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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Booksparty 2.0


Un anno fa, giorno più giorno meno, annunciai in queste pagine la nascita di una WebTv tutta dedicata ai libri.

Alessandra Casella365 giorni di lavoro e di successi portano al festeggiamento del primo compleanno di BooksWeb.tv diretta da Alessandra Casella (in foto).

Dov’è la festa? E quando?
Martedì 2 dicembre, ore 19:30, allo Spazio Tadini, Via Jommelli 24, Milano.
Non mancheranno sorprese letterarie e letterali nonché ospiti letterati e illetterati.
Tra le iniziative sarà proiettato in anteprima il film: Delitto e Casting – Tanti baci da Serena, il primo web-film, girato interamente a distanza, attraverso internet, utilizzando webcam e interpretato dai blogger e da tanti cattivi soggetti del popolo della Rete.
Ideatore e regista dell’impresa: Antonio Zoppetti detto Zop.
Il film andrà on-line su BooksWeb.tv a partire dal 3 dicembre.

Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web, l’Ufficio Stampa è guidato da Giulia Masperi; tel: 02 – 86 45 21 01 e 339 – 38 47 775; mail: giulia.masperi@press-office.org

L'ingresso è gratuito, il buffet pure.


Labirinti di gusto


Stimo la casa editrice Dedalo perché i suoi libri hanno sempre grande puntualità sui dibattiti culturali in corso come testimonia la pubblicazione di questo Labirinti di gusto Dalla cucina degli dèi all’hamburger di McDonald che interviene sull’alimentazione e i suoi problemi d’oggi, sul cibo e i suoi significati simbolici attraverso varie epoche.
Mi trovo, in verità, lontano, da parecchie convinzioni espresse nel volume, ma contiene un lavoro elogiabile per ricchezza intellettuale e grande documentazione che ben dimostra la serietà della ricerca.

L’autrice è Chiara Platania. Dottore di ricerca in Profili della cittadinanza nella costruzione dell’Europa e svolge attività presso il Centro Fernand Braudel dell’Università di Catania, studia il rapporto tra alimentazione e culture mediterranee. Ha collaborato al progetto internazionale ‘Ethical Traceabilitity and Informed Choice in Food Ethics’ su sicurezza alimentare e Ogm.

Come riassume il quarto di copertina, Platania ritiene che “oggi scivoliamo, quasi senza accorgersene, verso una vera e propria deprivazione sensoriale, particolarmente evidente nell’impoverimento dei sapori e nella standardizzazione del gusto”. Francamente, penso che questa, invece, sia un’epoca quanto mai felice nella ricerca e nella realizzazione di una molteplicità di emozioni sensoriali a tavola. Certo, McDonald è ben escluso da possibili godimenti, ma non mi pare trascurabile il lavoro in Italia e all’estero di tanti chef dell’alta ristorazione.
“Se il pensiero dei greci si è espresso nell’equilibrio del simposio e la modernità è transitata da un fast food, quale sarà il cibo del post-umano?” è detto nell’Introduzione.
Temere il futuro, si sa, è una facile tentazione cui pochi resistono.
Pensare che il cibo futuro sia fatto di pillole voluttuosamente ingerite da cyborg, a mio avviso, è cosa deliziosamente innocente.

A Chiara Platania, ho chiesto: qual è il principale obiettivo che ti sei proposta nello scrivere questo libro?

Credo che, per comprendere le trasformazioni dell’epoca della globalizzazione e delle manipolazioni genetiche, sia essenziale guardare al millenario racconto della storia dell’alimentazione e della costruzione sociale delle pratiche alimentari. Se “l’uomo è ciò che mangia”, dobbiamo guardare meglio cosa c’è nel piatto e con quali percorsi è giunto.

La globalizzazione ha comportato anche uno scambio fra i popoli della conoscenza di cucine e sapori, una fusione di tecniche, un melting pot di gusti. Come giudichi questa contaminazione?

Per secoli, la storia dell’alimentazione è stata una storia di scambi e contaminazioni culturali; cibi e tecniche gastronomiche si sono diffusi scontrandosi spesso con resistenze culturali e precetti religiosi. La definizione di “paradosso dell’onnivoro”, ovvero la contraddizione tra il desiderio di varietà alimentare e la paura del cibo sconosciuto, tra la curiosità verso sapori nuovi e la costruzione sociale di ciò che è “culturalmente commestibile”, rende bene l’idea dei lunghi e variegati percorsi alimentari: dal “viaggio” della melanzana, originaria dell’India e diffusa dagli arabi in tutta l’area del Mediterraneo, in cui è ancora oggi ingrediente fondamentale delle gastronomie locali, all’arrivo dal nuovo mondo americano del pomodoro, del mais e della patata, per secoli considerata cibo per i porci o per i poveri, prima di superare ogni barriera sociale; dalla diffusione di prodotti della cucina ebraica, dalla cotognata al fois gras d’oca, nonostante la rigida distinzione medievale tra mercati cittadini e mercato del ghetto, alla straordinaria invenzione di pasticci, pastelos, altocreas, torte, empanadas, che si affermarono sia nella gastronomia popolare che in quella di corte, fino alla “follia delle spezie” che pervase per secoli la gastronomia europea, condizionando gli scambi commerciali. Oggi, lo scambio tra le culture è stato soppiantato da un modello alimentare globale, fondato sull’industrializzazione e la standardizzazione dei cibi su scala planetaria, che ha come conseguenza la perdita delle tradizioni gastronomiche e l’impoverimento del gusto. Mentre il costo di un Big Mac viene assunto come indicatore economico su scala mondiale, persino il cibo che trasmetteva i sapori di suq profumati di spezie e piazze colorate di bancarelle, dai falafel alla pizza, dal kebab alle tapas, dal dim sum ai samosa, assomiglia sempre di più al modello del fast food e si trasforma in uno street food che ha sempre lo stesso gusto insapore in ogni parte del mondo.

Qual è il tuo giudizio sulla ristorazione italiana? il suo maggiore pregio ed il suo peggiore difetto…

Apprezzo il tentativo di recuperare e innovare ricette e sapori delle tradizioni gastronomiche regionali e di valorizzare i prodotti del territorio. Credo, però, che soffriamo della mancanza, con poche eccezioni, di un livello intermedio tra l’alta cucina e le trattorie.

Per una scheda sul libro con l’Indice e un brano del volume: QUI.

Chiara Platania
“Labirinti di gusto”
Prefazione di Pietro Barcellona
Pagine 194, Euro 15:00
Edizioni Dedalo


Spatola, vent'anni dopo


Conobbi Adriano Spatola nella sua casa a Mulino di Bazzano. Aveva trovato un finanziatore di uno spettacolo fra teatro e poesia di cui voleva fossi il regista, poi l’improvvisato impresario poco dopo si tirò indietro e la cosa fallì. Quando succedono queste cose e ci hai rimesso del tempo e un po’ di lavoro, di solito, ci si lascia male. Non fu così con Adriano, simpatizzammo più di prima, e gli proposi a mia volta di realizzare una performance a Radiorai (l’antenna pubblica allora era una cosa seria e robe così potevano essere fatte) per il programma di sperimentazioni sonore “Fonosfera” che allora Pinotto Fava ed io dirigevamo.
Venne a Roma, quella cosa fu realizzata in pochi giorni, parlammo pochissimo di letteratura, molto di vino e ancora di più ne bevemmo.
Ci siamo incontrati ancora un paio di volte attraverso complicati appuntamenti festeggiati con allegria e, doverosamente, con buone bottiglie.
Un giorno seppi che se n’era andato.
Adriano SpatolaGiorni fa, ho ricevuto una mail inviata agli amici d’Adriano da Gian Paolo Guerini che è stato mio gradito ospite su questo sito; per leggere e ascoltare QUI.

Ecco la mail che ho ricevuto.

Cari amici,

Elio Grasso mi ricorda che il 23 novembre sono 20 anni che Adriano Spatola ci ha lasciati.
Grazie alla cortese disponibilità del fratello, Maurizio Spatola , vogliamo ricordarlo con la possibilità di rileggere L'ebreo negro, seguito dall'intervento nel libro "Il movimento della poesia italiana negli anni sessanta", curato da Tomaso Kemeny e Cesare Viviani.

Vi comunico anche che la Biblioteca Poletti di Modena dedica ad Adriano Spatola (1941-1988) l'undicesima mostra della rassegna In forma di libro, per rendere omaggio alla figura e all'opera di uno dei protagonisti della Neoavanguardia italiana, a vent'anni dalla scomparsa.
Poeta, artista, performer e animatore culturale, Spatola si dedicò ad una continua sperimentazione sulla parola che lo portò alla formulazione del concetto di poesia “totale” intesa come fatto artistico visivo, sonoro e gestuale. Con la sua attività di editore e di promotore di riviste fu capace di attivare un circuito di importanti collaborazioni di livello nazionale ed internazionale con i maggiori esponenti delle avanguardie letterarie ed artistiche degli anni Sessanta del secolo scorso. Modena ha rappresentato un luogo privilegiato di ricerca e sperimentazione nel periodo 1965 - 1985, anche grazie al lungo sodalizio tra Spatola e i principali artisti della città che si è tradotto in importanti iniziative editoriali, mostre, eventi e performances.

“In forma di libro”
I libri di Adriano Spatola dal 30 novembre 2008 al 28 febbraio 2009
Inaugurazione domenica 30 novembre, ore 11:00 con Julien Blaine, Giuliano Della Casa, Giulia Niccolai, Paul Vangelisti.
Mostra e catalogo a cura di Giovanni Fontana.

Ingresso libero.


La bambina pericolosa


Non è facile trovare una scrittrice o uno scrittore che accettino un’intervista ‘contro’.
E’ necessario, infatti, che siano dotati di una buona dose di spirito (roba spesso carente nella categoria) e, quindi, non temano domande un po’ birbone.
Silvana La Spina - lungo il suo curriculum letterario che vanta anche premi prestigiosi come il Grinzane – è una tipa tosta disposta al divertimento condotto con piglio battagliero.
Il suo più recente lavoro (ma spero, per lei, anche ozio) letterario è un giallo intitolato La bambina pericolosa, edito da Mondadori.

Foto e bio dell’autrice: QUI.

A Silvana La Spina, ho chiesto: in Italia credo che il cospicuo numero degli scrittori di gialli e noir superi ormai quello degli evasori fiscali. Qual è il motivo che secondo te ha determinato questa moda letteraria?

Perchè tanti giallisti? Perchè quando la moda va tutti si accodano.
Per quanto mi riguarda ho iniziato con un giallo nell'87, 'Morte a Palermo' dove il protagonista era addirittura Borges, ma ho poi preso altre strade, anzi ho scritto grandi romanzi storico-surreali.
Inoltre, credo che il cosiddetto giallo non sia soltanto una moda ma piuttosto sta diventando l'ultimo modo di raccontare una storia, forse perchè dentro contiene di per sé la suspence, quindi il lettore non deve fare fatica, sa già che la troverà.
In ogni caso il giallo ha preso una strada plateale perchè ormai è scomparsa la critica, quella vera, quella che stabiliva chi era autore vero e chi no, l'unico criterio era il risultato, ossia il prodotto, la gradevolezza del prodotto; credo sia già successo questo, in passato, nell'Ottocento inglese, per esempio, e come sempre è sintomo di una società che sta cambiando, che ha paura e quindi vuole avere altra paura, altri stimoli per non pensare - altro non so
.

In questo scenario, provocatoriamente chiedo: dimmi il principale motivo che dovrebbe spingere i lettori ad acquistare questo suo recente titolo.

Perchè ha un personaggio preciso: una donna sbirro, in apparenza forte decisa, che parla come un camionista, ma che al fondo ha paura degli uomini, perchè alle spalle ha un matrimonio che l'ha distrutta. Quindi piacerà alle donne poiché mostra come si possa uscire dai rapporti disastrosi, e piacerà agli uomini perchè c'è tutto: la visione sciasciana della società, il giudizio sul mondo, su Catania, sul disastro del Sud, ma espresso da una donna che si incazza su tutto.
Perchè è anche un romanzo divertente, ci sono dialoghi brillanti, sull'amore, sugli uomini, sulla follia femminile e maschile. E infine perchè intriga: ci sono vecchi rituali magici, bambini morti scannati, vecchi nazisti, baroni traditori, e l'Etna col suo bagaglio di misteri - come la 'trovatura': chi vuole trovare un vecchio tesoro deve uccidere un bambino - anzi sgozzarlo
.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Silvana La Spina
“La bambina pericolosa”
Pagine 334, Euro 18:00
Mondadori


La Rampina


Anni fa, grazie a Mauro Pedretti che alle doti di scrittore e performer accoppia quelle di gourmet, conobbi il ristorante La Rampina.
Fu una felice serata di gran gusto, ma, talvolta (e, purtroppo, non di rado) accade che nella ristorazione – non soltanto in quella italiana – i locali nel tempo, pur con la stessa gestione, conoscano qualche flessione.
Un interno alla RampinaSere fa, a Milano, invece, tornato a La Rampina l’ho ritrovata nella stessa maiuscola versione di cui avevo ricordo.
Novità (per me), ora accanto c’è un’osteria omonima che propone, rispetto al ristorante in piena attività, un menu di territorio dalla composizione più rapida ma non frettolosa, una lista di vini meno ampia, ma di tutto rispetto per qualità e lodevoli ricarichi.
Il locale deve il nome all’antica posteria di un cinquecentesco cascinale lungo la via Emilia di cui conserva memoria ancora oggi nell'architettura propria delle locande con stallazzo. L'edificio, infatti, è tuttora conservato nelle sue caratteristiche originarie, valorizzate da un sapiente recupero degli spazi. Le ampie e antiche sale, si affacciano su una suggestiva corte interna, che si trasforma in un bel giardino nel periodo primavera estate e, durante il periodo invernale, si può pranzare anche davanti ad un monumentale camino.
Dal 1973 la Rampina è gestita dai fratelli Gagliardi.
In sala - al Ristorante e all'Osteria - si è accolti da Angelo Gagliardi che con appassionata competenza guiderà le vostre scelte attraverso le opportunità offerte dalla stagione perché alla Rampina il menu è ragionato in relazione ai mesi dell’anno.
Guida una piccola e affiatata brigata di cucina l’eccellente chef Lino Gagliardi che riesce a coniugare tradizione e innovazione; difficile compito, concettuale e tecnico, risolto come meglio non si potrebbe dagli antipasti (salumi e formaggi da elogio) al dolce (non lasciatevi sfuggire – scrivo il nome che segue non senza ansietà ortografiche – ruminasa (?), ma don’t panic please, lì vi sapranno dire la dizione esatta.

Sito web: rampina.it
Consigliabile la prenotazione.

“La Rampina”
S. Giuliano Milanese
Mail: rampina@rampina.it
Tel: 02 – 98 33 273
Chiuso il Mercoledì


La lettera


Ai molti, ai tanti, ai troppi scrittori nostrani di noir, per scoraggiarli dal loro nefasto impegno andrebbe imposto di leggere un breve racconto di W. Somerset Maugham (1874 - 1965): La lettera che Adelphi ha mandato in libreria di recente.
Un’azione di grande semplicità, personaggi scolpiti con maestrìa, finale che più noir non si può.
W. Somerset Maugham scrisse questo piccolo gioiello nel 1926, l’anno successivo ne stese l’adattamento teatrale.
Da questo lavoro sono stati tratti ben cinque film.
Il più famoso, “Ombre malesi” fu diretto nel 1941 da William Wyler; ricevette sette candidature all’Oscar tra le quali quello per la migliore attrice protagonista, Bette Davis che durante le riprese ebbe aspri scontri con il regista.
Alla pellicola la Warner Bros impose, secondo il dettato del codice Hays di autocensura un doppio finale affinché il Male uscisse sconfitto.
Troppo apparve, agli occhi dei censori, l’enormità dell’accaduto nella storia, troppa la crudeltà, troppi gli inganni di cui è capace l'animo umano.
Ancora oggi, La lettera di Maugham , a oltre ottant'anni da quando nacque, resta un capolavoro.

Per una scheda sul libro e gli altri titoli di Maugham pubblicati da Adelphi: QUI.

W. Somerset Maugham
“La lettera”
Traduzione di Franco Salvatorelli
Pagine 69, Euro 5:50
Adelphi


In che senso?


E’ da poco nelle librerie In che senso? il primo videolibro sulle relazioni pubbliche, realizzato da Toni Muzi Falconi – docente alla New York University, alla Lumsa di Roma e senior counsel di Methodos – in collaborazione con Chiara Valentini ricercatrice e studiosa di relazioni pubbliche e comunicazione sui media presso l’istituto di ricerca Media Tenor di Zurigo e Fabio Ventoruzzo, professionista e vice direttore di “Relazioni Pubbliche”.
La pubblicazione s’avvale del patrocinio della Ferpi e dell'Assorel.
L’opera – edita da Luca Sossella – è organizzata in tre dvd da tre ore ciascuno: un ciclo di sei incontri (le riprese si sono svolte alla Casa del cinema di Roma), che raccontano il senso delle relazioni pubbliche nella nostra società attraverso dialoghi con sei testimoni di diversa provenienza professionale (Chicco Testa, Furio Garbagnati, Paolo Iammatteo, Anna Martina, Stefania Romenti, Giampaolo Azzoni) e la partecipazione, per ogni sessione, di una ventina di professionisti e studiosi presenti in sala.

Per un trailer QUI .

Ho proposto alcune domande a Toni Muzi Falconi cominciando col chiedergli a beneficio dei non addetti ai lavori: qual è la differenza fra un addetto alle PR e un pubblicitario?

Il pubblicitario assiste il suo cliente/datore di lavoro nel rafforzare l’immagine della marca, normalmente presso i pubblici finali (consumatori, utilizzatori, elettori…) creando messaggi distribuiti unilateralmente attraverso l’acquisto esplicito e trasparente di spazi/tempi al fine di persuadere il ricevente a modificare i propri comportamenti (rispettivamente di acquisto, di uso o di voto).
Il relatore pubblico (e non pubblico relatore…che rappresenta solo una cattiva traduzione dall’inglese), assiste il suo cliente/datore di lavoro nel creare, sviluppare e consolidare i diversi sistemi di relazione che una organizzazione normalmente intrattiene con pubblici specifici (azionisti, collaboratori, decisori pubblici, giornalisti, fornitori, distributori, sindacati, leader di opinione…) che possono accelerare o rallentare il raggiungimento degli obiettivi da questa perseguiti
.

E la differenza fra un relatore pubblico e un giornalista?

Il giornalista osserva la realtà dei fatti e degli avvenimenti che accadono ogni giorno nella società, li racconta e li interpreta tenendo conto degli interessi e delle aspettative degli utenti del canale specifico utilizzato (stampa/radio/video/internet utenti).
Il relatore pubblico, fra i diversi pubblici influenti dell’organizzazione di cui rappresenta gli interessi, crea, sviluppa e consolida relazioni anche con i giornalisti, creando attraenti contenuti argomentativi attinenti all’organizzazione e agli obiettivi che questa persegue, affinché il giornalista voglia/possa tenerne conto nello svolgimento suo lavoro
.

In che cosa, nei più recenti anni, i nuovi media hanno principalmente cambiato il mondo della comunicazione?

Hanno messo a disposizione di ogni singola persona strumenti, competenze e canali di auto espressione universale disintermediando, di fatto, almeno in parte, sia i giornalisti che i relatori pubblici.

In che senso? – come dicevo in apertura di questa nota – è il primo videolibro sulle relazioni pubbliche. Che cosa ti ha spinto a varare quest’impresa?

Le relazioni pubbliche sono ormai diventate una attività pervasiva che impatta ogni giorno di più sulle opinioni e sui comportamenti dei singoli, senza che questi se ne rendano pienamente conto. Praticamente l’80% delle informazioni che acquisiamo ogni giorno dal sistema dei media, o dal nostro vicino di casa, o dal nostro collega, provengono come fonte primaria dai relatori pubblici delle organizzazioni.
Per capire meglio il mondo in cui viviamo è necessario essere consapevoli di questa attività che, solo in Italia, impegna ormai 100 mila addetti, mentre migliaia di giovani affollano le nostre aule universitarie per intraprendere la professione.
E’ un fenomeno che va compreso non solo dagli stessi professionisti e dagli studenti, entrambi scarsamente consapevoli delle conseguenze della scelta che hanno compiuto, ma soprattutto dalle persone normali, affinché si rendano protagoniste attive e non passive della formazione delle rispettive opinioni e comportamenti
.

Per una scheda editoriale: CLIC !

“In che senso?”
Che cosa sono le relazioni pubbliche
un libro di 224 pagine e 3 dvd, 35:00 euro
Luca Sossella Editore


Strategie comunicative


Nuove tecnologie e ricerca sociale, trasformazioni dei linguaggi, rinnovamento dei codici della multimedialità, cambiamenti socio-culturali, evoluzione dei linguaggi artistici, tutti argomenti che, guidati da Alberto Abruzzese, sono studiati alla Facoltà di Scienze della Comunicazione e dello Spettacolo dell’Università Iulm di Milano.
Alberto AbruzzeseEd è proprio su questi tracciati che è stato organizzato un ciclo – coordinato dallo stesso Abruzzese (in foto) e da Nello Barile – di incontri applicati alle strategie e alle metodologie d’analisi della comunicazione delle grandi imprese internazionali.

Il primo degli incontri è stato dedicato allo studio del riposizionamento strategico di Petrobras da impresa produttrice di petrolio ad impresa leader del settore energetico.

Alberto Abruzzese così mi ha detto sulla finalità di questa serie d'incontri.

Poiché lo Iulm s’occupa di comunicazione - dal marketing al turismo, dai beni culturali ai media - m’interessa molto avere una rassegna delle strategie della comunicazione da parte delle grandi imprese. Perché stiamo attraversando una fase assai interessante di passaggio dai media tradizionali e generalisti (si pensi alla pubblicità tv) ai nuovi media e, sostanzialmente, a quelli che vivono nell’area del web 2.0 (dai blog a You Tube, per capirci) vale a dire a una forma di comunicazione radicalmente diversa. Accanto a tutto questo, comunque, s’è sviluppato anche il passaggio dalla strategia spettacolare delle sponsorizzazioni alla costruzione di eventi basati sull’identità di marchio delle grandi imprese. Questo passaggio è bene osservarlo con attenzione per verificare quanto davvero la grande impresa sia convinta a rinnovare i contenuti e le risorse necessarie su questi nuovi tracciati.

Il prossimo incontro, lunedì 24 novembre, vedrà alla ribalta l’Eni.
Protagonisti: Enrico Romagna Manoja (Direttore, Il Mondo), Gianni Di Giovanni (Responsabile comunicazione esterna Eni), Paolo Del Debbio (IULM).


Identità catodiche


La casa editrice Meltemi ha mandato in libreria un nuovo lavoro di Piero Vereni. Antropologo, ricercatore all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, ha condotto ricerche sul campo lungo i confini tra Macedonia occidentale greca e Repubblica di Macedonia, tra Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda, lavorando sui processi di formazione delle identità etniche e nazionali. Ha avuto incarichi di ricerca e insegnamento a Belfast, Venezia, Lubiana, Roma, Napoli, Arcavacata di Rende, Firenze e Teramo.
Tra le sue recenti pubblicazioni: Vite di confine (2004).
Conduce in Rete un suo Blog.
Il recente volume ha per titolo: Identità catodiche rappresentazioni mediatiche di appartenenze collettive.
Si tratta di un’ampia riflessione sull’antropologia dei media, sulla capacità che hanno questi di formare e deformare immagini reali portandoli nei territori – raramente innocenti – di un immaginario al servizio del voto e del vuoto.

A Piero Vereni ho chiesto: quale la principale motivazione che ti ha spinto a scrivere questo volume?

Potrei dire che una delle ragioni forti che mi ha spinto a occuparmi di antropologia dei media è la vocazione non elitaria dell’antropologia culturale, che vedo invece tradita in certe riflessioni sul rapporto tra cultura di massa e cultura popolare. Da quando la cultura di massa è tale, cioè da quando ha assunto una diffusione capillare la televisione, si è attirata l’attenzione per me eccessivamente critica di una certa intellighenzia (equamente ripartita politicamente, direi), più interessata a lanciare critiche spesso furibonde che non a lanciare sguardi cercando di capire. La disciplina da cui provengo ha sempre avuto una tendenza a occuparsi di ciò che è da un lato marginale e poco “elevato” (proverbi, fiabe, mottetti), dall’altro strano, moralmente dubbio o del tutto deprecabile (incesto, scarificazioni sacrificali, cannibalismo). Mi pare che la televisione (e i mass media in generale), con il suo essere necessariamente “volgare” (pena l’invisibilità) e sempre più “indecente”, incarni il perfetto oggetto di ricerca antropologico. E poi mi stanno d’istinto simpatici i reietti, e certo la televisione è la patria dei reietti, oggi, schifati da tutti i “colti”.

La distorsione d’immagine sociale di personaggi, popoli e territori operata dalla tv è cosa che dà ragione agli strali di Popper contro la televisione oppure no?

In parte sì, è ovvio. La televisione è grossolana, maleducata per forza, nella sua vocazione di farci vedere le cose somiglia più a un Circo Barnum che a qualche asettico Museo, e quindi il modo in cui rappresenta le identità non può che essere sfarzoso, sensuale e ridicolo. Ma io credo che questa sia, sempre di più, la forma generale delle appartenenze oggi, e non ha senso criticare la televisione se fa il suo mestiere, riflette cioè il modo in cui concepiamo le nostre identità collettive. Ma resta un luogo importante da studiare, e ancora sappiamo molto poco sugli effetti reali della TV, troppo preoccupati di deprecarli.

Per una scheda sul libro: QUI.

Piero Vereni
“Identità catodiche”
Pagine 168, Euro 17:00
Meltemi


Una polemica circa RV


Dopo la pubblicazione dello 'special' che ho dedicato a "Rinascimento Virtuale”, c’è stata una richiesta di rettifica di Mario Gerosa diretta a Domenico Quaranta e per conoscenza a me.
Poiché un mestiere che non mi piace praticare è quello dell’arbitro, o del reporter neutrale (professione questa inesistente), mi va di dire che, con tutta la stima verso Domenico, condivido quanto sostenuto da Mario.

Buongiorno Domenico,

ho riletto con attenzione lo speciale su Rinascimento virtuale pubblicato su Cosmotaxi.
Trovo offensiva e per certi aspetti diffamatoria - nei miei confronti e in quelli delle persone che ho invitato a esporre nella mostra - la tua frase in cui si parla dei pittori prediletti da Hitler.
Cito dall'intervista: "Le poche emergenze positive (Stampone, Kligerman, Babeli, Cadioli) escono straziate dal confronto con le brutture patinate di Avatrait, come Otto Dix soccombe a Arno Breker. Nessun paragone con le strategie culturali di Hitler, ovviamente: ma mi sembra di essere tornato ai tempi in cui fare un quadro piacevole significava essere un artista".

Per tale motivo, ritengo che sarebbe opportuna innanzitutto una rettifica nell'ambito dello speciale stesso.

Cordiali saluti.
Mario Gerosa


Da Domenico Quaranta è pervenuta questa risposta.

Caro Mario,

ieri non ho risposto al tuo SMS perché ho pensato che avresti avuto modo di rileggerti meglio l'intervista. Ma visto che continui a parlare di "offesa" e "diffamazione", cercherò di spiegare quello che mi sembra evidente. In primo luogo, sono persona troppo educata per offendere intenzionalmente una persona che ritengo amica. In secondo
luogo, ritengo che il diritto di critica abbia lo stesso valore, e possa concedersi le stesse licenze, del diritto di celebrazione e di lode sperticata. Quando hai scelto il nome "Rinascimento virtuale", ti sei chiesto se Michelangelo si sarebbe sentito offeso nell'essere in qualche modo affiancato a Moya?
Ma siccome il diritto di critica non me lo hai mai negato, anzi mi hai invitato più volte ad esercitarlo, immagino che non sia quello il tuo problema. Probabilmente, dipende dal fatto che ho nominato l'innominabile. A dir la verità, quando ho visto Avatrait la prima
cosa che ho pensato erano le cartoline acquerellate di Hitler. Non come "opere carine di cattivo gusto di un mostro psicopatico", ma come "opere carine di cattivo gusto punto". Ma dato che il mostro psicopatico non si può mettere da parte, ho convenuto che si, questa era un po' forte. Allora ho pensato ad Arno Breker, ottimo artista accademico cooptato da un regime. Purtroppo, ricordo pochi altri momenti il cui si è tentato di innalzare il kitsch più stucchevole al rango di "arte", così ho scelto quello. Se vuoi lo sostituisco con Norman Rockwell, per me è indifferente. Ma se mi chiedi di smettere di pensare a Avatrait come al "kitsch più stucchevole", beh, questo non posso farlo. Solo non capisco come "stucchevole" possa essere un giudizio di valore e "stucchevole come Arno Breker" diventi diffamazione. Sarebbe come dire che "pieno di angoscia esistenziale come Sironi" è un insulto.

Spero che questa sia una rettifica. Pubblicatela, se credete

Più in generale: ritengo che ci siano molti punti positivi nel tuo lavoro e in Rinascimento virtuale. Ne abbiamo parlato più volte, e del resto non ti avrei invitato a scrivere per il catalogo di Gazira se non fosse vero. In un certo senso, mi da anche fastidio essere chiamato (da te, da Armando) a fare la voce fuori dal coro. Ma c'è un punto su cui non posso transigere, perché li il tuo lavoro va in direzione opposta al mio: il tuo tentativo di mescolare livelli che persino in SL rimangono separati. Una strategia che fa male sia
all'arte, sia alla creatività diffusa dei social network, che ha molti motivi per essere apprezzata (come Rockwell e Breker), ma che non sono quelli indicati dalla mostra. A questo mi oppongo pur rispettando il resto e rispettando, ovviamente, la tua visione. Ma questo lo sai gia...
Immagino che a questo punto si dica: amici come prima?
In bocca al lupo! E a proposito: quando mi mandate il catalogo?
Sono curioso di leggerlo.
Domenico
.

Concludo qui questo scambio epistolare, augurandomi che ci sia una prossima occasione per incontrarci e fare tra noi tre una buona bicchierata per litigare allegramente.
Prosit!


Rinascimento Virtuale

Cosmotaxi Special per “Rinascimento Virtuale”

Firenze, 21 ottobre ‘08 – 7 gennaio ‘09


Rinascimento Virtuale: chi, come, dove, quando


Ideato da Mario Gerosa l’avvenimento è stato studiato per una realizzazione in due tempi.
Rinascimento VirtualeDue momenti pensati come due piani di lavoro: una mostra presso il Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze in Via del Proconsolo 12 che inaugurata il 21 ottobre resterà aperta fino al 7 gennaio ‘09, ed un convegno svolto alla Fortezza dal Basso nell’àmbito del Festival della Creatività che quest’anno ha registrato in quattro giorni 350 000 presenze.
Il tema del Festival 2008 – "Visioni, Viaggi e Scoperte" – ben s’attagliava alle visioni, ai viaggi e alle scoperte tecnologiche e di linguaggio negli attraversamenti dei Virtual Words, primo fra tutti il più famoso: Second Life.

Il convegno "Arte solo per avatar?" (ma gli interventi hanno superato il tema iniziale portandosi a dimensioni di filosofia delle nuove estetiche) ha visto riuniti in un affollatissimo Padiglione i migliori nomi italiani fra studiosi e artisti degli Universi Sintetici con significative presenze anche straniere. Troppi per farne qui i nomi senza cadere in colpevoli omissioni.

Un successo meritatissimo di Mario Gerosa – ben sostenuto dalla Fondazione Sistema Toscana – di cui tra poco leggerete alcuni suoi pensieri da me sollecitati nel corso di una breve conversazione.

QUI un audio/video di presentazione di RV e quattro video con immagini della mostra e momenti della conferenza stampa.


Rinascimento Virtuale: 2 aforismi e 1 riflessione


“La vita è piacevole. La morte è pacifica. E' la transizione che crea dei problemi”.
(Isaac Asimov)

Ricordo che parecchi anni fa sui giornali c’era, un giorno sì e l’altro pure, un servizio sulle mirabilie dell’olografia: chi vaneggiava di esseri fantasma, chi di intrusioni d’immagini non volute nelle nostre case, chi di un ponte degli ologrammi di Star Trek sugli aerei di linea (Alitalia esclusa?), e altre amenità. Quando nel 1979 realizzai uno spettacolo che s’avvaleva – grazie alla consulenza dell’astrofisico Daniele Fargion – di elementi olografici, alcuni critici, sporgendosi dalla propria lapide, si chiesero “ma è poi arte questa?”
Un giorno, di colpo, sull’argomento calò il silenzio.
Quel silenzio ha giovato all’olografia. Giorni fa s’è tornato a parlarne allorché la giornalista Jessica Yellin prima e poi il cantante dei Black Eyed Peas, Will. I. Am sono apparsi in ologramma alla Cnn nella trasmissione dedicata alle elezioni americane.

Tutto ciò accadrà anche per Second Life.
Passata la sbornia mediatica proposta da redattori della carta stampata, delle radiotv, ma anche del web, i quali raramente avevano competenze su ciò che dicevano inseguendo la nefasta “notiziabilità” (crudele deità cieca, sorda e muta cui in tanti sacrificano ogni verità), Second Life, finalmente, s’avvia a diventare uno strumento di esistenze, di comunicazioni, di estetiche, da studiare, e praticare, abbandonando goffi entusiasmi e fatali delusioni.
Nel frattempo, proprio per la disinformazione intervenuta, non pochi hanno preso bruttissime musate, specie parecchi dirigenti aziendali, sbarcati sulle isole di SL convinti di aver trovato un campo dei miracoli con alberi sintetici ma con autentici zecchini d’oro da raccogliere in brevissimo tempo. Le cose non stavano così, in molti sono fuggiti incazzatissimi e da qui è nata un’altra favola: la fine di SL, riportata dai soliti giornalisti che in questo hanno intravisto nuova, anche se meno ghiotta, “notiziabilità”.
Benvenuta, quindi, questa riuscitissima iniziativa di Mario Gerosa che giunge in un momento in cui s’avverte la necessità di chiarezza sul tema dei Virtuals Worlds. Plurale. Già, perché pare che questi metaversi abbiano raggiunto una cifra tra i 50 e i 60 anche se è SL il più grande e più frequentato fra quelli.

Ariel Brearly, FaeIl convegno "Arte solo per avatar?" s’è lasciato sùbito alle spalle la domanda se quella su SL sia arte oppure no, per passare ad un intelligente dibattito sui ‘perché’ e sui ‘come’.
Vecchia storia: nasce la fotografia ed ecco quella domanda; nasce il cinema, idem; sorgono nuove tendenze nelle arti visive o in letteratura? C’è sempre qualcuno che ripropone quella stessa domanda. Possibile tanta colpevole innocenza? Come lo stesso Gerosa ha chiarito all’inizio, su SL c’è molta robaccia (cònfortati Mario – aggiungo io – nelle gallerie d’arte moderna, postmoderna e neopaleolitica solo indimenticabili gemme?) però in questo universo sintetico popolato da più di quindici milioni di residenti ci sono moltissimi che sperimentano nuove forme espressive, assolutamente inedite, destinate a diventare presto nuove tendenze, facendo nascere nuovi stili. Come l’Impressionismo digitale, il Postkitsch, il New Pop, l’Avatar Art, l’Iperformalismo, l’Ultranaif.
“Queste opere” – afferma Gerosa – “rischiano di scomparire dall'oggi al domani, sempre in balia degli umori dei loro creatori, appaiono perse in un mare magnum in cui mancano le coordinate. Chi naviga a vista in internet, spostandosi alla ventura tra le pagine di Flickr, cercando possibili affinità elettive tra un artista e l'altro nelle sezioni di Koinup, non di rado si sente perso. Più facile liquidare sbrigativamente tutta la questione, dicendo che in fondo questa non è arte, relegando le sperimentazioni della gente comune nella terra di nessuno degli hobby e del dilettantismo”.
E’ quindi auspicabile creare una sorta di atlante iconografico cominciando a classificare gli esponenti e le opere più rappresentative di ciascun genere.
Quest'operazione è assolutamente pionieristica: il dibattito sullo stato dell’arte in Second Life è ancora agli esordi. Un’esposizione, come questa in corso a Firenze, rappresenta una vera novità. Una sfida rinascimentale. Tra l’altro, trovo indovinatissimo il titolo Rinascimento Virtuale perché credo che mai altre epoche come la nostra abbiano precisi paralleli con il Rinascimento di secoli fa.
Allora s’ebbero viaggi che scoprirono nuove terre e più accurate cartografie, oggi viaggi nello Spazio, e dentro l’uomo con la scoperta del Dna e la sua decrittazione; ieri con la stampa a caratteri mobili avanzò un’epoca nuova nella comunicazione, oggi con internet una forse ancora più decisiva svolta nella trasmissione del pensiero tra gli umani.
E i mondi virtuali prospettano, poi, il postumano preconizzato dalla filosofia tecnotransumanista, si pensi a Max More, a Nick Bostrom.


Ho aperto questa nota con un aforisma, la chiudo con un altro in tema.
Il futuro non è mai solo accaduto, è stato creato.
(Will e Ariel Durant)


Rinascimento Virtuale: Mario Gerosa


Come dicevo in apertura di questo Special, la mostra-convegno di Firenze è stata ideata da Mario Gerosa; tempo fa, facemmo insieme – ci crediate o no – addirittura un viaggio spaziale durante il quale esplorammo temi e problemi degli Universi Sintetici.
Tra le sue pubblicazioni, ricordo Mondi Virtuali e poi Second Life seguito da Rinascimento Virtuale.
Gerosa è anche il fondatore della prima Agenzia Viaggi nei mondi virtuali: Synthravels.
Conduce in Rete un blog, per accedervi: CLIC!

A lui (in foto, il suo avatar Frank Koolhaas) ho chiesto: quale la principale motivazione che ti ha spinto ad organizzare questa Mostra-Convegno?

Da quando ho cominciato a frequentare Second Life, all’inizio del 2005, mi sono reso conto che in quel mondo virtuale c’era moltissima arte .
Arte realizzata dai residenti, quindi perlopiù espressioni di una cultura generata dal basso, da persone che in molti casi non sono artisti nella vita vera ma che non sono neanche dilettanti. Volevo far emergere quell’enorme giacimento di creatività, mettendo in luce il talento di questi personaggi che – ripeto ancora una volta – non hanno l’atteggiamento degli hobbysti, dei pittori della domenica, e che invece, per una curiosa alchimia, nel mondo virtuale si scoprono una vena artistica da valorizzare. La mostra ‘Rinascimento Virtuale’ offre un assaggio, un campione, della ricchezza creativa di Second Life: altre mostre seguiranno e puntualizzeranno altri interpreti, altri movimenti. Ma per ora il mio fine era di far parlare di questo nuovo fenomeno, di portarlo all’attenzione della gente, soprattutto di chi non frequenta SL e la blogosfera. Nondimeno, tanto in mostra quanto nel catalogo, ci sono suggestioni che potrebbero risultare utili in futuro. Mi riferisco soprattutto a una prima ipotesi di stili per inquadrare alcune delle opere create in Second Life. Sono stili assolutamente inediti, come il Barnumismo e il Postkitsch, pensati per avviare una discussione. A questo proposito ho voluto affiancare alla mostra un convegno in cui si discutesse dell’arte di Second Life come nuova forma espressiva: volevo cominciare a mettere un po’ di temi sul tavolo, insistendo sul fatto che non si può parlare genericamente dell’arte di Second Life, quando sarebbe opportuno riferirsi alle arti di Second Life. Magari andando oltre e specificando che non si tratta dell’arte di un social network ma dell’arte vista come social network: chi fa arte in Second Life usa la propria creatività per creare relazioni e nuove amicizie, più che per appagare la vanità di esporre in una galleria
.

Ho citato in apertura un tuo scritto sul rapporto Arte-SL, lo completo ora: “Finora pochissimi critici si sono avventurati tra le migliaia di pagine di Flickr costellate di opere e di commenti per cercare di porre le basi per un nuovo tipo di arte, che probabilmente potrebbe essere la next big thing, dopo il surrealismo pop, i writers e la street art”.
A che cosa è dovuto il disinteresse dei critici, specie italiani, di fronte a questo fenomeno di tutto rilevo (oggi più quantitativo, ma se ne intravedono già livelli qualitativi)?
Pigrizia intellettuale? Ignoranza del mezzo? Scarsa fiducia nella commerciabilità delle opere?

Non so se si possa parlare di disinteresse. Per quanto riguarda la mia esperienza, ti posso assicurare che questo tipo di ricerche sono lunghe e complesse e che per portarle a termine bisogna essere più che motivati. Per cui, è facile scoraggiarsi. Flickr, Second Life, Deviantart, i vari social network, sono un vero mare magnum in cui è facile perdersi. A ciò aggiungi che manca qualsiasi tipo di coordinate e di certezze: puntare su questi talenti, avventurarsi tra le forme creative del web, spesso significa andare controcorrente. In questa impresa ho avuto la fortuna di essere supportato da Fabio Fornasari, l’architetto che ha curato il progetto dell’allestimento della mostra: con lui ci siamo spesso confrontati su questi temi, arrivando a una serie di definizioni di tipo concettuale utili per descrivere queste tendenze in divenire.

Al momento, il tuo interesse – oltre allo studio della filosofia della comunicazione nei Virtual Words e alle sue ricadute sociali in Real Life – è stato puntato sulle arti visive (dall’architettura alle performances alla fotografia, etc.).
So, però, di tuoi studi anche sulla presenza delle altre arti – musica, letteratura, danza, etc. - in quei metaversi. Hai progetti anche in quei campi? Non sono tanto indiscreto da strapparti dettagli, ma solo brevi indicazioni di percorso se ne hai…

In ognuno dei libri che ho dedicato alle culture degli universi sintetici, a partire da “Mondi virtuali”, scritto con Aurélien Pfeffer, c’è una costante attenzione alle varie forme espressive presenti in quegli scenari. Nel mio libro "Second Life", per esempio, la letteratura è molto presente, e nel volume “Rinascimento Virtuale” molte pagine sono dedicate alla vita dell’avatar intesa come una sorta di progetto letterario. Sono temi che ho molto cari, e d’altronde questa stessa mostra va letta a vari livelli: il primo è concettuale (l’operazione Rinascimento virtuale a Firenze) il secondo si lega alla centralità dell’uomo (mostra d’arte in un museo di antropologia), il terzo punta sull’arte come strumento privilegiato per raccontare le storie di tutti i giorni (non a caso un capitolo del catalogo è dedicato alle “vite da romanzo”).

In una nostra conversazione su questo sito, in occasione dei 5 anni compiuti da SL il 23 giugno scorso, mi dicesti che da oggi in poi le parole chiave per quel metaverso saranno “arte”, “marketing di nuova generazione” e “e-learning”. Perché?

La prima risposta si trova nella mostra Rinascimento Virtuale e nei saggi che corredano il catalogo stampato da Already Srl. Per le altre due, preferisco mantenere un po’ di suspense, magari fino al prossimo libro. Se no che gusto c’è?


Rinascimento Virtuale: Fabio Fornasari


“L’arte in Second Life e nei Virtual Worlds” questo il titolo della mostra installata nelle sale del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze (Via Proconsolo 12, fino al 7 gennaio).
L’allestimento, dovuto all’architetto Fabio Fornasari, non esito a definirlo geniale perché il visitatore è accolto in una dimensione metastorica: accanto, infatti, ad armi e utensili antichissimi, mummie di pigmei, teschi di predati e predatori d'antiche età, ci sono i video coloratissimi di Frieda Korda: AngelsSecond Life e le foto dei lavori di alcuni fra i maggiori artisti (come, in foto, Frieda Korda) che operano nell’universo sintetico.
Un colpo d’occhio eccezionale!
Fabio Fornasari conduce in Rete: luoghi sensibili.

A lui ho chiesto: quale significato principale conferisci all'idea che ti ha guidato nell’allestire la mostra?

Di giorno in giorno la percezione del lavoro svolto sta cambiando. E’ normale. Il brief di Mario Gerosa era chiaro: allestire una mostra con le “cose” (le opere) prodotte da artisti di Second Life che lui ha sapientemente selezionato. Non è cosa facile dirimere all’interno della vasta produzione di immagini, di architetture e di arte in SL. Non ha ancora una storia e quello di Mario è un primo serio esempio di rilettura della produzione di SL in chiave di stili, correnti, eccetera.
Esporre tutto questo nel mondo reale comportava una questione fondamentale: affrontare quel particolare cambiamento di statuto che le cose subiscono quando le sposti da un posto ad un altro. Accade agli oggetti reali, figurarsi alle cose immateriali prodotte in un mondo così particolare. Così è nato il pensiero di lavorare su uno spazio di condivisione, una soglia fra tre elementi: il museo antropologico con la sua storia, il nostro essere uomini, corpi biologici con la nostra memoria, la nostra storia individuale e collettiva e il corpo dell’avatar che appartiene ad una civiltà, quella digitale, che non ha ancora trovato una sua collocazione storiografica. La forma che racconta questa modalità è osservabile all’interno di una comunicazione che ha disertato i tradizionali supporti per porsi su elementi “subliminali” quali le tende e con la sezione delle moleskine, che interrogano la comune esperienza e memoria di noi come persone ed avatar
.


Rinascimento Virtuale: Marco Cadioli


Marco Cadioli aka Marco Manray, laureato in fisica, è stato il primo net reporter in Second Life; vi lavora dal 2005.

Marco ManrayIn foto uno dei suo scatti intitolato “Replica”.

Dopo studi in informatica ha iniziato a lavorare in animazione 3D fin dal 1985, seguendo da vicino lo sviluppo dei nuovi media. Insegna “Digital Media” all’Accademia della Comunicazione di Milano. Suoi reportage sono stati pubblicati su “Liberation”, “Elle”, “Il Sole 24 Ore” e “Repubblica” ed esposti al maxii (Roma - Museo delle arti del XXI secolo), Pescara Elettronic Artists Meeting (peam), SuperNeen (Milano).
Ha pubblicato: Io, reporter in Second Life.
Vive e lavora a Milano, oltre che su Second Life; i suoi reportage possono essere visti online QUI e QUI.

A Marco Cadioli, presente al convegno-mostra di Firenze, ho chiesto un racconto flash della sua esperienza.

La mia attenzione è da tempo concentrata sullo sviluppo del metaverso, e nel 2003 ho scritto un manifesto per la net photography, sostenendo che era possibile applicare il linguaggio della fotografia per riprendere ciò che stava al di là dello schermo.
Avevo poi realizzato un reportage nei luoghi della rete dove si combatte, intitolato Arenae, partecipando allo sbarco in Normandia come fotografo “embedded” dal punto di vista di Robert Capa all’interno di un videogioco.
Entrare come artista e fotografo in Second Life è stato nel 2005 un passo necessario, dapprima come reporter spinto dall’urgenza di raccontare la nascita di un mondo virtuale, poi con nuove serie di opere sul paesaggio e l’identità degli avatars.
Adesso il mio viaggio nel metaverso continua, e sono nel mondo virtuale cinese aperto da pochi mesi
.


Rinascimento Virtuale: Fabio Paris


E’ stato il primo ad organizzare nella sua Galleria una mostra di lavori realizzati in Second Life.
Se è vero che oggi l’acquisto di opere concepite per il metaverso è, sul piano finanziario, non privo di rischi (ma lo sono anche altri lavori di differenti tecniche e traguardi espressivi), è altrettanto vero che proprio adesso possono essere acquistate a prezzi accessibili opere domani valutate al rialzo dal mercato.

In foto: Eva e Franco Mattes (0100101110101101.ORG): Nikki Lian, 2006

Ho voluto sentire al proposito un esperto qual è Fabio Paris e gli ho chiesto un suo parere.

Allo stato delle cose, ho l'impressione che non ci sia mercato per tanti di quegli artisti che si producono in SL senza essere già conosciuti nel circuito tradizionale dell'arte, perlomeno questa la mia valutazione per quanto riguarda la mia esperienza di gallerista.
Il collezionismo che si affaccia all'arte digitale è molto ristretto e molto attento ai contenuti e ai valori storico artistici, che sia arte in SL o altro, e questo è un punto fermo che constato di giorno in giorno.
Il collezionista è consapevole che SL è una piattaforma creativa dentro la quale chiunque può dar sfogo anche alla propria creatività artistica, ma è anche ben consapevole che come con tutti i nuovi media, chiunque ci si può 'buttare' e produrre una qualsiasi cosa. Vi ricordate quando nacque la Pop Art, quanti artisti nel giro di breve divennero pop-artisti? Nel mio piccolo ne ricordo a decine... e poi quanti ne sono rimasti?


Rinascimento Virtuale: Paolo Valente


Tempo fa la casa editrice Meltemi bandì un concorso (CLIC sul video illustrativo) per l’ideazione di una propria sede in Second Life.
Il concorso fu vinto da una coppia di architetti con studio a Roma: Paolo Valente e Spartaco Paris; l’mmagine in foto è la loro realizzazione, ma per meglio goderne il valore cliccate QUI.
Arco Rosca alias Paolo Valente (presente a Firenze e intervenuto al convegno) conduce un blog intitolato Temperatura 2.0

A lui ho chiesto: Second Life quali nuove prospettive di linguaggio ha aperto per gli architetti?

La possibilità di lavorare su contenuti quali interazione, immersività, complessità, rende second life una piattaforma adatta al tempo che viviamo oltre che una grande occasione per formalizzare questa nuova trasformazione sociale. Penso che stiamo lavorando in una diversa dimensione che estende la triade vitruviana (firmitas – utilitas – venustas) cosi come il concetto di prospettiva rinascimentale. La permanenza dei luoghi e la percezione emozionale di questa nuova dimensione sono i focus su cui per ora sto basando il mio lavoro. Più che forme e spazi la possibilità di creare luoghi adatti alla vita contemporanea, con la sua vitalità ed intensità; attraversare questa trasformazione sociale da un punto di vista emozionale (non inteso sentimentale) significa mettere al centro di tutto l’uomo, dunque non la tecnologia o gli effetti speciali.


Rinascimento Virtuale: Maria Bettetini


Applauditissimo al convegno l’incisivo intervento di Maria Bettetini.

aground ASHANTI LESHELLEPer conoscere la sua bio-bibliografia: QUI.
Di lei ho caro sui miei scaffali il suo Contro le immagini.

A Maria Bettetini, ho chiesto: da filosofa, come guardi al mondo di Second Life e al suo universo iconico?

Second Life è elemento di rottura rispetto all’inflazione di immagini che ha trasformato la nostra da civiltà “delle immagini” a luogo del vandalismo hard – penso a violenze gratuite, a violenze di strada, a violenze ambientali e culturali – e dell’iconoclastia light, ovvero dell’usa e getta. Una foto, mille foto; un filmato, diecimila filmati: tutti li sanno fare, costano poco, non si guardano nemmeno e si buttano, perché non “portano” a nulla e non portano nulla con sé.
In Second Life è diverso: come le icone dei primi medievali, e poi di tutta la tradizione teologica ortodossa, rimandano a un “altro” vivo e prezioso, così gli avatar sembrano non chiudersi in un’autoreferenzialità, ma aprire invece alla scoperta dell’altro, per quanto questo si voglia mostrare
.


Rinascimento Virtuale: Domenico Quaranta


Mi piace concludere questo ‘special’ con una voce che si connota per il suo dissenso sulla visione dell’arte in SL condivisa dalla maggioranza di noi presenti al convegno fiorentino: Domenico Quaranta.
Si tratta di uno studioso di cui ebbi già il piacere d’ospitare un suo intervento in occasione di “Futuro Presente”.
Concludo con lui per due ragioni: innanzitutto perché dice cose interessanti, e anche, proprio perché è il solo ad avere dei convincimenti diversi dal mio e dai molti qui (e a Firenze) espressi, va data a lui l’ultima parola. Sono certo che condividiate la mia scelta.

Gazira Babeli: Gaz of the desertA Domenico Quaranta ho chiesto: nel tuo intervento al Convegno, partendo da un distinguo fra creatività e arte, sei pervenuto alla più radicale tesi, se non sbaglio, di una negazione dell'esistenza d'arte visiva in SL.
Puoi, a beneficio dei miei lettori, esporre sinteticamente quel tuo pensiero?

Negare l'esistenza dell'arte in SL? Come avrei potuto, essendo responsabile della prima uscita pubblica di Gazira Babeli (PEAM, Pescara, 12/2006) e redattore di un blog interamente dedicato a questo (Spawn of the Surreal)?
Ciò che metto in discussione non è l'esistenza dell'arte in SL, ma il concetto di arte su cui si regge Rinascimento Virtuale. Un ritratto di avatar non è sempre arte: lo è qualche volta, a precise condizioni. Che non sono certo l'uso competente di un filtro di Photoshop. Il presente ci ha abituato alla prossimità degli artefatti culturali, ma ci ha anche educato a distinguere tra arte contemporanea e altre arti, tra arte e kitsch, tra arte e materia prima. Tra un palloncino sagomato e ‘Rabbit’ di Koons c'è uno scarto, come tra un fumetto e Liechtenstein, la mia cacca e la ‘Merda’ di Manzoni. Nel “mondo dell'arte” di SL queste distinzioni collassano, è nostro dovere tenerle in piedi. Non per difendere una torre d'avorio, ma perché, oggi in particolare, è importante sorreggere l'argine tra senso e non senso, valore e spazzatura, cultura e oblio. RV non lo fa. Mette tutto sullo stesso piano, si illude che il livellamento sia verso l'alto e invece è rasoterra. Le poche emergenze positive (Stampone, Kligerman, Babeli, Cadioli) escono straziate dal confronto con le brutture patinate di Avatrait, come Otto Dix soccombe a Arno Breker. Nessun paragone con le strategie culturali di Hitler, ovviamente: ma mi sembra di essere tornato ai tempi in cui fare un quadro piacevole significava essere un artista. L'amico Gerosa punta sul valore sociale di questi artefatti, ma la creazione ha sempre avuto un valore sociale. Ho sperato che RV fosse uno studio sociologico sulla creatività in SL: ma non lo è, e dalla mia posizione non posso che combatterla
.


Rinascimento Virtuale


Cosmotaxi Special per “Rinascimento Virtuale”

Firenze, 21 ottobre ‘08 – 7 gennaio ‘09

Fine


Camus in rivolta


Ancora una volta la casa editrice Elèuthera pubblica un libro necessario in un’epoca, come l’attuale, specie in Italia, popolata da yes man (and yes woman) premiati per il loro yes pronunciato prima ancora di ascoltare la voce del padrone.
Mi rivolto dunque siamo, di recente in libreria, è una raccolta di scritti politici d'Albert Camus, a cura di Vittorio Giacopini, tradotti dal francese da Guido Lagomarsino
Lo scrittore francese, nato in Algeria nel 1913, morto in un incidente stradale nel 1960, Premio Nobel per la letteratura nel 1957 – come ricorda nel volume in un’articolata nota biografica Alessandro Bresolin – dapprima comunista, ne capì fin dal 1937 la sua forma autoritaria, rinunciò da allora ad ogni modello ideologico per dedicarsi ad un’integrale opposizione al potere da qualunque parte venisse esercitato (religioni incluse).
La pubblicazione tende a presentare Camus come un rappresentante del pensiero anarchico, e, indubbiamente, molte sue posizioni, proprio perché radicalmente avverse ad ogni dispotico centralismo, possono essere viste come anarchiche. A mio avviso, però, etichettarlo come anarchiste significa ricondurre Camus ancora una volta dentro un perimetro di pensiero precisato, in qualche modo togliergli libertà.
Del resto, le sue opere narrative sono troppo gloriosamente disperate per poter far pensare ad un orizzonte anarchico che generosamente sulla fiducia (malriposta, assai malriposta) nell’Uomo trae la sua energia e le sue speranze.
Mi piace qui concludere con un passaggio da Giacopini: Scrittore politico anche quando contesta la politica, Camus ragiona sempre in termini di trasformazione cosciente e radicale del presente. Orfano senza rimpianti dell’ideologia, la sua scelta di campo è molto netta: “Visto che non viviamo più i tempi della rivoluzione, impariamo a vivere almeno il tempo della rivolta”.

Per una scheda sul libro: QUI.

Albert Camus
“Mi rivolto dunque siamo”
A cura di Vittorio Giacopini
Pagine 119, Euro 12:00
Elèuthera


Realismo visionario


L'apertura di Fotografia Europea – Reggio Emilia 2008, coincide con un evento di grande importanza per lo sviluppo dei progetti culturali della città di Reggio Emilia: l’inaugurazione di Spazio Gerra, luogo dedicato alla fotografia e all’immagine contemporanea.
Donato al Comune di Reggio Emilia dalla signora Anna Maria Ternelli Gerra con lo scopo di creare un nuovo luogo culturale della città dedicato al marito, l’artista Marco Gerra (1925-2000), l’ex-albergo Cairoli, sito in Piazza XXV Aprile, è stato recuperato con un innovativo progetto dell’architetto Christian Gasparini.

We have a dream Per un realismo visionario è la realizzazione espositiva offerta ai visitatori che propone uno dei nuovi filoni della ricerca artistica contemporanea: l’emergere in anni recenti di un realismo visionario con modelli di pensiero alternativi di fronte ad una globalizzazione indifferenziata e a sistemi di vita culturali, economici e ambientali che stanno mostrando la loro insostenibilità.
La mostra è a cura di Luca Molinari, storico dell’architettura contemporanea; Marinella Paderni, critico d’arte; Pier Luigi Sacco, economista della cultura; tre specializzazioni che ben interagiscono su di un tema estetico e politico che sperimenta nuove pratiche urbane, nuovi riposizionamenti e spiazzamenti, rappresentando qualcosa che sta tra la speranza e il sogno.
In questo scenario agiscono due artisti: l’argentino Tomas Saraceno e la slovena Marjetica Potrč.
Saraceno (nato a San Miguel de Tucumàn nel 1973) propone una scultura aerostatica inedita (prodotta dal Gerra) e una selezione del suo lavoro recente, composto da una scultura aerostatica (in foto) di palloni trasparenti, da un wall-drawing raffigurante un paesaggio urbano abitato da alcune unità mobili sospese in cielo e dalla serie di fotografie in bianco e nero “Hoy” sulle similitudini tra natura e antropizzazione.
La Potrč (nata a Lubiana nel 1953) presenta per la prima volta in Italia il progetto “Florestania”, nato da un suo soggiorno di due mesi nel territorio di Acre in Amazzonia nel 2006, durante il quale l’artista ha conosciuto e studiato il modello alternativo di sostenibilità realizzato dalla comunità locale della regione Acre.

Per i redattori della carta stampata, delle radiotv, del web, l’Ufficio Stampa è di Patrizia Paterlini: tel. 0522 – 456532; fax 0522 – 433266; patrizia.paterlini@municipio.re.it

Marjetica Potrč, Tomas Saraceno
“We have a dream”
Spazio Gerra
Piazza XXV aprile 2
Reggio Emilia
Info: 0522 – 455 716 e 456 635
Fino al 30 novembre 2008


I libri che non ho scritto


Il libro che più mi piacerebbe avere è quello che nel 1995 fu esposto al Victoria & Albert Museum; è di due artisti contemporanei – William Gibson e Tennis Ausbaugh – il cui testo su dischetto si cancella per sempre man mano che si legge.
Libro scritto eppure inesistente, libro che sarebbe piaciuto a Borges, libro che pur avendo un passato si ritrova senza presente e senza futuro.

Sette libri che avrebbe voluto scrivere e non scrisse (ma adesso, in qualche modo, pur scritti proprio nel rendere ragione di quelle creature di cellulosa mai nate) li propone George Steiner in sette capitoli di sulfurea intelligenza: I libri che non ho scritto.
Lavoro letterario finissimo stampato da Garzanti che ha iI merito di avere pubblicato molti titoli di George Steiner, l’elenco è lungo, si veda QUI.

Sette occasioni, più negate che mancate, che adesso vedono la luce, con la lucente traduzione di Fiorenza Conte, attraverso la feritoia dei ricordi dell’autore che ne ripensa le origini, ne svolge ipotesi sulle possibili esistenze.
Un libro mai scritto – sostiene Steiner – è più di un vuoto. Accompagna l’opera che si è compiuta come un’ombra fattiva, insieme ironica e dolente. E’ una delle vite che non abbiamo potuto vivere […] che avrebbe potuto permetterci di fallire meglio. O forse no.

I capitoli di I libri che non ho scritto offrono riflessioni sulla figura dello storico della scienza cinese Joseph Needham, considerazioni sull’invidia, ponderazioni sull’identità ebraica, meditazioni sull’amore per gli animali, pensieri sui sistemi educativi scolastic… no Ministro, non lo legga, non fa per lei e poi mancano le figure… osservazioni sulla fede dell’esistenza di Dio.
Ho lasciato da parte quelle che mi sembrano le pagine più alte di tutte. Riguardano il sesso praticato in lingue diverse. Dove s’ipotizza con accenti divertenti, ragionati e dotti, su come il rapporto sessuale si configuri cognitivamente in modo diverso se la coppia parla inglese, o giapponese oppure nigeriano.
Il volume si conclude con righe mordaci: “Dice un’antica maledizione: ‘Possa il mio nemico pubblicare un libro’. E io ora aggiungo: Possa pubblicarne sette”.

George Steiner
“I libri che non ho scritto”
Traduzione di Fiorenza Conte
Pagine 230, Euro 16:00
Garzanti


Di tutti i colori


Mentre la nuova Giunta comunale romana ruzzola fra una gaffe e l’altra, ed è impegnata a demolire quel poco di buono che la precedente amministrazione aveva fatto, eccola confermare una cosa del passato che meglio, invece, sarebbe stato abolire: il Festival Internazionale del Film di Roma.
Manifestazione che entra in un’inutile collisione con quella veneziana e torinese, è tutto un red carpet per divi hollywoodiani, ed ora si distingue anche per censure e goffi patriottismi.
La mostra di cui mi accingo a dir bene, pur essendo fatta in collaborazione con il Festival di Rondi, poteva avere, infatti, anche una vita autonoma. Si tratta di POP (Pieces of Paper) SHOW La storia del cinema colorata a mano.
E’ ospitata presso uno spazio cultural… no, meglio evitare quell’aggettivo sennò il sindaco quello spazio lo chiude… diciamo così: un centro delizioso che se abitate a Roma o vi siete di passaggio consiglio di andarci, si chiama s. t. (acronimo che sta per ‘senza titolo’) ed è al tempo stesso un caffè-bistrot, una libreria e una galleria.
Per saperne di più, cliccate QUI.

“POP (Pieces of Paper) SHOW” non ha a che fare con la coloritura a mano d'un tempo, ma nasce dal ritrovamento di un insolito archivio d’immagini sul cinema del passato: una collezione di migliaia di foto in bianco e nero, destinate a illustrare la programmazione televisiva dei film sulla stampa periodica degli anni settanta, e a tale scopo ricolorate a mano.

Il ladro, di Hitchcock, 1956“Il titolo della mostra” – è detto nella presentazione – “intende evocare sia le forme e il repertorio tipici della Pop Art, sia la scelta di esporre, mettere in scena, una serie di inclassificabili ‘pezzi di carta’. Il fascino immediato di tali immagini è legato anche alla vicenda della loro produzione. Nella gran parte dei casi, certamente, non si può parlare di stampe fotografiche originali, ma piuttosto di foto rifotografate. […] Il risultato è la produzione su scala seriale di una moltitudine di opere uniche, migliaia di lavori anonimi che nel linguaggio specialistico verrebbero classificati come mixed media: tecnica mista. Ogni opera crea un cortocircuito tra l’immaginario filmico - intrinsecamente narrativo - e la densità comunicativa del singolo fotogramma […] Nella selezione delle opere esposte a parete, si è scelto di privilegiare l’originalità delle immagini nel loro esito figurativo compiuto, rispetto al potere evocativo rappresentato dalle scene dei film più noti”.

"Pop Show"
S.T. Foto Libreria Galleria Bistrot
Via degli Ombrellari 25, Roma
Info: tel/fax + 39 06 647 60 105; info@stsenzatitolo.it
Fino al 4 dicembre 2008


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