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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

La passione del calcio

Ha scritto Jorge Luis Borges: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì rinasce la storia del calcio”.
E quando quel bambino smette di tirare quei calci?
E’ morto il calcio? E’ morto il bambino?
Di sicuro qualcosa si è spenta. E’ passata in quel luogo che chiamiamo Memoria, dove sfilano i ricordi che Cardarelli definì “ombre troppo lunghe del nostro breve corpo”.
A un mondo di ricordi appartiene un libro bellissimo scritto da Franz Krauspenhaar.
Un libro sul calcio, dunque? Anche.
Le pagine di La passione del calcio – pubblicato da Perdisa Editore nella collana “Arrembaggi” diretta da Antonio Paolacci – molto hanno a che fare con una riflessione sul tempo che ci passa addosso. Orologio che ci sopravvive eppure ci conclude. E allora, forse, non sbaglio tanto nel pensare che sì la breriana dea Eupalla qui c’entra, come c’entra la voce di Enrico Ameri, ma c’entra, e molto, la giovinezza dietro le spalle di chi racconta quella sua passione e i suoi tradimenti essendo passato da tifoso del Milan tra le schiere interiste perché … ero tifoso di un Milan che alla metà dei Settanta si trovava nel pantano della decadenza – ma viveva, lottava dal fango della battaglia –, poi venne Berlusconi e cambiò tutto. Il Milan che avevo conosciuto non era più lui.

Franz Krauspenhaar, nato nel 1960 a Milano da padre tedesco e madre italiana, romanziere, poeta, saggista, ha pubblicato Avanzi di Balera (Addictions Libri, 2000); Le cose come stanno (Baldini & Castoldi, 2003); Cattivo sangue (Baldini Castoldi Dalai, 2005); Era mio padre (Fazi, 2008), con cui ha vinto il premio Palmi speciale.
È stato redattore di “Nazione Indiana” e co-fondatore di “La poesia e lo spirito”.
È presente nell’antologia “Best Off 2006” di Minimum Fax. Collabora con giornali e riviste scrivendo di letteratura e costume.
Conduce un blog in Rete: QUI.

Nel libro scorrono i ricordi di partite vissute sulle scalee dello stadio o viste in tv alternandosi ad angoli di memorie della storia italiana mentre nell’autore va declinando quella passione e passa la sua gioventù.
Ho aperto questa nota con una citazione di Borges e con lo stesso Borges la chiudo.
“Come? Lei crede ancora al tifo e agli idoli?... Ma dove vive, Don Domeq? … Non esiste punteggio, né formazioni, né partite. Oggi le cose succedono solo alla televisione e alla radio. La falsa eccitazione dei locutori non le ha mai fatto sospettare che è tutto un imbroglio? L’ultima partita di calcio è stata giocata tanto tempo fa… Da allora il calcio, è un genere drammatico, interpretato da un solo uomo in una cabina e da attori in maglietta davanti al cameraman” (da ‘Esse est percipi’, 1967).

Per una scheda sul libro: CLIC!

Franz Krauspenhaar
La passione del calcio
Pagine 160, Euro 10.00
Gruppo Perdisa Editore


FUOCOfuochino

“Quando non si sa scrivere, allora un romanzo riesce più facile di un aforisma”.
Così diceva Karl Kraus.
Forse, ecco spiegato il perché ci sono in giro tanti romanzieri. Ma proprio tanti, troppi!
Fiumi d’inchiostro che offendono tanta nobile cellulosa. Mentre state leggendo questa nota, chissà quanti sono chini sulla tastiera d’incolpevoli computer e altri curvi su fogli agendo un’altrettanta incolpevole stilografica e vanno scrivendo trame, dialoghi… brrr!
In Italia escono 40 romanzi ogni giorno, dato fornito dall’Associazione Italiani Editori.
E nessuno di quei tanti autori che si rivolga alla sua penna dicendole come Maurice Blanchot: “… fermati! Che cosa sai di te stessa? Con quale scopo continui ad avanzare? Possibile che non ti accorga che il tuo inchiostro non lascia traccia? Che avanzi senza badare a nulla, anche nel vuoto, e che se non t’imbatti in qualche ostacolo è perché mai hai lasciato il punto di partenza?”.
Benvenuta, quindi, sia la piccola Editrice (la E maiuscola è qui quanto mai meritata) che pubblica, in copie dal numero limitato, scritti di pochissime pagine.
Si chiama FUOCOfuochino e la si deve al patafisico ingegno di Afro Somenzari, artista che anni fa – ci crediate o no – ebbe anche un’esperienza da astronauta.
In catalogo micronarrazioni di Paolo Albani, Lorenza Amadasi, Roberto Barbolini, Ihll Bihto, Alberto Casjraghy, Gianni Celati, Guido Conti, Brunella Eruli, Silvano Freddi, Tania Lorandi, Virginia Merisi, Antoine Naville, Ugo Nespolo, Giuseppe Pederiali, Afro Somenzari.
Testi raccolti ora in un volume, distribuito da Corraini, che si avvale delle raffinate illustrazioni di Gianluigi Toccafondo.

L’Editrice è presentata dalla firma di un grande italianista: Gino Ruozzi che così scrive: FUOCOfuochino è un piccolo segno di vita di una letteratura del tutto gratuita, un omaggio alla meraviglia della scrittura. Nasce da un'intuizione di Afro Somenzari, dai suoi rapporti di amicizia, dal desiderio di riunire amici a una comune tavola letteraria. Un gesto gratuito di scrittori che hanno voluto regalare ad Afro e alla sua minuscola neonata casa editrice racconti, poesie, pensieri. Per amore della letteratura, per amore dell'amicizia, per amore di fare e di offrire qualcosa fuori dai circuiti mercantili.
La nascita di una casa editrice è sempre un miracolo, perché è il luogo attivo di un nuovo punto di vista sul mondo. FUOCOfuochino nasce a Viadana, nel cuore della Bassa accarezzata dal Po, sul confine tra Lombardia ed Emilia. È il luogo delle favole di Barzamino create da Daniele Ponchiroli, per tanti anni protagonista discreto della casa editrice Einaudi […] Qui villeggiava, preferibilmente a settembre, Grazia Deledda maritata in Madesani. A due passi da qui, a Pomponesco, era nato e abitava Alberto Cantoni, grande viaggiatore, scrittore corsaro e umorista apprezzato da Pirandello e Bacchelli, il cui Bastianino è senz'altro il fresco antenato di Barzamino. Sulla sponda reggiana del Po, da Luzzara a Brescello, risuonano i nomi di Zavattini, Ligabue, Guareschi […] Luoghi di storie, di narratori, di nebbie, di luci che appaiono scompaiono, segnali di viandanti, case, strade, fari, barche, osterie: fuochifuochini che suggeriscono presenze vitali, reali e fantastiche, come queste scritture fisiche e patafisiche che sono luci letterarie nate nell'autunnoinverno 2009 in margine a incontri di scrittori bizzarri fuori dal coro
.

AA. VV.
FUOCOfuochino
Pagine: 160, Euro 18.00
Corraini


Casa Editrice Rogiosi


Come sa chi generosamente legge queste pagine web, a Cosmotaxi piace parlare di quelle case editrici, specialmente se di piccole o medie dimensioni, che superando le difficoltà esistenti oggi, più di ieri, per l’editoria libraria, riescono a produrre costantemente negli anni qualità non facendo tuttologia, ma specializzandosi su particolari campi.
Rogiosi Editore ne è un cospicua esemplificazione.
Nasce a Napoli nel 2001 per iniziativa di Rosario Bianco, imprenditore e intellettuale napoletano che ne ha disegnato il profilo espressivo con attenzione al territorio, alle energie di autori giovani e meno giovani impegnati a cogliere nella tradizione quegli spunti che ancora oggi sono valide chiavi non solo per aprire la porta del presente, ma anche per occhieggiare sul futuro.
Progetti come quello della collana Gli antichi mestieri, (piccoli, agili, libri che tra immagini e testo fanno storia e sociologia insieme) è diventato un classico nelle collezioni di molti lettori.
Altre collane sono I Preziosi, Tradizione, Percorsi e Progetti.
In catalogo anche la Narrativa e la Musica mentre è al debutto la Saggistica.
Una collana destinata ai ragazzi è quella intitolata Le Trottole che si propone con cinque titoli l’anno; autentiche chicche le trovate in Gadget dove si spazia fra il libro-oggetto e una raffinata ludoteca.
Il tutto, come scrivevo righe sopra, con ascolto del “genius loci”

Stampato in occasione del 150° Anniversario dell’unità d’Italia, è Uniti dall'Arte, ne sono autori Rosario Bianco e Giovanni Leone; un omaggio alla nostra terra, impreziosito dalle riflessioni e dai pensieri di uomini e donne che hanno respirato l’ideale comune: l’Unità d’Italia.
Il libro si avvale di un originale allestimento grafico di Attilio Sommella con copertina e retrocopertina attraversate da una vite mentre le pagine si aprono a ventaglio proponendo ciascuna da una parte la foto di angoli italiani e dall’altra un testo di commento storico.
In apertura di questa nota dicevo che quest’Editrice guarda anche al futuro, lo fa non solo con i libri, ma pure con laboratori di scrittura creativa molto frequentati da giovani che desiderano misurarsi nel mondo della comunicazione.


Guasto è il mondo


Marcello Colitti in un suo articolo di tempo fa, a proposito dell’uscita negli States di Ill Fares the Land di Tony Judt, si augurava che ci fosse qualche benemerito editore capace di pensare a un’edizione italiana.
Quell’editore c’è stato, è Laterza che lo ha pubblicato con il titolo Guasto è il mondo.
Nel catalogo Laterza, di Judt c’è pure un altro libro: L'età dell'oblio.

Tony Judt, nato a Londra il 2 gennaio 1948, è stato un influente intellettuale. Ha insegnato a Cambridge, Oxford, Berkeley e alla New York University, dove ha diretto l'Istituto Remarque, fondato nel 1995 e dedicato allo studio dell'Europa.
Autore o curatore di un gran numero di libri, lo troviamo collaboratore abituale della "New York Review of Books" e del "New York Times". Il suo “Postwar. A History of Europe Since 1945” (edito in Italia da Mondadori) è considerato uno dei dieci migliori libri del 2005 dalla "New York Times Book Review's", ha vinto il premio Council on Foreign Relations Arthur Ross; finalista del Pulitzer e selezionato per il premio Samuel Johnson. Nel 2007 Tony Judt ha ricevuto il premio Hannah Arendt e nel 2009 ha vinto il premio Orwell.
E’ morto di sclerosi laterale amiotrofica il 6 agosto 2010 nella sua casa di New York.

Il titolo “Guasto è il mondo” è tratto da Oliver Goldsmith che in “The Desert Village” del 1770 così scriveva:

Guasto è il mondo, preda
di mali che si susseguono,
dove la ricchezza si accumula
e gli uomini vanno in rovina
.

Judt muove una serrata critica al culto dell’opulenza privata cui l’occidente soccombe non accorgendosi, non volendo accorgersi, dei tanti disagiati ai quali oltre ai mezzi economici vengono via via sottratti anche gli strumenti politici e culturali per rifondare la questione sociale. Da qui la necessità, postulata da Judt, di una “nuova narratività morale” che permetta di affrontare le nuove disuguaglianze che sono infinitamente più grandi rispetto a quelle del passato. Perché dobbiamo prendere coscienza che la disuguaglianza non è solo un’immoralità sociale, ma è inefficiente.
L’egoismo è svantaggioso perfino per gli egoisti.

Per una scheda sul libro: QUI.

Tony Judt
Guasto è il mondo
Traduzione di Fabio Galimberti
Pagine 188, Euro 16.00
Laterza


Hacker


“Al cuore della nostra epoca tecnologica si trova un affascinante gruppo di persone le quali si fanno chiamare hacker”.
Pekka Himanen, filosofo finlandese.

“Un mondo senza gli hacker sarebbe un mondo senza curiosità e innovazione”.
Jon Erickson, informatico statunitense.

Ma chi è l’hacker? Quali le sue finalità? Quale la sua etica? Quale la sua utilità sociale?
La casa editrice Marsilio ha pubblicato un libro di estremo interesse che risponde a tutte queste domande e, inoltre, tracciando una storia della cultura hacker, nata circa sessant’anni fa, ne osserva e interpreta gli sviluppi attuali, ne prospetta le proiezioni future: Hacker Il richiamo della libertà.
Ne è autore un maiuscolo studioso italiano di quel fenomeno: Giovanni Ziccardi.
In Rete c’è un sito web da lui condotto.
Nato a Castelfranco Emilia nel 1969, è professore presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano. Ha fondato e dirige il Corso di Perfezionamento in Computer Forensics e Investigazioni Digitali di quell'Ateneo. Direttore della Rivista Scientifica Ciberspazio e Diritto, ha pubblicato in tutto il mondo articoli e saggi sui temi della criminalità informatica, dell'hacking, delle investigazioni digitali e dei diritti di libertà nell'era elettronica.
Ed è proprio sui “diritti di libertà nell’era elettronica” che il volume è centrato, sul modo (esemplificato da pratiche) che abbiamo per difenderci da tante occhiute sorveglianze che ogni giorno spiano non soltanto le grandi decisioni (ad esempio, quelle politiche e militari dei governi), ma pure le nostre piccole, quotidiane, abitudini per trarne vantaggi commerciali, conoscere i nostri orientamenti ideologici, frugare in tutti i nostri convincimenti e negli angoli della nostra vita privata.
Ecco perché Hacker è imperdibile non solo per chi lavora nelle Reti, ma anche per tutti coloro i quali sono interessati a conoscere come sta cambiando la società in cui viviamo, e come sia possibile evitare il destino di finire in una folla solitaria eterodiretta.
Una mia speranza: che “Hacker” sia letto da molti che lavorano nell’informazione stampata, radiotelevisiva e del web, sarà loro utile per evitare superficialità, strafalcioni e allarmismi che leggiamo e ascoltiamo assai spesso, derivati da una cattiva conoscenza dei problemi della odierna comunicazione e delle nuove leggi normative e semantiche cui risponde.

A Giovanni Ziccardi ho rivolto qualche domanda.
Qual è stata la principale motivazione che ti ha spinto a scrivere “Hacker”?

I motivi principali sono due. Il primo è di contribuire alla riabilitazione del termine "hacker" che sempre di più, soprattutto dagli organi di stampa generalisti, viene associato all'idea di criminale informatico. Il secondo è di illustrare le azioni di una nuova genìa di hacker che, accanto agli hacker più "tradizionali", stanno oggi combattendo in diverse parti del mondo contro la censura, la repressione, il controllo dei contenuti e cercano di utilizzare la tecnologia in maniera non convenzionale per rendere il nostro mondo migliore. I nuovi hacker oggi sono anche i numerosi dissidenti digitali che in molti stati stanno operando per guadagnare la libertà.

Puoi sinteticamente tracciare la differenza fra hacker e cracker?

Riporto, su questo punto, una riflessione significativa di Emmanuel Goldstein, un hacker storico newyorchese, proprio sul termine 'cracker' contenuta nel mio libro: “Cracker è semplicemente una parola creata da persone che si sono stancate di correggere fraintendimenti sugli hacker. Il problema è che, facendo così, si mantiene in vita il fraintendimento sotto un diverso nome. Se liquidiamo qualcuno come cracker, nessuno comprenderà le azioni che quella persona sta commettendo. Quella persona sta danneggiando sistemi informatici? Allora si deve definire vandalo. Sta usando un computer per addebitare in maniera fraudolenta importi sulle carte di credito altrui? Allora è un truffatore con carte di credito. Quello che fanno gli hacker è relazionarsi con la tecnologia, e sperimentare con la stessa in modi che la gente comune neppure immagina”. Anche io ritengo che il termine "cracker" non vada usato perché presuppone comunque una azione "malvagia" di un hacker e confonde molto i piani operativi dimenticando il lato nobile e la tradizione del vero hacking.

Due cose ancora per concludere.
Il libro si avvale di una scrittura scorrevolissima, dal ritmo serrato, ed è pure intessuto di riferimenti a film, telefilm, libri e musica.
Prossimamente, Giovanni Ziccardi sarà ospite della sezione Enterprise di questo sito e, in una più lunga conversazione, saranno approfonditi i plurali temi del libro.

Per una scheda su “Hacker”: QUI.

Giovanni Ziccardi
Hacker
Pagine 288, Euro 19.50
Marsilio


Storia linguistica dell'Italia disunita

Dopo avere scritto il titolo di questa nota, il correttore automatico mi ha segnalato un errore: avevo messo la “i” minuscola iniziale alla parola “Italia”.
Lapsus calami? O lapsus calamitatis? Non so. Ma, forse, quella i minuscola andava bene.
L’Italia ha faticosamente festeggiato il 17 marzo 150 anni di unità, ma quell’unità esiste oppure no?
Diamo uno sguardo alla stampa estera, così lontano da nostrane enfasi o denigrazioni, ci rendiamo meglio conto di come siamo visti e come siamo.

Le Monde: "L'Italia ancora in cerca di una storia condivisa".
La Bbc: "Lo champagne viene stappato a fatica. Nel 150esimo anniversario dell'unificazione, l'Italia è tutt'altro che unificata”.
El Pais: "La Lega Nord, socio del Governo di Silvio Berlusconi, ha deciso di boicottare in forma passiva e provocatoria le celebrazioni”.
Il New York Times: “Macché 150esimo anniversario dell'unità, è un Paese più diviso che mai, politicamente, geograficamente ed economicamente".

E linguisticamente come siamo messi?
Per saperlo, rivolgiamoci a uno dei più grandi linguisti italiani dei nostri giorni: Pietro Trifone.
Per un suo profilo biobibliografico, cliccate QUI.
Di lui, l’Editrice il Mulino ha mandato in libreria un imperdibile volume intitolato Storia linguistica dell’Italia disunita.
Nel catalogo della stessa Editrice si trova anche un suo precedente, godibilissimo, lavoro: Malalingua.
Il titolo "Storia linguistica dell'Italia disunita" rovesciando, amichevolmente, quello di De Mauro (“Storia linguistica dell’Italia unita”) mostra i tanti come e i tanti perché da noi non ci sia una vera unificazione del linguaggio e, inoltre, come e perché noi stessi insultandoci competentemente ci offendiamo reciprocamente disprezzando chi dal nord il sud, e viceversa, manifestando un disprezzo che è alla base di tanta mancanza di solidarietà che ci affligge.
Non accorgendoci - questo lo aggiungo io - che quella nostra reciproca intolleranza tradisce il disprezzo che abbiamo per noi stessi come collettività, peggiorato, non poche volte, da un’arrogante superbia individuale.
Trifone, tra i suoi meriti ha pure quello di condurre discorsi serissimi in modo divertente, a differenza di tanti suoi colleghi che sono autentici balsami contro l’insonnia perché linguisti che ti fanno già ronfare a pagina 3 dei loro libri sussiegosi e, spesso, tetri. Lui, invece, compone pagine colte e birichine, attraversate da una verve umoristica che rende la lettura piacevolissima.

A Pietro Trifone ho chiesto: che cosa principalmente ti ha spinto a scrivere questo libro?

Credo che se gli italiani avessero coltivato di più la loro lingua, l’Italia ne avrebbe tratto numerosi vantaggi, a cominciare da una maggiore coesione sociale. E se ci fosse stata più coesione, agli italiani non sarebbe venuto in mente che la locuzione “all’italiana” potesse avere quel valore spregiativo che in effetti ha assunto. E lo stesso diminutivo “italietta” sarebbe magari usato affettuosamente, e non con intento di denigrazione. Insomma, la faziosità nazionale nasce dalle ataviche divisioni del Bel Paese, non dalla lingua, che è stata anzi un formidabile fattore unificante; ma la lingua porta ancora in sé, inevitabilmente, i segni di quelle divisioni. Ho scritto la “Storia linguistica dell’Italia disunita” per spiegare queste cose.

Rilevi che una disunione italiana è riscontrabile negli insulti che siamo capaci di scambiarci soprattutto dovuti a un acceso campanilismo.
Quei vocaboli (da “beduino” a “baluba”, da “sudici” a “polentone”, eccetera) tradiscono, o sono, un segnale di razzismo?

Nel mio libro ho compilato un “glossarietto dell’italiano disunito”, dal lumbard al terun, dal ciociaro burino al genovese spilorcio; ma prima di arrivare a parlare di razzismo a proposito di certe parole o espressioni, bisogna capire bene l’intenzione di chi le usa. A Roma capita addirittura che alcune parolacce si carichino di un senso buono: una frase come “mortacci, che abbuffata!”, per esempio, esprime (molto grevemente) la soddisfazione di chi ha concluso un lauto pranzo; e si sa che un “figlio di buona donna” può essere una persona tanto spregiudicata quanto accorta. Chi allude al “rischio di un attentato terronistico” è probabilmente un innocuo mattacchione, mentre chi dà del “frocio terrone” a qualcuno manifesta chiari sintomi di omofobia e di razzismo. Distinguere tra questi diversi casi non è sempre facile, ma è certamente indispensabile, se non vogliamo contentarci di una lingua ammodino, ma priva di energia e vivacità.

Nel tuo libro parli anche di una certa faziosità attribuita a Dante.
Fu linguisticamente fazioso?

Linguisticamente Dante fu tutt’altro che fazioso, ma fu anzi veramente profetico, perché il suo poema è una mirabile sintesi di ciò che l’italiano avrebbe potuto essere e che poi in effetti sarebbe stato: una lingua colta e insieme popolare, capace di rispondere con efficienza alle più diverse esigenze della comunicazione. Per ricorrere alle parole dello stesso poeta, Dante ha fatto dell’italiano una lingua che funziona “nella chiesa coi santi, e in taverna coi ghiottoni”. Dante fu invece fazioso politicamente e anche caratterialmente, come mostrano le bisbetiche rampogne di cui la sua opera è disseminata, a cominciare da quella famosa contro la “serva Italia”, paragonata a un bordello. Ma bisogna riconoscere che le solenni ramanzine del padre Dante erano spesso giustificate, e hanno fatto un gran bene all’Italia e agli italiani. Come quegli amorevoli scapaccioni che i genitori appioppano (o appioppavano) ai figli troppo discoli.

Spesso si sente dire che la lingua italiana è attaccata da vari mali.
Da chi e da che cosa deve difendersi la lingua italiana? Sempre che debba difendersi, s’intende…

Sì, la lingua italiana deve difendersi; più precisamente i parlanti consapevoli devono difendere la loro lingua dalla sciatteria delle frasi fatte, dall’accoglienza acritica delle mode del momento, dalla resa incondizionata all’egemonia della cultura angloamericana, dalla dequalificazione degli studi, dalla cialtroneria massmediale… In passato l’italiano doveva difendersi anche dai dialetti, ma oggi la situazione è cambiata: tra la monnezza e il trash, preferisco senz’altro la monnezza, che almeno non si dà tante arie. Il parlante consapevole può permettersi tranquillamente il lusso di qualche infrazione della grammatica e del bon ton linguistico, motivata da particolare ragioni stilistiche. Se Dante ha detto che l’Italia era un bordello, avrà avuto le sue buone ragioni. Per fortuna è stato tanti secoli fa….

Già, tanti secoli fa…

Per una scheda sul libro: CLIC!

Pietro Trifone
Storia linguistica dell’Italia disunita
Pagine 208, Euro 16.00
il Mulino


Gli schermi di Vinicio Vecchi


E’ in corso presso la Biblioteca Civica d'Arte "Luigi Poletti" di Modena, diretta da Meris Bellei, la mostra intitolata Modena: il cinema e i cinema dedicata alle sale cinematografiche realizzate dall'architetto Vinicio Vecchi (in foto, Modena 1923 - 2007) e ad altri suoi progetti.
L’esposizione, organizzata dalla Biblioteca Poletti e dal Settore Lavori Pubblici del Comune di Modena, si svolge nel quadro della V edizione del Festival dell’architettura di Parma, Reggio Emilia e Modena sul tema “Comunità/Architettura”.

A Carla Barbieri, responsabile dei fondi moderni della Biblioteca, e, con l’architetto Lucio Fontana, curatrice della mostra, ho rivolto alcune domande.
Vinicio Vecchi: qual è la sua storia?

Vinicio Vecchi veniva da una famiglia di decoratori e scultori. Frequentò il Regio Istituto d’Arte e nel 1942 si iscrisse alla Facoltà di Architettura a Roma. Quando i corsi universitari vennero sospesi per il precipitare degli eventi bellici partecipò alla Resistenza insieme ad altri componenti della famiglia. Riprese gli studi di architettura a Milano frequentando i corsi di Vittorio Gandolfi, Giò Ponti e soprattutto di Mario Cavallè, grande progettista di cinema in Italia, e si laureò nel 1952.

Perché il suo nome è particolarmente legato alle sale cinematografiche? E quali altri sono i suoi lavori di maggiore rilievo?

Delle 15 sale cinematografiche attive nel centro di Modena durante gli anni Sessanta, Vecchi ne progetto ben 13; complessivamente ne realizzò 64 su tutto il territorio nazionale, soprattutto, oltre a Modena, nella provincia modenese e a Bologna. Negli anni Novanta fu in un certo modo costretto a ritornare anche su alcuni vecchi progetti allorché, con la più generale crisi del cinema, molti di questi edifici divennero multisala, perdendo molto della loro antica magnificenza e splendore.
Con Mario Pucci - già collaboratore di Piero Bottoni a Milano - collaborò anche alla progettazione di numerose opere pubbliche e private che trasformarono Modena durante la ricostruzione, come la Stazione delle autocorriere e diverse scuole. Costruì, da libero professionista, le abitazioni-officine del Villaggio Artigiano, uno dei primi quartieri INA-Casa della città, palazzi signorili, ville e appartamenti. Fu anche famoso per la progettazione di diverse Case del Popolo.
Una di queste, "La Rinascita" di San Vito è oggetto di uno spettacolo che verrà proposto gratuitamente dalla Biblioteca Poletti nell'ambito della I Giornata Nazionale degli Archivi di Architettura, il 21 maggio alle ore 18. Lo spettacolo si intitola "Gli immobili" ed è scritto e diretto da Giulio Costa, con Elisa Bossi e lo stesso Giulio Costa. Racconta la storia di come la Casa del popolo nacque nel 1904 come cooperativa di consumo, venne distrutta dai fascisti nel 1921 e rinacque nel 1949 su disegno di Vecchi. Dagli anni Novanta è oggetto di duro scontro tra chi la vorrebbe vendere per "fare cassa" e un folto comitato di persone che cercano di salvarla mantenendo viva, con la memoria di quanto essa rappresenta, anche la dignità dei propri valori
.

Quali materiali sono esposti nella mostra?

In mostra sono esposti i disegni originali, molte fotografie, ritagli di giornali che presentano la programmazione cinematografica a Modena tra gli anni Cinquanta e Sessanta, senz'altro quantitativamente e qualitativamente molto più ricca di quanto non sia adesso non solo nella nostra città.

Biblioteca Civica d’arte Luigi Poletti
Viale Vittorio Veneto 5, Modena
Tel: 059 - 20 333 72
Orari, Lunedì: 14.30 – 19.00
Martedì - Venerdì: 8.30 - 13 e 14.30 – 19.00
Sabato: 8.30 -13.00
Fino al 16 aprile 2011
Ingresso libero


Matematica in relax

Ha scritto Fernando Pessoa: “Il binomio di Newton è bello come la Venere di Milo. Il fatto è che pochi se ne accorgono”.
Un malinteso senso della Bellezza porta molti a consegnarsi a estenuanti file davanti a musei, a faticose letture di opere letterarie, all’assistere a impegnativi spettacoli teatrali, ma a escludere dallo studiare o almeno incuriosirsi a quanto la matematica propone sulla scena dei saperi e sulla godibilità estetica prodotta dall’ingegno umano anche in campo scientifico.
In Italia, poi, afflitta da sempre dall’impostazione data ai programmi da Giovanni Gentile – scrupolosamente peggiorati poi nei decenni successivi fino ad arrivare ai giorni nostri con la spensierata Gelmini la quale è riuscita a iscrivere la sua riforma nella storia del Varietà –l’insegnamento delle scienze, a partire da quello della matematica, è stato praticato, dalla maggior parte dei docenti, in modo competentemente tetro.
Ecco perché saluto con gioia un festoso volume pubblicato dalla casa editrice Vallardi intitolato Matematica in relax 99 problemi divertenti da risolvere e capire con l’aiutino e il post scriptum.
Ne è autore Maurizio Codogno. Laureato in matematica alla Normale di Pisa, lavora come System Achitect in Telecom Italia; per saperne di più cliccate QUI.
Il volume s’avvale di un suo blog.
L’autore ha raccolto alcuni intriganti problemi matematici e logici che a prima vista possono sembrare difficili, ma che hanno una soluzione inaspettatamente facile.

Ogni problema è strutturato in 4 punti:
1) Formulazione: quesiti calati nella realtà concreta, spesso in modo divertente.
2) Aiutino: per ogni quesito, un suggerimento indirizza sulla strada giusta.
3) Soluzione: le spiegazioni chiare e alla portata di tutti sciolgono ogni dubbio.
4) Post Scriptum: in chiusura, un commento illumina sui concetti matematici e logici che stanno alla base di ogni problema presentato.

A Maurizio Codogno ho rivolto due domande.
Perché ti sei deciso a pubblicare questo lavoro e a quale pubblico pensi che possa maggiormente interessare?

Semplice: perché non sono mai riuscito a trovare un libro fatto così! Ci sono parecchi libri in italiano che si possono incasellare nella categoria “giochi matematici”, ma spesso per risolvere i problemi presentati occorre mettersi a fare tante prove fino a trovare quasi per caso la soluzione oppure scrivere paginate di conti e conticini, il che fa perdere la voglia di giocare. Nel mercato anglosassone ci sono alcuni volumi di problemi meno meccanici e che richiedono più intuito, ma sono a livello di studenti universitari. Ho cercato invece di rivolgermi a persone con le conoscenze matematiche che si hanno dopo i primi due anni delle scuole superiori – niente studi di funzioni, integrali e simili! – e a cui piaccia andare a caccia dell’idea giusta, al più con una spintarella (l’“aiutino”) nella direzione giusta.

Perché in tanti arretrano atterriti di fronte allo studio della matematica?

Credo ci sia più di un motivo. Innanzitutto la matematica è una materia dove o sai o non sai: a scuola in un’interrogazione di italiano o di storia puoi sempre cercare di arrampicarti sugli specchi, ma con la matematica no. Ogni minimo errore ha conseguenze fatali. In secondo luogo, il modo in cui viene presentata a scuola è tendenzialmente prescrittivo. Regole e formule che arrivano calate dall’alto, senza che si capisca perché debbano essere così; molti insegnanti che hanno studiato in questo modo e ritengono naturale perpetuare la tradizione senza cercare di coinvolgere gli studenti facendo loro vedere cosa sta dietro la formula. Nel libro ho voluto fare l’opposto: il post scriptum mostra il risultato finale, ma chi ha risolto il problema ha capito il perché di quel risultato.

Concludo questa nota con un aneddoto.
Un giorno il grande matematico David Hilbert notò che un certo studente aveva smesso di frequentare le lezioni. Quando gli venne riferito che aveva deciso di abbandonare la matematica per diventare poeta, Hilbert rispose: “Ha fatto bene. Non aveva abbastanza immaginazione per fare il matematico”.

Maurizio Codogno
Matematica in relax
Pagine 224, Euro 11.00
Vallardi


25 marzo: sciopero

Ricevo dal Sindacato Attori Italiani un comunicato nel quale si ricorda che, come annunciato, il SAI (sai@slc.cgil.it; tel. 06 – 84 11 288) congiuntamente alle altre organizzazioni sindacali di settore, ha proclamato, per venerdì 25 marzo lo sciopero generale di tutto il settore della produzione culturale e dello spettacolo.
Lo sciopero si protrarrà per l'intera giornata e riguarderà tutte le articolazioni delle attività lavorative degli attori: teatro, audiovisivo, produzione e post-produzione
.

Il Presidente del Sai, Giulio Scarpati, di recente ha detto: “Gli ulteriori gravi tagli al già esiguo stanziamento previsto per lo spettacolo, rendono chiaro l’intento politico di infierire nei confronti di questo settore. Appare superfluo, a questo punto, dettagliare ancora una volta, quali gravi conseguenze comportano questi tagli non solo per gli operatori del settore ma per il sistema paese e i cittadini tutti. Il provvedimento appare ancor più vessatorio e paradossale se si considera che solo pochi giorni fa il governo ha deciso di dividere in due giornate le tornate elettorali e referendarie previste nella prossima primavera, con un costo stimato di circa 300 milioni di euro”.

Da parte mia, voglio ricordare come un soggetto pubblico (la Rai nell’esempio che segue) elargisce un milione di euro alla signora Donev, amica del premier, per la produzione di un film e avere speso per la stessa signora, attraverso un altro soggetto pubblico (la Biennale), altri quattrini per darle un premio, fino ad allora inesistente nel medagliere della Mostra del Cinema, ospitando giornalisti con annesso ricevimento e buffet. Non è che un esempio, perché di altri se ne contano a centinaia in questi anni tra governo, regioni, province, comuni.
Facciamolo allora questo sciopero con le forti convinzioni che abbiamo e con la nostra forte allegria di sempre.


Parola di donna

Ha scritto Norberto Bobbio: “ … sono convinto da tempo che l’unica rivoluzione che potrà cambiare il mondo è quella femminile, che è e sarà una rivoluzione pacifica. Capace di esprimersi con chiarezza sulla differenza tra mondo maschile e mondo femminile. E anche su di una diversa rivalutazione della famiglia, o, più in generale, di quei rapporti disinteressati, dove si esplicano in maggiore misura i sentimenti concreti”.
Oggi quelle parole risuonano di grande attualità in un momento che il femminismo sembra uscire da un periodo di affievolimento delle proprie elaborazioni filosofiche e politiche.
In Italia, di recente, sono state proprio le donne ad agitare uno stagnante scenario politico che affonda nel pantano cui assistiamo tutti i giorni.
Ad esempio, l’8 marzo 2011, dalla stessa data degli ultimi anni, si è distinto per vivacità e voglia di lottare.

La casa editrice Ponte alle Grazie in occasione dell’8 marzo ha pubblicato un ottimo libro: Parola di donna a cura della giornalista Ritanna Armeni.
Conduttrice a La7 della trasmissione tv “Otto e Mezzo”, ha lavorato al Manifesto, a L’Unità, a Rinascita; attualmente è opinionista sul quotidiano Il Riformista.
Suoi libri in catalogo di Ponte alle Grazie: Prime donne; Devi augurarti che la strada sia lunga; La colpa delle donne.

Il volume, come recita il sottotitolo Le 100 parole che hanno cambiato il mondo raccontate da 100 protagoniste d’eccezione, è un ragionato dizionario che attraverso 100 vocaboli vede sugli stessi un breve saggio di altrettante autrici.
Credo sia il primo libro – ma certamente il più completo – finora pubblicato in Italia che esplora la condizione femminile in modo tanto sintetico quanto esaustivo e che, accanto ad una massiccia presenza della Sinistra con le sue plurali angolazioni vede anche la partecipazione di donne schierate su posizioni della Destra.
La regìa editoriale dell’Armeni è assolutamente perfetta. Nello spettacolo, si chiama distribuzione l’affidare un certo ruolo a un determinato interprete e da quell’affidamento dipende molto della riuscita delle rappresentazioni; la Armeni per ogni parola ha scelto sempre l’autrice più giusta.
Ne viene fuori uno studio eccellente sui meccanismi del potere oggi, e le possibili dislocazioni future del rapporto maschio/femmina in senso politico, psicologico, sociologico, storiografico, economico, demografico, etico-sociale.

Scrive nell’Introduzione la curatrice: Giornaliste, scrittrici, filosofe, registe, sociologhe, storiche, sindacaliste, politiche hanno scritto queste pagine con un comune interesse e un comune intento: provare il cambiamento provocato e portato dalle donne attraverso la testimonianza delle parole. Modificando il loro significato e la loro sostanza, nascendo o rinascendo esse, infatti, indicano non solo una modificazione della lingua, ma della realtà. In questi anni, vecchi termini hanno indicato cose e fatti diversi dal passato, la stessa parola si è trasformata assumendo significati differenti, rovesciando quelli vecchi e illustrando nuovi pensieri, nuove convinzioni. Pochi se ne sono accorti. Molti hanno preferito ignorare quanto il senso e il significato delle parole non sia più quello di una volta. E di conseguenza non interrogarsi e non arrivare a una conclusione probabilmente temuta dai più. Il significato di molte parole è mutato perché sono cambiate le donne e con loro il mondo e gli strumenti coi quali lo si descrive.

A cura di Ritanna Armeni
Parola di donna
Pagine 336, Euro 16.80
Ponte alle Grazie


Regina di cuori


L’artista italiana Giovanna Torresin è in Slovenia con una doppia personale allestita nei due spazi espositivi delle Obalne Galerije a Capodistria – la Galleria Medusa e la Galleria Loggia – dove presenta Regina di cuori.

In foto: Giovanna Torresin, “Tavola uova”, 1996, particolare dell’installazione, 60x10x132 cm.

La curatrice Sabrina Zannier così scrive in catalogo:

”Regina di cuori” è un titolo imperativo e al contempo giocoso, che bene si presta a contenere l’essenza poetica di tutta l’opera di Giovanna Torresin, attraversata per punteggiature in quest’esposizione che ha quasi una valenza antologica. Svincolata dalla sequenza cronologica o dalla scansione tematica, appare piuttosto articolata secondo il principio del “mescolamento delle carte”, alludendo così al gioco sotteso al titolo stesso. Sono del resto proprio le carte da gioco, nella simbologia dei semi e delle figure, a svelarci le due vie sulle quali s’intreccia la ricerca di Torresin: la via dei “cuori”, aperta alla relazione; e la via tracciata dalla “regina”, che identifica la figura femminile.
Regina di cuori presenta installazioni e fotografie prodotte nell’arco di oltre tre lustri (dal 1994 al 2011) lungo i quali l’artista affronta due temi ricorrenti: il corpo umano come affondo autobiografico e la figura del tavolo, simbolo del convivio e della relazione. Con una tagliente vena ironica, uno sguardo a tratti masochista e un atteggiamento battagliero, tanto da suggerire il parallelismo con la Regina di cuori di Lewis Carroll, la bellicosa governante del
Paese delle meraviglie.

Cliccare QUI per entrare nel combattivo mondo della Regina di Cuori.

Giovanna Torresin
"Regina di cuori"
a cura di Sabrina Zannier
Spazi espositivi delle Obalne Galerije:
Galleria Loggia e Galleria Medusa di Capodistria, Slovenia
Fino al 6 aprile 2011


Alice senza niente


Di romanzi, su carta stampata ne escono – dati dell’AIE, Associazione Editori Italiani – oltre 40 al giorno, roba da far rabbrividire quanto trovarsi di fronte Dracula.
Poi ci sono autoproduzioni sul web, anche di autori famosi: da Stephen King ( “Ur”, 2009, disponibile esclusivamente in digital download per Amazon Kindle) al più recente Maurice Dantec che annuncia un titolo (“Satellite Sisters”) di prossima pubblicazione. Sperimentazioni che prevedono, però, il pagamento per essere conosciute.
Un gentile lettore, mi segnala un nuovo romanzo (Alice senza niente di Pietro De Viola), offerto, invece, gratuitamente in lettura. Pare stia facendo sfracelli sul web. Sembra, infatti, che abbia raggiunto un numero incredibile di accessi da quando è stato messo on line. Quel lettore, premuroso, aggiunge che la cosa dovrebbe interessarmi giacché ho già segnalato un lavoro di Vincenzo Sarcinelli intitolato Mio padre è un nazista.
Quel lavoro – piaccia o non piaccia – è, però, di diversa natura da “Alice senza niente”; è una sperimentazione tutta puntata sul linguaggio web e, difatti, mai vedrà la stampa su carta.

In foto: copertina di “Alice senza niente”.

La cosa mi dà lo spunto per qualche precisazione sulla condotta di questo sito.
Il romanzo – come ho già scritto senza speranze d’ascolto – è certamente vivo, ma, a mio avviso, vive la vita dello zombi; non nego che accanto a tanti (ma proprio tanti!) romanzi brutti, ce ne sia qualcuno ben fatto o qualche altro addirittura bello, ma più che belli o brutti, oggi, sono inutili. Almeno nella forma in cui tradizionalmente s’intendono: scrittura su carta, trama, personaggi, dialoghi.
E questo non è da confondere con quanti, con colpevole innocenza, parlano di morte del libro perché il libro, per fortuna, non è solo romanzo. E il libro non morirà, è molto raro che un medium uccida un altro.
Le nuove forme narrative, a mio avviso sono rappresentate dai videogames, dalla graphic novel, dal vook e, ancora di più, da tutte quelle esperienze che non hanno origine sulla carta. Non, insomma, da quelle stampate su fogli per poi essere trasferite in digitale come sta accadendo, nella maggior parte dei casi, in questa prima fase di vita dell'ebook.
“I testi della eLiterature”, come scrive Alessia Rastelli, “nascono già elettronici, quasi sempre interattivi, arricchiti da audio e video oppure animati da algoritmi che spostano singole lettere o interi capitoli sotto gli occhi di chi li guarda. Così la letteratura si spinge ai confini con l'arte e la fruizione sembra di volta in volta irripetibile”. Grazie a un apposito programma, ad esempio, la mescolanza di suoni, immagini e testo varia a ogni riproduzione in “The set of the U” del francese Philippe Bootz, uno dei padri del sottogenere della poesia elettronica. Oltre cinquecento combinazioni, invece, in “Bromeliads”, opera in prosa dell'americano Loss Pequeño Glazier, ritenuto con Bootz e lo statunitense Michael Joyce (scrittore di ipertesti), tra i principali autori di eLiterature.
E Italo Calvino? Mica l’hanno sorpreso. Si pensi ad esempio, alla sua invenzione del termine “iperomanzo” un luogo “d'infiniti universi contemporanei in cui tutte le possibilità vengono realizzate in tutte le combinazioni possibili"; dove può valere "un'idea di tempo puntuale, quasi un assoluto presente soggettivo"; dove le sue parti "sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata"; che funziona come "macchina per moltiplicare le narrazioni".
E’ un’anticipazione di quanto oggi si può praticare con il romanzo ipertestuale ottenuto dalla commistione tra romanzo e ipertesto oppure composto solo attraverso l'ipertesto con la forza della scrittura reticolare e non più sequenziale. Anticipazione di quei libri dove il lettore impersona un personaggio della storia che, al termine di ogni breve brano scritto, si trovi a dovere scegliere all'interno di una lista di possibilità, ognuna delle quali lo rimanderà a un nuovo brano da leggere che prosegue la storia conseguente alla scelta effettuata.
Il primo romanzo ipertestuale ad essere pubblicato sul Web è stato, nel 1994, “Delirium”, di Douglas Cooper, che permetteva di navigare all'interno di quattro storie incrociandole e dissezionandole con movimenti visivi e random usando software come Storyspace e Hypercard).
Calvino aveva capito con largo anticipo che il romanzo tradizionale (intorno al quale ancora nascono sterili dibattiti) con personaggi, trama, dialoghi, doveva cedere il passo a nuove forme d’espressività narrativa.
Del resto la sua grande curiosità intellettuale non a caso lo ha fatto il principale scrittore italiano riconosciutosi nelle proposte dell'Oulipo.

“Alice senza niente” non corrisponde ad alcuno dei tracciati fin qui enunciati.
E’ un romanzo tradizionale, sarà – com’è annunciato – stampato su carta dall’Editrice Terre di Mezzo (usa, quindi, il web – e giustamente – come intelligente promozione, avvalendosi, ancora giustamente, di video promozionali), ha una protagonista, storia, dialoghi; il fatto che stia sul web non pregiudicherà, infatti, ai fini del linguaggio, la sua trasposizione su cellulosa.
Non aggiunge né toglie quanto – con maggiori o minori meriti – vediamo nelle vetrine dei librai ogni giorno. E’ ben scritto e può fare felici molti lettori. Col web, però, ha a che fare solo e soltanto sul piano dell’appassionata, e ben congegnata, promozione e non – giova ripeterlo – del linguaggio.
Questo sito, a torto o a ragione, preferisce interessarsi alle dinamiche future, oppure futuribili, delle tecniche di scrittura sul web.

Per leggere il romanzo: QUI.
Autore: Pietro De Viola
Titolo: Alice senza niente


Ulassai Film Fest


Nel cuore della Sardegna, a Ulassai nella provincia dell'Ogliastra si svolgerà la prima edizione del festival di documentari Ulassai Film Fest
Il Mediterraneo come crocevia di culture e identità diverse che s’incontrano e si confrontano. Sarà questo il tema intorno al quale ruoterà questo festival dedicato alle produzioni indipendenti, ideato e organizzato dall'associazione senese Visionaria e dalla Primaidea s.r.l., con la direzione artistica di Mauro Tozzi e Nicola Contini.
Ulassai Film Fest non è solo cinema ma anche spettacolo, con iniziative collaterali dedicate alla cultura e alla musica popolare sarda.
Tra gli eventi più attesi, un omaggio all’illustratrice e video artista Carolina Melis.

A Mauro Tozzi, direttore artistico del festival, ho chiesto il profilo della rassegna.

Il genere documentario, a mio avviso, rappresenta uno spazio sconfinato di indagine e di sperimentazione, un luogo visivo nel quale possono confluire linguaggi e stili diversissimi che ci restituiscono un affresco della nostra società e delle sue culture, anche le più piccole e misconosciute. Il documentario ha soppiantato in questo anche il film a soggetto, la fiction. Da un po’ di tempo, per fortuna, anche in Italia ci siamo resi conto del grande valore espressivo e sociale del documentario e sono nati alcuni festival tematici. Nel pochissimo tempo a nostra disposizione per organizzare la prima edizione dell'Ulassai Film Fest, ma grazie alla ventennale esperienza di Visionaria International Film Festival, abbiamo cercato di dare spazio ad alcuni film di area mediterranea per aprire delle finestre su aspetti, magari poco conosciuti, della vita vera alla soglia del terzo millennio: che si parli dell'inferno di Hebron o del festival degli ottoni croati o della ricerca delle ricette della nonna istriana, tutto è materia di incessante scoperta del mondo che ci circonda, dei suoi valori, delle sue genti.

Ufficio stampa: Natascia Maesi, info@agfreelance.it; 335 – 19 79 414

Ulassai Film Festival
Per informazioni: vision@visionaria.eu
tel-fax 0577- 53 08 03
Dal 23 al 26 marzo 2011


Corpo a Corpo

Un nuovo corso di lezioni sarà tenuto dalla storica dell’arte e curatrice di mostre Barbara Martusciello (in foto) in un seminario che tratterà del Corpo rappresentato e del Corpo usato dall’Arte moderna e contemporanea partendo da L'Origine du monde del pittore francese Gustave Courbet fino ai corpi borderline della statunitense Nan Goldin.

Il corso d’incontri fa parte delle iniziative dell’Associazione (e Webmagazine) Artapart of Cult(ure).
Si racconterà del Corpo ora patito, ora glorioso e di temi sia luminosi sia tenebrosi ad esso legato affrontati dai tanti artisti dalla fine dell’800 ai nostri giorni per capire come l’Arte comunica e propone plurali modi di guardare e intendere sembianze, mondo e vita.

A Barbara Martusciello ho chiesto: non solo performers quali Orlan, Stelarc, Stelios Arcadiou, Yann Marussich, usano il proprio corpo come esplorazione antropologica della fisicità. Penso, ad esempio, a quanto accade alla Genetic Savings and Clone che ha ispirato la nascita della BioArts Gallery alla quale si riferiscono gli artisti biopunk – come Dale Hoyt che n’è capofila - che considerano le biotecnologie una nuova forma estrema di Body Art.
Come interpreti quest’interesse delle arti per una sorta di neocorpo?

Considero positivo, inevitabile e un fatto che l’arte e in generale la cultura vivano di ibridazioni e anche di innovazione e ricerca… Tutto ciò va bene, quando è tenuto a bada quel tanto di modaiolo che spesso c’è nei vari “neo”, “iper”, “sur”, “meta” e bla bla bla… e quando l’innamoramento per ogni novità tecnologico-scientifica passa e lascia il posto alla riflessione, alla poetica e anche all’etica… Già, perché l’Arte con l’Etica ha spesso a che fare… Premesso ciò, su Genetic Savings and Clone ho forti riserve, chiamiamole etiche – e mi ripeto – e credo che dopo l’Arte Estrema di più estremo ci sia solo la cronaca… Vivi fuori, guardati intorno, accendi la Tv, vedi in Libia ma anche in Giappone… L’arte assorbe le tecniche e certe ricerche tecnologico-scientifiche, le tratta, cita o richiama, non credo che, al di là delle sacrosante riflessioni, possa davvero camminarci insieme, se non per esperimenti. Finiti, come tutti gli esperimenti, cosa resta?

Le lezioni (dalle 18.00 alle 19.30 di ogni mercoledì dal 30 marzo al 27 aprile) si svolgeranno presso il Teatro Alba , Via Alba, 49 –Roma

Per informazioni: info@artapartofculture.net ; +39 377 108 33 93


Enoteca Velia


Premesso che non è una mia scoperta perché ha già tanti sostenitori, segnalo soprattutto a quelli che non abitano a Carrara (o per i carraresi che ancora non ci fossero stati) l’Enoteca Velia.
Non descrivo i piatti perché credo poco che le emozioni sensoriali (e da “Velia” ne proverete parecchie) possano essere descritte con efficacia. Almeno da me.
Segnalo soltanto un maiuscolo piatto di tordelli e carni rare a trovarsi così trionfanti per qualità e cotture di lodevole saggezza.
Ma vi sono altre meraviglie da gustare in un ambiente caldo, di sobria eleganza dove sarete coccolati da un servizio efficiente, cordiale, mai invasivo.
Eccellente la lista dei vini governata, e illustrata con competenza, dal patron Francesco Bonucelli che, accanto a grandi vini noti in lista, è riuscito ad aggiungerne altri scovati sul territorio.
In cucina agisce la figlia di Francesco, Anastasia Bonucelli.
Un mio amico gourmet definisce i bravi cuochi “benefattori dell’umanità”, ecco Anastasia è una “benefattrice”. Pratica una cucina che punta al “genius loci” rivelando dei prodotti la loro natura di terra e di aria toscane con filologica attenzione alla tradizione, ma non negandosi a qualche intelligente variazione.
Il conto, per un pranzo completo fino al dessert, con una bottiglia compresa e un distillato accompagnato da caffè, sta intorno ai 50 euro assolutamente meritati.
Ma si può spendere anche di meno. Evidentemente molto dipende anche dalla qualità dei vini che sceglierete e pure evitando la quantità alla quale io da sempre colpevolmente mi abbandono. Insomma, andateci e mi ringrazierete.
Il locale è aperto dalle 18.30 per l’aperitivo.
Piccolo giallo: mi è stato dato l’indirizzo del sito web enotecavelia.it, ma non si apre. Non ancora in funzione? Bonucelli, affrettatevi!

Enoteca Velia
Via A. Manzoni 1
Carrara
enoteca velia@yahoo.it
Tel: 0585 – 777 602
Consigliabile la prenotazione.


Archivio Maurizio Spatola

Ricevo da Maurizio Spatola (in foto) e volentieri rilancio anche ricordando suo fratello Adriano al quale mi legò una purtroppo breve collaborazione a RadioRai in anni lontani.

Gentili amiche, cari amici,

desidero informarvi di alcune importanti novità relative al mio Archivio on-line. Dopo due anni di ospitalità nel sito dell’amico bolognese Gian Paolo Guerini, che ringrazio ancora, dal gennaio di quest’anno il mio spazio è divenuto autonomo, consultabile all’indirizzo www.mauriziospatola.com.

Alle quattro sezioni già esistenti (Archivio, Protagonisti, News e Flash) ne ho aggiunte tre, dedicate ai libri delle Edizioni Geiger, alla rivista Tam Tam e ai libri pubblicati come suoi supplementi, e a documenti storici di varia natura, concernenti sempre la Neoavanguardia letteraria e artistica. Negli ultimi due mesi l’Archivio si è arricchito di cinque nuovi titoli, con quasi 200 pagine web a disposizione degli interessati.

Prossimamente sarà inaugurata anche la sezione Documenti storici. Complessivamente ora in questo archivio è consultabile materiale letterario e iconografico suddiviso in trenta capitoli.
Il mio progetto prevede la messa in rete di una mole di testi e immagini molto superiore ma mi trovo davanti ad alcune difficoltà che mi costringono a rivolgere a tutti coloro che sono interessati al proseguimento di questa iniziativa il seguente appello.

Certamente non tutti sanno che dal 2001 sono privo della vista e che proseguo la mia attività pubblicistica per passione e con l’aiuto di ausilii tecnici e di giovani collaboratori, più o meno esperti di informatica. Sono in grado di scrivere autonomamente ma non di gestire un sito internet. La redazione e l’immissione in rete del materiale di questo archivio, che ho creato ritenendo di fare un’opera culturalmente e socialmente utile, comincia ad avere un costo che va oltre le mie singole forze. Non volendo imporre un abbonamento o qualcosa di simile, chiedo a chiunque creda importante sostenere questa mia iniziativa di offrire un contributo libero (anche non economico) le cui modalità possono essere stabilite prendendo contatto con me via e-mail oppure scrivendo o telefonando ai recapiti indicati nella firma digitale. I nomi dei sostenitori, con la loro autorizzazione, saranno pubblicati in qualità di collaboratori nella home page del sito. In totale assenza di risposte mi vedrò costretto a rallentare e forse a cessare le pubblicazioni.
In attesa di qualche riscontro un cordiale saluto a tutti
Maurizio Spatola

Maurizio Spatola, via Usodimare 11/8, 16039 Sestri Levante (Genova), Italy
Tel. (39).0185.43583 Mobile 333 – 39 20 501


La prosperità del vizio

La casa editrice Garzanti ha pubblicato un libro serio e birichino al tempo stesso: La prosperità del vizio Una breve storia dell’economia.
Il sottotitolo può far pensare a quella battuta di Andreotti che in un congresso Dc, richiesto di commentare la troppo ambiziosa relazione di un suo rivale, perfidamente definì quell’intervento “brevi cenni sull’Universo”. Ma qui le cose stanno diversamente perché in meno di trecento pagine l’autore riesce a tracciare la storia di tanta materia focalizzando la sua analisi su poche, essenziali, dinamiche che governano ricchezza e povertà.
L’autore della riuscita impresa si chiama Daniel Cohen.
E’ professore di economia all’École Normale Supérieure, vicepresidente dell’École d’économie di Parigi, direttore del Cepremap (Centro per la ricerca economica e le sue applicazioni), ed è editorialista di “Le Monde”.
Con Garzanti ha pubblicato anche Tre lezioni sulla società postindustriale (2007).

La prosperità del vizio è libro impegnato e scorrevolissimo. Ma chi l’ha detto che un tema serio, e l’economia lo è, debba essere svolto con un sussiego che già ronfi a pagina 3?
Ricordo un aforisma di Amartya Sen, Premio Nobel per l’economia nel 1998, che una volta disse: “Vivere in un'economia di mercato non è molto diverso dal parlare in prosa: non è facile farne a meno, ma molto dipende da quale prosa scegliamo di usare”.
La prosa di Cohen si muove su due cursori: la leggerezza della forma scrittoria e la coscienza di ciò che l’uomo è. Senza dannarlo come il peggiore dei diavoli, ma senza farsi eccessive illusioni sulla sua, indimostrata, tendenza alla bontà o alla solidarietà.
Le creature umane si sono consociate, hanno prodotto economia per difendersi dapprima dalle belve feroci e dopo da altre creature ritenute nemiche a torto o a ragione.
Ed ecco la chiave per spiegare il titolo – “La prosperità del vizio” – che cita le teorie di Bernard de Mandeville medico e filosofo cartesiano olandese (1670 – 1733) che afferma: “È impossibile che la virtù da sola renda mai una nazione celebre e gloriosa” scrivendo così in La favola delle api. ovvero vizi privati e pubbliche virtù. Espressione quest'ultima, della seconda parte del titolo, divenuta d'uso comune per indicare un comportamento ipocritamente onesto agli occhi del pubblico che ne nasconde uno vizioso in privato; il modo di dire è diventato di uso corrente da quando uscì il film "Vizi privati, pubbliche virtù" (1976) per la regia di Miklós Jancsó.
La teoria di Mandeville che i comportamenti viziosi possano generare prosperità collettiva, ispirò numerosi autori d'economia come Adam Smith o Ayn Rand.
Ma se il filosofo olandese si dimostrò incapace di cogliere i primi segni di una morale laicamente umanistica, in grado di apprezzare quanto di buono vi era nello sviluppo tecnico e culturale della prima rivoluzione industriale, Cohen non trascura il dato morale sostenendo che esso è però ancora una volta utilitaristico perché permette una crescita sostenuta da principii di opportune reciprocità.
La prosperità del vizio racconta a grandi, decisive, tappe 4000 anni, dagli antichi Babilonesi a oggi, appoggiandosi alla lezione dei grandi maestri (Keynes, Marx, Schumpeter, Hirschmann) ma anche all’esperienza quotidiana. Dimostra che l’economia è una scienza che collega cause ed effetti in maniere sorprendenti: lo fa parlandoci del tenore di vita degli schiavi nell’antica Roma o dell’effetto delle telenovelas sulla demografia del Brasile, della ricerca di finanziamenti pubblici da parte di Cristoforo Colombo o dei rendimenti oggi decrescenti dell’agricoltura. Viaggiando nel passato, Cohen guarda al futuro: “Dobbiamo immaginare un diverso tipo di sviluppo. Tendere verso una nuova economia, che nasce via via che emergono nuovi problemi: come l’economia dell’immateriale, dell’arte e della conoscenza”.

Daniel Cohen
La prosperità del vizio
Traduzione di Giuseppe Maugeri
Pagine 278, Euro 19.60
Garzanti


I fratelli Lumière


Dei quasi 60.000 libri pubblicati ogni anno in Italia, poco più di 4.000 (pubblicazioni scolastiche a parte) sono quelli destinati ai lettori più giovani, sicché l’editoria per ragazzi rappresenta il 6% del mercato. E’ poco? E’ molto? Spero che il mio giudizio non sia troppo severo: mi sembrano troppi, vista la scarsa qualità di quei volumi. La maggior parte, infatti, soffre di una scarsissima adesione al mondo dei più giovani immaginati come tanti, proprio tanti, anni fa; e questo dalla grafica all’esposizione dei contenuti.
Sono pochissimi gli editori che fanno bene quei volumi e fra questi, come ho già scritto qualche altra volta, assegno plurali meriti all’Editoriale Scienza di Trieste.
Sono libri, mediamente, più costosi rispetto ad altri editori. E’ vero. Ma non è forse meglio comprare un solo libro utile che cinque fatti male che sono, poi, trascurati dalla lettura?

Prendete, ad esempio, una recente pubblicazione sul cinema: I fratelli Lumière La straordinaria invenzione del cinema edito in collaborazione con il Museo del Cinema di Torino, Rai Trade e Rai Edu, con testo e illustrazioni di Luca Novelli; un libro riuscitissimo.
Traccia in modo appassionante la storia degli inizi del cinematografo facendo parlare in prima persona i due fratelli e corredando il loro racconto con fumetti, aneddoti, lampi storici sull’epoca in cui nacque uno dei più grandi mezzi di comunicazione.
Alla fine, un dizionarietto illustrato per orientarsi nel mondo del cinema e un’apposita sezione con consigli pratici ai ragazzi per realizzare un piccolo film: come idearlo, come scriverlo, come produrlo.
Allegato al libro, il Dvd con la puntata di Lampi di genio in Tv (programma per bambini di Rai Educational tratto dai libri di Novelli), dedicata ai fratelli Lumière, con assaggi dei primi filmati e di ciò che è venuto prima del cinema: lanterne magiche, prassinoscopio, zoopraxiscopio…

Lodi meritate, quindi, all'autore di questo libro che ha anche progettato la serie “Lampi di Genio” nella quale vede la luce il volume.
Per conoscere tutte le pubblicazioni di questa collana: CLIC!

Luca Novelli
I fratelli Lumière
Pagine 128, Euro 19.90
Editoriale Scienza


Scrittore Sandwich Globetrotter

Sempre più si cercano nuove forme di promozione dei libri ma oggi non scrivo di agenzie impegnate da grandi editori bensì di un autore che accoppia la pubblicità al suo volume a una performance itinerante. Lo fa con simpatia e umiltà rare a trovarsi.
Lo scrittore si chiama Devis Bellucci è nato a Vignola nel 1977. Laureato in Fisica all’Università di Modena e Reggio Emilia nel 2002, nella stessa Università ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Fisica nel 2006. Impegnato in attività di sensibilizzazione sulle problematiche legate al Sud del Mondo, ha partecipato a missioni umanitarie e campi di volontariato in diversi paesi, tra cui la Bosnia Erzegovina, l’India, l’Albania e il Brasile.
A fine 2007 ha pubblicato La memoria al di là del mare (Giraldi Editore), romanzo filosofico scritto tra il 2000 e il 2005 durante numerosi viaggi in Europa e in Brasile. Nel 2010 esce L'inverno dell'alveare (A&B Editrice).
Fin qui, valore delle opere a parte, niente che già non sia accaduto a tanti.
Ma è proprio questo più recente libro che fa partire una singolare avventura.
Ce la racconta lui stesso.

In foto: in primo piano cartoni sandwich e candela accesa.

Sono assegnista di ricerca nel campo dei biomateriali, scrittore e fotografo. Per dare voce al mio romanzo “L’inverno dell’alveare”, attualmente in libreria, ho girato l’Italia come uomo sandwich. Davanti mi porto la copertina e dietro la quarta, prezzo incluso. Mi è sembrata da subito una bella metafora: il romanzo cammina e dentro c’è l’autore. Volevo poi ricavare, da quest’esperienza, un percorso fotografico, attraversando gli orizzonti del mio paese con una storia sulle spalle. Questo rispecchia l’essenza del libro: il viaggio e la scoperta al di là del sentire comune, che nel romanzo è il pensiero dell’alveare. Ho attraversato come Uomo Sandwich i luoghi deserti, secondo un percorso scelto ad hoc: le stradine di campagna, le valli, le spiagge, dalla Francia alla Slovenia sino al Sud.
Nelle piazze delle città, dove cammina la gente, mi svesto del cartone e appoggio il sandwich a terra. Sistemo sul cartone una candela accesa mentre la gente passa… Qui, tra la gente che scorre e non ti guarda, la voce dello scrittore è leggera, sottile e inutile come una candela accesa di giorno.
So che un anno dei miei sforzi vale cinque secondi della promozione fatta da un grande editore. Ma volevo immortalare l’Italia, da Nord a Sud, in maniera simpatica e originale. Sono convinto che la determinazione, bene o male, possa fare scricchiolare il sistema. In caso contrario, si conoscono viaggiando delle persone splendide.
Ho messo insieme più di 700 fotografie. Spero che l’insieme risulti comico. Mi piacerebbe che la gente dicesse: “Ma guarda ‘sto pazzo che cosa si è messo in testa”.
Una selezione di queste foto è visibile su Facebook cercando “Uomo Sandwich” o sul mio sito www.devisbellucci.it. Sto già scrivendo “Memorie di un Uomo Sandwich”, che è più di un diario di bordo
.

Da L’inverno dell’alveare:
“E che cosa succede quando arriva l'inverno?” chiese la piccola esploratrice tutta impaurita.
“Non lo so. Noi api non superiamo l'inverno. Per questo dimentica la domanda che mi hai fatto”.


Menecmi

Al Teatro Vascello – diretto da Manuela Kustermann – è in scena una delle opere più famose di Plauto: Menecmi.
Scene e regìa sono firmate da uno dei nomi storici dell’avanguardia teatrale italiana: Memè Perlini.
Interpreti: Alkis Zanis - Nicola D’Eramo - Maurizio Palladino - Alberto Caramel - Cristina Giachero - Massimo Fedele - Gaia Benassi . Musiche di Gianni Fiori.
Il titolo dell’opera deriva dal nome dei due personaggi principali, nonché fratelli gemelli.

Il valore di questo testo classico sta anche nell’essere tra i primi ad affrontare il tema del Doppio; già anticipato da Platone e che vedrà in tanti a esserne affascinati nel tempo fino all’età moderna e contemporanea, si pensi a Freud e a Baudrillard.
Il teatro, sul registro prevalente della commedia, è folto di figure doppie. Sono di solito gemelli che danno spunto a comici equivoci fino all’agnizione: proprio dai “Menecmi” di Plauto a “La Calandria” di Bernardo Dovizi da Bibbiena, dai “Simillimi” di Trissino a quelli shakespeariani in “La commedia degli equivoci” e “La dodicesima notte”, da “I due gemelli veneziani” di Goldoni fino “Mon double et ma moitié” di Sacha Guitry; più rara la tragedia qual è “Zwillinge” di Friedrich Klinger o musical quale “The Boys from Syracuse” di Abbott.
Pure Il cinema, oltre a trasposizioni di opere letterarie, ha presentato enigmatiche figure doppie da “L’uomo orchestra” (1900) di Méliès con un’intera orchestra di uguali fino all’agente Smith di Matrix che a furia di sdoppiarsi diventa una folla.
Anche la fotografia contemporanea s’è interessata al tema, ricordo Stefano Cerio che fornisce cospicui esempi di duplicità dell'essere nel suo "Codice Multiplo".
Nella narrativa la figura del Doppio ha conosciuto altissime pagine e, a differenza del teatro, spesso splendidamente cupe.
Qualche esempio: Hogg (Confessioni di un peccatore); Chamisso (La prodigiosa storia di Peter Schlemihl); Hoffmann (La principessa Brambilla); Dostoevskij (Il sosia); Stevenson (Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde); Wilde (Il ritratto di Dorian Gray); Kafka (La metamorfosi).
La psicanalisi ha prodotto riflessioni sul Doppio spesso prendendo spunto proprio dalla letteratura; ricordo, aldilà degli studi di Freud e Rank, per andare su pubblicazioni italiane, ad esempio, un bel libro di Enzo Funari pubblicato da Cortina qualche anno fa: “La Chimera e il Buon Compagno: storie e rappresentazioni del Doppio”.
Ora nuove forme del Doppio si affacciano all’orizzonte: presto l’Avatar, clone elettronico tridimensionale di noi stessi, agirà in ambienti anche lontanissimi da dove ci troveremo e non soltanto nei mondi virtuali di Second Life et similia.

Lo spettacolo di Perlini è stato accolto con grande favore dalla critica e ha divertito una platea gremita nelle repliche fin qui svolte.

L’ufficio stampa e promozione è curato da Cristina D’aquanno
06 – 588 10 21; 06 – 589 80 31; fax 06 – 581 66 23; promozione@teatrovascello.it

Plauto
Menecmi
Regìa di Memè Perlini
Teatro Vascello
Fino al 27 marzo a Roma
Poi in tournée


Un importante compleanno

La figura e l’opera di Piero Gobetti, in questi tristi anni italiani, assumono nuova importanza sia per l’esempio morale sia per la lezione politica che contengono.
In questo 2011, il Centro Studi che porta il suo nome compie cinquant’anni.
E’ stato fondato nel 1961 per iniziativa della moglie Ada Prospero, del figlio Paolo, della nuora Carla e di alcuni amici di Piero, tra i quali Felice Casorati, Giulio Einaudi, Alessandro Passerin d'Entrevès e Franco Venturi. Nel gennaio del 1972 un decreto del Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat, ne ha riconosciuto la personalità giuridica e approvato lo Statuto
La ricorrenza sarà festeggiata giovedì 10 marzo con un convegno intitolato La fortuna di Piero Gobetti in Italia e all'estero.

Ho rivolto due domande a Pietro Polito responsabile dell’Archivio Norberto Bobbio e ricercatore al Centro Gobetti.

Quali sono gli obiettivi che, oggi, date ai vostri programmi?

Il Centro con la sua attività si propone di tenere viva la memoria della tradizione della rivoluzione liberale e di favorire l’analisi, la riflessione e il giudizio sul patrimonio di idee e di scritti di Gobetti, nonché sulle correnti politiche, culturali, morali e civili che a quella eredità ideale si sono ispirate durante il fascismo, la Resistenza, la storia della Repubblica, fino ai giorni della nostra ultima incerta stagione politica. In un contesto problematico sia culturalmente sia economicamente, reso ancor più difficile dai tagli alla cultura, lo sforzo principale è diretto alla creazione e alla cura di una serie di strumenti biblioteconomici, archivistici e informatici: la messa a disposizione on line delle riviste gobettiane e dei cataloghi della biblioteca, l’inventario degli archivi di Piero e Ada Gobetti e quello del fondo Marcello Vitale sui movimenti degli anni ’60 e ’70, la bibliografia primaria e secondaria di Norberto Bobbio, il riordino dell’archivio Bobbio. E’ stata, inoltre avviata la ripubblicazione degli oltre cento volumi del catalogo Gobetti. La formazione e il dibattito sono lo scopo del lavoro con le scuole e di iniziative come il seminario “Culture politiche dell’Italia contemporanea” e della “Scuola della buona politica” di Torino.

In questi tormentati anni italiani, qual è ancora l'importanza della figura di Gobetti?

Da Gobetti ci viene un insegnamento morale racchiuso nell’invito urgente a elevare e migliorare il tono civile degli italiani e del Paese: sta qui il richiamo gobettiano all’intransigenza intesa anzitutto come una assunzione di responsabilità individuale nella vita personale e nella vita pubblica. Accanto a un insegnamento storico che consiste nel guardare con spirito critico alla storia d’Italia, andando alla ricerca delle cause più remote delle vicende nazionali: l’ “autobiografia della nazione”. In questo senso, Gobetti invita lo storico e l’uomo pubblico a guardare alla realtà con gli occhi dei vinti e non dei vincitori: la risorsa delle eresie.

Centro studi Piero Gobetti
Via Fabro, 6 - 10122 Torino
Tel. 011/531429 - 011/535655
Fax. 011/5130224
Per consultazione e richiesta materiali:
Lunedì – Venerdì dalle 15 alle 19


Sonus Loci (1)

Uno dei pochi luoghi che rappresentano un autentico riscatto culturale di Napoli (travolta da tante storie nefaste e anche da se stessa), ai nostri giorni è il PAN - Palazzo delle Arti Napoli - ospitato in un edificio del ‘600.
Nel febbraio 1998 il Comune di Napoli – che nel 1984 ne aveva acquisito la proprietà e poi avviato il restauro – stabilisce la destinazione d’uso di Palazzo Roccella a Centro di Documentazione per le Arti Contemporanee.
Nella sua nuova veste, il Palazzo ospita oggi – con i suoi 6.000 mq distribuiti su tre piani – numerose esposizioni temporanee, laboratori culturali, un centro di documentazione, una biblioteca, una mediateca e una webradio.
Da quando è stato inaugurato (26 marzo 2005) va svolgendo un’attività multimediale occupandosi di arti visive, letteratura elettronica, convegni sui mezzi di comunicazione, architettura, musica, cultura scenica, insomma sul sentire contemporaneo vissuto fra creatività, informazione, trasmissione.
Temi sempre trattati, anche con artisti e studiosi stranieri, con uno sguardo che riporta a Napoli e alle sue possibilità d’inserirsi in uno scenario internazionale.

Un’iniziativa che già l’anno scorso ebbe un lusinghiero successo, e che quest’anno perviene alla sua seconda edizione, è Sonus Loci Radiomemorie di Napoli, parlando parlando... che si articola attraverso radiopan, la webradio del Centro.
Il progetto è realizzato da Rita Chiliberti - Stefano Perna - Alessandro Inglima con la supervisione di Marina Vergiani, direttore del Pan, alle cui intelligenti intuizioni e ragionate programmazioni si devono i forti risultati espressivi raggiunti dal Palazzo delle Arti Napoli.
Sonus Loci - come meglio vedremo appresso – consiste in una serie di passeggiate di protagonisti della vita culturale della città attraverso alcuni siti-simbolo del territorio napoletano intrecciando le proprie memorie alla ricostruzione storica di angoli cittadini: scale, monumenti, edifici, vicoli, uno scorrimento mercuriale di memorie e cronache.
Tanti i partecipanti, ne ricordo alcuni scusandomi per eventuali omissioni: Riccardo Canessa, Claudio Canzanella, Elio Capriati, Amedeo Messina, Claudio Novelli; i preziosi contributi d’immagini storiche messe a disposizione da Mario Pirone; le opere di artisti del territorio, come Patrizia Balzerano, Angelo Casteltrione,Rita Chiliberti, Fabio Donato, Federico Fiorillo, Giusy Iescone, Valentina La Rocca, Giuliano Longone, Tommaso Ottieri, Orfeo Soldati.

Per portare in primo piano i dettagli del progetto, segue ora una seconda parte di questa nota.


Sonus Loci (2)


La radio, come si è già detto, è la protagonista di “Sonus Loci”.
Di radioPAN, la webradio del Palazzo Arti Napoli, il curatore è Stefano Perna.
E’ Dottore di Ricerca in Scienze della Comunicazione all'Università di Salerno.
Ha pubblicato saggi su design, teoria dei media e cultura visuale per diverse case editrici (Plectica, Meltemi, Liguori, Alos), ed ha collaborato alla traduzione di “Millesuoni. Deleuze, Guattari e la musica elettronica”, Cronopio, Napoli, 2006.
Inoltre, è autore di progetti grafici e di new media design tra cui: “Ber.loose.coin” (recensito e archiviato dal network internazionale Rhizome.org) e “Sound Barrier”, progetto di live cinema e sound design presentato in diversi festival e rassegne internazionali.

In occasione di una precedente manifestazione del PAN – radioaktivität – in un’intervista gli chiesi quale ruolo recita oggi la radio nello scenario dei media. Mi fu data una risposta tanto ricca quanto sintetica su di un tema così vasto che mi piace qui replicarla: Oggi (forse fin dall’inizio, ma ora in misura maggiore) la parola “radio”, più che indicare un unico assetto tecnico-produttivo-linguistico, può essere riferita a un’ampia gamma di congegni mediali, se per medium intendiamo l’assemblaggio tra un sostrato tecnologico-materiale e le strategie espressive che lo organizzano. C’è radio quando delle voci e dei suoni vengono trasformati in onde elettromagnetiche e dispersi nell’etere in cerca di un ricevitore; c’è radio quando un flusso di dati viene scomposto in pacchetti di informazione e ricomposto in suoni attraverso un computer. FM, web, onde corte, infrarossi, bluetooth, GPS, non importa. Si può fare in modo che ci sia della “radio” anche rimanendo chiusi in un piccolo spazio, ad esempio in una singola stanza. C’è radio soprattutto quando è messa in gioco una modalità comunicativa che spinga le percezioni e le cognizioni di un corpo a disporsi sull’asse dell’ascolto.
Arnheim aveva colto il nucleo della questione già nell’infanzia del medium, un’ “arte dell’ascolto”. Da questo punto di vista non credo ci sia un “nuovo” ruolo della radio. Semmai, in un’epoca in cui la radio, classicamente intesa, sembra perdere di forza nella competizione mediale, la “modalità radiofonica” di creazione e di ricezione può allora rilanciare con forza il lavorìo sull’ascolto, spingendo a farci e rifarci, continuamente, delle nuove orecchie
.

A Stefano Perna (qui in una foto scattata da Antonio Riccio), in occasione di questa seconda edizione di “Sonus Loci”, ho rivolto alcune domande.
RadioPAN rispetto ad altre radio esistenti in Italia all'interno di luoghi museali, in che cosa si distingue? Quale la sua particolarità?

Ciò che distingue radioPAN è una diretta conseguenza della struttura di cui la radio fa parte e di cui è emanazione, ossia il Centro di Documentazione dei linguaggi del contemporaneo del PAN. Come il direttore Marina Vergiani ama spesso sottolineare, il PAN non è un museo di arte contemporanea stricto sensu, ma piuttosto un centro multifunzionale per la ricerca, la diffusione, l'esposizione e soprattutto la documentazione dei linguaggi, non solo "artistici", della contemporaneità. In questo senso radioPAN trova una sua peculiare caratterizzazione proprio in questa dimensione di archivio, documentazione dell'uso e dello sviluppo dei linguaggi espressivi più diversi: dalla fotografia al teatro, dall'urbanistica al sound design, tutto questo cercando di usare il suono come strumento principale. E poi c'è l'apertura alla città, al suo vissuto culturale in senso ampio: radioPAN non si limita infatti a documentare ciò che accade o che viene prodotto all'interno delle mura del PAN, ma tenta di estendere il più possibile il suo raggio d'azione, cercando di utilizzare al massimo una logica di rete con altri operatori culturali del territorio.

Qual è il profilo di questa seconda edizione di “Sonus Loci”?

Col secondo blocco di puntate “Sonus Loci” continua ad articolare e ad arricchire lo “stradario acustico” di Napoli che fin dall’inizio si propone di realizzare. Il paesaggio cui ci riferiamo non è però strettamente definito dalla realtà geografica o da luoghi tangibili: si passa, ad esempio, da un tour tra i “teatri scomparsi” del ‘600 napoletano alla decodifica della città attraverso il vettore della “verticalità”. Insomma oltre ai luoghi veri e propri ad essere esplorata è anche la città mentale, le sue geometrie astratte, se vogliamo la sua psicogeografia. Ora la cartografia si espande, sia in senso spaziale sia temporale sia tematico, andando a toccare non solo altri luoghi e altri tempi, ma anche altre “zone” che costituiscono parte fondamentale dell’immagine della città (nel senso, molto ampio, che a questa espressione da Kevin Lynch) come la sua lingua - con tutto il sistema di stratificazioni e di sonorità che determinano in maniera così forte il “soundscape” napoletano – e la cucina – luogo mitologico della città partenopea, imprescindibile via d’accesso sinestetica alla sua conoscenza.

Sonus Loci diviene sempre più “cross-mediale”…

Sì, sebbene l’asse portante rimanga il podcast e quindi il piano acustico, attorno al progetto si sta creando una comunità di fotografi e artisti che contibuiscono con le loro immagini ad ampliare visualmente la rete di riferimenti e quindi l’esperienza del fruitore; in secondo luogo la presenza sui social network (facebook), in un primo momento concepita solo come uno strumento di promozione e diffusione del progetto, ha rapidamente raggiunto una sua autonomia, divenendo luogo di scambio e di circolazione di materiali (immagini, scritti, audio) da parte degli ascoltatori.


E-tomb


In quest’epoca delle “pisicotecnologie” – definizione di Derrick de Kerckhove – si assiste a una rivoluzione che per entità è superiore a quanto accadde con Gutenberg.
I comportamenti si evolvono per tempi, stili e forme in un modo che perfino chi professionalmente pratica la Rete non sempre ha colto.
Stiamo uscendo dall’epoca della cosiddetta postmodernità e ci troviamo di fronte a una serie di rivoluzioni che, sotto l'impulso delle tecnologie, approdano a risultati sociali e culturali, modificano non soltanto i mezzi espressivi, ma anche l’immaginario.
Non deve troppo sorprendere che tali trasformazioni entrino anche in territori mentali e fisici ritenuti fino a ieri immutabili, per esempio, nel modo di concepire la morte e il luogo dell’estremo riposo.

Lo scrittore britannico James Ballard (1930 – 2009) che, tra fantascienza e satira sociale, tanta influenza ha avuto sul movimento cyberpunk, scrive in “La mostra delle atrocità” (1970): “Una visita al Père-Lachaise di Parigi aggiunge un anno di vita”, oggi, forse, può raggiungere un tempo più lungo e congiungersi col tempo di chi più non c’è.
Devo allo scrittore e performer Mauro Pedretti la segnalazione di un oggetto comparso sul web, si tratta di una e-tomb. Molto più di una lapide.
Dice la didascalia: In realtà è un memoriale digitale wireless della vita del defunto. Dentro, tutte le informazioni riguardanti la persona, reti sociali, fotografie, pensieri e documenti e aggiunge con spiritoso garbo Mancheranno solo gli aggiornamenti di status.

Sono convinto che questa cosa sarebbe piaciuta a Dorothy Parker che non avrebbe mancato su quella tomba di far scorrere in aston le parole che ha voluto scritte sulla sua sepoltura: “Scusate la polvere”.


Contro il cinema


La casa editrice minimum fax ha mandato in libreria una raccolta di interviste fatte da critici e studiosi a Carmelo Bene.
Titolo: Contro il cinema.
Quelle conversazioni (alcune inedite, altre di difficile reperimento) sono state selezionate da Emiliano Morreale, curatore del volume e autore di una splendida prefazione in cui coglie come meglio non si potrebbe lo spirito, le ragioni, le intuizioni che hanno portato Bene a fare del cinema e del cinema parlare malissimo.
Morreale, (1973) collabora con riviste di critica e informazioni cinematografiche. Ha scritto libri su Ciprì e Maresco e su Tim Burton, curato un’antologia di racconti (Sicilia fantastica, L’Ancora del Mediterraneo 2000) e tradotto in italiano Alla ricerca della felicità di Stanley Cavell (Einaudi 1999). Dirige la rivista on line Cinemi.

Recensire un libro che trova nel pensiero di Carmelo Bene il suo protagonista, è operazione sconsigliabile sempre che non si voglia cadere sotto i fulmini dello stesso Bene che parla malissimo (anche in questo volume) non solo del cinema, ma anche d’intervistatori e recensori.
Come fare allora?
Ho scelto la via meno rischiosa: una serie di citazioni ed eccitazioni dal libro.

Che cosa penso del cinema italiano? Ci sono due parole che mai andrebbero pronunciate insieme: la parola “cinema” e la parola “italiano”. Il vero pericolo non sono gli americani, ma i falsi americani, gli europei che vogliono imitare gli americani. Arrivano fino ad applicare delle teorie economiche gratuite. Il giorno in cui il pubblico del cinema rinuncerà a Chaplin, in quel momento il cinema potrà iniziare. Bisogna demistificare a tutti i livelli. Sono d’accordo con Borges quando afferma: “Non posso esprimermi, posso solo fare citazioni”.

Il cinema è nato come cattiva imitazione della letteratura. Io trovo che il tempo che uno dedica a vedere un film di Ejzenštejn sarebbe meglio usarlo per rileggere Puškin.

Trattare della società di consumo… come fa Godard, è un compito da vigile urbano che non m’interessa.

Perché vi ostinate ad andare al cinema, quando sapete che Kandinsky, Klee, hanno fatto di più? Vuol dire rinunciare […] Non vado al cinema perché so che è un sottoprodotto.

Succede che per il novantanove per cento il cinema sta scimmiottando tutte le esperienze che in letteratura, in pittura dal tempo dei Fenici, da quattromila anni, sono già state esautorate, consumate, esaurite.

A me interessa tutto, fuorché il cinema. Il tempo è breve, la vita limitata.

Perché faccio dei film? Non lo so: il giorno in cui lo saprò non li farò più.

So che i miei film irritano molte persone. Io trovo che abbiano ragione. Parlando ad esempio del “Don Giovanni”, trovo che non abbia alcun senso averlo mostrato qui a Venezia, andrebbe proiettato al Louvre.

Affermazioni tanto nette, fulminanti – d’accordo o non che si sia con esse – ce ne sono tantissime in “Contro il Cinema”, ma accanto a queste dizioni che sfiorano l’aforisma, ci sono anche parti in cui Bene teorizza sull’attore, il gesto, la voce, la televisione e le sue potenzialità non sfruttate, e tante riflessioni sulla musica in scena e fuori scena.
Un libro che si fa leggere tutto d’un fiato, provocatorio come il suo protagonista, divertente in modo che va anche oltre il “comico”, inoltrandosi in quel territorio del “ridicolo” (come a Bene piaceva definirlo) pieno di rischi, ma pure di tante splendenti epifanie.

Per una scheda sul libro: CLIC!

QUI il sito web dedicato a Carmelo Bene.

Carmelo Bene
Contro il cinema
A cura di Emiliano Morreale
Pagine 196, Euro 15
minimum fax


Scriptacontemporanea

Si conclude il programma di manifestazioni del Centenario della nascita del celebre critico d’arte lucchese Ludovico Ragghianti con la nascita di una nuova collana della Fondazione Ragghianti – in coedizione con Maria Pacini Fazi Editore – intitolata Scriptacontemporanea.
A dirigerla è il Direttore della Fondazione: Maria Teresa Filieri.
Il primo volume della nuova collana (in foto la copertina) è dedicata a “seleARTE” (1952-1966).
Ne è autrice Silvia Bottinelli, docente alla Tufts University di Boston, che con il suo studio copre l’intero arco della vita della rivista “seleARTE”, fondata da Carlo Lodovico Ragghianti e pubblicata per 14 anni, dal 1952 al 1966; un esempio di informazione rigorosa e nello stesso tempo aperta al pubblico più vasto, tanto da raggiungere una diffusione di oltre 50.000 copie.

A Maria Teresa Filieri ho chiesto d’illustrare qual è ancora oggi l’importanza della figura di Carlo Ludovico Ragghianti.

L’analisi critica che Carlo.Ludovico Ragghianti ha condotto sul fenomeno figurativo è indubbiamente attualissima, ancora e soprattutto oggi. La sua visione, assolutamente libera da schemi precostituiti, dell'arte come prodotto dell'ingegno umano è la premessa indispendabile a comprendere i variegati fenomeni e le forme più avanzate della produzione visiva contemporanea, in tutte le declinazioni comprese quelle che si avvalgono delle più recenti tecnologie. Assertore, convinto e convincente, dell’arte visiva come linguaggio autonomo, ha contributo non poco alla dilatazione del dominio tradizionale della storia dell’arte: se il linguaggio visivo ha una sua autonomia nel campo della comunicazione, allora tutto ciò che si esprime per mezzo della visione può essere sottoposto allo stesso tipo di analisi, non solo dunque pittura, scultura, architettura senza distinzione di periodo, ma anche urbanistica, teatro, cinema, danza, le arti cosiddette minori, il disegno industriale, la museologia, tutta l’arte popolare ed etnica e naturalmente tutta la produzione contemporanea.

Scriptacontemporanea: qual è la sua linea editoriale e come in pratica lei la realizza?

Nel dare il via a questa collana abbiamo voluto ispirarci ad alcuni tra gli scopi principali che portarono Ragghianti a “inventare” il Centro studi lucchese, e cioè promuovere iniziative per diffondere l’arte contemporanea e sostenere in ogni maniera ricerche e i lavori di giovani studiosi. Sono stati del resto proprio i numerosi studenti e studiosi, provenienti da varie università italiane, che quotidianamente frequentano il nostro archivio, (costituito per buona parte dall’archivio di Carlo Ludovico Ragghianti e dunque ricco di testimonianze di incommensurabile valore per la storia della cultura del Novecento), e la nostra biblioteca (il cui fondo principale è proprio la biblioteca personale dello studioso) a suggerirci l’idea di offrire loro la possibilità di mettere rapidamente in circolo i risultati delle loro ricerche. La collana accoglierà dunque tesi di laurea o di dottorato ispirate alle linee di ricerca predilette da Ragghianti, ma non necessariamente solo queste. Saranno pubblicati anche studi dedicati ai fenomeni più interessanti e innovativi della ricerca figurativa contemporanea.

I rapporti con la stampa della Fondazione Ragghianti sono tenuti da Elena Fiori
e-mail: elena.fiori@fondazioneragghianti.it
Tel. 0583 / 46 72 05 - fax +39 0583 / 49 03 25


I castelli secondo Calvino

Il Touring Club Italiano con la nuova Presidenza di Franco Iseppi sta conoscendo un momento di rilancio organizzativo e d’immagine. Ne è testimonianza la ripubblicazione di un testo – una vera chicca – di Italo Calvino (1923 - 1986) che fu pubblicato all’interno del volume edito dallo stesso Touring Castelli d'Italia.

Scrive Franco Iseppi nella prefazione Sono passati venticinque anni dalla scomparsa di Calvino […] stimava il Touring e ci era amico. Nel saggio “La città pensata” in ‘Collezione di sabbia’ (1982), recentemente ristampato da Mondadori, definisce le guide del Touring “… una delle mie passioni segrete che considero tra le cose ben fatte che l’Italia unita ha saputo fare”. Calvino ha scritto per noi un fantastico testo d’accompagnamento ad un volume (Castelli e fortificazioni – 1974) con le fotografie di Berengo Gardin. Lo tiriamo fuori dai depositi e lo riproponiamo in questo “non – libro” (un piccolo fascicolo, senza pretese) per farlo rivivere, per riproporne l’originalità, i valori poetici e letterari. Perché i suoi libri fanno ancora scuola.

Proprio così, “fanno ancora scuola” poiché non soltanto ci ha dato un complesso di opere di grande valore, ma ha anche anticipato, prima dell’avvento della Rete, alcune soluzioni che vanno progressivamente ispessendosi nell’e-letteratura. Si pensi ad esempio, alla sua invenzione del termine “iper romanzo” un luogo “d'infiniti universi contemporanei in cui tutte le possibilità vengono realizzate in tutte le combinazioni possibili"; dove può valere "un'idea di tempo puntuale, quasi un assoluto presente soggettivo"; dove le sue parti "sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata"; che funziona come "macchina per moltiplicare le narrazioni".
E’ un’anticipazione di quanto oggi si può praticare con il romanzo ipertestuale ottenuto dalla commistione tra romanzo e ipertesto o composto solo attraverso l'ipertesto con la forza della scrittura reticolare e non più sequenziale. Anticipazione di quei libri dove il lettore impersona un personaggio della storia che, al termine di ogni breve brano scritto, si trovi a dovere scegliere all'interno di una lista di possibilità, ognuna delle quali lo rimanderà a un nuovo brano da leggere che prosegue la storia conseguente alla scelta effettuata.
Il primo romanzo ipertestuale ad essere pubblicato sul Web è stato, nel 1994, “Delirium”, di Douglas Cooper, che permetteva di navigare all'interno di quattro storie.
Calvino aveva capito con largo anticipo che il romanzo tradizionale (intorno al quale ancora nascono sterili dibattiti) con personaggi, trama, dialoghi, doveva cedere il passo a nuove forme d’espressività narrativa.
Del resto la sua grande curiosità intellettuale non a caso lo ha fatto il principale scrittore italiano riconosciutosi nelle proposte dell'Oulipo.
Vadano, quindi, meritati elogi al Touring Club Italiano che ha avuto la sensibilità di ripubblicare quell’attraversamento di Calvino dei territori del Castello, ora immagine di delizie, ora di terrori.


In_Divenire


Mancano pochi giorni al vernissage della mostra intitolata In_Divenire presso la Colonna Gallery Open Space che espone i più recenti lavori di Marco Abbamondi.
Nato a Napoli nel 1974, ha cominciato la sua attività artistica nel 1999 con lavori su legno che interpretavano con tratti iperrealisti i monumenti della sua città natale.
Successivamente – passando anche attraverso una visitazione postmoderna dell’arte presepiale – ha condotto esperienze sulla plastica e il sughero. Da lì è partita una ricerca su tecniche e materie (ferro, piombo, stucco, cemento, terracotta, vetro) sempre nuove.
In tempi più recenti, ha allargato i propri orizzonti, e opera su progetti scenografici spaziando dalla tradizione all’arte contemporanea con soluzioni espressive a più codici.
Una proposta di modulazioni stilistiche applicate su oggetti e creazioni di spazi con l’utilizzo di segni linguistici disposti su vari materiali, segni plurisensoriali che s’avvalgono di tracce sonore e effetti luministici.

A Marco Abbamondi ho chiesto il perché del titolo della mostra.

La realtà in perenne movimento e trasformazione, la realtà come continuo passaggio dall’essere al non essere. Divenire, In_Divenire, come paura del “ritorno al nulla” dell’esistenza, ma anche nomade desiderio di un senso plurimo dell’esistenza.

Al concetto di fragilità, è dedicata anche l’opera centrale della mostra: Eggalitè. Di che cosa si tratta?

E’ un’installazione, composta da 88 uova che, una accanto all’altra, su un pannello riproducono la forma dello stivale, è un omaggio all’unità d’Italia di cui il 17 marzo si celebreranno i 150 anni.

Perché questa rappresentazione dell’Italia ricoperta di uova?

Sin dall’antichità simbolo dell’unità primordiale dell’essere, totalità perfetta, l’uovo è al contempo di estrema fragilità. Proprio per questo ho scelto quella forma, quel simbolo, per rappresentare l’Italia di oggi. Una fragile superficie su cui incedono incerte da noi unità, democrazia, uguaglianza. Concetti, in alcune occasioni, ridotti a mera parvenza del loro significato più profondo, gusci vuoti… svuotati.

Se non fossi ateo, direi parole sante.
Concludo su quest’operazione che riflette sul Divenire e sul suo nomadismo filosofico, trascrivendo un pensiero di Carmelo Bene che mi pare in rima: “Il calendario è una muraglia cinese contro l’innocenza del Divenire, che non dovrebbe ammettere certificazioni come la carta del tempo. La carta del tempo è un’invenzione delle culture agricole e io fui abortito in terra d’Otranto, terra nomade per eccellenza”.

“In… Divenire”
Colonna Gallery “Open Space”
Piazza Amedeo 16 L, Napoli (Chiaia)
Vernissage: venerdì 4 marzo 2011 ore 18.30
Patrocinio del Comune di Napoli
Fino al 20 marzo 2011


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