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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

La voragine


Torna in scena per una tournée il testo di La voragine che debuttò a Roma al Teatro Politecnico nel 1998 con la regia di Giuseppe Marini; gli interpreti furono Mario Colucci e Giulio Turli (qui, in una foto di scena).
L’anno scorso, il lavoro teatrale, in forma narrativa, fu pubblicato da Studio 12.
L’autore è Enrico Bernard, per una scheda bioblibliografica: QUI.

La nuova edizione porta la firma del regista Francesco Branchetti, nei due ruoli troviamo Paolo Ricci e Riccardo Leonelli.
Musiche di Pino Cangialosi; scene ideate da Gianluca Amodio; costumi disegnati da Alessia Sambrini.
Scrisse Pietro Favari sul Corriere della Sera: Facciamo conto che la buca dove alloggia la Wiennie di Giorni felici -in assenza della sua legittima inquilina - sia stata trasformata in una voragine, in una fossa che ha definitivamente "toccato il fondo", come dichiara al suo Capo l'Operaio incaricato dello scavo e ora in attesa di altri ordini. Ordini adeguati ad un simile evento il Capo non è in grado di darli, anche lui resta in attesa di istruzioni dall'alto, che però non arrivano, sostituite da generici comandi a "scattare" senza altre precisazioni. Il Teatro dell'Assurdo ci ha fatto riconoscere le attese vane dei Godot, gli imperativi che regolano atti senza parole e senza senso, le buche in cui sprofondare progressivamente. Con La Voragine Enrico Bernard ha ripreso lo scavo iniziato dalla Wiennie di Beckett e gli ha dato la forma compiuta e ben strutturata di un'ampia allegoria, capace di contenere angosce e interrogativi di questo fine millennio. Sotto la superiore sovrintendenza ai lavori di Beckett, ma anche di Brecht, Bernard ha scandagliato la sua voragine con accuminati strumenti drammaturgici e l'ha puntellata con solidi riferimenti alla realtà, trasfigurata in un limpido apologo politico.

“La voragine”
di Enrico Bernard
Teatro Galleria Toledo, Napoli
Dall’1 al 6 dicembre ‘09

Teatro Tordinona, Roma
Dal 19 gennaio al 7 febbraio 2010


La Casetta

A Roma, l’alta gastronomia, purtroppo, ha pochi luoghi e tutti a prezzi disumani.
E’ possibile, tuttavia, gustare la cucina romanesca in altrettanti pochi locali.
Oggi segnalo uno di questi: La Casetta .
Lì è praticata una scelta puntata sulla tradizione che vede il trionfo di piatti d’ottima fattura esclusivamente di territorio.

La Casetta è anche la gioia di quanti apprrezano l’abbondanza delle porzioni, la mia gioia è più contenuta perché mi piace mangiare più portate, ma meno impegnative per quantità.
I ‘primi’ sono imponenti per misura - e qualità -, abitudine che deriva probabilmente dall’antica Roma dove il pranzo cominciava dal laganum, voluminoso impasto d’acqua e farina cucinato in modo che vede divisi gli storici sulla tecnica di cottura.
Alla Casetta si può gustare la pajata (termine che indica l’intestino tenue del vitellino da latte), splendida matriciana, carbonara sia con gli spaghetti sia con i più tradizionali rigatoni, e mai in abbinamento con gli gnocchi di patate come, perniciosamente, sta andando di moda suscitando il mio orrore.
I ‘secondi’ tutti da elogio, vedono la ghiotta proposizione del “quinto quarto”. Tale dizione si deve al fatto che i due pregiati quarti anteriori e posteriori, un tempo, erano riservati ai benestanti mentre rognoni, milza, cuore, fegato, animelle, cervello, lingua e coda, erano destinati ai meno abbienti. Ma questo “quinto quarto” è gustosissimo e alla Casetta è trattato in modo divino. Né là mancano, ovviamente, alici e baccalà.
Si è accolti nella piccola (conviene prenotare) accogliente sala da Giulio e Alessia… a proposito, auguri alla neonata Rebecca figlia dei due appena citati… Alessia è pasticciera da premio.
In cucina, Mario Barchiesi e sua moglie Tina lavorano sodo per i nostri vizi di Gola, e qui la G maiuscola ci sta tutta.
Quanto ai prezzi, devo rinnovare elogi; con un pranzo completo, molto completo, bevande escluse, non si va oltre i 25 euro.
Consiglio a Mario, dalla travolgente simpatia, di allungare la lista dei vini al momento un po’ corta.
Che altro dire? Se a Roma abitate o siete di passaggio per affari, sesso, turismo, andateci e mi ringrazierete.

La Casetta
Via Trionfale (zona Monte Mario)
Tel: 06 – 33 88 543
Chiuso il lunedì


Il caffè di Sindona

Fra i tragici burattinai che si trovano dietro a tanti, troppi, misteri italiani, figura il nome di Michele Sindona che riuscì ad intrecciare in un vortice di neri affari potere politico, Vaticano, massoneria e mafia.
Condannato all’ergastolo - quale mandante dell’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli - il 18 marzo 1986, bevve un caffè al cianuro due giorni dopo.
Sulla storia del tenebroso finanziere, nato a Patti nel 1920, è in libreria un volume Garzanti che fa luce su molti aspetti delle vicende di quegli anni in Italia: Il caffè di Sindona.
E' firmato da Gianni Simoni e Giuliano Turone.

Il primo, ex magistrato, ha condotto quale giudice istruttore indagini in materia di criminalità organizzata, di eversione nera e di terrorismo. Presso la Procura generale milanese ha sostenuto l’accusa nel processo d’appello per l’omicidio Ambrosoli e ha condotto l’inchiesta giudiziaria sulla morte di Michele Sindona nel carcere di Voghera.
Giuliano Turone, anch’egli ex magistrato, si è occupato per molti anni di criminalità mafiosa e di criminalità economica. Come giudice istruttore, ha condotto insieme con Gherardo Colombo l’inchiesta giudiziaria milanese sull’omicidio Ambrosoli nel corso della quale vennero scoperti gli elenchi della Loggia massonica P2. Insegna tecniche dell’investigazione all’Università Cattolica di Milano. Il suo libro più recente è “Il delitto di associazione mafiosa” (Giuffrè, 2008).

I due autori, oltre a tracciare il percorso nel mondo politico e finanziario di Sindona, ne disegnano un accurate profilo psicologico che li porta ad affermare (in sintonia con il collegio peritale) come quel mattino del 20 marzo ’86 il detenuto “avesse consapevolmente e volontariamente ingerito il caffè contenente cianuro”. Un suicidio inscenato in modo che si potesse anche immaginare un omicidio, estrema beffa di un uomo al quale non faceva difetto un istinto (e un talento) teatrale di prim’ordine.
Il libro – con un vasto apparato di schede dei personaggi principali, documenti giudiziari, bibliografia e indice dei nomi – lo si legge come un giallo però ben sapendo che stavolta non si tratta di fiction ma di realtà tragiche in una tragica Italia. Nel concludere il volume, infatti, gli autori citano uno scritto di Vito Mancuso che scrive: In Italia, a differenza di altri paesi occidental, manca una religione “civile”, capace di legare responsabilmente l’individuo alla società, manca nella coscienza comune un’idea superiore rispetto all’Io e ai suoi interessi, perché in Italia i più ritengono che il singolo sia più importante della società.
E’ questa l’origine dei mali che porta dalle piccole sopraffazioni fino al delitto e fa sì che le piccole prepotenze così come le stragi siano accolte con gelida e colpevole indifferenza.

Per una scheda sul libro: QUI.

Gianni Simoni – Giuliano Turone
“Il caffè di Sindona”
Pagine 200, Euro 16:00
Garzanti


L'ispirazione

“E se tutti noi fossimo sogni che qualcuno sogna, pensieri che qualcuno pensa?”.
Così scrisse un tempo Fernando Pessoa .
Lo scrittore portoghese non è il solo a diffidare dell’ispirazione, almeno così com’è largamente, e, talvolta, rozzamente intesa. Senza andare troppo lontano, cito qui l’Oulipo che proponendo apparenti giochi letterari ha più ambiziosi obiettivi: svelare automatismi che si discostano dalle proposizioni critiche care ad alcuni che credendo in scintille divine e folgorazioni sembrano talvolta prospettare uno scenario Enel della creatività.
Tema, questo dell’ispirazione, centrale nella nostra epoca con l’affacciarsi del postumano previsto, ad esempio, dalla Nasa e Google finanziatrici della Singularity University, aperta da pochi mesi, la quale, tra le sue direttrici di studio, prevalentemente dedicate alla genetica e all’intelligenza artificiale (aggettivo sempre più improprio e da ripensare), si pongono la meta di svelare nuovi meccanismi del nostro Essere come verbo e come sostantivo.
La pluralità delle voci sull’argomento produce, però, ricchezza di pensiero e non bisogna abbandonarsi a settarismi, ce ne sono già troppi in giro, invito ad astenercene.
Un maiuscolo intervento sui meccanismi della creatività viene da Alberto Casadei autore di Poesia e ispirazione mandato in libreria dalla casa editrice Luca Sossellache s’avvale della raffinata linea grafica dell’art director Alessandra Maiarelli.

Per conoscere la biobibliografia di Casadei, c’è un sito web.

Il volume è un articolato percorso, assai ben condotto, tra i processi mentali che presiedono alla nascita della poesia. Nelle sue cospicue pagine l’autore sostiene che “la poesia è forse la forma linguistica più vicina al funzionamento del cervello, in quanto tende ad aderire ai suoi processi biologici, e a riprodurne la complessità. Il pensiero poetico scopre finalmente che il proprio valore conoscitivo non si contrappone alla scienza, ma ne allarga i confini”.

A Alberto Casadei ho chiesto: non ti pare che possa essere avanzata l'idea dell'ispirazione come un grande Karaoke, un Matrix, tutto biologico, del linguaggio in cui si crede di parlare e si viene parlati?

Non del tutto. Con una battuta si potrebbe dire che per il poeta (mi concentro su un esempio specifico) vale il motto ‘senti chi parla’ in te, ma anche quello ‘bada a come parli’ tu. Esiste cioè, a mio avviso, una base profonda, pre-razionale, dell’impulso poetico, e artistico in genere, e questo corrisponde perfettamente a quanto ci dicono oggi le scienze cognitive. Ma l’ascolto di questa esperienza profonda è poi individuale, e ogni grande poeta moderno deve riuscire a costruire uno stile che sia adeguato a esprimere quanto riesce a percepire di quel grande oceano, per aggiornare Freud, che è l’inconscio cognitivo. Non si tratta più di riconoscere traumi e di stabilire rapporti di causa-effetto: l’attenzione a un aspetto profondo della nostra biologia, che è sempre personale e collettiva insieme, può essere generato anche solo da una riflessione sull’inadeguatezza delle normali categorie spazio-temporali a rappresentare tutti gli aspetti di ciò che chiamiamo realtà. Però poi ogni poeta ‘autentico’ deve ideare uno stile che agisca come un’interfaccia tra quanto lui ha intuito e quanto vuole manifestare ai suoi simili. In questo modo interviene comunque un’opera di confronto con la tradizione, implicita o esplicita: sia pure in forme e modi sempre diversi nel tempo, occorre un’elaborazione della ‘materia del contenuto’ che sia colta da chi fruisce dell’opera, anche a distanza di secoli.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Alberto Casadei
“Poesia e ispirazione”
Pagine 94, Euro 10:00
Luca Sossella Editore


Il futuro di Darwin


Quest’anno ricorrono il duecentesimo anniversario della nascita di Charles Darwin e il centocinquantesimo della pubblicazione dell’”Origine della Specie”.
Le due ricorrenze sollecitano una rinnovata attività scientifica e culturale sui lavori di Darwin e sulla sua eredità legata a recenti sviluppi del sapere.
L’eredità di Darwin nelle scienze di oggi e nel loro futuro, articolata secondo le line di organizzazione della materia vivente, è il filo conduttore delle Baxter Lectures 2006 - 2009 organizzate dall’Università di Pisa con la sponsorizzazione della Baxter Italia.

Per conoscere il Comitato scientifico: QUI.

Due giornate di studio si svolgeranno prossimamente all’Università di Pisa.
Venerdì 27 si avrà la partecipazione di Lorenzo Calabi, Maria Turchetto, Sergio Bartolommei; sabato 28 novembre gli interventi di Ludovico Galleni, Alain Prochiantz, Giorgio Manzi, Olga Rickards.

E’ previsto, inoltre, un incontro organizzato dall’Uaar; per saperne di più: CLIC!


Tiezzi e Shakespeare (1)


William Shakespeare (1564 -1616) è senza dubbio l’autore che non solo conta il maggiore numero di versioni sceniche (musical compreso), ma anche quello di traduzioni in linguaggi extra-teatrali: dal cinema al fumetto, dalla radio alla tv, senza contare gli spunti dati a tante elaborazioni letterarie, opere musicali, lavori d’arti visive, fino a, notizia recentissima, un game multiplayer su Internet.
A confermare l’attività continua di studi sull’opera shalespeariana è anche la notizia di due settimane fa: si chiamerà “Ariel” il sistema bibliotecario online sviluppato dallo Shakespeare Globe Theatre per raccogliere sul web il vasto catalogo del genio di Stratford-upon-avon. Una collezione di scritti, ma anche di documenti elettronici e materiale multimediale. La biblioteca web è destinata a contenere il testo e le revisioni critiche dell'opus magnum shakespeariano, insieme ad una vasta raccolta di opere britanniche risalenti al 16esimo e 17esimo secolo. Tutto questo all'interno di un più ampio progetto di ricerca della Globe Education, a favore di ricercatori, studiosi, registi ed attori impegnati nel mettere in scena le più note opere di quel grande drammaturgo.
E tra i titoli celebri va annoverato “Romeo e Giulietta” che a Prato dal 26 novembre al 20 dicembre sarà messo in scena, in una particolare versione intitolata Scene da Romeo & Giulietta, da Federico Tiezzi; per la biografia, cliccare sul suo nome nel sito della Compagnia.

Il testo di Shakespeare (scritto a trent’anni in un periodo fra il 1594 e il 1595) si è fatto mito collettivo e popolare di un’inesauribile ricchezza di significati e di rimandi, perciò affrontarlo significa, per il regista e gli attori, fare i conti non solo con il dramma shakespeariano, ma anche con tutti i racconti (teatrali e non), gli spettacoli, le interpretazioni critiche, i film, le musiche che il mito dei due amanti ha prodotto.
La storia di Romeo e di Giulietta non è però solo celebrazione dell’incontro tra Amore e Morte: è anche storia sociale di faide, di duelli e di violenza fisica e verbale. E’ teatro della realtà declinato in modo stupefacente e vitale, è teatro della memoria, è teatro dell’interiorità.
E' commedia dell’amore ben sintetizzato dalla battuta famosa: “Chi mai ha avuto una ferita, ride di chi ne porta i segni”.


Tiezzi e Shakespeare (2)


“Scene da Romeo & Giulietta” si divide in due parti: nella prima si seguono le vicende dei due protagonisti, attraverso alcune scene che mettono in evidenza il dinamismo “da commedia” del dramma shakespeariano. Nella seconda due vecchi attori ottantenni recitano le due grandi scene d’amore del testo, per mostrarci come l’amore superi il tempo e come esso possa vincere la morte.
Tiezzi sceglie di ambientare il suo spettacolo in un campo di profughi o di rom nel terrain vague della periferia di una qualunque grande città, dove le vicende delle due famiglie dei Capuleti e Montecchi hanno per protagonisti gruppi di emigranti slavi.
Siamo tra le roulotte, tra i lampioni e i guardarail di una zona di confine, di frontiera, dove la tensione è più forte, dove più forte è il disagio sociale - dei corpi come delle anime.
Più che chiedersi se l’amore abbia ancora una necessità e una verità nella contemporaneità, lo spettacolo ci racconta l’amore come necessità arcaica, mitica, che rivela la sua essenza e la sua forza proprio in una situazione di frontiera, ma ci dice anche della fragilità e bellezza della giovinezza, del tempo che passa, dell’invecchiamento e del resistere dell’amore alla decadenza del corpo.
Con questo spettacolo Tiezzi torna, dopo dieci anni da “Scene d’Amleto”, allestito anch’esso al Fabbricone, al lavoro di approfondimento della drammaturgia shakespeariana e alla libertà di impianto drammaturgico e rappresentativo che segnò quello spettacolo.
Anche in questo caso si tratta di uno spettacolo itinerante dove il pubblico si muoverà in due grandi spazi: una strada di periferia e una camera da letto in una casa dei nostri giorni.
“Scene da Romeo & Giulietta” conclude i primi tre anni del Laboratorio di Prato, corso di specializzazione per giovani attori/borsisti che, oltre ad approfondire le discipline che compongono l’arte teatrale, sono entrati in contatto in modo innovativo con architetti per l’indagine sullo spazio, artisti visivi per la conoscenza delle forme più avanzate della pittura e della scultura, con romanzieri e poeti per lo studio della drammaturgia del racconto, allo scopo di costruire un diverso approccio creativo al testo e alla recitazione.
Passando ora alla pratica, alcuni di questi giovani attori partecipano allo spettacolo e si trovano a lavorare con attori più anziani, che, in alcuni casi, sono stati anche loro pedagoghi.
Questo Laboratorio non sostituisce ma nemmeno integra le scuole tradizionali di recitazione: è un modello sperimentale di formazione dell’attore ispirato da un lato alle esperienze di Jacques Copeau e dall’altro alla scuola del Bauhaus.

Per conoscere tutto il cast dello spettacolo: CLIC!

Ufficio Stampa: Simona Carlucci, carlucci.si@tiscali.it ; tel. 335 –5952789
Ufficio Stampa Teatro: Franca Mezzani, ufficiostampa@metastasio; 0574-608504

“Scene da Romeo & Giulietta”
Regìa di Federico Tiezzi
Teatro Fabbricone di Prato
Dal 26 novembre al 20 dicembre


Latta e cafè


No, non si tratta di un errore di battitura, si chiama proprio Latta e cafè un documentario della durata di 63’00” dedicato alla figura e all’opera di Riccardo Dalisi architetto e designer nato a Potenza, ma napoletano d’adozione, “gioioso, ilare, ironico e anche umano, fantastico, persino grottesco”, come lo ha definito Gillo Dorfles.
Dalisi, è noto anche come il creatore/rifacitore della classica caffettiera napoletana (che gli valse nel 1982 il prestigioso premio di design Compasso d’oro) ma è anche l’artefice della rinascita di Rua Catalana di Napoli; è il teorico dell’ ’architettura dell’Imprevedibilità’ e della tecnologia povera, il designer che ha lavorato per la grande industria, da Zanotta ad Alessi, da Fiat a Rex.
“Latta e caffè” è con Ferruccio But, Alba Cappellieri, Marcella Canelles, Gillo Dorfles, Maurizio Fanni, Benedetto Gravagnuolo, Alessandro Guerriero, Serge Latouche, Mario Marenco, Pasquale Moxedano, Simona Perchiazzi, Michelangelo Pistoletto, Alex Zanotelli. Musiche di Ilario Pastore.

La regìa è stata affidata ad Antonello Matarazzo (con il quale ha collaborato Bruno Di Marino), artista multimediale e videomaker, che lavora da sempre elaborando immagini e sperimentando nuove forme e linguaggi, spingendosi, e riuscendoci, a superare i confini della narrazione.

In foto, un’immagine promo di "Latta e cafè".

Ad Antonello Matarazzo (già ospite di questo sito in Nadir) ho chiesto di parlare su questo suo recente lavoro.

Il mio interesse per questo progetto è nato innanzitutto dall’ammirazione nei confronti di Riccardo Dalisi, un personaggio fuori dalle righe di questi tempi, ma dentro quelle del passato e del futuro. Familiarizzando quindi con la sua attività, ho pensato di ri-leggerla creativamente attraverso il video, uno strumento che pratico ormai da una decina d’anni. “Latta e cafè” nasce dunque dall’attrazione fatale di un artista (io) per un altro artista (Dalisi) e, dal momento che di solito il mio lavoro si muove sul versante della sperimentazione, non può comunque considerarsi un documentario canonico o un semplice ‘portrait’.
Ho inoltre sentito l’esigenza di allargare il discorso anche al contesto, a Napoli, infatti c’è una curiosa convergenza tra Dalisi che lavora sui materiali poveri, di riciclo, insomma sugli scarti, e uno dei problemi che tormenta Napoli: lo smaltimento dei rifiuti.
Mi piace ricordare che nel mio lavoro ho trovato il pieno appoggio produttivo di Aurelio De Laurentiis, persona animata da autentica passione non solo per il Calcio Napoli ma per tutto ciò che riguarda la città, il quale mi ha lasciato, come si suol dire, carta bianca.
Credo ci sia una cosa che emergerà da questa mia impresa e cioè che tra i tanti bambini che compariranno nel documentario colui che emerge con più forza è proprio Riccardo Dalisi, un uomo che, alla soglia degli 80 anni, ha conservato intatto il suo sguardo e il suo spirito ludico e infantile, una caratteristica comune ai più grandi creatori, e che ha fornito all’architetto e umorista Mario Marenco (altro personaggio, compagno di strada di Dalisi, del quale mi sono occupato nel documentario) l’ispirazione per l’interpretazione di ‘Riccardino’ che compariva nella famosa trasmissione di Arbore “Indietro tutta”
.


Lo schermo dell'arte (1)


Erede della fortunata sezione omonima del Festival dei Popoli, nell’àmbito del quale si sono tenute le edizioni 2005, 2006 e 2007, Lo schermo dell’arte Programma internazionale di film sulle arti contemporanee diviene quest’anno un progetto autonomo. Quale attestazione della sua qualità, è stato incluso nel programma “50 giorni di cinema internazionale a Firenze”, rassegna organizzata da Mediateca Regionale Toscana Film Commission, in collaborazione con Regione Toscana e Comune di Firenze.
E’ organizzato, inoltre, in collaborazione con Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci (Prato), CCCS Centro di Cultura Contemporanea Strozzina-Fondazione Palazzo Strozzi (Firenze), Accademia di Belle Arti e Università di Firenze.
Lo schermo dell'arte - in foto, il logo - lancia una riflessione su cinema e arti visive dei nostri giorni riunendo documentari provenienti da produzioni indipendenti e da musei, istituzioni culturali, distributori cinematografici nazionali e internazionali.
Le proiezioni - tutte precedute da un’originale sigla animata di Giacomo Piussi - avverranno al Cinema Odeon, teatro degli anni ‘20 progettato da Marcello Piacentini, situato nel cuore di Firenze, di fronte al rinascimentale Palazzo Strozzi.
La rassegna prevede inoltre, prima e dopo le proiezioni, momenti di incontro con artisti, registi e produttori dei film.
Per il programma: CLIC!

Un giorno Duchamp disse: “Da quando i generali non muoiono più a cavallo non vedo perché un pittore dovrebbe morire davanti a un cavalletto”.
Nonostante molti continuino a pittare, esistono artisti che colori e forme li usano in modo diverso. Ad esempio, con immagini in movimento consegnate al cinema – ce ne sono cospicui esempi anche nella verde età di quell’arte – e, oggi in modo frequente affidate al digitale.
Il gruppo Fluxus, fin dagli anni ’60 del secolo scorso proiettò molte delle sue opere fuori delle cornici per rappresentarle dentro i margini dell’inquadratura di uno schermo. L’epoca digitale che viviamo vede infittirsi questi esempi, la semplicità d’uso delle tecnologie d'oggi ha indubbiamente favorito il fenomeno che, però, non è ascrivibile solo ad un fatto tecnico, ma ad una nuova filosofia dell’espressività che sempre più va verso la contaminazione dei generi, l’incrocio fra arte e scienze, l’intercodice.
“Lo schermo dell’arte” ne è una maiuscola testimonianza.

Ufficio stampa: Ester Di Leo: tel. 055 – 22 39 07 e 348 – 33 66 205; esterdileo@gmail.com

“Lo schermo dell’arte”
a cura di Silvia Lucchesi
Firenze, Cinema Odeon
Info: 055 – 20 81 38
Dal 23 al 26 novembre 2009


Lo schermo dell'arte (2)

Chi è Silvia Lucchesi? E perché parlano tanto bene di lei?
Storica dell'arte, ha pubblicato libri, saggi e ha curato mostre di arte contemporanea.
Ha realizzato il film “Senza titolo. Viaggio nell’arte moderna e contemporanea delle istituzioni pistoiesi” (2009). Ha collaborato con il Festival dei Popoli, curando la sezione Cinema e Arte (1992-1998, 2005-2007). Ha guidato rassegne video tra le quali Atlanti Futuri (Firenze, 2008), e cinematografiche dedicate alle arti visive contemporanee (Pistoia 1995, “Artecinema”, Napoli” 1996-97). Con la sua società ‘Silvy Produzioni’ ha prodotto il film Perdere il filo di Jonathan Nossiter (2000), presentato in festival internazionali e messo in onda da RaiSat e Sundance Channel (USA).
E’ docente incaricato al Corso di laurea Pro.Ge.A.S. (Progettazione e gestione di eventi e imprese dell'arte e dello spettacolo), all’Università di Firenze, Polo di Prato.
Dirige "Lo schermo dell'arte".


A lei, in foto, ho chiesto: quale la principale finalità espressiva del Festival?

Quella di raccontare l’arte attraverso il cinema, svelando l’universo creativo, e soprattutto umano dei protagonisti delle arti del nostro tempo. Lo straordinario successo della passata edizione del Festival dimostra che si tratta di una formula assai efficace per avvicinare un pubblico sempre più allargato alle forme e ai linguaggi del contemporaneo. Per questo motivo, abbiamo inserito nell’edizione di quest’anno una serie di nuovi appuntamenti, distribuiti in quattro giorni di proiezione, tra cui tre incontri con artisti e presentazioni di film d’artista, allargando così la tradizionale sezione di documentari dello “Schermo dell’arte”. In un’ ottica sempre più estesa di partecipazione e di riflessione.

Si sa che in Italia c’è scarsa attenzione verso questo tipo di produzione, ad esempio, i network tv italiani latitano. Hai una proposta che possa favorire la distribuzione di quei lavori aldilà dei Festival e occasionali proiezioni in Gallerie?

Guardo ai network tv, soprattutto satellitari, e a internet come un importante veicolo di comunicazione, in continua evoluzione, e confido che in questi contesti, tali film abbiano sempre più spazio, proprio come strumento educativo e di conoscenza, non solo rispetto all’arte ma in generale alla contemporaneità. Su tutti i livelli pesa il problema, sostanziale, degli alti costi di produzione e della difficoltà che tali opere possano trovare adeguati canali di distribuzione. Per rispondere alla difficoltà della diffusione, “Lo Schermo dell’arte” ha deciso di mettere a frutto la propria esperienza e la fitta rete di contatti per lavorare ad una serie di progetti tematici tesi proprio a favorire la circolazione dei film, a partire da quelli proposti nell’ambito del Festival, che rischiano altrimenti di non essere più visti. L’idea è di provare ad innescare un circuito virtuoso, quanto più esteso possibile soprattutto sul piano del coinvolgimento di enti e istituzioni.

Qual è, a tuo avviso, il principale elemento di linguaggio che distingue il "film d'artista"?

Il principale elemento che contraddistingue questi film è che mantengono il punto di vista dell’artista, facendone emergere l’immaginario e la poetica, andando oltre la narrazione o la documentazione tout cour. Perciò, nella sezione dedicata da quest’anno al film d’artista, lo “Schermo dell’arte” propone le opere di alcuni tra gli artisti più rappresentativi tra quelli che hanno scelto il cinema come linguaggio e come oggetto delle loro ricerche. Si tratta di esperienze estremamente eterogenee, come quella di Alfredo Jaar con il suo film su Pasolini, di Mark Lewis che racconta la storia degli Hansard, famiglia di tecnici esperti nelle retroproiezioni, artefici di memorabili scene del cinema hollywoodiano, e di Rirkrit Tiravanija che fa dei ritratti/interviste alle generazione degli artisti attivi dagli anni Novanta.


Le nostre divergenze


Dopo trentotto anni la Galleria Nazionale d’Arte Moderna ripropone la prima mostra di Gianfranco Notargiacomo, presentata a Roma presso la Galleria La Tartaruga di Plinio De Martiis nel 1971.
Fu recensita allora dall’”International Herald Tribune” come the most surprising show (Edith Schloss).
Intitolata Le nostre divergenze, quell’istallazione è riproposta a cura di Mariastella Margozzi, nella Sala delle colonne della Galleria Nazionale, nella quale si assiepano duecento omìni in Pongo.
L’allestimento è stato realizzato da Giusto Puri Purini; light designer Filippo Cannata.
Il catalogo, edito da Electa, riunisce i contributi della curatrice e di Luigi Ficacci – Giacomo Marramao – Barbara Martusciello.
Proprio dallo scritto di Barbara Martusciello, estraggo il passaggio che segue.

Gianfranco Notargiacomo porta avanti una ricerca che, negli anni, egli ha declinato in differenti scelte linguistiche caratterizzate da un serio distacco da ogni opportunismo stilistico [... ] Giovanissimo, nel 1969, all’Arco d’Alibert ha la sua prima mostra: “Gianfranco Notargiacomo for Mara Coccia Rome”. Invade lo spazio espositivo con bancarelle di abbigliamento – proveniente dal mercato dell’usato di Porta Portese – che il pubblico intervenuto al vernissage può provare e acquistare. A questo punto l’artista vi applica l’apposita etichetta “Notargiacomo for Mara Coccia Rome”, conferendo a tali indumenti comuni il carattere di opera d’arte.
Portando avanti questo ‘superamento della pittura’, a La Tartaruga, il cinque marzo del 1971 Notargiacomo ha la sua prima personale. Ambienta un’opera-allestimento spiazzante: dispone 200 sculture di circa 30 cm ognuna, fatte di plastilina colorata e dalle sembianze umane. Le dissemina ovunque: sul pavimento, sugli stipiti delle porte e delle finestre, nelle nicchie, sui gradini… Rivolte verso la direzione nella quale lo spettatore entra nella sala per fruire della mostra, hanno tratti somatici appena abbozzati: hanno fisionomie indefinite, sono personaggi anonimi, standardizzati, seppure abbigliati diversamente e ripresi nelle pose più svariate: diventano una folla che sembra rappresentazione di un evento esemplificativo. L’opera è esattamente calata in quella volontà di andare oltre la pittura di storica memoria, che nel maggio del 1968 persegue la stessa Tartaruga con ‘Teatro delle Mostre’ e scelta – con la particolare collettiva del 21 dicembre 1968 – da Fabio Sargentini nella nuova sede espositiva di Via Beccaria.
L’installazione è anche affiancabile a ricerche sulle ‘analisi quantitative’ che in questo decennio artisti stanno portando avanti specialmente a Roma: questo dato apre un’ulteriore prospettiva interpretativa su molta della produzione romana di questi anni, più concettualistica che Pop. Ciò vale per Notargiacomo che, oltretutto, ammanta questo suo bellissimo e originale site specific di significati ideologici in senso etico, già dal titolo scelto, preso dal “Che fare” di Lenin: ‘Le nostre divergenze’. La frase è adottata dall’artista come “il pensiero originale di ogni singolo individuo” e, nello specifico, dei suoi ‘omìni’, anticipando così un impegno che in quelli e nei successivi anni coinvolse studenti, artisti e intellettuali. Va ricordato che Notargiacomo è laureato in Filosofia, branca del pensiero che lo accompagna nello studio profondo e molteplice dell’uomo e della società
.

Gianfranco Notargiacomo
“Le nostre divergenze”
Galleria Nazionale d’Arte Moderna
Viale delle Belle Arti 131, Roma
Fino all’8 dicembre 2009


Robert Cahen


Alla Fondazione Ragghianti è in corso la più completa mostra monografica dedicata finora in Europa a Robert Cahen; è intitolata Passaggi Video-installazioni 1979-2008.

Robert Cahen, in foto, francese, pioniere ed esponente di spicco internazionale della videoarte, annovera nella sua produzione creativa film, video, installazioni, fotografie. Molte sue opere sono state presentate da varie emittenti televisive oltre che ospitate in festival e istituzioni tra cui la Biennale di Parigi, il MoMA di New York, il Festival Video di Los Angeles, il Centro internazionale di fotografia di New York, Documenta 8 a Kassel in Germania, FestRio in Brasile, Tokyo Festival, il Festival di Locarno.
L’esposizione, realizzata in collaborazione con il Lucca Film Festival ‘09 (all’artista ha dedicato in ottobre un’ampia retrospettiva filmica), s’avvale anche del sostegno di Frac Alsace (Fonds Régional d'Art Contemporain) e dell’Institut Francais de Florence.

Ordinatrice della mostra è Sandra Lischi, docente all'Università di Pisa e specialista di arti elettroniche. Nome maiuscolo nello scenario della critica d’arte contemporanea (per le sue pubblicazioni: cliccare QUI) conta al suo attivo anche plurali iniziative nell’area della nuova espressività.
A lei ho chiesto: che cosa particolarmente t’interessa, e tieni a evidenziare, nell’opera di quest’importante poliartista?

Robert Cahen è un pioniere: parte negli anni Settanta dall'affinità del lavoro sulle immagini col lavoro della musica concreta (partire da elementi registrati ed elaborarli in senso non naturalistico); ci offre un senso del paesaggio – cesellato, scolpito, stratificato, alterato in senso pittorico e musicale – che crea universi “altri”, sguardi straniati e poetici. Il suo approccio riesce a raccontare in modi non classicamente documentaristici o narrativi: non c'è quasi mai uso di parola, e mai di dialoghi. La sua opera rende visibile “il respiro del tempo”, attraverso gli effetti video e il ralenti. E, soprattutto, il fulcro della sua ricerca è il confine fra immagine fissa e immagine in movimento, l'esplorazione ora sofferta ora giocosa di quel territorio incerto fra fotografia e cinema, pittura e video, fissità e dinamismo, che diventa anche metafora del passaggio, del transito fra vita e morte.

Ufficio stampa: Elena Fiori, 0583 – 46 72 05; elena.fiori@fondazioneragghianti.it

Come per tutte le manifestazioni dedicate all’arte ed alla cultura visuale contemporanea realizzate dalla Fondazione Ragghianti l’ingresso è gratuito, offerto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca.

Robert Cahen
“Passaggi”
A cura di Sandra Lischi
Fondazione Ragghianti
Lucca
Fino al 10 gennaio 2010


Iran


Allorché si pensa all’Iran (ma anche all’Iraq, all’Afghanistan) l’ultima immagine che si forma è quella dei giovani locali. Potrebbero anche non esserci tanto quelle immagini sono fatte di gente intabarrata, forche, donne lapidate, libri sacri portati in processione.
Eppure, si potrebbe dire che l’Iran non è un paese per vecchi. E’ abitato per ben due terzi da under 30; su una popolazione totale di circa 69 milioni, i giovani, infatti, sono 42 milioni.
Sono cifre che dicono parecchio sulle contraddizioni di quel paese, specie per uno studioso della storia iraniana di ieri e di oggi qual è Antonello Sacchetti il quale ne ha fatto un’accurata analisi in I ragazzi di Teheran titolo precedente a quello presentato qui oggi. Si tratta di Iran La resa dei conti; per un video sulla presentazione: QUI.
Infinito è la casa editrice che lo ha mandato da poco in libreria:
Antonello Sacchetti, nato a roma nel 1971, giornalista, è fondatore e direttore della rivista telematica Il cassetto-L'informazione; ha lavorato per le sezioni italiane di Amnesty International e Save the Children.
In questo volume, espone l’attuale situazione in Iran, soffermandosi su quanto è accaduto dopo le elezioni del 12 giugno scorso, sul perché sia accaduto e come sia possibile che un regime che certo democratico non è, possa essere scosso da risultati elettorali.
Ecco perché Daniela de Robert così scrive nella prefazione: Il compito che si prefigge Antonello Sacchetti è impegnativo. Non è facile entrare in questo mondo, in cui le tradizionali categorie della politica dell’Occidente non spiegano la complessità e la diversità dell’Iran.
Il puzzle Iran non è a due dimensioni. Non bastano le categorie di riformisti-conservatori, non quelle di democrazia e dittatura. Il sistema politico iraniano è certamente illiberale, ma a differenza di altri regimi islamici non è monolitico e omogeneo e pur non essendo un sistema democratico ha bisogno del consenso popolare che lo legittimi e lo orienti. Qualcuno lo ha definito un “regime autoritario elettorale”, altri un “curioso ibrido di elementi autoritari, teocratici e democratici”
.

Esisterà un futuro democratico in quel tormentato paese? Francamente, per il futuro più vicino, ho i miei dubbi, chi lo prevede mi pare si affidi più a una speranza che a una previsione.
Cadrà Ahmadinejad? Come dal libro ci viene prospettato come ipotesi possibile?
Temo anche chi verrà dopo quell’uomo il quale ha detto a chiare lettere che vuole Israele distrutta (e, forse, non solo Israele). Ricordo le speranze che si riponevano in Khomeini – perfino “Lotta continua” cadde nell’equivoco – visto come un liberatore perché combatteva lo Scià. S’è visto quello ch’è successo dopo. E accade sempre quando il potere finisce nelle mani di un fanatico credente, specie se di fede monoteista; la storia europea ne fornisce cruente prove.
Il libro di Sacchetti, fra i suoi pregi, ha quello di avere accurate sezioni in cui ci sono i profili dei protagonisti di questi giorni in Iran e una cronologia degli avvenimenti, cose queste che ne fanno anche un utile strumento nelle redazioni di giornali, radiotelevisioni e web.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Antonello Sacchetti
“Iran”
Prefazione di Daniela de Robert
Pagine 108, Euro 11:00
Edizioni Infinito


Argonautica


Se i ricordi scolastici si sono offuscati, per ricordare chi furono gli Argonauti, potete fare un ripasso cospicuo (quanto gravoso) QUI.
Sarete così preparati meglio per attraversare le stanze del Lavatoio contumaciale – Associazione culturale diretta da Tomaso Binga – che raccoglie sotto il titolo Argonautica una mostra e una rappresentazione teatrale.
La mostra, infatti, in tre diversi giorni (19, 21 e 27 novembre), conterrà una narrazione fantastica per voci maschile e femminile di Massimo Giannotta intitolata Requiem incompiuto per Argo.

Le opere d’arte visiva esposte, hanno, invece, il titolo Teatrini, l’artista è Piero Fornai Tevini; in foto un suo lavoro.

Scrive Erika Langmuir: Le opere di Piero Fornai Tevini vivono un’esistenza incantata, in bilico tra l’oggetto che si desidera ed una soggettività elusiva. Piccole costruzioni dipinte evocano i giocattoli che ricordiamo dall’infanzia, le storie e le poesie che hanno dato forma alla nostra immaginazione. A loro agio riposano su pareti domestiche o su mensole, tuttavia non le possediamo più di quanto possediamo i nostri sogni, la musica nella notte, il tempo al di là della nostra finestra, le notti arabe, o la lunga storia dell’arte occidentale, che queste minute opere di arguto bricolage sottilmente ricapitolano. È sempre più raro per un artista contemporaneo rifiutare la pomposità e coltivare il diletto; Piero è quell’artista e il nostro tempo tragico ha urgente bisogno di lui.

“Argonautica”
Lavatoio contumaciale
Piazza Perin del Vaga 4, Roma
Info: 06 – 36 13 33; tomasobinga@libero.it
Dal 19 al 29 novembre, dalle 18.00 in poi


2 Zanichelli 2


Sono in libreria due classiche, tra le più apprezzate, pubblicazioni della Zanichelli: il Dizionario dei film, più noto come il Morandini, e il vocabolario della lingua italiana, conosciuto come lo Zingarelli, due perle dell’editoria italiana.
Nell’edizione 2010, entrambe sono arricchite di nuove formule di lettura e riescono così a mantenere una verde età pur essendo collaudate attraverso anni di successi.

il Morandini, di Laura, Luisa e Morando Morandini, s’avvale di 500 nuove schede su altrettante nuove pellicole portando così a 23.500 le catalogazioni di film usciti sul mercato italiano dal 1902 all’estate 2009, dei quali più di un migliaio prodotti per l’home video o la televisione. Di ogni film, oltre al titolo italiano, l'opera dà: Paese di produzione, titolo originale, anno d’uscita, regista, principali interpreti, una sintesi della trama, una concisa analisi critica, durata, suggerimenti sull’opportunità di visione per i ragazzi, indicazione grafica sul giudizio della critica (da 1 a 5 stellette) e, unico nel suo genere, sul successo di pubblico (da 1 a 5 pallini) ottenuto dal film citato.
Inoltre: schede monografiche su cicli e serie, tutti i Premi Oscar; un elenco dei film per ragazzi; i 100 migliori registi; i principali siti Internet dedicati al cinema.
Il Morandini è anche il primo dizionario dei film ad essere fin dall’inizio anche in versione CD-ROM. Il disco contiene tutte le schede del volume e più di 6500 immagini, fotogrammi e locandine dei film. Consente una ricerca semplice o avanzata con combinazioni di parole.
Concludendo, è non soltanto uno strumento di lavoro utilissimo a giornalisti e studiosi, ma anche per chi ama il cinema e desidera avere in casa un libro che illustra storia e cronaca recente dell’arte in celluloide.

Il vocabolario Zingarelli 2010 lancia un SOS per la lingua italiana segnalando, in questa edizione, oltre 2800 parole da salvare. Voci come Fragranza, Garrulo, Solerte, Sapido, Fulgore, ricche di sfumature ed espressività ma che, nonostante questo, stanno finendo nel dimenticatoio. Il loro uso diviene meno frequente perché i media troppo spesso privilegiano sinonimi più comuni come “profumo, chiacchierone, diligente, saporito, luminosità”. Può l’italiano permettersi di perdere parole affascinanti come Ghiribizzo o Beffardo? Come faremmo a cucinare certe pietanze senza usare il pane Raffermo? E che ne è di Harry Potter senza il suo Silente maestro Albus? Quale sinonimo descrive Zio Paperone meglio di Taccagno? E la giornata Uggiosa cantata da Battisti?
Ma lo Zingarelli 2010 guarda anche al nuovo italiano registrando oltre 1200 nuove parole o nuovi significati. Dall’attualità alla politica entrano, infatti, la ormai famosa “social card”; “Not In My Back Yard” “non nel giardino dietro casa mia” dice chi ha un atteggiamento favorevole a opere pubbliche come inceneritori, centri per immigrati, basta che non siano dietro casa sua. Il suo acronimo, “Nimby”, ora fa parte della lessico comune.
Da quest’anno lo Zingarelli s’arricchisce dell’ausilio dell’Osservatorio della Lingua italiana Zanichelli, diretto da Massimo Arcangeli. Si propone di prendere le misure all'italiano d'oggi: richiamandone le norme che lo regolano; registrandone gli usi ammessi o codificati nei diversi ambiti e settori; monitorandone i territori marginali o confinari di applicazione, non solo letterari.
Lo Zingarelli è anche on line. Con una licenza di 12 mesi è possibile consultare la versione più aggiornata del vocabolario in rete, trovare voci con ricerche a tutto testo o con ricerche avanzate; per saperne di più, cliccare QUI .

"Il Morandini": 28.80 €
Edizione con CD-ROM per Windows: 36:30 €
Edizione solo CD-ROM per Windows: 16:40 €

Il “Dizionario della lingua italiana” di Nicola Zingarelli
Cofanetto 73:80 euro; Cofanetto con CD-ROM, 83:90 euro; versione base 65:40 euro; versione base con CD-ROM 74:80 euro;
solo CD-ROM, 49:80 euro; Licenza annuale online, 122:00 euro


Pericoli in ritratti


Dopo il grande successo del 2002, Adelphi pubblica una nuova edizione del libro I ritratti di Tullio Pericoli: 600 immagini dei volti di protagonisti dello scenario intenazionale culturale e artistico di ieri e di oggi.
Le tecniche impiegate per raffigurarli vanno dalla matita all'inchiostro su carta, ai pastelli, al carboncino, all’acquerello e inchiostro, confluendo in un’espressività fatta spesso di pochi tratti.
Volti che si frazionano, si decostruiscono, si deformano, ma tutti svelano l’interiorità che mosse, e più spesso agitò, il loro cammino nel mondo.

Opera modernissima quella di Pericoli, che rifiuta la rappresentazione figurativa preferendo un’analisi antinaturalistica dei personaggi raffigurati, ne indaga fiori e spine della psicologia, la rapporta alle loro opere prodotte.
Al proposito, splendida, ad esempio, in Pericoli, è l’immagine di Pessoa sperduto in una sola moltitudine di altri Pessoa.
Dalla metà del XX secolo in Europa e America l'astrattismo, portò alla riduzione della produzione di ritratti, affidati sempre più spesso alla fotografia. Andy Warhol, ad esempio, per creare la celebre serigrafia di Marylin Monroe, volle servirsi di una foto scattata da Gene Korman per la pubblicità del film “Niagara” del 1953.
Tra gli artisti che si dedicarono allo studio introspettivo del volto umano ricordo Lucian Freud, Francis Bacon, Alex Katz, Chuck Close.
E in Pericoli? In Tullio Pericoli, s’assiste alla negazione dell'identità univoca tra modello/figura, soggetto/immagine laddove il suo sguardo s’orienta verso i vissuti dei personaggi da lui osservati nell’epoca in cui vivono, i loro visi sono elementi che conducono ad un’analisi di quegli sguardi, di quelle posture come possibilità di rivelarne il mistero che li anima e le sue declinazioni.
Del resto, è l’autore stesso a dire che ha tracciato in quei visi una biografia diversa da quella ufficiale, una sintesi visiva, una sorta di faccia-riassunto», cioè un volto che somiglia, certo, al volto vero, ma che è ancora più vero perché ne racconta la storia.

Per una scheda sul libro: QUI.

Tullio Pericoli
“I ritratti”
Pagine 640, Euro 27:00
Adelphi


Cervello e coscienza


Diceva Francis Scott Fitzgerald: “Fu un grande peccato quello di chi inventò la coscienza. Perdiamola per qualche ora”.
Già, fosse facile! Perché la coscienza è difficile perderla (se non per qualche trauma fisico), ma anche difficile raffigurarla. Sono secoli che si gira intorno a possibili identificazioni che trovano sùbito smentite e controanalisi.
I termini del problema, in senso filosofico ma non trascurando le nuove tecnologie che permettono esplorazioni inimmaginabili fino a ieri, sono spiegati benissimo in un libro d’affascinante lettura che dobbiamo ad un’illustre firma dello scenario scientifico: Arnaldo Benini.
Docente di neurochirurgia e neurologia all’Università di Zurigo, è stato primario di neurochirurgia alla Fondazione Schulthess di quella città. Ha pubblicato saggi su Mieczyslaw Minkowski (ne ha tradotto il saggio sull’afasia dei poliglotti), su Vesalio, sulla fisiologia del dolore di Cartesio, sul medico napoletano Domenico Cotugno, su Oliver Sacks. Ha curato l’edizione italiana di due libri di Karl R. Popper. Ha scritto saggi sull’eutanasia nella coscienza del medico, sui problemi etici della genetica e sullo stato vegetativo permanente. Inoltre sul giovane Benedetto Croce, su Thomas Mann, su Jakob Wassermann e sulla questione ebraica nella Germania del primo dopoguerra.
Prossime pubblicazioni:
- L’eutanasia e il testamento biologico nelle società secolarizzate, Iride (Mulino, Bologna), 2009, nr.2
- Thomas Mann, Jakob Wassermann e la Judenfrage, Intersezioni (Mulino, Bologna) 2009, nr. 3
- La condizione esistenziale limite dell’esilio. L’esempio di Thomas Mann, La Cultura (Mulino, Bologna) 2009, nr.2

Come si può notare dalla biografia, agli interessi scientifici ha unito quelli umanistici e nel libro che m’accingo a presentare c’è, infatti, ricchezza d’esemplificazioni tratte dalle arti visive, dalla letteratura, dalla musica, cose queste che lo rendono di comunicativa e interessantissima lettura anche per chi pratica, da autore o critico, l’area artistica.
Il volume, pubblicato da Garzanti, è intitolato Che cosa sono io Il cervello alla ricerca di sé stesso.
In un’intervista rilasciata a Silvano Zipoli Caiani, l’autore ha così profilato l’obiettivo scientifico e filosofico di quel suo libro: “Al centro della riflessione c’è il fatto, unico nella storia della ricerca, che l’oggetto studiato – il cervello – coincide con quello che la ricerca conduce. La riflessione sull’autorefenzialità del cervello umano non è nuova (ne ha parlato Kant nel memorabile rabbuffo all’amico medico Samuel Thomas Sömmerring, che pensava di aver localizzato l’”Organo dell’anima”) ma è sempre stata periferica […] Il punto di partenza delle neuroscienze deve essere che l’autocoscienza umana non sarà capace di capire naturalisticamente se stessa perché è lei – prodotto del cervello ‐ che conduce l’indagine. Se si tiene fermo questo limite – il cervello umano è una macchina poderosa, ma limitata – molti rompicapo del problema mente/corpo perdono la loro urgenza e necessità perché se ne capisce l’inafferrabilità”.

Ad Arnaldo Benini ho rivolto qualche domanda.
Questo sito è particolarmente interessato al rapporto fra scienze e arti, le chiedo: qual è il suo giudizio sulla "Neuroestetica" sostenuta da Semir Zeki?

I due libri di Semir Zeki (“A Vision of the Brain” e “Inner Vision”) sono, specie il secondo, due preziosi testi di neurofisiologia della visione di opere d’arte figurative. I meccanismi cognitivi del cervello sono diversi se osserviamo un’opera figurativa o una astratta, e si possono visualizzare le aree del cervello emotivo e della memoria attivate dallo studio dell’opera d’arte. Una domanda senza risposta: Quante delle forme e delle macchie di colore che ammiriamo nei musei d’arte contemporanea esistevano da secoli e nessuno ne percepiva la forza emotiva? Kandinski racconta delle macchie di colore viste ascoltando il Lohengrin. Le macchie sortivano da meccanismi cerebrali stimolati dalla musica e ne rinforzavano lo stato d’animo. Possiamo identificare con buona attendibilità le aree attive nel cervello, sentiamo ciò che la loro attività provoca (ad esempio, lo stato d’animo della poesia) ma non sappiamo – e verosimilmente non sapremo mai - ciò che in esse in realtà avviene. La funzione dell’arte figurativa è quella di acquisire una conoscenza del mondo, dice più volte Zeki. Del mondo, o non piuttosto di noi stessi? Sarei molto cauto a parlare di Neuroestetica: l’esperienza estetica è un ‘quale’ di cui il cervello, che lo crea, lo prova, e lo studia, ignora tutto, per cui è difficile farne una scienza. Mi sembra più corretto parlare di neurofisiologia della percezione visiva di opere d’arte.

Negli studi scientifici sulla percezione musicale, c’è chi sostiene sia proprio l’esperienza d’ascolto a favorire l’interpretazione delle strutture mentali che producono le strutture della musica, altri consigliano il tragitto opposto partendo dalle neuroscienze, specie di marca cognitiva, per approdare ad un più sicuro risultato. Il suo pensiero?

Settimane fa, a Kempten, in Germania, si è tenuto un incontro multidisciplinare (musicologi, neuroscienziati, filosofi, sociologi) per cercare di spiegare un fenomeno curioso: l’arte non figurativa e la musica dodecafonica sono nate più o meno nello stesso periodo, cioè all’inizio del secolo scorso. La prima ha avuto e continua ad avere un successo enorme, così da essere cercata da folle entusiaste in musei e gallerie di tutto il mondo; dalla seconda la gran maggioranza dell’umanità si tiene alla larga, ivi compreso un espertissimo conoscitore di musica come Thomas Mann, per il quale la musica di Schönberg (che probabilmente non ascoltava mai) è lo spunto di uno dei suoi libri più profondi. Una musica nuova si conosce e si ama ascoltandola spesso, ma la gente si rifiuta di ascoltare la musica moderna. Perchè? Gli atti del convegno non sono ancora noti. Proviamo ad anticipare: con la pittura astratta il cervello esprime una parte dell’interiorità altrimenti inesprimibile. Molti di coloro che la osservano e la studiano ne sono coinvolti. Anche la musica è una via del cervello per esprimere stati d’animo ed emozioni di fronte ai quali il linguaggio deve fermarsi. Nella musica dodecafonica la stragrande maggioranza dell’umanità non prova nulla o solo fastidio. Chiedersi la ragione di un’esperienza estetica è, direbbe Kant, ‘müssig’ (ozioso) perché i nostri meccanismi cognitivi non sono sviluppati per capirla, ma per sentirla.

Per una scheda sul libro: QUI


Arnaldo Benini
“Che cosa sono io”
Pagine , Euro 13:00
Garzanti


Minipops


“Che cosa è il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so”, così diceva S. Agostino.
Per misurarlo nelle sue scansioni di mesi, giorni, ore, esistono convenzioni internazionali frutto d'accordi per raggiungere accettabili intese su incontri e affari, ma anche su veti e interdizioni.
Se, infatti, tutto fosse lasciato alle plurali culture di questo pianeta, le cose si complicherebbero parecchio. Ci sono, ad esempio, tribù africane che determinano i giorni intonando canti; da quelle parti prendere un appuntamento non credo sia, almeno per noi, cosa facilissima.
E’ accaduto che il calendario a un tratto si sia evoluto (o sia precipitato) nella più puntuale agenda, strumento che permette non solo agli smemorati, ma anche ai cosiddetti managers, di pianificare meglio i propri interessi quasi sempre in contrasto con i nostri.
L’agenda ha prodotto anche modi di dire, specie nel linguaggio politico d’oggi: “ti fai dettare da altri l’agenda politica!”, detto, solitamente con disgusto da uno che vuole umiliare un proprio alleato.
Mi rendo conto che finora ho forse scritto in modo non troppo amichevole verso le agende, ma non ci sono soltanto quelle tetre dette "planing" che già fanno pensare a tristi riunioni in severe sale illuminate al neon, ne esistono anche di allegre. E fra poco viene l’inesorabile momento in cui quella scansione cartacea portatile la regaliamo a persone care e meno care.
A quelle che vi sono più care, consiglio l'Agenda 2010 Gente famosa disegnata molto piccola pubblicata dalla ISBN Edizioni.
L’autore è l’inglese Craig Robinson che nel 2004 cominciò a disegnare una serie di icone dei miti della musica. Poi, con tratti sempre più brevi, ha prodotto i “Minipops”, cioè personaggi tracciati con pixel (un esempio in foto) ed ecco nascere le inconfondibili fattezze di Ariel Sharon, Yasser Arafat, Nick Cave, Kurt Cobain, l’A-Team, Babbo Natale, Mohammed Alì, Salvador Dalì, LCD Soundsystem, le Destiny’s Child e molti, molti altri.
In fondo, potenti o disgraziati, famosi o sconosciuti, ricchi o poveri non siamo altro che una manciata di pixel colorati.
Dicono saggiamente alle Isbn Edizioni: Pixel siamo e pixel torneremo.

Craig Robinson
“Agenda 2010 Minipops”
Pagne 384, euro 13:00
Isbn edizioni


Realtà manipolate (1)


A Firenze, al CCCS - Centro di Cultura Contemporanea Strozzina - Fondazione Palazzo Strozzi, è in corso la mostra intitolata Realtà manipolate Come le immagini ridefiniscono il mondo.
23 artisti provenienti da più paesi testimoniano nuovi modi di raffigurare la realtà; un percorso che raccoglie fotografie e video per raccontare quanta verità ci sia in quello che viene visto e rappresentato.
L’esposizione, nata da un progetto del CCCS, con la consulenza scientifica di Brett Rogers (direttore della Photographers' Gallery di Londra), Luminita Sabau (direttrice della collezione di fotografia contemporanea DZ Bank, Germania), Martino Marangoni (direttore della Fondazione Marangoni di Firenze) e Franziska Nori (project director del CCCS), focalizza la propria attenzione sul significato del termine ‘realtà’ nelle ricerche artistiche contemporanee che sviluppano diverse possibilità visive di rappresentare il mondo nell’ambiguità tra reale e verosimile, concreto e apparente, presente e passato.
Ad esempio, per citare, in un mio slancio patriottico, due artisti italiani: le dolorose vicende della recente guerra in Iraq sono al centro del lavoro di Paolo Ventura che ricostruisce, utilizzando manichini e pupazzi in abiti militari, situazioni tipiche degli scenari di guerra. L’equivoco e la modificazione del reale sono utilizzati qui per denunciare la manipolazione della “verità” della cronaca nelle immagini di guerra diffuse dai mezzi di comunicazione.
Moira Ricci investe la sua opera tra due date: quella di nascita e morte di sua madre e inserisce la propria immagine da adulta proprio nei ritratti della madre da giovane; manipola così il passato per costruire nuovi ricordi di incontri mai avvenuti, in foto, un suo lavoro: "Zio Auro, Cla e mamma", con l'artista intrusa.

La mostra, bene allestita, s’avvale, come le precedenti esposizioni del CCCS, del coordinamento progetto curato da Fiorella Nicosia.

Realtà manipolate
Firenze, CCCS, Palazzo Strozzi
Info: 055 – 26 45 155
Ufficio Stampa Clp, 02 – 433 403; press@clponline.it
Fino al 17 gennaio 2010


Realtà manipolate (2)


La realtà manipolata è, a un tempo, protesi e smentita del reale.

In foto: Sarah Pickering, “Cigarette”, 2007

Ancora una volta, quindi, Franziska Nori presenta una mostra che non è solo l’esposizione di prodotti artistici contemporanei, ma ha la forza d’inserirsi in un dibattito filosofico e linguistico dei nostri giorni e che ha precipitati nel costume e nella politica.
La nostra vita, infatti, vede sempre più intersecarsi i momenti estetici con quelli della comunicazione perché le nuove tecnologie permettono nuove forme di trasmissione del pensiero e nuove creazioni espressive. Possono essere agite nell’informazione e nella controinformazione, modificando percorsi della mente e dello sguardo, rimodulando l’Essere in un nuovo modo d’intenderlo sia come verbo sia come sostantivo.
Questa mostra ha il merito d’illuminare un dibattito filosofico attraverso una testimonianza che va anche oltre il dato artistico, in quanto concerne la modalità di fruizione delle immagini oggi e il modo in cui le nostre esistenze ne sono toccate.
Non è un mistero – ed è stato notato da più parti – che, ad esempio, le immagini di guerra, da quella del Golfo in poi, sono praticamente assenti sui media. E’ una manipolazione della realtà, stavolta non operata da artisti, ma da specialisti della comunicazione che hanno manipolato il reale a uso censorio. Le guerre di un tempo non lontano (per date, ma non per scansione accelerata delle tecniche), ad esempio si pensi alla seconda guerra mondiale, sono state documentate dai reporters nella loro brutalità di corpi straziati, cadaveri ammucchiati nei lager liberati, oggi sugli schermi tv e nei flash riportati da giornali e web, sono rappresentate in maniera asettica: giochi di traiettorie, lontani lampi, automezzi in corsa sempre con soldati vivi a bordo.
La foto del marine ucciso in Iraq ha destato tanto scalpore proprio perché fotografie di quel tipo sono vietate. Avviene, però, anche il contrario. Le immagini di cronaca quotidiana più drammatiche sono esibite in primo piano appagando curiosità morbose e volutamente distraendo da altre realtà non meno drammatiche. Un altro tipo di manipolazione.
Sarà interessante nel prossimo futuro vedere che cosa avverrà, in campo artistico, con la Augmented Reality, tecnologia che si presta per nuovi baffi alla Gioconda.


Realtà manipolate (3)


Fui facile profeta nello scrivere in queste pagine web due anni fa che il CCCS sarebbe diventato una tra le più illuminate ribalte italiane delle proposte artistiche internazionali contemporanee.

Per chi ancora non ci fosse stato, consiglio di dare un’occhiata QUI per rendersene conto.
Con l’intelligente guida di Franziska Nori, in foto, project director del Centro, è stato ideato e realizzato un piano di esposizioni e installazioni (splendida, ad esempio Exploded Wiews) che offre ai visitatori la possibilità di conoscere quanto di più nuovo nelle arti visive è agito in Europa e non solo in Europa.
Altro merito della Nori è quello di non lasciare, come spesso accade altrove, la mostra abbandonata a se stessa dopo il vernissage, perché fino alla chiusura è accompagnata da una serie d’incontri con specialisti che commentano i profili della mostra stessa, la collegano al retroterra dal quale si è mossa e da quali realtà espressive è in diretto, o indiretto, parallelo.

A Franziska Nori ho chiesto: che cosa ti ha spinto a proporre "Realtà manipolate"?

Dalla sua nascita nel novembre 2007, “Realtà Manipolate. Come le immagini ridefiniscono il mondo” é la settima mostra tematica prodotta dal Centro di Cultura Contemporanea Strozzina. Come tutti i progetti del CCCS anch’esso scaturisce dall’osservazione e dall’analisi critica della realtà che ci circonda e della società in cui viviamo.
Tema centrale di “Realtà Manipolate” è l’analisi del concetto di realtà in relazione alle sue diverse possibilità di rappresentazione. I recenti sviluppi delle tecnologie digitali hanno creato un rapporto diverso tra immagine e utenti al livello sia della fruizione che della produzione: coloro che un tempo erano i destinatari, oggi sono diventati gli artefici di un certo tipo di comunicazione visiva.
Nell’odierna società mediatica, inoltre, la realtà sembra definirsi principalmente attraverso modelli visivi (fotografie e video) in modo tale che solo ciò che è immagine, e quindi è rappresentato, è considerato reale. In un processo di inversione, la rappresentazione del mondo va a sostituire il mondo stesso, un mondo in cui, per di più, l’utente opera in modo sempre maggiore secondo le forme dei sistemi di comunicazione digitali
.

Vorrei una tua riflessione sulle opere esposte…

Attestano diverse strategie artistiche finalizzate alla costruzione, al rispecchiamento o alla mistificazione della realtà nelle immagini. Esse, accanto alla riflessione sul valore della moderna fotografia documentaria, riflettono la condizione stessa dello strumento fotografico attraverso l’uso di strategie artistiche consolidate, come il collage o la messa in scena in forma di modello, nuove forme linguistiche ed estetiche, come le più recenti tecniche digitali, e la loro ibrida sperimentazione reciproca.
La mostra non si prefigge di trovare l’impossibile risposta alla domanda sulla natura della realtà nella sua riproducibilità in forma di immagine; presenta piuttosto una selezione di prospettive artistiche che, attraverso la fotografia e il video, elaborano possibili modelli di realtà. L’intento di questa mostra non è comprendere “se” le fotografie possano veicolare la realtà, bensì “come” questo possa accadere.
Il visitatore si trova a confronto con diverse costruzioni del reale, è condotto a riflettere sui propri criteri di realtà e, alla luce dei lavori esposti, a sottoporli a una riconsiderazione critica
.

Come s’inserisce questa mostra nel progetto da te ideato per la Strozzina?

Il programma del CCCS é caratterizzato dalla volontà di approfondire e analizzare fenomeni sociali e politici grazie anche all’apporto di diversi approcci, mutuati sia dalle discipline umanistiche sia da quelle scientifiche. La stessa denominazione di ‘Centro di Cultura Contemporanea’ vuole segnalare proprio l’apertura dell’istituzione verso una strategia trasversale e non settoriale. ‘Mission’ del CCCS é essere una piattaforma per la disseminazione di sapere, motivo per cui abbiamo creato un dipartimento di mediazione responsabile di un fitto programma didattico per adulti, studenti universitari e scuole. Inoltre tutte le mostre sono accompagnate sia da una pubblicazione in cui esperti internazionali affrontano il tema proposto dalla mostra, sia da un programma di conferenze in cui esperti, autori e ricercatori accademici approfondiscono i diversi aspetti della mostra in corso dialogando con il pubblico.


Realtà manipolate (4)


In foto: Sonja Braas, “Lave Flow”, 2007.

Il catalogo – edito da Alias – oltre ad un intenso saggio di Franziska Nori (per leggerlo: QUI), ideatrice e curatrice della mostra, contiene altri interessanti interventi.
Eccone qualche stralcio.

James B. Bradburne: Direttore generale Fondazione Palazzo Strozzi.

"... tutti gli artisti in mostra usano la fotografia o il video per manipolare la nostra percezione del mondo visibile e creare nuovi modelli di realtà. La crescente diffusione della tecnologia digitale e l’enorme quantità d’immagini disseminate dai mass media e da Internet hanno fatto crescere questa ambiguità, spingendo al limite la tensione fra apparenza e realtà ed esigendo che lo spettatore assuma un ruolo attivo nel definire reale ciò che vede. L’osservazione del mondo non è più un atto di fede ma un atto di volontà”.

James Der Derian: docente di scienze politiche internazionali presso la Brown University di Providence.

"... ma che cosa succede quando, come nella celebre mappa di Borges, l’immagine si fa veramente globale, una mappa senza confini? I partecipanti di questa mostra offrono alcune risposte problematiche, quand’anche incomplete. A loro va il merito d’essersi avventurati là dove studiosi e policy maker non osano avventurarsi, con una reazione storicamente sensibile, politicamente informata ed esteticamente affascinante all’era dell’info-terrore. Contrapponendo alla miopia della politica l’ossipia dell’arte, ci costringono a rivolgere nuovamente lo sguardo alle macchine belliche e mediatiche e a immaginare modi migliori di risolvere il conflitto politico“.

Janina Vitale: storica dell’arte specializzata in fotografia contemporanea.

“… Le opere esposte costituiscono la base di un confronto con il tema della costruzione della realtà, al centro del quale spicca a sua volta un serrato confronto con il complesso sistema costituito dai termini ‘vedere’ e ‘riconoscere’ e, rispettivamente, ‘realtà’ e percezione’. Rimandando ad esperienze di realtà che si fondano esclusivamente su immagini, gli artisti rivelano come puramente illusoria l’idea che tali rappresentazioni possano costituire una via d’accesso al mondo”.

Harald Welzer: professore di psicologia sociale e direttore del Center for Interdisciplinary Memory Research presso l’Università di Essen.

“... le difficoltà incontrate da uno dei primi eroi nella storia del romanzo, Don Chisciotte, sono dovute al fatto che il protagonist non riesce a distinguere tra realtà e letteratura. Ma non aveva torto: oggi si possono visitare nella Mancia innumerevoli, autentici mulini a vento contro i quail Don Chisciotte ha combattuto, e davanti alla fittizia casa dell’altrettanto fittizia Dulcinea i bus scaricano ogni giorno frotte di turisti pronto a scattare fotografie assolutamente ‘autentiche’ “.

Elena Esposito: docente di sociologia e scienze della comunicazione presso l’Università di Modena.

“… la questione della manipolazione, così diffusa e inquietante, è tanto evidente quanto misteriosa. Se è vero, come dice Luhaman, che il sospetto di manipolazione è il ‘peccato mortale’ dei media, è anche vero che si tratta del tema che collega i media con la realtà, si interroga sui rapporti tra la rappresentazione e il mondo, sulla loro efficacia e sulle loro conseguenze”.


Un serial killer in polvere


No, non è spirito patriottico che mi fa oggi scrivere sulla mia concittadina Stefania Divertito – nata a Napoli nel 1975, vale a dire parecchio dopo di me – ma la convinzione che si tratti di una delle voci più vivaci del giornalismo italiano d’inchiesta.
Genere d’espressione sempre più raro nel panorama della comunicazione delle nostre parti che vede tante firme meritevoli di vedere effigiato affianco al loro nome il famoso cane all’ascolto di un altoparlante, all’ascolto cioè della voce del padrone.
La Divertito, specializzata in tematiche ambientali, per la sua inchiesta sull’uranio impoverito (ma che arricchito tanti e tanti) ha vinto nel 2004 il premio “Cronista dell’anno” indetto dall’Unione Nazionale Cronisti Italiani; ha pubblicato il libro-reportage “Il fantasma in Europa” (con Luca Leone) sulla Bosnia del dopo-Dayton e nel 2005 “Uranio. Il nemico invisibile” per l’Infinito Edizioni.
E’ responsabile della cronaca nazionale per il quotidiano “Metro”.
Il più recente suo lavoro è Amianto Storia di un serial killer pubblicato dalle Edizioni Ambiente nella collana Verdenero.
Con una favola amarissima Alessandro Sortino presenta il libro concludendo così il suo scritto: “… qui finisce la favola di mister Franz e comincia il libro della Divertito. La favola è inventata, l’inchiesta che segue invece racconta fatti veri: l’amianto, l’asbestosi, i processi, le lobby, le vite dei malati, la loro battaglia per ottenere giustizia. Ma alla fine la storia è la stessa: la storia di come sia costruito il nostro infinito presente. E’ composto da tante piccole bugie raccontate da uomini troppo comuni per portare il peso del male, ma abbastanza cattivi da accettare un po’ di soldi per mentire quel tanto che serve”.

A Stefania Divertito ho chiesto: quegli uomini compariranno alla sbarra?

Piano piano stanno già finendo sotto processo. Compresi alcuni sindacalisti compiacenti, e medici del lavoro corrotti. Il problema a dir la verità è piuttosto la durata dei processi e il loro esito. L’imputazione più frequente è omicidio colposo, difficile invece dimostrare il dolo. Per vari motivi. Innanzitutto perché in genere si tratta di episodi lontani nel tempo: spesso in un’aula di tribunale occorre ricostruire vicende datate 30 anni prima. Compito arduo. Poi la stessa legislazione è confusa: la legge per la messa al bando è del 1992 ma prima che diventasse effettiva per tutte le categorie lavorative è stata necessaria l’emanazione di decreti attuativi ad hoc. Inoltre, ma non da ultimo, c’è da considerare i tempi lunghi della giustizia italiana: spesso gli imputati, già anziani al momento dell’istruttoria, sono deceduti prima che l’iter processuale arrivasse a compimento. Tutt’oggi sono in piedi almeno due grandi processi: il 10 dicembre entra nel vivo quello di Tortino contro i vertici dell’Eternit, Quasi tremila le parti offese. Disastro doloso e omissione volontaria di cautele contro le malattie professionali, le accuse.
L’altro processo importante si svolge a Padova, e la prima udienza è prevista per il 12 gennaio: sotto accusa ci sono 14 alti vertici della Marina militare italiana per la malattia e la morte di due marinai. Ma secondo gli istruttori del processo sono più di 400 le parti offese. Cioè i marinai malati o morti per l’amianto respirato sulle navi
.

Questo che dici conferisce maggiore attualità al libro e al tuo lavoro d’inchiesta.
Quale, o forse meglio, quali cose sarebbe necessario urgentemente fare per evitare che questo flagello ci risparmi?

L’amianto è un problema che riguarda tutti da vicino: bisognerebbe dare una spinta alla costituzione dei registri di mappatura dell’amianto. È fondamentale sapere dove e quanto asbesto di circonda. Le iniziative sono affidate alle regioni ma manca un coordinamento nazionale. Sarebbe importante poi prevedere meccanismi di abbattimento dei costi per lo smaltimento e risolvere il problema delle discariche esaurite prima che diventi emergenza nazionale.
Benché sia piuttosto facile collegare alcune malattie polmonari all’esposizione all’amianto, (addirittura il mesotelioma pleurico è considerato la “firma” dell’avvenuta esposizione), è difficile quantificare oggi quanti siano i morti e i malati. Secondo l’Oms ogni anno ci sono 100 mila morti per malattie asbesto correlate. In Italia la cifra è altissima: siamo a circa 4000 decessi l’anno. Il mesotelioma è un male che non lascia scampo, per questo il numero dei malati e dei morti in questo caso coincide.
Il picco, dicono gli esperti, deve arrivare: è previsto nei prossimi 5-10 anni
.

Per una scheda sul libro: QUI .

Stefania Divertito
“Amianto“
Prefazione di Alessandro Sortino
Pagine 200, Euro 14:00
Edizioni Ambiente


Unconventional


Questa nota è dedicate alla pubblicità sociale in occasione di un interessante volume pubblicato da Meltemi, titolo: Unconventional.
Cominciamo dalla definizione di pubblicità sociale mettendo mano al dizionario.
La Pubblicità Sociale è quella forma di pubblicità che sfrutta le proprie caratteristiche principali con lo scopo di sensibilizzare l'opinione pubblica su problematiche di carattere morale e civile riguardanti l'intera comunità.
Perché il libro si chiama Unconventional?
Lo faccio dire agli autori del volume: “Coniata dagli esperti di marketing, poi metabolizzata nel gergo pubblicitario, l’espressione ‘unconventional’ si riferisce alla tendenza a ripensare le forme del discorso promozionale in funzione della ricerca del massimo effetto di originalità e sorpresa, nonché a rovesciare strategie testuali usurate, pianificando vere e proprie azioni di attacco nei confronti dello spettatore. In questo volume il territorio dell’ ’unconventional social advertising’ viene esplorato attraverso un ampio corpus di campagne internazionali, nella convinzione che nei casi più innovativi una ratio sociosemiotica agisca a tutti i livelli del testo: dalla scelta del medium al formato, dal linguaggio alle pratiche individuali e collettive del consumo”.

In Italia la pubblicità sociale è stata introdotta nel 1971 con la fondazione di Pubblicità Progresso; i successi raggiunti dalle campagne dell'associazione nei suoi primi anni di vita hanno fatto sì che altri enti non governativi ne seguissero l'esempio, alcune di queste iniziative sono state patrocinate dalla stessa Pubblicità Progresso.
Unconventional Valori, testi, pratiche della pubblicità sociale è stato scritto da Paolo Peverini e Marica Spalletta. Il primo, docente di Semiotica e Semiotica della comunicazione visiva alla Luiss “Guido Carli”, la seconda, insegna Teoria e tecniche del linguaggio giornalistico e Cultura, etica e deontologia della comunicazione nella stessa Università.

A Paolo Peverini – già ospite di questo sito quando pubblicò Il videoclip – ho chiesto: che cosa principalmente ti ha spinto a scrivere questo libro?

Nel libro, di cui sono coautore con Marica Spalletta, mi sono occupato specificamente della prospettiva semiotica. In quest’ottica sono convinto che il panorama della pubblicità sociale non convenzionale sia un oggetto di analisi estremamente interessante sia da un punto di vista teorico che metodologico. L’assuefazione alle forme canoniche del discorso pubblicitario, un mercato del fund raising sempre più agguerrito, la difficoltà di colpire la sensibilità del pubblico con il racconto di temi scomodi, drammatici costringono a ripensare strategie e tattiche dell’azione pubblicitaria. L’arsenale delle tecniche non convenzionali trova nella pubblicità sociale più intelligente e innovativa un terreno fertile. La gravità dei temi illustrati si traduce con un’intensità sempre maggiore in una ricerca di strategie innovative tanto sul piano narrativo quanto sul piano della messa in scena, dell’allestimento. Nei casi più interessanti il social advertising vive e amplifica la sua voce al di fuori del piccolo schermo, si inscrive direttamente nel tessuto delle nostre metropoli, si nasconde, ma solo a prima vista, per colpire di sorpresa quando meno ce lo aspettiamo.

La pubblicità sociale, credo, risenta - sia nella committenza (per quantità di produzione e settori d'interesse) e sia nei risultati (negativi o positivi che raggiunge) - più di quella commerciale del popolo cui si rivolge e dei governi che guidano quel certo paese.
E' così oppure no? E che cosa c'è da dire sulla situazione italiana?

La pubblicità sociale prefigura il profilo di uno spettatore ideale, muove a partire da un’ipotesi più o meno accurata del proprio destinatario. Il successo dell’azione di comunicazione dipende senz’altro in buona parte dalla lungimiranza del committente, dall’ingerenza del potere politico, dal pudore, spesso ipocrita, che avvolge il testo. Nonostante l’Italia non sia certo ai primi posti per quanto riguarda la sperimentazione nell’ambito della pubblicità sociale non convenzionale, le cose stanno evolvendo sotto la spinta di una tendenza globale a ripensare in forma non convenzionale le consuete campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica. L’importante è guardare soprattutto fuori dall’Europa, spesso i casi più innovativi e controversi provengono dalla Cina, dai paesi del sud est Asiatico, dal Sud America.

Paolo Peverini – Marica Spalletta
“Unconventional”
Pagine 263, Euro 21:00
Meltemi


Effetto caldo


La Dall’Oglio venne acquistata dalla Longanesi nel 1992 rilanciando il vecchio e glorioso catalogo. Fu anzitutto ripristinato il nome originale della casa editrice – Corbaccio – nata nel 1923. Allora aveva per motto: “Sono piccolo ma crescerò”. Ora l’Editrice non ha bisogno di quello slogan perché è un affermato marchio editoriale, ma parafrasando quelle parole d’un tempo, il nostro pianeta potrebbe dire “Sono piccolo ma perirò”.
E proprio Corbaccio ha pubblicato un libro che tratta i rischi corsi oggi dalla Terra.
Titolo: Effetto caldo Come il clima cambia la vita degli uomini.
L’autore è Brian Fagan.
Nato in Inghilterra, ha studiato a Cambridge dove ha coltivato il suo interesse per l’archeologia e l’antropologia. Dopo aver condotto ricerche sulle società rurali in Africa, ha insegnato presso l’Università dell’Illinois e l’Università della California a Santa Barbara, dove attualmente è professore emerito di Antropologia. Fra i suoi libri tradotti in italiano da Corbaccio: Il lungo viaggio delle aringhe e Sulle sponde del Nilo.

Esistono molte ottiche per guardare alla Storia (si pensi, ad esempio, a Karl Schlogel che legge gli avvenimenti osservando lo spazio e non il tempo), qui Brian Fagan usa il tempo, ma in senso meteorologico. E ne viene fuori un libro affascinante perché, ad esempio, sfilano sotto gli occhi del lettore le cose, influenzate dal clima, accadute in Europa durante cinque secoli, tra l’800 e il 1300 allorché si ebbe quello che i meteorologi chiamano il “Periodo caldo medievale”. A quello seguirà la “Piccola era glaciale”, un periodo che va dall'inizio del XIV alla metà del XIX secolo in cui ci fu un brusco abbassamento della temperatura terrestre nell’emisfero settentrionale.
Accadimenti termici che sono ancora d’attualità perché quei tempi sono presi come esemplificativi tra coloro che sostengono allarmi per la situazione attuale ed altri che li smentiscono.
Quelli che ripetono “Non ci sono più le mezze stagioni” (locuzione entrata negli sketch insieme all’altra “Una volta qui era tutta campagna”), quelle parole un po’ buffe non sono poi del tutto insensate e Fagan ne spiega il perché.
La vulnerabilità di fronte alle condizioni climatiche è uno dei rischi degli uomini d’oggi che, dissennatamente, accelerano le cause dei pericoli anziché tentare di salvaguardare il precario equilibrio della vita sulla Terra.
E’ di pochi giorni fa la notizia data da alcuni scienziati che, reduci da una spedizione al Polo Nord, hanno confermato l’allarme già dato tempo fa: tra 20 anni il ghiaccio sarà sparito dalla calotta polare e sciogliendosi potrà provocare disastri in ogni parte.
Il libro di Fagan, lontano dalla voglia d’annunciare catastrofi, fa riflettere sulle responsabilità di tutti noi e, sopratutto, di chi guida (spesso senza patente) i governi.

Per il sito web dell’autore CLIC!

Una scheda sul libro: QUI.

Brian Fagan
“Effetto caldo”
Traduzione di Tullio Cannillo
Pagine 340, Euro 20:00
Corbaccio


Insolito & Fantastico


Il nome è IF - acronimo per Insolito & Fantastico – di un trimestrale nato dall’incontro tra Carlo Bordoni che lo dirige e l’editore Marco Solfanelli.
La rivista, impaginata con raffinato gusto grafico, ricca d’illustrazioni, s’avvale di un gruppo di studiosi che firmano nel primo numero riflessioni sulla letteratura cyborg (Riccardo Gramantieri), l’Immaginario del nostro tempo (Romolo Runcini), la tecnologia e i suoi feticci (Giuseppe Panella), robot e spettri in Fritz Lang (Francesco Galluzzi), il fantastico nei fumetti (Franco Fossati, cartoonist purtroppo scomparso, ricordato da un corsivo di Bordoni), e altri articoli; c’è pure un’intervista di Diego Zandel a J. Gomez Jurado e recensioni di libri.

Il fantastico, oggi rilanciato attraverso le nuove tecnologie, vede finora, fra varie analisi, due principali definizioni.
Italo Calvino ha proposto una suddivisione del genere in “fantastico visionario”, con elementi soprannaturali come fantasmi e mostri, indicando quali sottogeneri la fantascienza, l’ horror, la narrativa gotica (narrazione ambientata nel Medioevo, affermatasi nel corso del ‘700; la sua peculiarità è data da ambientazioni cupe) e “fantastico mentale”, dove il soprannaturale si realizza tutto nella dimensione interiore.
Secondo il filosofo bulgaro Tzvetan Todorov, il fantastico è un genere spurio muovendosi sempre tra meraviglioso e perturbante, il primo avverandosi nella narrazione dove elementi irreali sono presenti nella storia senza che la loro presenza necessiti di conoscenze scientifiche per chi compie o subisce un’azione; il secondo è invece nel racconto dove il momento di incertezza ("è vero o è falso quello che sto vedendo?") si risolve con una riaffermazione dei principi realistici. Da questo punto di vista un maestro del genere fantastico può essere considerato Jorge Luis Borges.

Per leggere alcune pagine della rivista in anteprina: QUI.

Con un CLIC si può conoscere dove acquistare il trimestrale; una copia 8:00 ero, 4 numeri 30:00 euro


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