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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Lunetta fra figure lunari e lune storte


E’ per me sempre una gioia ritrovarmi tra le mani un libro di Mario Lunetta.
Perché so che sfogliandolo, e finora mai sono stato deluso, entrerò in feste della pagina, in cifre di scrittura che – sia quando quel volume è in versi, sia quando è in prosa narrativa o saggistica – propongono percorsi d’intelligenza attraverso il ritrovamento d’epifanie letterarie, allegorie del vissuto, e sempre insoliti modi d’aggredire l’attualità.
Mi sono capitate queste emozioni di lettura anche con il recente “Figure lunari” pubblicato da Robin Edizioni con il contributo della Libreria Quasar di Liliana Bortot.
Questo romanzo vive nell’imprevedibilità di una scrittura sguincia che cambia continuamente di velocità e di peso, in un’inclinazione warm-cold che si potrebbe definire di amaro umorismo allegorico.
Qui Lunetta s’impegna, riuscendovi bene, a scompigliare le carte di due generi vicini e assai dissimili: il giallo e il noir.
Il primo, si sa, è morale o moraleggiante (dipende dagli autori) proponendo l’identificazione di un colpevole e la sua punizione; il secondo mostra trame delittuose col fine di descrivere l’invincibilità o l’ovvietà (dipende dagli autori) del Male.
Fare l’una e l’altra cosa al tempo stesso è arte difficile. Lunetta c’è riuscito. Ma non contento d’aver guastato i sonni ai sistematori dei generi, a questo già ardimentoso compito tecnico, n’è ha aggiunto altri due.
La descrizione impietosa di un’epoca (la nostra) dentro una grande città italiana dei nostri giorni (Roma).
Ha reso – almeno io l’ho letta così –, motore della narrazione non la storia, complessa più che complicata, ma il personaggio chiamato a viverla e a dipanarla: un commissario di ps, si chiama Carlo Vauro. Uomo combattuto e travagliato, ricco di cultura e d’esperienze di strada, vocato ad essere debole costretto ad essere forte.
E poiché questa storia, sia pure con tutte le precisazioni e le eccezioni che ho fin qui tracciato, ha pure i caratteri della detective story, da ciò incoraggiato, io stesso mi sono fatto detective indagando su Carlo Vauro, e, mettendolo alle strette con modi spicci, alla fine ho ottenuto da lui piena confessione a pagina 138, allorché mi ha elencato ben trentasette suoi complici che gli hanno segnato la vita.
Vorreste sapere chi sono? Eh no, miei cari, i gialli, non amano che si racconti troppo di loro senza che li si acquisti prima in libreria. E poi, se anche mosso a compassione dalle vostre suppliche, mi decidessi a rivelazioni, quelli delle Edizioni Robin s’incazzerebbero di brutto e sarebbero capaci di mozzarmi la testa come nel libro è capitato a… acc!... stavo per dire un nome!
Di Carlo Vauro e dello scenario esistenziale e sociale proposto dalle pagine di questo suo più recente lavoro, così scrive Lunetta:
Immerso nel bitume della contemporaneità che avverte soprattutto come ingiustizia e intolleranza, indifferenza e sopruso, il commissario PS Carlo Vauro, uomo carico di frustrazioni e di sofisticati estri intellettuali, è chiamato a dipanare tutta una serie di grovigli criminali e di complicazioni private. Epicentro del suo tormentato diagramma pubblico e personale è Roma, luogo amatissimo e insieme detestato come responsabile di un tradimento storico.
Con “Figure lunari”, ho voluto rappresentare un teatrino grottesco e crudele di una quantità di inganni e di fallimenti collettivi e individuali, di colpi di scena imprevedibili e di soluzioni brutali, in cui Vauro, al tempo stesso cacciatore e selvaggina, porta le sue sconfitte e la sua voglia di utopia, con il massimo di lucidità consentito a chi sa che l’unico tagliente appiglio nella catastrofe è il filo della propria coscienza
.

Mario Lunetta, “Figure lunari”, Edizioni Robin, 200 pagine, 11 euro.


Mitologie domestiche e cosmiche


Non so se augurare a Luigi Di Ruscio d’essere un “caso letterario” – pur se già ne possiede i tratti – perché, si sa, i casi letterari spesso tali restano e sono esclusivi orti attraversati da pochi. Gli auguro, invece (siamo o no in tempi d’auguri?), che in tanti s’accorgano della sua produzione che ben merita d’essere goduta da molti.
Sarebbe ora.
Nato a Fermo, emigrato in Norvegia nel 1957, ha lavorato per quarant’anni in una fabbrica metallurgica. Vive ad Oslo.
La sua opera è prevalentemente in versi, ma per mia fortuna non mancano le prose, così posso scriverne, perché come alcuni di voi già sanno – ed è chiarito anche in cima a questa sezione – non mi occupo di poesia lineare.
Di Ruscio, non è una mia scoperta. Ben prima di me, hanno scritto recensioni e introduzioni ai suoi libri nomi che vanno da Franco Fortini a Salvatore Quasimodo, da Antonio Porta a Sebastiano Vassalli.
Per saperne di più, e leggere quanto hanno detto di lui, v’invito a cliccare su www.luigidiruscio.com.
Il suo lavoro più recente è “Le mitologie di Mary”; la pubblicazione si deve alla competenza e alla passione di Michelangelo Camilliti che guida le edizioni LietoColle.
La Mary del titolo, è Mary Sandberg moglie norvegese di Luigi, dalla quale ha avuto quattro figli.
Mary esorta, rimprovera, commenta, borbotta, dice e contraddice, qualche volta urla, più raramente sussurra ma fa anche questo. E l’autore, protagonista di se stesso, la guarda, l’ascolta, e nel riferire – talvolta maliziosamente - al lettore gesti e parole, tesse una trama di ricordi e ragionamenti, sogni e cronache che partendo dal tono sommesso del récit secret arriva fino all’invettiva letteraria e politica passando per sentieri di scrittura giocosa che non rinunciano al calembour (mirabile, ad esempio, finerali per funerali).
Nella postfazione dice bene Mary B. Tolusso… certo che Di Ruscio è circondato più dalle Mary che dai fiordi!... : “Gli inossidabili miti si immergono nell’avanzare (o nel retrocedere della memoria) di una epopea quotidiana che diviene spunto ideale per sventrare, logica e ironia alla mano, il luogo comune, ma, attenzione, partendo dalla verità celata nello stesso”.
Gli ho chiesto una dichiarazione sul libro, da Oslo mi sono pervenute le sue parole. Parole che vengono dal freddo e mi ricordano le parole gelate di cui dice Rabelais, quando la nave sulla quale sono imbarcati Gargantua e Pantagruel si trova al confine col mar Glaciale e in aria sono gelate le parole e i gridi: "Noi vi discernemmo parole araldiche, parole di sinopia, parole d'azzurro, di nero, parole dorate. Le quali, dopo d'essersi un po' scaldate nelle nostre mani, fondevano come neve, e allora le sentivamo realmente.”
Quelle parole, però, erano dette “in lingua barbarica” e i poverini che l’ascoltavano non le comprendevano, queste, invece, si capiscono benissimo.
Le mitologie di Mary” è nato nella maniera più semplice, nel computer ho un documento che ha per titolo Mary, là con il tempo ho accumulato una grande quantità di materiali e alla fine ho organizzato una qualcosa di pubblicabile. Per puro caso mi sono messo in contatto con una piccolissima casa editrice “LietoColle” che, senza farmi spendere una lira, ha pubblicato le mitologie pare in 200 copie, di cui 40 copie mi sono state date in omaggio. Ho scritto tutto ridendo, anche perché mia moglie non conosce l’italiano e mai leggerà quello che ho scritto. Mia moglie spesso mi dice: “Me le immagino tutte le cretinate che vai scrivendo”.
Dovevo scriverlo un libro per Mary che è sempre riuscita a tenere sotto controllo l’inferno quotidiano. Sopporto con tranquillità le sue imposizioni. L’aspirapolvere non devo toccarlo, né la lavatrice, neppure lontanamente pensare di pulire un pavimento, devo stare lontano dal frigorifero e dalla cucina economica. Mary mi considera un incapace, è rimasto solo un spazio, questa tastiera e, come ho già detto, non conoscendo l’italiano mia moglie mai potrà sbeffeggiare ciò che scrivo.
E’ profondamente impressa dentro di me una sua frase che una volta, a me depresso, disse: “Non ti addolorare, noi siamo nati, pensa ai tanti che neppure riescono a nascere”. Questa frase assurda ha dominato tutta la mia vita
.

Luigi Di Ruscio, “Le mitologie di Mary”, Edizioni LietoColle, 102 pagine, s.i.p.


Future Film Festival


A Bologna, da mercoledì 19 a domenica 23 gennaio, si terrà la VII edizione del Future Film Festival.
Cosmotaxi dedicherà a FFF (ecco la fatale forma in acronimo abusata da noi webredattori, ma tanto comoda però) uno “special”, seguendo con note quotidiane lo svolgersi del Festival diretto da Oscar Cosulich e Giulietta Fara.
Perché uno Special? Presto detto.
Esistono molti festivals di cinema, alcuni ottimi altri buoni altri ancora meno buoni, ma questo è l’unico dedicato all’ animazione ed agli effetti speciali, con il comune denominatore della sperimentazione dei nuovi media e delle nuove tecnologie. E c’è di più, accanto alla proiezione di opere, presenta i making of delle produzioni digitali più interessanti, con immagini della lavorazione d’ambienti, scene e attori virtuali. Inoltre: retrospettive e incontri con direttori artistici, registi e creativi. In virtù di tutto questo, FFF è meritatamente diventato un appuntamento di rilevanza internazionale.
L’ufficio stampa è condotto (preferisco questa parola all’altra più usata in questi casi – “curato” – perché ha un vago odore ospedaliero) dallo Studio Sottocorno di Milano.
Ancora una cosa: non s’esclude un passaggio nei giorni del Festival di Lara Croft (la creatura di Toby Gard mi ha fatto una mezza promessa in tal senso) e… come dite?... vorreste Angiolina Jolie?... I soliti esagerati! Accontentatevi di Lara che ha dei pixel che lèvati! E’ pur sempre preferibile all’altra Lara, l’Antipov di Boris Pasternak, crocerossina molesta full time dello sfortunato Dottor Zivago. O no? Se paventassi l’arrivo di questa, mica farei uno ‘special’ per il Future Film Festival.


Un monumento di carta

Mi riferisco nel titolo all’Enciclopedia dell’Arte della Zanichelli da poco in libreria.
Una grande opera, a cura di Edigeo.
La direzione si deve a: Rossella Toppino, Marco Gatti, Tommaso Lucchelli, Michele Magni; in redazione hanno lavorato: Maria Luisa Caffarelli e Silvia Margaroli.
Pochi ma significativi dati per introdurre quanto ho da dirvi su quest’unicum editoriale: 1216 pagine a colori, oltre 1600 immagini (curatissime, e specie in un volume sull’arte è cosa di gran conto), oltre 9500 voci, 165 quadri di approfondimento su movimenti e tendenze, epoche e stili, grandi figure della storia delle arti visive.
Al libro s’accompagna un Cd che contiene l'intero testo dell'Enciclopedia ed e' interrogabile con un flessibile software che consente ricerche personalizzate e incrociate. E' anche una straordinaria porta d’accesso al museo virtuale del web: vale a dire alla ricchissima raccolta di collegamenti Internet a siti in continuo aggiornamento su mostre, convegni, pubblicazioni da parte di musei, gallerie, collezioni, fondazioni e singoli artisti; permette, inoltre, di accedere ad un'immensa collezione di centinaia di migliaia d’immagini e informazioni.
Di Enciclopedie dell’Arte ce ne sono diverse sul mercato, alcune pregevoli altre meno, ma in quest’opera della Zanichelli ci sono alcune linee di forza che la rendono preferibile ad altre sue sorelle di cellulosa. Quali? Ecco in breve quelle che ritengo più evidenti.
I riquadri d’approfondimento non si limitano alla registrazione di date e dati (pur presenti), ma sono veri e propri microsaggi condotti con una lingua lontana dalla tipica oscurità che affligge specialmente gli scritti sulle arti visive vergati perlopiù col favore delle tenebre.
Le Enciclopedie, hanno spesso un fatale tono vagamente funebre riportando ‘voci’ che corrispondono a nomi d’illustri e meno illustri defunti (in pratica, quasi una seduta medianica, ai viventi eventualmente lì nominati consiglio opportuni scongiuri); in questa Zanichelli, invece, c’è – con spazi fino alla digital art – grand’apertura al nuovo, ai movimenti e agli artisti contemporanei, che sono ancora in giovane età e schiattano di salute. Prosit!
E’ un’opera che usa la forza del catalogo per tracciare, attraverso i 165 riquadri d’approfondimento, una storia dello sguardo, seguendone l’evoluzione dalla lentezza di un tempo fino alla mobilità d’oggi, dall’arazzo alla videoart.
Tutti felici allora? No. Questa Zanichelli non piacerà agli oculisti, perché a fissarne le pagine l’occhio – grazie all’impaginazione e al nitore di stampa – non si stanca, e la cosa sottrarrà loro clienti.
Ecco un libro, insomma, imperdibile per gli addetti ai lavori: dai critici ai galleristi, dai redattori di pagine web a quelli radiotelevisivi, dagli artisti agli insegnanti, ai curatori d’uffici stampa.
Se conoscete uno di loro, regalateglielo per Natale, lo farete felice.
E, a proposito di strenne, è una buona idea pensare di regalarlo ai nostri ragazzi, perché è un utile strumento di lavoro per chi frequenta il liceo o l’università.

Enciclopedia dell’Arte, Zanichelli, 1216 pagine con cd rom, 53:80 euro.


Fantasmi di cellulosa


Nella storia della letteratura, ci sono molti angoli tenebrosi riservati a fantasmi d’ogni genere, dalle pagine gotiche di Walpole e Beckford che ambientavano invariabilmente nel Medio Evo le loro storie (forse, per farsi coraggio e dire che gli spettri alla loro epoca non c’erano più) fino a quelle di Dickens e Shelley che, impavidi, ponevano i racconti in epoca a loro contemporanea.
Poi, dopo l’intrepida (ma, forse, bugiarda) istitutrice de “Il giro di vite” di James, è successo che i fantasmi hanno perso il gran numero di ruoli protagonisti d’un tempo – ma non in iettatorii racconti russi del primo Novecento – e sono stati scritturati sì da parecchi autori, ma per ruoli minori. Per trovarne una congrua presenza bisogna avventurarsi lungo le insidiose righe della narrativa horror fantasy o della fantascienza, e qui ce ne sono di superbi, come ad esempio quelli di Stephen King.
Naturalmente volenterosi fantasmi di provenienza letteraria si muovono anche in altre arti, mo’ terrorizzando da un quadro, mo’ spaventando da un’orchestra o da un palcoscenico.
Di fantasmi, oggi, ne scrive una delle più interessanti fra le nostre autrici: Sandra Petrignani. Suo è “Care presenze”, titolo che va ad aggiungersi ai precedenti, da “Navigazioni di Circe” fino a “La scrittrice abita qui”, passando attraverso prove di scrittura che, pur variando di genere (dall’inchiesta al romanzo al radiodramma), mantengono sempre una riconoscibile tensione di scrittura e una grande eleganza di stile.
In “Care presenze” ci sono 18 storie di fantasmi che compongono un romanzo grazie alla “cornice” che li contiene. La struttura è quella classica, quella del Decameron: un gruppo di persone isolate in una villa sul lago, nell’estate del 2002 si lascia alle spalle il male del mondo (incombe il crollo delle torri gemelle con la guerra che ne è stata conseguenza) per farsi paura in un modo fantastico. Il racconto scorre così su due piani: quello diurno in cui si lavora (Olga è scrittrice, suo figlio regista e sta preparando un film con due amici sceneggiatori, Padma si occupa delle faccende domestiche…), nascono e si spengono amori, si accendono irresistibili corteggiamenti, le due bambine del gruppo vivono straordinarie avventure. E quello notturno in cui ci si riunisce e si narrano le storie di fantasmi, che a volte sono drammatiche, a volte comiche. I piani sembrano nettamente separati, ma a un certo punto… no! Mi fermo, sennò vi racconto tutto e quelli dell’Editrice Neri Pozza s’incazzano. Andate in libreria a cercare questo libro, non ve ne pentirete.
Poiché, però, non sono tanto malvagio da chiuderla qui, ho chiesto a Sandra Petrignani di dirmi qualcosa su questo suo recente lavoro.
Così mi ha risposto: Il racconto di fantasmi è un genere inattuale e anche poco frequentato nella nostra tradizione letteraria. Due motivi per aver voglia di proporlo a me stessa e ai lettori. La cornice, che doveva essere un filo leggero ha, nel corso della scrittura, preso corpo fino ad estendersi a romanzo riuscendo a contenere le storie spaventose in un intrigante contrappunto. I personaggi entrano e escono dalle storie che raccontano fino a non sentirsi più sicuri di niente, né della vita, né della morte. Sono partita da una celebre frase di Montaigne: “Vanno, vengono, trottano, danzano. Della morte nessuna notizia…” Mi piaceva l’idea del movimento, dell’affannarsi della vita, contrapposto alla calma della morte, ma volevo parlare della morte con leggerezza. E che cosa c’è di più leggero di un fantasma?

Concludo ricordando una frase di Kafka scritta a Gustav Januch: “Scrivere significa denudarsi davanti ai fantasmi che stanno avidamente in agguato”.

“Care presenze” di Sandra Petrignani, Neri Pozza, 371 pagine, 16:50 euro.


Sia lodato il signore Abbamondi


Esistono espressioni dell’arte che, pur non più largamente praticate come secoli fa, hanno resistito nel tempo e sono proposte ancora ai giorni nostri; l’arazzo n’è un cospicuo esempio: rilanciato da Jean Lurçart ai primi del ‘900, ha visto all’opera tanti artisti dallo spagnolo Juan Miró al nostro Valerio Miroglio.
L’arte presepiale, altro esempio, sembrava destinata a sparire, per fortuna così non è stato.
Arte antichissima, origini nel I secolo (dopo Cristo com’è ovvio, prima con tutta la buona volontà sarebbe stata impossibile), trovò la sua grande scena a Greccio nel 1223 allorché Francesco d’Assisi allestì una Sacra rappresentazione in cui erano presenti solo due animali, un bue ed un asino, sistemati ai lati di una mangiatoia vuota. Proprio così, vuota.
Immagino che la cosa abbia suscitato allora gli entusiasmi degli animalisti e dei sostenitori della politica contraccezionale. Forse non s’entusiasmò il Papa di quel tempo: Gregorio IX. Amico sì di Francesco d’Assisi, protettore dei francescani, ma non fino al punto d’applaudire quell’innovativa regìa. Gregorio IX, era una tonaca tosta: fu l’iniziatore dell’Inquisizione, armò la crociata contro gli Albigesi, scomunicò Federico II, e non contento d’averlo fatto una volta, lo scomunicò più volte tanto che lui stesso, credo io, ne perse il conto.
Il vero primo presepio d’arte presepiale – stavolta con il neonato Gesù presente, con gioia del Papa Martino IV – risale al 1283 e venne scolpito in marmo da Arnolfo Di Cambio nella chiesa di S. Maria Maggiore a Roma.
Dopo i fulgori del ‘700, l’attenzione su quell’arte declinò. Ma è viva ancora.
Aldilà di ogni giudizio sulla sua ispirazione religiosa, pur essendo io ateo ne sono felice perché è incantevole.
Tra gli artisti giovani che vi si dedicano, mi piace segnalare un vero talento: Marco Abbamondi.
Costruisce preziose architetture, crea suggestivi ambienti scenografici, appronta deliziosi costumi, innova spiritosamente arredamenti e pone estrema attenzione nelle "minuterie", ossia nella tecnica di cestini, fascine, sedie, carri, utensili. Il tutto con vigile coloristica e sapiente luministica.
Non è una mia scoperta, di lui si sono già occupati in molti e il suo nome ricorre in decine di pubblicazioni edite da Electa a Di Mauro, da Fabbri a Pironti, da De Agostini a Einaudi. Nonché nei cataloghi d’importanti mostre e collezioni private.
Chi a Napoli abita, o chi vi passa per turismo, non perda la ghiotta occasione di visitare la “Mostra di Arte Presepiale e Napoletana” aperta fino al 12 gennaio 2005 presso le sale della chiesa di San Severo al Pendino in Via Duomo, perché lì Marco Abbamondi espone. Ed espone opere anche di recentissima esecuzione.
E per chi a Napoli non abita? E per chi a Napoli non ci passa per vacanze?
Don’t panic please! Potranno visitare il suo sito web www.abbamondi.it.


Più Libri, più Liberi (10): conclusioni


Qualche riflessione a conclusione di questo ‘special’ dedicato alla terza Fiera della piccola e media editoria, Fiera ideata, e ben organizzata, dall’ Associazione Italiana Editori.
Sui meriti dei piccoli editori mi sono già espresso in apertura di queste note. Sulla stampa, nelle radio, nelle tv, sul web, abbiamo suppergiù detto tutti le stesse cose.
Si è lodato il coraggio di queste piccole imprese, si è loro riconosciuta l’importanza che hanno da sempre nel panorama culturale, ribadito il valore della proposta d’autori che altrimenti mai forse avremmo conosciuto. E’ stato notato anche (ma qui non da tutti, ovviamente non dagli organi d’informazione che s'ispirano a Dell'Utri e al suo padrone , quelli pensan… no, diciamo pubblicano, pensano è troppo… mica quello che sto per dire adesso), è stato notato anche che oggi, in un momento tra i più gravi della comunicazione sofferto dal nostro paese, i piccoli e medi editori, possono rappresentare un’importante via per l’espressione del pensiero libero, dell’antagonismo, della dignità intellettuale.
Fin qui i meriti, se non ne ho dimenticato qualcuno.
Ma, forse, è opportuno anche riflettere su qualche loro demerito. Proprio per dare un contributo affinché migliorino la loro presenza nello scenario in cui operano.
Per comodità d’esposizione, suddivido in paragrafi.

a) progetti

Ho visto troppi progetti simili fra loro. Questo fa pensare che molti debuttano, o continuano a pubblicare, senza guardarsi intorno, muovendosi in spazi già percorsi da altri e, talvolta (è il caso più grave), perfino dall’editoria di grandi dimensioni.
Vistoso esempio n’è il pullulare di tanti sulla giallistica e sul noir. Quante speranze hanno d’inserirsi in un mercato che di quei generi, in questi ultimi tempi, è già saturo?
Con autori italiani e stranieri, a torto o a ragione, stimati e seguiti dai lettori?
Non sarebbe meglio puntare su cose di cui c’è carestia?
Faccio un esempio per non restare sul vago. L’Editoriale Scienza di Trieste – ne ho già lodato le scelte in una precedente nota – si occupa esclusivamente, lo sottolineo esclusivamente, della divulgazione scientifica per ragazzi. Un solo, specializzato, definito, precisato obiettivo. Finalmente!
In Fiera, qualcuno ha obiettato che anche x e y hanno una collana scientifica per ragazzi. Appunto, anche. Guaio non da poco, si finisce col non specializzare, tanto per cominciare, il lavoro della casa editrice con probabili cadute di qualità, e non si crea presso i lettori certezza sull’equazione marchio-prodotto. Ciò mi porta ad una successiva considerazione. Troppe collane. Come sono ingioiellati questi piccoli editori! Com’è possibile che la stessa casa stampi manualistica sul giardinaggio, romanzi sperimentali, poemi in versi alessandrini e saggi culinari sulle cucine asiatiche? Lo possono fare Mondadori, Feltrinelli, Rizzoli, non una piccola casa editrice, non è il suo ruolo, non ne ha le capacità, pure perché le mancano gli scudi per pagare gruppi di specialisti che lavorino, e contemporaneamente, alcuni applicati, ad esempio, su di una collana dedicata ai rituali coprofagici nel mondo, altri ad una destinata all’arte su ceramica, ed altri ancora ad un’altra collana che s’occupa d’alpinismo subacqueo.
Ad una piccola (o media) casa editrice, non molteplicità di aree, non questo le richiede il lettore, bensì specializzazione su campi espressivi trascurati dai grandi editori.


b) grafica

Ho visto troppe case con pessima grafica, soprattutto in copertina che è la pelle del libro, il primo impatto con il lettore. Non si tratta di colpa attribuibile ad un risicato budget (ce ne sono di poverissime che se la cavano assai bene), ma di non considerare adeguatamente quest’aspetto del lavoro editoriale.


c) promozione

Qui siamo al disastro. Quasi la totalità (gli esempi in positivo pochissimi, e di qualcuno di loro ho già detto nelle precedenti note) dei cosiddetti uffici stampa sfiorano la comicità involontaria. E’ evidente che i piccoli e medi editori non ritengono questo settore strategico, pure se a parole s’affannano nel dire il contrario.
S’affidano a volenterosi, ma improvvisati, personaggi che nulla sanno di quel mestiere.
Eppure, proprio quest’area editoriale che soffre tante difficoltà nella distribuzione prima e in libreria poi (quando riesce a raggiungerla), dovrebbe attrezzarsi per disporre di un’efficace comunicazione verso i media e chi legge.
Perché pubblicare decine di titoli in un anno e non editarne solo dodici, in pratica uno per ogni mese, riservando energie economiche alla promozione? Arrivo a dire che, specie per le sigle debuttanti, il maggiore sforzo economico dovrebbe essere puntato proprio lì. Non ci s’illuda di fare a meno di professionisti negli uffici stampa, gente che possiede un’agenda giusta e sa come fare con redazioni, enti, associazioni, certamente costano, ma sono soldi ben spesi.
Calamitosa, poi, è la conduzione dei siti web. Succede pure che qualche editore non ce l’abbia, un po’ come se un tipografo non avesse un proprio biglietto da visita. Ma, tralasciando questa disperata condizione – più diffusa di quanto si pensi – , colpisce l’improvvisazione con la quale sono allestiti certi siti con grafica improbabile, funzionalità incerta, legnose e ovvie presentazioni goffamente autoelogiative.
Ho sentito più di uno che mi riferiva d’essersi affidato “ad un amico che col computer se la cava”! No, non ci siamo proprio. Pubblicate di meno e spendete quei soldi così risparmiati in buona comunicazione. Serve a voi più che ad altri già affermati su piazza.
Naturalmente, tutti poi a lacrimare sul fatto che il loro lavoro non ha visibilità sui media. Sfido io! I media raramente sono mossi da persone curiose e disponibili, d’accordo, ma se non li raggiungi nemmeno, con appropriati messaggi, che vuoi mai sperare?
Poi succede anche (perché il male ha un’infinita fantasia) che qualcuno che disponeva di un buon sito lo cambi peggiorandolo. Non farò nomi, solo cognomi. Fra le piccole editrici, una delle più grandi – come progetto culturale, contenuti, grafica –, forse la più famosa, quella giustamente entrata perfino nella Garzantina come inventrice di nuove formule editoriali, StampAlternativa, un tempo disponeva (fra le prime a disporne) di un sito frizzante e birichino, assai adatto al pubblico di quella Casa, mo’ l’ha cambiato in peggio. L’ottimo Marcello Baraghini, di cui vanto l’amicizia, dotato quant’altri mai di spirito iconoclasta, dev’essersi detto “No, qua corro il rischio d’avere il più originale sito fra le piccole editrici, mai sia detto, bisogna peggiorarlo”. C’è riuscito.
Tornando a parlare della pessima conduzione nella comunicazione dei piccoli editori, ho condotto in Fiera un proditorio esperimento – ve l’ho detto giorni fa, sono un malvagio – chiedendo a più di un titolare se avesse intenzione di praticare la formula ‘print-on-demand’ (un possibile avvenire della piccola editoria). Devono averla presa come il nome d’una pietanza crudista dello Yorkshire o di una tecnica erotica fetish perché s’è disegnata sui loro volti una smorfia di disappunto. E’ chiaro che di ‘print-on-demad’ ne sapevano tanto quanto io ne so di guida dei sottomarini nucleari. Da persone, tanto generose sì, ma tanto tecnicamente impreparati al nuovo, non ci si può, purtroppo, aspettare che mettano su siti, uffici stampa, modelli validi d’informazione.
Dovrebbe essere necessaria una patente per diventare editori.
O, quanto meno, l’antidoping.


d) editori a pagamento

Sono in molti a stracciarsi le vesti su questo fenomeno.
La faccenda, in realtà, è assai semplice. Non trovo scandalosa l’esistenza di un’editoria che accolga autori paganti.
Gli editori cosiddetti “a pagamento” esistono perché ci sono autori che ne reclamano i servizi fino ad esporsi in più di un caso (qualche sentenza lo dimostra) a veri raggiri contrattuali; la vanità di vedersi pubblicati può giocare brutti tiri, talvolta è castigata duramente, e aggiungo – da malvagio quale sono – giustamente. Così imparano.
Ecco, questo è il punto. Quegli editori fanno, innanzitutto, firmare un contratto? E, se sì, ne rispettano poi le clausole? Clausole che, spessissimo, quasi sempre, promettono distribuzione, presentazioni radiotelevisive, incontri col pubblico. Se tutto ciò avviene, nulla di male, se non avviene oltre ad essere un reato, getta un’ombra su tutta la categoria dell’area, attizza speranze che era meglio spegnere, aggiunge stanchezza alla già stanca carta. E, guaio ultimo ma non per importanza, trasformano in frustrati scrittori tanti che potevano essere buoni lettori, ma ormai impiegano tanto tempo a scrivere da non trovarne più per leggere.


Più Libri, più Liberi (9)


La notte è amica di molte cose, fra queste anche la lettura ha un suo ruolo.
E se è vero, come tanti studiosi – specie quelli applicati sulle neuroscienze – hanno dimostrato, che le nostre percezioni risentono degli ambienti (luogo, ora, eccetera) nei quali si svolgono, fino a fare assumere significati diversi alla stessa cosa percepita, non c’è dubbio che la lettura notturna sia profondamente diversa da quella diurna.
Ci sarebbe anche l’opportunità di lanciare un gioco: quali autori si prestano ad essere meglio goduti di notte e quali di giorno. Beckett è diurno o notturno? E Goethe, Rabelais, Manzoni, Gadda, Bourroughs, Céline, Calvino? Un gioco, naturalmente.
Le Edizioni nottetempo – un progetto fondato da figlie d’arte: Ginevra Bompiani e Roberta Einaudi – non fanno mistero sulle opportunità e i traguardi della lettura notturna.
Tempo fa in una conversazione con Ginevra Bompiani ad una mia domanda sul perché di quel nome dato all’editrice, mi rispose:
La notte è il tempo in cui si legge, comodamente sdraiati a letto, fra il sonno e l’insonnia. Noi vogliamo fare libri che tengano conto del lettore, del modo in cui legge, ma anche di quel tempo, la notte, in cui si legge per piacere e non per lavoro, per placare l’angoscia notturna, per chiudere la giornata. Aspiriamo a fare libri da comodino, non da biblioteca.
E fanno bei libri che s’avvalgono, oltre che d’ottimi autori, anche di una grafica (Studio Cerri Ass.) d’incantevole semplicità ed eleganza, tanto da spiccare sui banchi anche quando accanto a loro strepitano copertine dai chiassosi colori.
E’, inoltre, una delle pochissime case, fra quelle della piccola editoria, che cura assai bene, in modo non aggressivo, ma impeccabile ed efficace, la proiezione promozionale che è guidata dalla capoufficio stampa Fiammetta Biancatelli.
Tornerò sull’argomento piccola editoria e uffici stampa nella nota conclusiva di questo mio ‘special’ dedicato da Cosmotaxi alla Fiera. Se avrete la pazienza di leggerla, ne sentirete alquante di cose raccapriccianti.
Tra le novità proposte dalle edizioni nottetempo (la enne minuscola non è un mio irrispettoso errore grafico, ma è una voluta composizione tipografica del marchio editoriale; la sola cosa che non condivido, mi piace sempre che la Notte sia maiuscola), spicca, secondo me, un aureo librino di Valentino Bompiani: “I vecchi invisibili” (canto notturno, sì splendidamente notturno) sull’ultima età. Ma mi piace anche raccomandare alla lettura Maria Pace Ottieni con “Abbandonami” ed Enrique Vila-Matas con “Suicidi esemplari”.


Più Libri, più Liberi (8)


Seguo le edizioni Meltemi da molto tempo e n’apprezzo la rigorosa linea che s’è data: esplorare i segni linguistici, l’immaginario, i nuovi mezzi espressivi del nostro tempo.
Oggi, dopo la scomparsa di Marco Della Lena, Luisa Capelli, già validamente attiva in casa editrice un tempo, ha per intero il carico della conduzione e i libri che pubblica continuano a spiccare sui banchi in libreria… quando li espongono come dovrebbero essere esposti e non sempre lo sono come meritano.
Meltemi, presenta allo sguardo di chi si ferma (e sono in tanti) al suo box in questa Fiera, tanti titoli di grande interesse.
Tra i più recenti pubblicati, qui ne scelgo due.
Il primo, “Slavoj Zizek - L'epidemia dell’immaginario”, affronta un tema attualissimo: la gran quantità d’informazione (che, spessissimo, è disinformazione) dalla quale siamo più aggrediti che raggiunti dai media. Tutto ciò pone un problema ancora più alto, ossia la crisi del senso della realtà che ci assedia. In questo testo si sostiene, con scorrevole scrittura, che la distinzione stessa tra realtà e fantasia, tra reale e immaginario, è una falsa distinzione – ed è irreale e immaginaria essa stessa. Intessendo con la consueta maestria il suo discorso di riferimenti filosofici “alti” – da San Tommaso a Kant e Hegel – e di argomenti ed esempi tratti dalla cultura di massa, persino quella meno “commestibile” (dalla pornografia cinematografica, al noir, alle chat-line), Zizek costruisce un’argomentazione serrata che prende in esame la struttura intersoggettiva della “fantasia”, gli immaginari politico-ideologici, l’enigma del feticismo contemporaneo, la libertà illusoria generata dal cyberspazio e, infine, il decisivo problema del Male.
Altro libro di rilievo è quello di Paola Zaccaria: “La lingua che ospita”.
Come mai – si chiede l’autrice – nonostante la globalizzazione, nonostante la diffusione di concetti come differenza, alterità, diversità, le bibliografie dei testi di filosofi, semiotici, comparatisti, femministe, soprattutto in Europa, risultano ancora oggi inevitabilmente affollate di titoli della cultura cosiddetta occidentale, svelando la mancanza di un vero e proprio dialogo con le culture e il pensiero non eurocentrici? Come mai la nostra Italia, che ormai incontra la differenza ad ogni angolo di strada, ai concerti, sul lavoro, nelle stazioni, non riesce a prendere in considerazione e ancor meno ad entrare in rapporto con le lingue, le culture, e i soggetti “portatori della diversità”? L’autrice intesse in queste pagine una sorta di dialogo dell’erranza con altri “viaggiatori del pensiero” e studiosi di culture artefici di nuove costruzioni poetiche e politiche.
I testi presi in esame vanno dalla poesia al racconto, al romanzo, al saggio, all’articolo, anche online, ai film come ‘Lost in translation’ e ‘Matrix’.


Più Libri, più Liberi (7)


In questa Fiera della piccola e media editoria – ricordo ai più distratti: organizzata e promossa dall’Associazione Italiana Editori – sono presenti centinaia di case.
Molti i progetti comuni fra loro che spaziano dalla narrativa alla saggistica e (ahimé!) a tanta, certamente troppa, poesia lineare, che, proprio per essere diffusa in uno sterminato numero di pagine, inevitabilmente finisce per presentare anche tantissime cose impresentabili. E’ chiaro che, nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di pubblicazioni pagate dagli autori. Questo ripropone un problema che tratterò nella nota conclusiva di questo ‘special’ per quei lettori che avranno la pazienza di seguirmi fin lì.
Ho cercato, insomma, di trovare un progetto editoriale che spiccasse per originalità, per acutezza culturale e aziendale. Ho faticato parecchio e, infine, la mia ricerca è stata premiata.
Si tratta dell’Editoriale Scienza, con sede a Trieste, guidata da Sabina Stavro. Ecco un progetto puntato su di un solo, chiaro, ben definito obiettivo: la divulgazione scientifica per ragazzi.
Intendiamoci, ci sono altre case che hanno collane somiglianti oppure talvolta pubblicano libri di scienza destinati a bambini e adolescenti, ma nessuna di loro ha scommesso in modo esclusivo su questo tema come, invece, ha fatto l’Editoriale Scienza. S’aggiunga che lo ha fatto editando volumi agili, estremamente ben curati dalla grafica alla scelta degli argomenti, alla qualità delle scritture.
Inoltre, nelle collane (con catalogo scandito per età) hanno una parte importante gli esperimenti e le attività pratiche, elementi base per un corretto approccio al pensiero scientifico. Ecco perché accanto ai libri di scienza ci sono i libri-gioco, per coniugare scienza e divertimento, riscoprire la manualità e imparare giocando.
L’attività delle edizioni non è solamente editoriale: con il “Club della Scienza” hanno creato una rete d’attività parallele per introdurre i ragazzi alla sperimentazione e alla ricerca.
Politica dei prezzi d’accessibile livello, cosa questa che permette anche a chi non dispone (e in questi tempi berlusconiani sono in molti a non disporne) di tanti soldi per fornire strumenti culturali ai propri ragazzi.
E ancora: grande merito ha Cristina Stavro nel pilotare un progetto che in giorni come i nostri, in cui le scienze subiscono pesanti attacchi da zombi in doppiopetto o tonaca, è quanto mai necessaria una corretta informazione diretta a coloro, come sono i ragazzi, che s’affacciano sulla scena del mondo.
Impresa non facile anche sul piano della comunicazione, perché se è difficile, e lo è, la divulgazione scientifica (ne ho parlato in questo stesso sito con molti, da Sylvie Coyaud a Piergiorgio Odifreddi) rivolta agli adulti, ancora più difficile è quella destinata ai ragazzi, ma l’Editoriale Scienza, a mio avviso, c’è riuscita perfettamente.
Credo solo che sia da migliorare l’impianto promozionale (ben avviato, ma ancora acerbo), però questo è un problema diffuso nella piccola e media editoria, anzi, in questo, rispetto ad altre case l’Editoriale Scienza è tra le migliori, ma non ci vuole molto ad esserlo.
Pure quest’argomento figurerà nella mia nota conclusiva che ho promesso, o meglio minacciato.
Lo so: questa nota è più lunga delle altre, ma riflette la mia gioia d’avere trovato una piccola (grande) casa editrice attrezzata in maniera tanto originale quanto intelligente.


Più libri, più Liberi (6)

Esistono piccole case editrici che hanno scritto un pezzo di storia della nuova espressività letteraria, anche se i media trascurano troppo spesso di occuparsene sicché, pur assai note agli addetti ai lavori, non riescono ad affacciarsi su di una più vasta platea di lettori.
E’ il caso, ad esempio della Campanotto che sfoggia un catalogo ricco di nomi prestigiosi nell’area delle avanguardie.
Da quasi trent’anni, infatti è stata fondata nel 1976, pubblica testi che riflettono, e talvolta anticipano, temi centrali del dibattito estetico contemporaneo; è guidata da Franca Campanotto e Carlo Marcello Conti.
Conosco Conti da più di vent’anni e stimo non solo il suo lavoro d’editore, ma anche e soprattutto, il suo tracciato di poeta che si è impegnato – con riconoscimenti internazionali concretizzatisi poi in traduzioni in mezzo mondo – nell’area della poesia sonora e visiva.
Nato a Belluno nel 1941, uomo schivo, pronto ad impegnarsi per altri autori colpevolmente trascurando se stesso, ricordo che molti anni fa, quando lavoravo a RadioRai, dovetti insistere con lui per poter occuparmi della sua produzione negli spazi nei quali allora faticavo per l’antenna pubblica.
Tra le iniziative più recenti dell’Editrice, segnalo la nascita di “Zeta Filosofia” - supplemento alla rivista internazionale di poesia e ricerche ‘Zeta’ che agisce con continuità da 26 anni – diretta da Damiano Cantone, Marcello Losito e Luca Taddio i quali così presentano queste nuove pagine: La pluralità di toni di cui è capace la voce filosofia è, a nostro avviso, il senso della denominazione ‘Territori delle idee’ che abbiamo scelto come sottotitolo per questa rivista e come titolo per la collana di filosofia che curiamo per lo stesso editore. In questa ottica, proporremo nella rivista argomenti che troveranno poi un’eco e uno sviluppo nei libri della collana.
L’abbonamento – costo 12 euro – vale per tre numeri.
Per contattare l’Editrice che ha la redazione in Via Marano 26, 33037 Pasian di Prato, si può usare il sito web di cui prima ho dato il link, oppure telefonare allo 0432 - 699 390.


Più Libri, più Liberi (5)


Concedetemi (e perdonate) un mio momento di patriottismo.
Voglio segnalarvi, infatti, un’editrice di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, ed io sono nato a Napoli (e presto fuggito oltre trent’anni fa da quella città).
Si tratta delle Edizioni Spartaco presenti in questa Fiera.
Nate nel 1995 e rinate dopo una pausa (non so se di riflessione o penitenza) nel 2003, propongono prevalentemente libri d’intervento politico e sociale e anche narrativa, poesia (…ahi!), biografie.
Mi sono già occupato di Spartaco – anche se nel loro sito evitano giustamente di citarmi in area stampa – in occasione della pubblicazione di due deliziosi volumi che Gianna Nannini definirebbe “gelati al veleno”: Paradisi di Mark Twain e Il Diritto all'ozio di Jules Lafargue.
Ora, che una casa editrice di Capua si occupi di ozio è cosa che mi pare coerente e di assoluta bellezza. O no? Entrambe le pubblicazioni sono passate per le sapienti mani turcomanne di Maria Turchetto.
A dirigere la rivolta in cellulosa di Spartaco, troviamo il direttore editoriale Giovanni La Manna, la capo redattrice Tiziana Di Monaco, il direttore commerciale Pasquale De Polis.
Molti i titoli interessanti oltre quelli citati prima, fra questi ve ne dico uno che mi piace qui segnalare. E’ di un’autrice ingiustamente trascurata: Flora Tristan. Suo: “Scusate lo stile scucito. Lettere, scritti e diari (1835-1844)”, con introduzione, cura e traduzione di Lina Zecchi, 208 pagine, 12 euro.
Flora Tristan, è una “brillante cometa che ha tracciato nel firmamento dello spirito un solco profondo e luminoso come nessuna donna prima di lei". Secondo André Breton, questa è Flora Tristan, pioniera del femminismo e del socialismo utopico, il cui pensiero appassionato viene per la prima volta proposto in Italia in un’antologia che sintetizza tutta la sua produzione.
Fine del mio momento patriottico. Giuro: in questa Fiera non si ripeterà, nonostante occasioni ve ne siano perché di case editrici della Campania ce ne sono parecchie.


Più libri più Liberi (4)


Tra le tante presentazioni di novità editoriali, mi piace segnalare “H.P. L'ultimo autista di Lady Diana” di Beppe Sebaste edito dall’editrice Quiritta.
Libro singolare e di fine scrittura che trova tra i suoi più convinti sostenitori Carlo Lucarelli e Lidia Ravera.
Conosco da tempo Beppe e ne stimo la curiosità intellettuale, il nomadismo espressivo, la ricerca linguistica, l'impegno esercitato in modo accanito e mai pedante.
E' nato a Parma nel 1959 e vive tra quella città, Parigi e Pietrasanta. Dopo alcuni anni di poesia underground, ha pubblicato numerosi racconti e romanzi: poco più che ventenne “L'ultimo buco nell'acqua” (1983), poi “Café Suisse e altri luoghi di sosta” (1992) e “Niente di tutto questo mi appartiene” (1994), e ancora “Tolbiac” (2002).
Tra i suoi saggi: “Porte senza porta. Incontri con maestri contemporanei” e “Lettere e filosofia. Poetica dell'epistolarità”. Ha inoltre tradotto opere di Emmanuel Bove e Jean-Jacques Rousseau. Nel 2002, ha pure curato con Stefania Scateni il pamphlet “Non siamo in vendita”.
Gli ho chiesto di parlarmi di "H.P. L'ultimo autista di Lady Diana", e lui così mi ha risposto.
Questo mio più recente libro era in effetti quasi tutto già scritto alla fine del 1998, dopo che per un anno, a Parigi, forse per distrarmi da me, avevo fatto il detective e il biografo di Henri Paul, il capo della sicurezza del Ritz che guidava la Mercedes in cui morì Diana. Sentivo una forte empatia per quella persona normale che oltre a morire fu stritolata dai media, capro espiatorio di un evento spettacolare e mondiale... Avevo già voglia di raccontare vite normali, ordinarie, e di riflettere sull'ipocrisia della frase fatta: "vita privata": "privata" di cosa, mi chiedo. In realtà è un romanzo molto personale e autobiografico, è il mio romanzo requiem su Parigi. Come ha detto una mia amica, non potendo scagionare me stesso, ho scagionato lui, HP. La scrittura serve anche a questo, testimoniare: anche se nessuno, scriveva il poeta Paul Celan, testimonia per i testimoni...
E’ stato Emanuele Trevi a chiedermelo per Quiritta, e sono contento di averlo dato a un piccolo editore. Dopo anni di Feltrinelli e simili, mi sento davvero in pace a pubblicare con qualcuno che ama davvero la letteratura…


Più Libri più Liberi (3)


Richard Strauss, nella sua ultima opera “Capriccio” (1941), mette in scena il compositore Flamand e il poeta Olivier i quali si disputano i favori della contessa Madeleine ponendole la questione del primato fra due arti: musica e poesia.
In una composizione, è più importante la prima o la seconda?
Nella maliziosa gara che punta alle intimità della contessa, Strauss traveste una vertenza estetica da sempre motivo di polemiche tra compositori e poeti e alla quale si sono appassionati molti saggisti di ieri e di oggi.
Non so se ci fossero traguardi erotici nel convegno “L’anima dei poeti”, tenutosi a Sanremo durante la Rassegna della Canzone d’Autore 2003, ma di certo vi fu dibattito sull’incontro (e sullo scontro) fra i due linguaggi.
“L’anima dei poeti: quando la canzone incontra la letteratura” è il libro che contiene tutte le voci di quel convegno, più un testo inedito di Patti Smith: ‘Le nuvole di Sanremo’.
Inoltre, contributi di Roberto Vecchioni, Francesco Guccini, Sergio Endrigo, Fausto Cigliano, gli ex Stormy Six Umberto Fiori, Mino Di Martino e Franco Fabbri (oggi noto musicologo), di Gianni Mura, Sergio Staino, Giovanna Marini, Marco Paolini, Fernanda Pivano, Vincenzo Cerami… no! i nomi sono troppi e mi fermo esausto, mi perdonino quelli qui non citati. Ma ho ancora forze per ricordare i curatori Enrico de Angelis e Sergio Secondiano Sacchi.
Il merito della pubblicazione è della Editrice Zona guidata da Piero Cademartori e Silvia Tessitore.
Tra le giovani case, quest’Editrice va sempre più segnalandosi per diligenti scelte ed è presente con il suo valoroso catalogo a questa Fiera della piccola e media editoria che si sta svolgendo a Roma.
E poiché mi state richiedendo un bis, vi dico di un’altra pubblicazione musicale di Zona che, meglio chiarirlo, non edita solo volumi sulla musica ma molto altro, compresa (con generosa e spericolata politica aziendale) una collana di poesia. Circa questa collana: che gli dei proteggano (e perdonino) quei due editori.
Torniamo alla seconda segnalazione cui accennavo. Nella collana Aminoacidi diretta da Lorenzo Coveri, “Ivano Fossati. Una vita controvento” di Paolo Jachia, con interviste all'artista di Manuela Bisacca ed Enrico Deregibus
“E' proprio il linguaggio scabro e essenziale” – è detto in una presentazione – “quello che fa di Ivano Fossati un autentico artigiano della canzone: lavora per sottrazione, come i poeti della sua Liguria, come gli intagliatori d’olivo”
Due bei libri su musica e canzoni che non sono solo canzonette.
E poi, diceva Proust: “Non disprezzate le canzonette popolari perché si portano dietro la commozione, il dolore, la gioia che s’eternano nel cuore dell’uomo”.


Più Libri più Liberi (1)


Si è aperta ieri al palazzo dei Congressi Eur di Roma, la terza edizione di Più Libri più Liberi, Fiera nazionale della piccola e media editoria che si concluderà domenica 12 dicembre.
L’iniziativa è promossa e organizzata dall’Associazione Italiana Editori, dall’Assessorato alle politiche culturali del Comune di Roma in collaborazione con altri enti pubblici.
Lo slogan sotteso a questa terza edizione è – come si legge in un comunicato della Fiera – Salviamo le idee: una chiave di lettura della manifestazione che sintetizza l’obiettivo che gli organizzatori si prefiggono: raccontare, attraverso la presentazione dei prodotti editoriali e attraverso il confronto diretto tra autori e lettori, la fondamentale funzione, culturale ed economica, di questo settore, che incarna a tutti gli effetti il cruciale ruolo di officina culturale e laboratorio di sperimentazione di argomenti, voci e discipline.
Salviamo le idee mi pare slogan quanto mai opportuno e ben scelto nel grave momento che sta attraversando il mondo della comunicazione in Italia con censure e ostracismi che attentano proprio alla libertà di pensiero e, inoltre, con pesanti tagli governativi al finanziamento di mostre, festival, rassegne, condannate al ridimensionamento o alla chiusura.
Contemporaneamente s’assiste alla proposta (attraverso la radiotelevisione sia pubblica sia privata e molta grande editoria) di modelli di comportamento aberranti che incidono negativamente sull’etica sociale e sul consumo culturale.
Anche da qui la grande importanza che rivestono i piccoli e medi editori ai quali spetta il difficilissimo lavoro di rianimare una grande platea di lettori asfissiati dal grigio gas del conformismo e della volgarità correnti che ammorbano tanta parte della comunicazione in Italia. Impresa, però, non impossibile se si pensa che sono ben 1.759 imprese (rilevazione del 2003) che operano nel settore, con un totale di oltre 85.000 titoli in catalogo dei quali quasi 15.000 novità pubblicate nel solo anno prima citato.
Si renda perciò merito all’AIE per avere con sensibilità culturale e intelligenza manageriale promosso (e assai ben realizzata) questa iniziativa.


Più libri più liberi (2)


Nella precedente nota ho detto dei meriti dell’AIE, ed ora è ospite di Cosmotaxi proprio un dirigente dell’Associazione Italiana Editori: Giovanni Peresson, Responsabile dell’Ufficio Studi.
Mi piace ricordare che Peresson è curatore, de i "Quaderni" (e autore in essi di molteplici interventi), dell'AIE, agili monografie trimestrali che propongono indagini, ricerche di mercato, studi di settore, ampie panoramiche sulle tecnologie e sulla distribuzione; sono acquistabili (e sono imperdibili specie per gli addetti ai lavori) collegandosi a www.ibs.it.
A Giovanni Peresson, ho chiesto una definizione della piccola editoria e che cosa ne caratterizza il profilo culturale e aziendale. Così mi ha risposto:
Non disponiamo di un’unica e convincente definizione di cosa dobbiamo intendere per piccola editoria. Differenze profonde riguardano i parametri adottati nella definizione (fatturato, addetti, titoli pubblicati, area geografica di intervento…) ma anche il valore e significato ad essi di volta in volta attribuito.
I piccoli e medi editori che risultano maggiormente strutturati, pubblicando più di undici titoli all’anno (la continuità produttiva espressa dalle novità pubblicate è direttamente correlata alla consistenza e all’articolazione di un progetto e di un piano editoriale che si sviluppa nel tempo, a una direzione editoriale, a una struttura redazionale, a una rete di collaboratori, a rapporti continui con le aree della pre-stampa, stampa e post-stampa, a una distribuzione e presenza nei canali di vendita, ecc.), sono oggi 986.
In particolare ciò che caratterizza il piccolo editore è quello di proporre ai lettori e ai librai un progetto editoriale coerente nel tempo, caratterizzato da elementi di innovazione e di qualità: questo vale nella scelta degli autori, nei rapporti con gli autori stessi, con i traduttori, con la libreria.
Non esclude, certo, che il piccolo editore debba proporre uno o due titoli all’anno capaci di diventare dei bestseller da 10-15mila copie. Sempre però in una logica di coerenza con il progetto editoriale
.


Zanichelli ci vizia


Questa grande casa editrice, da tempo accanto a grandi opere destinate alla scuola, all’università, ai dizionari, agli atlanti, presenta testi dedicati alla ludolinguistica che sono una vera delizia. Come, ad esempio, il recente “Il dado e l’alfabeto” (320 pagine, 700 voci, oltre 300 illustrazioni, euro 24.80) di Giampaolo Dossena. Libro serio e briccone adatto sia a chi studia le sorprendenti epifanie nascoste fra le parole e sia a chi pratica trappole verbali, enigmistica, il gioco applicato alla linguistica. Se conoscete uno di loro, regalateglielo per le prossime feste, lo farete felice.
Ho chiesto a Paola De Sanctis Ricciardone – professore ordinario di Storia della Cultura Materiale presso l’Università degli Studi della Calabria – nonché foemina ludens e autrice di testi sull’antropologia del Gioco (cliccate sul link al suo nome che vi ho dato prima e troverete risposte di sapiente incrocio fra dottrina e divertimento) di commentare la figura di Dossena e questa sua recente fatica.
Ecco il responso, saggio e birichino, della Sibilla da me evocata.
Chiunque si occupi di giochi per studio o per sport prima o poi si imbatte in Giampaolo Dossena, nei suoi libri, nelle sue rubriche, nelle sue note colte e sfiziose che navigano da decenni in giornali e settimanali. Mai troppo però: talvolta si ha l'impressione che gli piaccia anche giocare a nascondino. I lettori del Linus primordiale degli anni '60 lo ricorderanno in quella rubrica "I Wutki" curata da Sergio Morando. Una rubrica su giochi vari, ma soprattutto di parole, aperta al contributo dei lettori, i quali potevano creare componimenti astrusi - per i profani - e mettere in moto ogni sorta di creatività con Limericks, Haiku, Logogrifi, Tmesi ed altre diavolerie. Da allora Dossena compare e scompare a sorpresa in numerosi altri giornali e riviste come "Espresso", "La Stampa", "Il Venerdì di Repubblica", "Tuttolibri", "Il Sole 24 ore", "Ludica". E' una faticaccia per chi tende, come me, a sviluppare una certa dipendenza dalle sue rubriche. Fortunatamente ogni tanto arriva una dose di Dossena in formato libro che placa per un po' la sindrome d'astinenza (per fare qualche esempio, Garibaldi fu ferito, Il Mulino 1991; Storia Confidenziale della letteratura Italiana, 4 voll. Rizzoli 1987-1994; Enciclopedia dei giochi, 3 voll. Utet 1999). Ora è uscito “Il Dado e l'Alfabeto”, Nuovo Dizionario dei Giochi con le Parole. Uno strumento per iniziati e non iniziati, che ha molto a che fare con il gioco ma ancor più con la letteratura, la metrica, la retorica e con tutte quelle malattie genetiche della langue di cui la parole è portatrice sana. Si può scoprire infatti cosa sia una Metatesi o un Leporeambo e farne di propri; ma si possono anche usare le loro regole come chiavi per "scassinare" classici, da Dante Alighieri a D'Annunzio, mappare il genoma di poesie dai segreti insospettabili, scoprire ribaldissimi significati in componimenti dall'aria innocente: insomma entrare nel Paese delle Meraviglie senza farvi spaesare troppo da quel burlone di Lewis Carroll.
Un regalino ai lettori, tanto per non passare per enologi astemi, ludologi non giocanti, ed altri fantasmi dosseniani. Ecco qui un bel giochetto tratto dalla voce "Tmesi sintattica" di Dossena (Berlusconi l'ho aggiunto io). La chiave per scassinare il componimento è il taglio orizzontale, leggetelo come una torta a strati, diciamo cioccolato e panna, ma la panna non vi piace e la buttate via:

L'On. Berlusconi può definirsi un por-
tento di abilità oltre che un uomo politi-
co di prim'ordine. Meriterebbe di essere de-
cantato con rime sacre, come ad altri è già
capitato. Meriterebbe un monumento di ster-
minata mole, che delle sue gesta desse l'e-
co indistruttibile nei secoli, sì che il fe-
lice amato nome di questo celebre legisla-
tore giungesse fino ai nostri lontani nipoti. Scor-
giamo in lui l'uomo saggio e perciò lo sor-
reggiamo con tutte le nostre forze nel mu-
tevole clamore della folla; levando un applau-
so a lui e al suo governo
.



Luca, Werner e gli altri


Il Laboratorio Nove, Centro di produzione e didattica teatrale, diretto da Silvano Panichi, si è conquistato negli anni passati uno spazio importante tra le strutture teatrali che si occupano di nuovo teatro. I suoi lavori su Sarah Kane, Mark Ravenhill, Sergi Belbel, Michel Tremblay, lo hanno fatto conoscere fino a vederlo aureolato nel 1999 con il prestigioso Premio Ubu.
Ora, in collaborazione con il Teatro della Limonaia, guidato da Barbara Nativi, Lab 9 presenta: “Fine” spettacolo che include il testo “Le presidentesse” di Werner Schwab.
In scena: Angela Antonini, Simona Arrighi, Sandra Garuglieri, Francesco Masi.
La regìa è stata affidata a Luca Camilletti, che firma anche le scene e la colonna sonora. Camilletti, componente del gruppo Kinkaleri, è artista dal percorso poliedrico, infatti, attraversa la nuova drammaturgia, la performance, il teatro-danza, il video.
"Fine" è in scena fino al 12 dicembre.
Nota storica turistico-teatrale: il Teatro della Limonaia è uno spazio collocato all'interno di Villa Corsi Salviati nel Comune di Sesto Fiorentino, una delle cittadine che costituiscono le periferie colte della città di Firenze. L'antica serra per i limoni divenne un teatro nel 1987.


Un capolavoro a 3 euro


Tanto costa I vecchi invisibili di Valentino Bompiani pubblicato da nottetempo.
Bompiani, oltre ad essere il celebre editore, è stato un raffinatissimo scrittore, ricordo “Il mestiere di editore”, “Via privata”.
Il suo motto d’editore era: “Scegli un autore dieci anni prima di quando avrà fortuna”.
Il suo motto d’intellettuale: “Non vendere ideologie a nessuno, mai”.
I vecchi invisibili è un polittico di scritti sulla senilità, sull’invisibilità alla quale sono condannati i vecchi. Una scrittura, nitida, elegante, che riflette un sentimento della vita forte e pudico, tanto radicato nella dolenzìa esistenziale da non esibirla mai.
Le pagine trascorrono con la velocità di un aforisma, la calma della meditazione, lo scatto umoristico: “La vecchiaia è la scoperta del provvisorio” … “Il corpo, la materia si fanno fatiscenti e dietro quelle ombre c’è il vuoto, un buco nella terra per qualcosa che germinerà, nascosta ai nostri occhi pieni di ieri”… “ Occupare lo spazio della vecchiaia con programmi, gite, iniziative, distrazioni, che lo frammentano vuol dire trasformarlo in una collezione di farfalle. Morte. Perché sia libero, disponibile e vivo il tempo va svuotato, ripulito dalle incrostazioni, dalle abitudini, e anche dalle opinioni, come dalla prudenza e dalla paura ”… “ In una sala d’aspetto, entra una ragazza che cerca qualcuno. Fa il giro con gli occhi e quando arriva a te ti salta come un paracarro. La vecchiaia comincia allora”.
Leggetelo questo prezioso librino, non v’attrezzerà a vivere o ad affrontare meglio la vecchiaia (per quello, ognuno deve ingegnarsi da solo), ma darà strumenti per capire un’età degli umani. E vi rivelerà uno scrittore autentico. Che ha dedicato la vita a pubblicare altri scrittori.


Duelli di forchette


Siamo nel periodo in cui s’affacciano in libreria le nuove edizioni delle guide enogastronomiche.
Di quale fidarsi di più? Prosegue la piccola inchiesta di Cosmotaxi fra i palati fini.
Pongo loro due domande in una: "Qual è, se c'è, una Guida della quale ti fidi? Qual è il peggior difetto nella gestione della ristorazione in Italia?"
Oggi è la volta di Pinotto Fava, esperto di mixed media, autore di programmi radiofonici, è stato responsabile della programmazione di ricerca per la Rai e della rassegna internazionale "Audiobox" cui hanno partecipato artisti, sia del suono sia dell'immagine, di mezzo mondo e anche dell’altro mezzo. Ecco la sua risposta.
Quale Guida? Ad occhi chiusi, nessuna. (Occhio, ragazzi). O molte - tutte proprio no, ce ne sono di spregevoli -, ma con un approccio prudente, vigile, critico, mobile. A prima vista più scientifica nella struttura, nella grafica e nel definire i punteggi appare quella del “Gambero Rosso”, con il vantaggio inoltre di considerare anche i wine bar, gli esotici, eccetera. Ma nel complesso meno rigida, più calda, meno sussiegosa e più intrigante è la “Guida dell'Espresso”. Certo, può suscitare perplessità dare voti soltanto alla cucina, lasciando alla libertà del fruitore, doverosamente informato, il giudizio su tutto il resto: bevande, ambiente, servizio. Ma è grande merito, specie in tempi di economia disastrata, considerare con vivace serietà ‘il rapporto prezzo-piacere’, che è qualcosa di più e di diverso rispetto al generico rapporto ‘prezzo-qualità’. Ed anche quello di mettere in guardia dai luoghi in cui "si cercano sbocchi e rimedi in formule stravaganti e improbabili, mutuate da esperienze e modelli estranei alla nostra cultura".
Circa i difetti nella gestione della ristorazione in Italia, mi prendo la libertà di indicarne un paio. Il primo è la sciatteria, la frenesia, la cafoneria del servizio nelle grandi città, anche del più acculturato centro-nord, in quelle metropoli dove tra l'altro si mangia peggio (e magari si perpetua la tassa "coperto e servizio") rispetto ai villani della provincia da cui viene il meglio e l'eccellenza. L'altro è la perdurante benché attenuata abitudine, quasi esclusivamente al sud, di non fornire i ménu anche in locali storici e supponenti, imponendo un frettoloso prologo informativo falsamente cordiale e costringendo ad un faticoso, improduttivo o addirittura fuorviante gioco di memoria. E' questo uno dei momenti in cui si impone la superiorità della scrittura, lasciando il piacere dell'oralità a chi sta a tavola
.


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