Morto” che entra a far parte della collezione permanente del museo MaXXI di Roma. In Italia ha realizzato lavori su commissione per Netmage, Zone Attive, il Teatro di Roma, Rai Radio 3, il Comune di Roma.
Tra le più recenti mostre collettive cui ha partecipato ricordo “Collateral”, unica presenza italiana in quella rassegna, Milano 2007.
La Sala Trevi della Cineteca Nazionale le ha dedicato un omaggio monografico lo scorso Marzo 2007: Carola Spadoni, un artista totale.

All’Auditorium, ha allestito un lavoro che si svolge in un loop di 6’00” dal titolo echo’s bones / ossi d’eco.

Viaggio senza bussola in un territorio straniato, con le sue macerie fustigate dal vento, osservato, quasi spiato, da movimenti di macchina che scoprono un’insegna ammonitrice che traccia al neon la scritta ‘Kill Time’.
Altre cose succedono in quell’installazione audio e video proiettata su uno schermo 3mt x 4, ma, si sa, un’operazione dello sguardo non la si può raccontare, ma soltanto viverla, come sosteneva Duchamp.

Carola Spadoni
“echo’s bones / ossi d’eco”
Foyer Teatro Studio
Auditorium della Musica, Roma
Viale Pietro de Coubertin 30, Roma
Info: 06 – 80 24 11
Ingresso libero
Fino al 15 giugno ‘07


Scienza della visione


Forse lo sguardo sta all’occhio come la mente al cervello perciò il vedere è un complesso meccanismo che si muove attraverso leggi fisiche e psicologiche dandoci la percezione, o meglio, le percezioni; perché non è detto che la stessa immagine fissata da due soggetti risulti uguale per i due osservatori.
Su questo e sulle conseguenze nelle pratiche visuali, riflette un libro di Massimo Hachen, stampato da Apogeo, intitolato Scienza della visione Spazio e Gestalt, design e comunicazione.
Gestalt è parola tedesca e significa “forma”, da qui la Scuola della Psicologia della Forma che nacque agli inizi del XX secolo in Germania e continuò poi negli Stati Uniti dove alcuni dei suoi fondatori – ad esempio Wolfgang Kölher e Max Wertheimer – si trasferirono nel periodo delle persecuzioni naziste.
In estrema sintesi, si può dire che con la Gestalt il percepire non è più visto come un processo passivo, ma qualcosa da noi di molto partecipato che partendo da uno stimolo avverte il tutto prima delle parti. E se anche si scompongono queste parti, esse divengono nuove configurazioni unitarie. Teoria che rivoluzionava i precedenti approcci al problema e ancora oggi guidano molte analisi scientifiche sul modo di produrre e consumare segni.
Massimo Hachen, architetto e designer, opera dal 1980 con un suo studio professionale a Milano. E’ docente di “Scienza della Visione” presso la Scuola Politecnica di Design e tiene alcuni “Laboratori di comunicazione visiva” presso la Facoltà del Design del Politecnico milanese.
In questo volume, riccamente illustrato con puntualissimi esempi, compie un viaggio nell’universo psicopercettivo chiarendo nascite e approdi della comunicazione.
Libro che è di affascinante lettura (e anche divertente per via dei quiz proposti) pure per chi designer non è. Particolarmente utile, poi, a coloro che intraprendono studi sulla grafica che oggi non si limita a essere esercitata soltanto nelle impaginazioni e nella pubblicità, ma va dalla tv al cinema, dal videogame alla rete.

E proprio a proposito del web, a Massimo Hachen ho chiesto quale influenza ha avuto sulla nostra percezione.

Credo che il web abbia un’influenza più su aspetti cognitivi e semantici che non su quelli percettivi veri e propri; i principi organizzativi del materiale ottico che l’uomo adotta sono da sempre gli stessi.
E’ anche vero che il web ha ampliato in maniera esponenziale la quantità di “immagini” che ogni giorno ci vengono proposte e che pertanto siamo sicuramente più “allenati” ad analizzare e decifrare messaggi visivi sempre più complessi.
Purtroppo alle immense potenzialità tecniche offerte oggi dai software fa riscontro una scarsa attenzione da parte di molti web designer ai processi psicopercettivi che li porta a preferire la quantità iconografica alla qualità visiva; ciò porta a trovare in rete interfacce confuse, ridondanti, navigabili con difficoltà
.

Per una scheda sul libro, cliccate QUI.

Massimo Hachen
“Scienza della visione”
Pagine 186 con illustrazioni b/n e colore
Euro 25:00
Apogeo


La zoccola si sposa


Felice scelta dell’Editrice minimum fax quella di pubblicare L’allegra fattoria, libro originale per genere e contenuti.
Questo volume può imbarazzare chi è afflitto da manìa classificatoria, per fortuna quella disgrazia non mi ha colpito e, quindi, pur apprezzando il dibattito semantico che quelle pagine possono suscitare, me le sono godute, e v’invito a farlo, con gioia dello sguardo e della mente liberi dalle angosce che attanagliano i critici di professione.
Si tratta di sette racconti svolti attraverso tavole illustrate da segni corvini e fangosi con testo fulminante e onomatopeico.
Fumetto?... Fotoromanzo?... Graphic novel?... Ve l’ho già detto, la cosa non m’appassiona troppo. Anche perché quella fattoria è tutte le tre cose, ma pure altro ancora.
Si tratta di narrazioni verbovisive che appartengono, contemporaneamente, alla scrittura e all’immagine. Vi basta? Sennò, andate da un critico. Quello vi darà soddisfazione trattenendovi a lungo e facendoveli a pezzettini senza nemmeno l’anestesia locale.
Gli autori sono Riccardo Falcinelli e Marta Poggi che già firmarono un’altra, riuscitissima, prova: Cardiaferrania.
Dispongono di un sito in Rete dalla grafica, ça va sans dire, avvincente, e anche ricco di contenuti teorici sul loro procedere.
L’allegra fattoria, come ogni fattoria, è piena di bestie che, però, qui non si muovono tra i campi, ma in ambienti metropolitani, rischiando di brutto perché convivono con gli umani feroci.
Marta e Riccardo mettono così in scena un comte pilosophique in sette episodi (splendido su tutti “La zoccola si sposa”), ciascuno dotato di una propria autonomia narrativa, legati fra loro dallo scenario apocalittico di quel Sacro Romano Emporio di marca dickiana nel quale ai nostri giorni turbinano l’uomo e la merce, la memoria e la presenza, l’incontro e lo scacco.

Ai due autori ho rivolto una domanda.
I fumetti hanno affrontato anche temi scabrosissimi. Penso, ad esempio, ad Art Spiegelman che con il suo “Maus” – vincitore di un Pulitzer – raccontò l’Olocausto come una storia di gatti e topi finiti scannati in un posto chiamato Mauschwitz. Suscitò un putiferio. Insomma, come la pensate sul politically correct?
Ha qualche ragione d’esistere? E’ una forma di censura?

A parte gli eccessi grotteschi, perfino il politically correct può avere dei pregi: a suo modo è una rete di salvataggio, una sorta di grado zero garantito della convivenza civile.
Farne, però, una camicia di forza in ambito artistico è semplicemente ridicolo.
Bisogna capirsi: c'è del buono se la si considera come regola di civiltà, c'è del cattivo se diventa limite creativo ed espressivo, c'è poi addirittura del pessimo quando ci sottrae del tutto delle parole o degli argomenti e li rende tabù, senza capire che così li si lascia semplicemente in mano a chi ne fa l'uso peggiore.
Insomma, come per tutte le regole, ci vuole un'interpretazione per poterne fare uso senza abuso: quello che però in nessun caso può diventare legittimamente è una regoletta facile, una serie di clichè o un limite a priori
.

Per una scheda sul libro, recensioni ottenute, biografie dei due autori, cliccate QUI.

Falcinelli & Poggi
“L’allegra fattoria”
Pagine 219; Euro 14:00
minimum fax


Luna-Pac Serafini


Non è un lapsus calami, proprio così: Luna-Pac Serafini.
Si tratta di un’antologica di Luigi Serafini al Pac, Padiglione d'Arte Contemporanea di Milano.
Non solo mostra antologica, ma “una mostra ontologica” – come recita il sottotitolo – di un artista ch’è pittore, scultore, architetto, designer, scrittore, autore di un universo visionario. Vittorio Sgarbi, Assessore alla Cultura del Comune di Milano, nel presentarlo lo definisce “impareggiabile miniatore e instancabile artigiano, che all'arte chiede di essere un parco dei divertimenti, uno sterminato luna park, un paradiso per bambini”.

Copertina_CatalogoNotissimo per il celebre Codex Seraphinianus, Luigi Serafini ha affascinato nomi che vanno da Roland Barthes a Italo Calvino, da Douglas Hofstadter a Federico Fellini, da Giorgio Manganelli a Federico Zeri. Nomi che appartengono a molteplici campi creativi perché la sua operazione è multimediata da un’ottica filosofica che discende da più saperi nel ritrarre il gran teatro del mondo.
“Serafini utilizza una sorta di teatralizzazione dell’immagine, capace di permetterne la massima individuazione e lettura”, come scrive Achille Bonito Oliva.
Nato a Roma nel 1949, nel 1981 ha pubblicato “Codex Seraphinianus” (F.M. Ricci Editore, Milano) e nel 1983 “Pulcinellopedia piccola”. (Longanesi, Milano). Suoi racconti con varie case editrici e articoli per tante testate di riviste e giornali. Ha realizzato scene e costumi per il Teatro alla Scala e per il Piccolo Teatro di Milano, scenografie per la Rai, sigle televisive, interventi radiofonici. Ha collaborato con Fellini al film “La Voce della Luna”. E’ stato visiting artist al Banf Center in Alberta, Canada e ha esposto, tra gli altri prestigiosi luoghi, alla Fondazione Mudima di Milano, alla XIII Quadriennale, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, alla Biennale di Venezia.
Per la Metropolitana di Napoli, ha realizzato un’installazione in bronzo e poliestere.

Il catalogo (nella foto, la copertina) della mostra milanese in corso, è pubblicato dalle Edizioni Motta, conta 150 illustrazioni a colori nelle sue 192 pagine, è in vendita a 44 euro.

Per la mostra, la Sezione Didattica del Pac ha predisposto una serie d’iniziative rivolte a ragazzi, scolaresche, gruppi e singoli visitatori.

Luigi Serafini
“Luna – Pac Serafini”
Padiglione d’Arte Contemporanea
Via Palestro 14, Milano
Info, lunedì – venerdì: 02 – 76 00 90 85
sabato e domenica: 02 – 76 02 04 00
Fino al 17 giugno ‘07


Un certo senso


Trovo strano che la Protezione Civile non avverta di quanti libri gialli e noir arrivino in libreria. E’, infatti, uno tzunami letterario che miete vittime ogni giorno. Anche il mio tavolo è investito da quel ciclone a causa degli invii che ricevo dalle case editrici ‘con preghiera di recensione’. Preghiera? Meglio sarebbe dire ‘una prece’. Non se ne può più. Si direbbe che gli italiani non pensino ad altro se non a scrivere gialli e noir.

Per fortuna, ogni tanto càpita di leggere un libro vero.
E’ accaduto a me allorché l’ottimo Ufficio Stampa dell’Editore Marsilio mi ha fatto avere Un certo senso del debuttante Francesco Fagioli nato nel 1961.
Il volume, è stato selezionato all’unanimità da iQuindici, il collettivo di lettura Wu Ming.
E’ un romanzo particolare. Se fosse, infatti, uno dei tanti romanzi tradizionali non ne parlerei. La prima monelleria sta già in copertina. Perché Un certo senso andrebbe scritto con la prima “S” di ‘senso’ in maiuscolo giacché è il nome del protagonista che si chiama Antonio Senso. Ma altre birbonate aspettano il lettore.
Il romanzo ha – o meglio, finge d’avere – una straniata struttura epistolare. Antonio Senso, infatti, per 234 pagine su 239 (1 iniziale e 4 finali appartengono a documenti che non vi dico altrimenti alla Marsilio s’incazzano) scrive lettere, con ricevuta di ritorno, all’Egr. Dott. Arch. Gianluca Barbaro - Via Montebianco 22, 00141 Roma - Amministratore del Condominio di Piazza Elba 16, 00141 Roma.
L’occasione che origina il carteggio è dato da un episodio minimo: l’occlusione della colonna di scarico delle acque nere che comporta la fuoriuscita di odori pestilenziali dal bagno di servizio di Antonio Senso che mai manca di firmarsi quale “Proprietario dell’appartamento interno 7, Piazza Elba 16”.
Perché mai scrive tante epistole? Mai arriva una risposta? No, perché non le spedisce.
In un certo senso, l’avventura scrittoria di Antonio Senso non ha senso. Né speranze di soccorso condominiale, poiché nelle lettere, dopo un fugace anche se puntuale riferimento al guasto idraulico, il Senso passa ad altro e in quei fogli racconta (talvolta con sottesi acidi umoristici) all’Amministratore Barbaro di sé, dei suoi fallimenti artistici di pittore, e veniamo così a conoscere una dolente esistenza vulnerata da tragicomiche ferite perfino da Man Ray.
Gran bel libro. Scritto in un italiano lucente come pochi fanno.
Letta l’ultima pagina, ho pensato ad un aforisma che dice: “Forse tutta la vita è una lettera, che può essere aperta solo dopo la morte”.

A Francesco Fagioli, ho chiesto: pensi che il ritorno del romanzo a forme tradizionali, segni un arretramento al di qua della linea di confine delle avanguardie novecentesche? Se no, perché? E, invece, se sì, perché è accaduto?

Trovo incomprensibile che quanto è avvenuto nel Novecento in termini di ricerca e sperimentazione sia stato dimenticato o cancellato, tornando in massa alla scrittura "tradizionale". Un ritorno che a parer mio conferma la pochezza della narrativa italiana, la quale non ha del resto mai prodotto esponenti lontanamente paragonabili ai grandi autori europei (coll'eccezione, semmai, delle forme brevi con Savinio, Buzzati, Landolfi, Flaiano ecc). Oggi si producono romanzi a getto continuo, che vengono regolarmente presi in considerazione dalla critica, ma quasi nessuno di essi testimonia il coraggio di mettersi in gioco. Si scrive sempre sapendo dove si va a parare, quali sono i pro e i contro, il che significa tradire l'arte, nel modo più volgare.

Per una scheda sul libro, cliccate QUI.

Francesco Fagioli
“Un certo senso”
Pagine 239; Euro 14
Marsilio


Ritratto di dj in una K


Devo a Sergio Messina la conoscenza di un ottimo sito web: Kiasma.
Fateci un giro e mi darete ragione.
E’ guidato (nella foto il logo) da tam acronimo che sta per Till Antonio Mola. Classe 1967. Giornalista pubblicista, è dal 1986 nella redazione musicale di Radio Tandem (Popolare Network) di Bolzano, per la quale realizza trasmissioni d’informazione musicale, con interviste ai maggiori artisti della scena musicale alternativa nazionale ed internazionale. Negli anni ha collaborato con diverse testate giornalistiche del Trentino Alto Adige, sia italiane sia tedesche.
Dal 2000 lavora presso la ripartizione Cultura italiana della Provincia Autonoma di Bolzano occupandosi della realizzazione e promozione d’iniziative culturali.
Sul suo sito in Rete: un ricchissimo podcast con notizie e interventi su internet e diritto d’autore, articoli molto ben fatti, preziose segnalazioni di gallerie, e un blog che, io da vorace, vorrei più assiduo.

Tempo fa, in questa rubrica, ho accennato alle imprese del Dj Spooky e proprio sul sito Kiasma, tra le tante ghiottonerie, ho trovato un’intervista, doppiata in italiano, con quel Dj.
E’ un’occasione che vi propongo per saperne di più su quel modo di fare e fruire musica.
Per ascoltare l’intervista, cliccate QUI.


La città proibita


Ho visto in anteprima “La città proibita” del regista cinese Zhang Yimou già autore di “Hero” (2002) e “La foresta dei pugnali volanti” (2004).
La trama racconta le avventurose vicende della famiglia imperiale - la città proibita è, infatti, come viene chiamato il Palazzo Imperiale - durante la tarda dinastia Tang (923-936 d.C.).
I protagonisti del film sono i noti attori Chow Yun Fat (‘La tigre e il dragone’, ‘The killer’) e Gong Li (‘Lanterne Rosse’, ‘Memorie di una geisha’, ‘Miami Vice’).
I costumi, disegnati da Yee Chung Man, hanno dato al film una nomination all’Oscar.
Magistrale l’uso del colore e splendide le coreografie d’azione, specialmente nelle scene delle battaglie.
Agli effetti speciali hanno lavorato le società Digital Picture di Hong Kong, e la londinese Moving Picture Company .

Sito e trailer del film: QUI.

“La città proibita”
Regìa di Zhang Yimou
Dal 25 maggio nei cinema italiani



Beauty Hazard


L’Associazione Indisciplina®te , in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Terni, proseguendo nel suo programma d’esplorazioni di nuove energie creative, annuncia una mostra che aprirà a giorni.
Si tratta di un giovanissimo artista, Desiderio Sanzi, che presenterà Beauty Hazard esponendo i risultati della residenza creativa, svolta negli spazi della ex Siri, che proprio
Indisciplina®te ha voluto e organizzato.
A questo proposito, va detto che l’Associazione, pur riflettendo su quanto va nascendo sul territorio, è attenta a rilevare anche quanto accade fuori dei nostri confini. E così oltre agli italiani saranno di scena nei prossimi mesi artisti stranieri quali Natalia Mali (Rus,Uk), Outi Yli-ViiKari (F), Henrich Hedinge (Swe), I.J.Pino e Ante Kustre (Croatia), Efrat Rubin e Asaf Setty (Isr), Azins Browne (Usa), Ambra Pittoni (D), Cloe Attou (Fr), KMA e Joumana Moura (Uk), Anna Mcrae (At), Sarawut Chutiwomgpeti (Tahiland), Bantsimba Pertulien Floribert (Congo).
Tornando a “Beauty Hazard” di Desiderio Sanzi, il lavoro si presenta come un luogo d’attraversamento fra varie forme espressive: dalla pittura al video, dall’installazione alla fotografia.
‘Beauty Hazard’, “bellezza d'azzardo", è un gioco di parole e di senso che, come afferma l’autore, “vuole avvicinare il concetto d’arte alla dimensione carnale della vita e al rischio che ne anima l’esistenza, una visione trasversale della Bellezza e delle sue maschere; non a caso, sono presenti molte maschere in varie scansioni dello spazio e nelle immagini.

Per saperne di più di Desiderio Sanzi, c’è in Rete un suo vivace sito web con biografia e paintings.
Lì, ho trovato anche un’interessante sezione riservata ai video.

L’Ufficio Stampa è di Luca Dentini: +39 0744 – 28 46 79; stampa@indisciplinarte.it

Desiderio Sanzi
“Beauty Hazard”
Ex Siri a Terni
Ingresso gratuito
Orari: 12.00 – 00.00
Dal 19 maggio al 3 giugno ‘07


Speculum Celestiale (1)


La questione estetica fra Arte e Natura è una delle più antiche dispute. Se ne ricordano origini in Platone per il quale il Bello risiedeva nella natura e non nell’arte, passa per controversie medievali maleodoranti d’incenso, tocca le tavole “Kunstformen der Natur” (Forme artistiche della natura) di Ernst Haeckel il quale affermava “l'elemento artistico coincide quello della natura”, e arriva fino ai nostri giorni.
Qui troviamo chi pone la natura in rapporto all'arte come teoria della percezione sensibile, cioè legata all'uso di immagini adatte a trasmettere visivamente la conoscenza della realtà più profonda, e chi, invece, alla presunta sacralità della Natura contrappone l’Artificiale, dal ready-made della realtà quotidiana a, in epoca più recente, la ri-creazione elettronica.

Un angolo della Vigna S. MartinoIn questo scenario filosofico ed estetico, si pone Speculum Celestiale, evento in tre tempi ideato da Maurizio Elettrico, Domenico Mennillo, Raffaella Morra che si svolgerà a Napoli, nella splendida Vigna S. Martino gestito dalla Fondazione Morra, vale a dire da uno dei più prestigiosi fra i centri d’arte italiani.
Morra, ha portato a Napoli in questi anni larga parte del meglio che viene prodotto nelle arti visive contemporanee; fra le sue realizzazioni più recenti, segnalo quella in corso del Progetto Museo/Laboratorio ‘Hermann Nitsch’.

Evento in tre tempi dicevo di Speculum Celestiale, il primo ha il sottotitolo di “Giardino delle visioni” con multiple performances.
Si avrà così il “Sentiero arboreo per la Vigna San Martino”, un percorso ‘alchemico-botanico che prevede l’interramento di rari alberi da frutto, testimoni di quell’antica biodiversità compromessa dall’attuale omologazione genetica’, com’è detto in un comunicato stampa.
L’installazione - ideata da Maurizio Elettrico - è composta di antiche piante: ad ogni alberello - in totale 22 - è legata una piccola testa di animale su cui è inciso il simbolo di una sephirot (traslitterazione inglese del termine ebraico ‘sefirot’, cioè ‘numeri’) ed una targa con il nome scientifico della pianta e le sue caratteristiche salienti.
Successivamente, sarà Stefano De Stefano a presentare il cofanetto-libro ‘Foglio di Giostre e Film nella città’ di Domenico Mennillo, Perino&Vele, Paolo Renza e Marco Di Palo (edito da Il Laboratorio/le edizioni) e seguirà l’esecuzione dell’omonimo poema–concerto con le musiche del compositore napoletano Marco Di Palo; in scena Domenico Mennillo e i musicisti Roberto Albin, Alessandra Cesarini, Marco Esposito, Isabella Parmigiano, diretti dal compositore.
Fra tronchi e foglie risuonerà poi, su musiche di Nino Bruno, la voce di Giovanna Marmo in La fata morta; la Marmo, alla vigilia ora di un suo tour europeo, è una delle più intense autrici nell’area della poesia fonetica italiana, vincitrice di numerosi premi, potete leggere una sua autoironica biografia e ascoltarne (ve lo consiglio) una prova di rock-poetry QUI.
A concludere, “Nikutai”: verso una fenomenologia del corpo. “Danza Butò” con la danzatrice Marie Terese Sitzia. La danza Butò, nata in Giappone negli anni 60' – ad opera del danzatore Tatzumi Hijikata (1928-1986) – ha influenzato profondamente il panorama scenico con un impatto paragonabile soltanto a quello del TanzTheater della tedesca Pina Bausch.

Il tutto, si svolgerà domani 11 maggio, a partire dalle ore 19.
Ingresso: Vigna S. Martino.

Le altre due serate: sabato 26 maggio e giovedì 21 giugno.

Info: Tel. +39 081 – 44 20 923; Fax +39 081 454064
info@fondazionemorra.org


Speculum Celestiale (2)


Ho rivolto alcune domande agli ideatori delle tre serate di Speculum Celestiale.
Eccoli qui di sèguito in ordine alfabetico.

Opera di Maurizio ElettricoA Maurizio Elettrico (nella foto un suo lavoro) che oltre all’impegno napoletano ha altre mostre in corso, ho fatto questa domanda.
A proposito della tua bio-installazione “ad anima” che farai il 26 maggio alla Vigna S. Martino, hai affermato che quel lavoro ‘risponde all’esigenza di un incontro-scontro tra arte e natura, ispirandosi all’idea di un recupero della campagna sul profilo estetico e spirituale’.
Qual è per te il significato del rapporto Arte-Natura?

L’ arte rivolta al vivente e, comunque alla ricreazione dei processi vitali, non è pratica filosoficamente ed esteticamente marginale; come per le altre tecniche umane vi si riscontra la visione classica dell’uomo come perfezionatore della natura o semplicemente come creatore di mondi possibili, non attualizzati dalla natura stessa, ma materializzabili attraverso la sua capacità creatrice.

A Domenico Mennillo: da Diderot a Grotowsky, sono oltre due secoli che fioriscono teorie sull'attore. Da chi ha indicato i meccanismi di quell'arte a chi nega che sia possibile individuarli scientificamente, tu come la pensi?

Avere coscienza della propria azione come corpo attoriale-performativo è imprescindibile per qualsiasi "messa in vita" del fare teatrale; le migliori prove del novecento teatrale, da Alfred Jarry ad Antonin Artaud a Carmelo Bene ai Raffaello Sanzio, sono sempre state legate ad una rigorosa e "ispirata" scrittura teorica. Un teatro che cerca di esser altro dalla sua tradizione, nell'atto della sua nascita, si fonda sempre come un'ipotesi che abbisogna di un costante rigore di poetica teorica, sempre sperimentale e in divenire.

E’ il turno ora di Raffaella Morra. Tante le iniziative artistiche che la vedono protagonista da rendere dissuasiva un’elencazione. Una, però, la voglio segnalare: l’Independent Film Show perché si tratta della più importante rassegna di film sull’arte esistente in Italia, e non solo in Italia, ed è ideata e diretta da Raffaella.
A lei ho chiesto a proposito di “Speculum Celestiale”: in un’epoca come la nostra in cui le scienze e le tecnologie sono protagoniste dello scenario filosofico, culturale, determinano rapporti sociali, quale ruolo e valore attribuisci alla bioespressività, cui ti richiami?

Più che alla bio-espressività, il riferimento è alla bio-diversità, compromessa dall’attuale omologazione genetica... Poiché come scrive Lévi-Strauss “…la Civiltà implica la ‘coesistenza’ di Culture che presentano tra loro la massima diversità. La Civiltà Mondiale non può esser altro che la coalizione su scala mondiale di Culture, ognuna delle quali preserva la propria originalità; ogni progresso culturale consiste nel metter in comune, in modo intenzionale o accidentale, cercato o costretto, le possibilità che ogni cultura ha nel corso del suo sviluppo storico e questa coalizione è più feconda quando avviene tra culture diversificate”.
Ed è attraverso un progetto di ‘Gesamtkunstwerk’ (opera d’arte totale) in cui convergono le esperienze più diverse della poesia, dell’arte, della musica, della danza, che si produce una vera conoscenza visionaria dei sommi piani della Natura
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Festa laica in piazza Navona


Mai ho voluto partecipare alle dispute estetiche intorno alla bellezza o bruttezza della statua al bersagliere di Publio Morbiducci (1889 – 1963), m’è cara per quel che celebra e mi basta così. Quando passo per Porta Pia, e non solo allora, gioisco al pensiero del 20 settembre 1870, data che sancì la definitiva fine del potere temporale dei pontefici romani… definitiva?... a leggere i giornali di questi giorni sorge qualche dubbio.
Quasi quasi esco di casa e vado a vedere se l’hanno tolta quella statua a Porta Pia.
Vuoi vedere che là trovo un’iscrizione in frames che celebra Porta a Porta di Vespa?
In fondo, quel bersagliere – diciamo la verità – è un autentico terrorista, uno che ha sparato sul serio, mica a parole, e ha fatto secchi anche alquanti mercenari delle truppe papaline, o no?
Ma via, non esageriamo, la statua sta ancora lì, è inutile che io vada a controllare.
Al più, potrà essere successo che il bersagliere non stia con il volto verso Roma, ma che le volti le spalle (come tempo fa immaginò un umorista), per fare capire a tutti che, sconfitto, è stato messo in fuga; oggi, le cose, infatti, stanno suppergiù così.

Perciò è importante che sabato 12 maggio si sia in tanti, a Roma, in Piazza Navona, alla festa con musica rock e d’altri generi, a partire dalle ore 15.30 (a costo di sopportare la presenza di Pannella e Bonino, a me indigesti quanto il tandem Baget Bozzo–Ruini), indetta contro l'offensiva clericale che pretenderebbe non solo di dettare le leggi allo Stato italiano (e fin qui va sul facile), ma di riportare tutta la società italiana indietro non di un’ora o due sul quadrante della Storia, ma di qualche secolo.
Lo abbiamo visto anche a proposito delle polemiche su quanto ha detto un presentatore durante il concerto del primo maggio… a proposito!... di cose ne sono state scritte tante su quell’episodio, la riflessione più acuta l’ho colta in uno scritto di Maria Turchetto che comincia così: “Su un punto Andrea Rivera ha torto: quando dice che…”… vorreste sapere il resto, eh?... Cliccate QUI



Un gabbiano sul Vascello


Al Teatro Vascello di Roma, a dieci anni dall'inizio del primo laboratorio sul “Gabbiano” di Čechov lo spettacolo viene riproposto dopo i successi ottenuti a Kiev, Il Cairo, New York, Tokyo.
Manuela KustermannQuest’edizione s’avvale nei ruoli protagonisti di Manuela Kustermann e Paolo Lorimer con la ben registrata Compagnia Stabile del Teatro Vascello che in quest’occasione vede in scena: Sara Borsarelli, Alberto Caramel, Massimo Fedele, Arianna Gabrielli, Astra Lanz, Alessandro Scalone.

Lo scrittore russo Anton Pavlovič Čechov (1860 – 1904), di cui Giancarlo Nanni è uno dei più attenti registi italiani, fu anche medico e tale applicazione scientifica, secondo molti critici, ha un peso importante nel suo metodo dell’osservazione d’ambienti e personaggi.
Čechov un giorno scrisse: La medicina è mia moglie, e la letteratura è la mia amante. Quando mi stanco dell'una, passo la notte con l'altra. So che è irregolare, ma così è meno noioso, e poi nessuna delle due ha niente da perdere a causa della mia infedeltà.
Il “Gabbiano” è un dramma (che l’autore chiamò "commedia"), nella stesura originale in 4 atti, che segna un momento cruciale nella vita artistica di Anton Cechov. Scritto, infatti, dopo anni di apparente disinteresse per il teatro e rappresentato nel 1894 al Teatro Aleksandrinskij di Pietroburgo, fu sonoramente fischiato dal pubblico; deluso, Čechov cominciò a dubitare delle proprie capacità di autore drammatico. Ma due anni più tardi, il lavoro ripresentato al Teatro d'Arte di Mosca, ebbe un successo trionfale.
Pur rappresentando uno spaccato sociale della borghesia russa di fine '800, "Il Gabbiano", è un'opera di grande attualità, sia per l'intreccio tra natura, sentimenti umani e complessità dell'arte, sia per il conflitto generazionale tra i personaggi.

Dice Giancarlo Nanni di questa messa in scena: Attraverso un processo di rimandi, improvvisazioni, di uso di moderne tecnologie e con passaggi improvvisi di tempo e spazio, abbiamo cercato di comporre e scomporre questo affresco della vita umana, dove gli eccessi artistici e la loro caduta, i fallimenti, le angosce, gli stati sublimi della creazione si fondono in una scrittura scenica senza schemi prefissi.

L'Ufficio Stampa del Teatro Vascello, è guidato da Marina Raffanini: 06 - 588 10 21

Anton Cechov
“Il Gabbiano”
Regìa di Giancarlo Nanni
Teatro Vascello
Via Giacinto Carini, Roma
Dal 10 al 27 maggio ‘07


Lumi nella notte


In molte occasioni del dibattito culturale e politico occidentale, spesso, c’è chi per indicare nuovi traguardi da raggiungere evoca gli ideali dell’Illuminismo prendendolo a modello di una forma di pensiero progressista; la cosa in sé giusta, risente, però, non poche volte, di una certa sommarietà.
Copertina_TodorovSu questo invita a riflettere il recente libro Lo spirito dell’illuminismo edito da Garzanti.
N’è autore una delle menti contemporanee fra le più autorevoli, il bulgaro Tzvetan Todorov nato a Sofia nel 1939; per una sua biobibliografia: QUI.
Prima d’accennare al quesito principale posto dalla pubblicazione, ai più distratti ricordo che l'Illuminismo è quel movimento culturale che si sviluppa nel '700 prevalentemente attraverso la mediazione francese di Voltaire, Diderot, D’Alembert e di uno strumento di comunicazione quale fu l’Enciclopedia il cui primo volume è del 1751; In Italia i suoi maggiori rappresentanti furono, al nord, i fratelli Verri, Beccaria, Romagnosi, e nel meridione Genovesi, Filangieri, Pagano.
“Quel movimento” – scrive Todorov – “non fu compatto come molti credono, vi confluirono razionalisti ed empiristi, eredi tanto di Cartesio quanto di Locke, accolse gli universalisti e i particolaristi, appassionati di storia e di eternità, di dettagli e di astrazioni, di natura e di arte; elementi non nuovi, ma combinati in modo differente”, ma, ed è questo il grande merito che Todorov gli riconosce “quelle idee lasciano i libri per entrare nella vita reale”.
Nei dizionari scolastici e in pagine divulgative è detto, in sintesi, che l’Illuminismo è il primo movimento democratico moderno che reclama il dovere di emanciparsi attraverso i principii della ragione, della libertà, dell’uguaglianza. Questo, in sintesi.
Contro quella sintesi, si leva, con articolate argomentazioni Tzvetan Todorov che in Lo spirito dell’illuminismo pone a confronto la concezione umanista dei Lumi con gli eventi storici degli ultimi due secoli, polemizzando con quanti attribuiscono a moderne ideologie connotati illuministici e notando anche come l’illuminismo stesso contenesse in sé una pericolosa, totalizzante, tentazione d’imporre il bene.
Serrata è la critica che svolge a quanti disinvoltamente associano l’illuminismo a idee che richiamandosi a quello, ne tradiscono i fondamentali principii. E fa il caso del comunismo che “ha fatto riferimento a quella preziosa eredità; se però osserviamo la vita di tutti i giorni nelle società comuniste, si fatica a trovarne le tracce. L’autonomia degli individui è ridotta al nulla, il principio di uguaglianza è sbeffeggiato dall’onnipresenza di gerarchie immutabili, la ricerca del sapere è sottoposta a dogmi ideologici (la genetica e la teoria della relatività sono dottrine borghesi, da eliminare)”.
Todorov, è anche autore in altri suoi scritti di un parallelo fra comunismo e nazismo che anni fa scandalizzò molti, ma che oggi è accolto da larghe parti della Sinistra; quel parallelo è ben spiegato in questa breve intervista.
Nel concludere le pagine di questo suo recente libro, scrive: “Quando veniva chiesto a Kant se si viveva già l’età dell’illuminismo, egli rispondeva ‘No, bensì un’età in via d’illuminazione’. L’invito rivolto alla nostra specie sarebbe quello di ricominciare tutti i giorni quest’impresa, ben sapendo che non si vedrà mai la fine”.

Per una scheda sul libro: QUI.

Tzvetan Todorov
“Lo spirito dell’illuminismo”
Tradotto dal francese da Emanuele Lana
Pagine 126; Euro 11:00
Garzanti


Il mulatto col pince-nez


Agli estimatori del grande Machado de Assis - nato nel 1839 a Rio de Janeiro dove morì nel 1908 – segnalo un librino che può essere sfuggito in quanto circola prevalentemente in area universitaria, è edito da Sette Città.
Machado de AssisSi tratta di un saggio di Sonia Netto Salomão che reca in appendice due brevi racconti – tradotti da Elena Tantillo – dello scrittore brasiliano.
Di lui ricordo d’aver letto tre capolavori: “Memorie dall’aldilà”, "Quincas Borba" (entrambi Rizzoli) e “L’alienista”, uno strepitoso racconto lungo su grandezze e infamie del potere psichiatrico, pubblicato da Franco Maria Ricci nel 1977 nella Biblioteca Blu diretta da Giovanni Mariotti che lo fotografò in un felicissimo flash come “alunno di Luciano e Swift”.
Machado, mulatto, balbuziente, epilettico, è autore famosissimo in Brasile (fu anche primo presidente dell'Accademia brasiliana di Lettere), ma scarsamente conosciuto in Europa.
Sonia Netto Salomão nel suo ampio saggio dopo una panoramica sulla cosiddetta “generazione del ’70” (1870) in Brasile, analizza le correnti letterarie della sperimentazione dove si trovò ad agire Machado.
De Assis è osservato nell’interezza della sua produzione, dalla poesia alla narrativa passando attraverso l’attività critica.
I due brevi racconti (“Teoria del Medaglione” e “La pantofola turca”) che concludono il volumetto riflettono perfettamente la scrittura di Machado fra amaro disincanto e raffinato umorismo.

Sonia Netto Salomão
"Machado de Assis"
con due racconti
Pagine 76; Euro 10:00
Edizioni Sette Città


La logica in casa Sossella


“La parola è per metà di colui che parla e per metà di colui che ascolta”.
Così dice Montaigne, e chissà che non si sia ispirato a quella massima l’editore Luca Sossella nel varare la realizzazione in via di svolgimento di un progetto chiamato Auditorium (in collaborazione con la Fondazione Musica per Roma), che attraverso una collana di Cd e Dvd propone temi su tutte le principali domande dei nostri giorni: dalle scienze alla filosofia, dalla politica alla letteratura, dall’economia alla libertà, dalla malattia alla bellezza.
Temi che vengono svolti dai maggiori specialisti italiani dei vari campi esplorati.
Tra le pubblicazioni finora edite di ‘Auditorium’ segnalo oggi Che cos’è la Logica di cui troverete la sinossi e l’incipit d’ascolto QUI.

Piergiorgio OdifreddiA trattare l’argomento è Piergiorgio Odifreddi qui ritratto in una foto che immagino sia stata forse scattata in qualche questura.
Piergiorgio tempo fa è stato anche ospite della mia taverna spaziale e se entrate lì saprete che cosa penso di lui.
Mi piace ricordare ch’è reduce da un grande successo – anche di pubblico che ha gremito le sale – ottenuto di recente a Roma con il Festival della Matematica.
In questa performance acustica edita da Sossella, affronta il tema della Logica (che cos’è – a che serve – come la si può usare – casi di esaltazione o di travisamento) con la sua solita verve, infatti, e tengo molto a sottolinearlo, l’ora circa che lo impegna nella spiegazione e nell’interpretazione della Logica, è lontanissima da ogni tono cattedratico; anche chi non è addetto ai lavori è messo in grado di capire, e scorre punteggiata spesso da raffinato umorismo.
E c’è un’altra cosa che mi va di dire, confortato dalla mia ultratrentennale (…sigh!) esperienza radiofonica, tutta la conferenza avvince l’ascolto anche per il ritmo con cui è condotta: periodi brevi, niente incisi, voce chiara, vocalità rapida ma non trafelata.
La confezione editoriale, è ideata con l’eleganza cui ci ha abituati l’Art direction di Alessandra Maiarelli.

Piergiorgio Odifreddi
“Che cos'è la logica?”
Cd audio e un fascicolo di 12 pagine
Euro 15:00
Luca Sossella Editore


Belle anime porche


Ho letto un libro straordinario: Belle anime porche.
Compratelo, mi ringrazierete.
Riscatta da solo questi anni italiani di tristi pagine dolcificate alla saccarina o amareggiate da tossicità allo sciroppo.
N’è autrice Francesca Ferrando, torinese, ventisette anni, lo ha scritto quando n’aveva venti, lo ha meditato per altri sei (benvenuto sia l’oraziano ‘limae labor’ tanto trascurato da tanti!) prima di pubblicarlo autoproducendolo dopo un’infinità di rifiuti editoriali. Con il libro e intorno ad esso è nata, con un articolato progetto multimediale, l’editrice PressUtòpia con la collaborazione di Caterina Grimaldi.
Libro imperdibile, segna una novità nel nostro panorama editoriale sia per l’artiglio narrativo sia per la muscolatura stilistica che lo muove.
Chi legge queste mie pagine sa che detesto i romanzi, ma quando c’è qualità e innovazione non sono tanto settario da ignorarle.
Belle anime porche (non aspettatevi qui sunto di trama, m’interessa in un’opera il linguaggio non l’intreccio della storia) è un romanzo pieno di rischi perché c’è la tentazione d’apparentarlo a questo o a quello. Quei pochi che lo hanno recensito – meritano tutti ragionati elogi e mi sono cari per il fatto stesso che si sono accorti di questo libro – sono, infatti, spesso caduti in accostamenti che non condivido. In questo incoraggiati forse anche da un’improvvida quarta di copertina che fa riferimento ai nomi di Kerouac, Bukowsky e (unico giusto) Tarantino. Già perché questo libro non è, a mio avviso, rapportabile alla letteratura pur essendo scritto in modo sapiente, con personaggi che spariti dietro una pagina riappaiono al momento giusto in un altra, le atmosfere sono rese tutte con gli stessi acrilici colori, il racconto è compattamente spasmodico con azzeccati refrain linguistici, l’aggettivazione è puntuale, mai sciatta. Ma gli scenari di linguaggio, più che le ispirazioni, vanno ricercati fuori della cellulosa, nella celluloide di certo cinema, nel fumetto, nella body art, nella pubblicità, nel videogame, nei segni della cultura hip-hop e nei montaggi ‘bootleg’.
Né, mi pare, nulla ha a che fare la Ferrando con il pulp italiano di certi scrittori nostrani che lo bazzicano senza vissuti, né tanto meno con i cosiddetti ‘cannibali’ perché ‘sta tipa pratica semmai l’autofagìa.
Il libro vuol farsi credere diario, ma del diario manca clamorosamente la sua principale scansione: le date. Dimenticanza? No, ve l’ho detto, è libro scritto in modo tecnicamente illuminato. Il fatto è che la brutale avventura della sedicenne protagonista (cattivissima, ma pur capace di grandi incanti e dolcezze, come nei manga… quando i manga hanno successo ne fanno film che i cinefili chiamano ‘anime’, dalla contrazione fonetica di ‘animation’, e talvolta sono anime porche) è senza data perché tutta la sua vita è come ingoiata da una sola vertiginosa giornata sulfurea.
Attraversa macerie metropolitane e case maleodoranti abitate da un’umanità degradata a cominciare dalla propria famiglia, incontra si picchia fa sesso etero e saffico (ma niente robe posh porn alla Tracy Quan, Chelsea Handler, Tamara Berger e imitatrici nostrane, tanto per capirci) con corpi schifosi, alcol e altre droghe sono consumate con paradossale voracità, scambia dialoghi dai lampi lividi tra corse e fughe che talvolta si concedono giri comici da slapstick.
Finito di leggere questo libro, è fatale pensare di farne un film. Lo auguro all’autrice a beneficio del suo conto in banca, non lo auguro a chi lo farà. Può sembrare facile farlo, ma è una trappola. A meno di non farne un film che rinunci fin dalla prima pagina di sceneggiatura a raccontare una trama, che proceda per flash, riduca ad un quasi niente i dialoghi ma ci sia tanto rumore e tanta musica, insomma un film senza film (tanto per citare un mio titolo… e ti pareva che perdevo occasione per farmi pubblicità?... mai sia detto!), perché il cinema di un’esistenza scuoiata si può fare solo con una pellicola scorticata.

Francesca Ferrando
“Belle anime porche”
Pagine 236; Euro 13:00
Ed. Mimesis – PressUtòpia


Camera chiara, camera oscura


La fotografia – “falsa nella percezione, vera nel tempo” secondo il semiologo Roland Barthes autore del famoso saggio “La camera chiara” (1980) – approda al Cassero Senese di Grosseto in una mostra curata da Fiammetta Strigoli.
E’ il risultato del Cantiere d’Arte che si è tenuto nel luglio 2006 a Seggiano, nello spazio della Fondazione Il Giardino di Daniel Spoerri che accoglie una tra le più importanti collezioni d’arte ambientale d’Italia.
Il Cantiere, prodotto dalla Regione Toscana (Tra Art e Porto Franco) e dalla Provincia di Grosseto, Assessorato alla Cultura, è stato coordinato dall’Associazione Culturale Promere.
Le opere ora esposte - tutte stampe Lambda da file digitale su alluminio – è intitolata La fotografia come Arte / Arte come Fotografia.
Guidati dall’artista/tutor Flaviano Poggi, espongono: Francesca Banchelli, Alessia Bellon, Matteo Catani, Serena Clessi, Alessia Cocca, Diego Cossentino, Andrea Lunardi, Elisabetta Mori, Dario Orlandi, Silvio Palladino, Giusy Pirrotta, Alberto Spada, Emanuele Spano, Angelo Spina, Marco Strappato.

Fiammetta StrigoliA Fiammetta Strigoli ho chiesto: Baudrillard definisce “estasi da Polaroid” quella voglia tutta nostra contemporanea di possedere l’esperienza e la sua oggettivazione. A tuo parere, questo desiderio che assilla (o anche delizia) l’uomo d’oggi è, oppure non è, all’origine del nuovo consumo delle immagini?
Così ha risposto.

Nella dimensione dell’arte, le immagini rappresentano una costante della storia dell’arte visiva, così come la pulsione a collezionarne rappresenta il desiderio di possedere l’”esperienza” dell’artista, un’esperienza oggettivata nell’opera. Pertanto direi che l’assillo non riguarda l’universo dell’arte, piuttosto i comuni produttori e osservatori di immagini, il cui sguardo dovrebbe essere messo al lavoro per organizzare una visione del mondo non del tutto trasparente e non del tutto accessibile, altrimenti a rischio è l’immaginario mentale, poiché alimentarsi di immagini senza limiti visivi si propone come pericolosamente omologante.

“Arte come Fotografia / Fotografia come Arte”
Cassero Senese, Via Saffi 6, 0564 – 488 753
Grosseto
Info: Ass. Promere, 055 – 84 93 095
info@promere.it
ingresso libero
Fino al 19 maggio ‘07


W Dj Spooky


Ho ricevuto posta con le nuove imprese di Mister Dj Spooky.
Sono tante.
Compresa la sua presenza al Tribeca Film Festival.
Se volete conoscere che cosa combina: QUI.


Mussio in mostra a Pesaro


Lo scorso agosto morì Magdalo Mussio uno dei protagonisti del rinnovamento delle arti italiane nella seconda metà del secolo scorso.
Pesaro lo ricorda con una mostra allestita da Roberto Vecchiarelli e Alessandro Pitrè intitolata: Il corpo certo o il luogo di una perdita.
Magdalo MussioMagdalo Mussio è stato, dal 1963, redattore e curatore editoriale della casa editrice Lerici di Milano, pubblicando in quegli anni la fondamentale rivista di cultura d’avanguardia “Marcatre”.
Si è anche occupato di cinema d’animazione, collaborando, in Canada, con il noto centro sperimentale (National Films Board, di Montreal) diretto da Norman Mac Laren; tra i suoi cortometraggi a disegni animati dei primi anni Settanta: “Reale assoluto”, “Il potere del drago” e “Umanomeno”.
Nel 1972 è responsabile editoriale della rivista “Harch”.
Trasferitosi nelle Marche insegna incisione all'Accademia di Belle Arti di Macerata e prende la direzione artistica della casa Editrice La Nuova Foglio curandone le edizioni fra cui la rivista “La città di Riga”. Espone a New York, Tokio, Parigi, Milano, Roma, Genova ed in altre numerose città.
Gli ultimi anni li ha vissuti a Pollenza, e poi a Civitanova Marche Alta (Macerata).
Silvia Veroli nell’invitare a visitare la mostra, così scrive.

Magdalo Mussio è stato un artista inquieto e incuriosito: poeta visivo, editore e promotore di opere singolari e necessarie, grafico, autore di raffinati cortometraggi animati. Insegnante per l’Accademia delle Belle Arti di Macerata di incisione, materia fascinosa e non casuale trattandosi di Mussio che di fatto in tutti i suoi lavori ha sempre inciso un segno, seminato tracce profonde come indizi cifrati destinati all’attenzione e alla sensibilità di accorti solutori di enigmi o solo contemplatori della bellezza di cifre e lettere sovrapposte. Ne sono un esempio le invenzioni grafico-verbali a margine delle poesie visive, sedimenti di appunti, ghirlande di indicazioni e reminescenze, a creare una mappa autonoma di pensieri ed emozioni affioranti come vette di inconscio attorno al disegno o alla lirica.

Magdalo Mussio
“Il corpo certo o il luogo di una perdita”
Ex chiesa della Maddalena
Pesaro
Dal 6 al 31 maggio ‘07


Teatro in campagna


Il Teatro delle Ariette si chiama così dal nome del podere dove ha sede: Le Ariette, Castello di Serravalle in provincia di Bologna.
Tempo fa li convinsi ad abbandonare, sia pure per poco, quel luogo agreste ed ebbi con loro un incontro nella taverna dell'Enterprise.
Ora, mi giunge notizia di un nuovo allestimento dal bene augurante titolo E’ finito il tempo delle lacrime.
Che sarà mai?... Non vedremo più in Tv l’onorevole Schifani?... Pieraccioni ha giurato che non farà altri film?... Mastella ha deciso di ritirarsi dalla politica?... Gli italiani smetteranno di scivere gialli e noir?
Per saperne, mi sono collegato con loro in teleplay e ho chiesto: come si situa questa recente produzione nella vostra teatrografia?

“E’ finito il tempo delle lacrime” è un altro passo del nostro cammino di ricerca verso un teatro che superi la ‘forma spettacolo’ con le sue logore convenzioni di ruoli, di tempi e di modi. Cerchiamo un teatro vivente e necessario, che sia insieme rito e festa, che stimoli i sensi invece di addormentarli, che sia esperienza dentro la vita. Immaginiamo il teatro come un luogo dove stare, dove il tempo scorre in un altro modo.

Qual è il significato del sottotitolo – ‘gran soirée prediluviana’ – di questo spettacolo?

Bob Dylan cantava “hard rain is gonna fall” dopo un lungo elenco di cose viste, sentite, fatte e da fare. Sta arrivando il diluvio. La bibbia dice che tutto era corrotto. Noi diciamo che oggi tutto ha un suono falso, che il vecchio non funziona più per niente, che gli strumenti di analisi e le parole per spiegare non sono più adeguati all’oggi.
Deve diluviare, sulle nostre certezze. Dobbiamo morire per rinascere, dobbiamo dormire per svegliarci. Perché noi, quando si ritireranno le acque, vogliamo esserci
.

Per altre dichiarazioni sullo spettacolo e dettagli del programma, cliccate QUI.

Teatro delle Ariette
“E’ finito il tempo delle lacrime”
Castello di Serravalle (Bologna)
Info: +39 051 6704373
info@teatrodelleariette.it
5, 19, 26 maggio 2007
Poi in tournée


DTFN


Da tempo esiste in Rete un sito di grande qualità: Letturalenta.
Lo guida Luca Tassinari.
Uomo di buonissime letture e autore, come dirò fra breve, di raffinata scrittura.
Fra le numerose sezioni di quel luogo web, che è parecchio restrittivo chiamare blog, spiccano, ad esempio, una dedicata ad Antonio Pizzuto (contiene brani autografi, articoli, registrazioni in voce da Gualberto Alvino a Carmelo Bene) ed un’altra che rilancia Paolo Melissi il quale, raccogliendo l’invito di Georges Perec a continuare la sua opera “Je me souviens” (1978), produce Mi ricordo e rivisita memorie su tante cose e personaggi che hanno segnato il nostro immaginario: le figurine Panini, il colonnello Bernacca, il terremoto del 1980, Papa Luciani, il felliniano Mastroianni-Snaporaz, le fiabe sonore della Fabbri, e via via attraverso la cipria del tempo.
DTFNFra queste ghiottonerie, c’è n’è una che ha il misterioso titolo di questa nota: Dtfn, acronimo che sta per De te fabula narratur.
Di testi scritti sul web ce ne sono a miliardi, la gran parte è robaccia (specie quelli poetici, una vera iattura), qui, invece, ci troviamo di fronte ad un libro in Rete da elogio.
C’è un distinguo che parte della critica letteraria sostiene, e mi trova d’accordo, fra scrittore e narratore. Due tipi che raramente coincidono. Oggi, poi, che i romanzieri trionfano per quantità s’è quasi persa traccia dei primi. Tutti affaccendati a scrivere trame, profilare personaggi, vendere storie stancando la già stanca carta producendo romanzi da Pessoa definiti “favole delle fate per chi non ha immaginazione”.
Luca Tassinari non appartiene a questa genìa. E’ scrittore. Autentico.
Il suo testo vede protagonista un genere letterario: il racconto. E il racconto si racconta e incontra altri racconti perché com’è detto in uno dei capitoli Gli uomini vivono raccontando e i racconti vivono leggendo gli uomini. Questo rapporto clandestino genera letteratura e umanità.
Insomma letteratura fatta con la letteratura, così come piace a me.
Dtfn è libro sul web che pur facendo talvolta ricorso all’ipertesto, forse, non può essere classificato come “scrittura mutante” (per citare una caratterizzazione usata da Carlo Infante), ma pur configura un sua specificità internettiana nel tenere aperta la pagina – è pubblicato a tappe – ai commenti dei lettori sicché i msg entrano, si voglia o non, a far parte del testo, a recitare il ruolo del coro greco che commentava i fatti scenici. E poiché qui non ci sono episodi di trama vera e propria, quei commenti e le risposte dell’autore riguardano prevalentemente gli stati d’animo di chi scrive e chi risponde.
Emozione che solo il web può dare, impossibile da ottenere tipograficamente anche stampando capitolo per capitolo quelle note a piè di pagina. Inoltre quelle note, ovvero i msg sul web intorno a Dtfn, sono sempre disponibili a nuovi aggiornamenti per chi legge in quel momento quella parte del libro in linea.
Ho chiesto alcune cose a Luca Tassinari.

Il sottotitolo di "Dtfn" dice: 'monologo per voce narrante e lettore debole'.
Perché è debole quel lettore?

Le statistiche ufficiali sulla lettura, rilasciate da organi come l'associazione degli editori, classificano come ‘lettore forte’ un tale che legge almeno dodici libri all'anno. Ora, chi legge dai dodici libri l'anno in su è a mio avviso un individuo doppio, infido, moralmente sospetto e socialmente pericoloso. Lo dico per esperienza diretta, dato che leggo molto di più, e pertanto preferisco affidare le parole che scrivo a persone più equilibrate e più oneste di me.

Che cosa ha dato il web alla scrittura che quest'ultima prima non aveva?

La risposta breve è: niente. Non credo che ci sia una gran differenza fra chi oggi batte i tasti di una tastiera e chi, qualche migliaio di anni fa, graffiava papiri o pergamene con calamo e inchiostro. Sono sempre persone incapaci di accettare l'assurdità dell'esperienza umana – nascere, vivere, morire – e che cercano di confondere la morte illudendosi di avere qualcosa da tramandare ai posteri. Il Web favorisce questo esercizio un po' demenziale riducendo il tempo necessario a mettere in circolazione le proprie deiezioni verbali: quando pigi il tasto ‘Pubblica’ nel pannello di controllo di un blog, per esempio, sai che le tue parole sono subito a disposizione di chi vorrà leggerle, senza alcun bisogno di mediatori. Credo che nemmeno i poemi omerici abbiano patito questa disgraziata assenza di filtri, e forse è proprio per questo che li leggiamo ancora oggi.

In 13 parole 13, tante quante sono le lettere che formano il tuo nome, definisci "De Te Fabula Narratur". Possibilmente non in latino, in italiano, perché neppure ho terminato la scuola dell'obbligo...

Guarda che, non a caso, di latino in Dtfn c'è solo il titolo... Confesso che preferirei chiamarmi Ermenegildo Aliprando Degli Aliprandini, per potermi dilungare un po' di più, ma pazienza.
Ecco qua: “Un racconto che scarica sul lettore l'onere di avere qualcosa da dire”
.

Per leggere Dtfn: QUI.


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