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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Se telefonando

Simona Pareschi (in foto), laureata in Architettura presso l'Università degli Studi di Genova nel 2006 con una tesi intitolata “Estetica e Politica di Quadrante (1933-1936)” ha conseguito settimane fa presso il Politecnico di Torino, il Dottorato di Ricerca in Storia e Valorizzazione del Patrimonio Architettonico, Urbanistico e Ambientale, discutendo una tesi su “Sir Giles Gilbert Scott. Il Futuro della Tradizione”.
Relatore il Prof. Guido Montanari.

E’ questa un’ottima occasione per saperne di più su quest’architetto inglese.
A Simona Pareschi, quindi,ho chiesto il perché del suo interesse per Scott e un sintetico ritratto stilistico di questo creatore di forme.

L’interesse per Scott deriva dall’ammirazione per la sua perfetta ‘normalità’, nel senso di semplice aderenza allo scopo, delle sue realizzazioni architettoniche, chiese, cattedrali, edifici per le università, fabbriche e centrali termoelettriche, che questo architetto ha saputo tradurre in un linguaggio moderno ma non estremo.
La sua architettura era conforme, ma non conformista: Scott seppe cogliere le migliori espressioni della tradizione, per trasportarle nel ‘900 e renderle attuali e compiute. Era convinto che le migliori espressioni artistiche potessero scaturire da un lento lavoro di evoluzione piuttosto che attraverso una rivoluzione che avrebbero consegnato alle nuove generazioni di architetti solo la nudità della prescrizione. Non gli si addiceva l’idealismo intransigente dei maestri del moderno.
A soli vent’anni vinse, nel 1903, il concorso per la costruzione della grande Cattedrale Anglicana di Liverpool, ‘ultima cattedrale’, con la quale si è decretata la fine del lungo revival gotico; è stato il progettista del “Red Telephone Box”, la famosa cabina del telefono rossa – il più piccolo edificio al mondo – che ancora oggi è il simbolo, nell’immaginario collettivo, dell’Inghilterra moderna. Le sue centrali elettriche sono tra gli edifici più rappresentativi della Londra del ventesimo secolo: Battersea Power Station – divenuta celebre per la copertina dell’LP “Animals” dei Pink Floyd – e Bankside Power Station – che oggi accoglie la collezione della Tate Modern – raccolgono nella loro forma la potenza espressiva della civiltà della macchina, e la forza simbolica, ed eterna, degli elementi tradizionali: sono l’espressione più elevata di una mitologia del moderno, e sono un alto esempio della possibile coesistenza fra tradizione e forma del futuro
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Senza scrittori


C’è un documentario che ha fatto irritare più di qualche abitante del pollaio letterario italiano, si chiama Senza scrittori.
Va detto che finora è stato visto, purtroppo, poche volte in giro – prevalentemente in serate durante festival e rassegne – e siamo in attesa che la Rai (produttrice con Rai Cinema di quel lavoro) si decida a metterlo in onda. Come siano riusciti a vederlo quelli che ci hanno tirato sopra stizzite beccate, resta un mistero acustico e ottico di non poco momento.

Gli autori di Senza scrittori sono Andrea Cortellessa e Luca Archibugi.
Nel film, Cortellessa (in foto), intervista editori, critici, librai, e denuncia alcune delle dinamiche legate all’industria del libro: lo strapotere dei grandi gruppi e della macchina editoriale.

Ecco come gli autori hanno presentato – se ne trovano notizie sul web – il loro lavoro.

Il titolo suona volutamente paradossale. In Italia ogni anno vengono pubblicate decine di migliaia di novità librarie, e letteralmente non si contano gli esordi di poeti, narratori e saggisti. Il titolo di scrittore, insomma, non si nega a nessuno: tanto più che chiunque raggiunga una certa fama, a qualsiasi titolo (foss’anche quello di efferato pluriomicida), si sente in dovere di corroborarla, e insieme sfruttarla, pubblicando appunto un libro. Il libro è così divenuto il feticcio per eccellenza della nostra “società del narcisismo”. E attorno al libro s’è affermata, con la nascita e il crescente predominio dell’editoria di massa, una vera e propria industria della vanità: che passa per la “macchina” editoriale, improntata a criteri di produzione sempre più automatizzati e standardizzati; la “filiera” per molti versi perversa della distribuzione, sempre più condizionata dalle concentrazioni proprietarie; il “tritatutto” della promozione, che gigantografa le figure-feticcio degli autori à la page coi meccanismi numerolàtrici delle classifiche di vendita e la spettacolarizzazione dei festival e dei premi letterari – come la vera e propria “fiera della vanità” ogni inizio di luglio messa in scena dallo Strega; infine la “tonnara” della vendita al dettaglio, che spinge i malcapitati lettori al consumo più immediato e irriflesso in luoghi sempre più alienanti e massificanti. A fronte di questo sistema apparentemente senza falle né residui, “Senza scrittori” mette in scena un guastafeste ingombrante, un grillo parlante curioso e molesto – il critico Andrea Cortellessa – che quelle falle e quei residui ostinatamente cerca e in parte trova, sottolineando le diverse interpretazioni che della famosa “filiera” – contro un pensiero che tutto presenta, invece, come “seconda natura” – possono essere date da soggetti diversamente responsabili. E che infine, quasi per caso, perviene in un luogo che pare fuori dallo spazio e dal tempo, la fantomatica Stazione di Topolò sita al confine con la Slovenia: dove espressione artistica e letteraria, relazioni personali e col territorio, senso della storia e dell’identità sembrano trovare un equilibrio – precario quanto affascinante.

Ora, per la prima volta in Italia, Senza scrittori è programmato per alcuni giorni di seguito: dall’1 al 5 giugno (escluso il 3/6)
Avviene a Roma, alla Casa del Cinema; per sale e orari: CLIC!

Senza scrittori
di Andrea Cortellessa e Luca Archibugi
Italia, 2010
Durata 75’00”


Nel computer

Ritengo, e non sono il solo a pensarla così, il critico e teorico Domenico Quaranta una delle più importanti presenze nello scenario internazionale dei nuovi media.
Fra le sue pubblicazioni: Gamescenes. Art in the Age of Videogames (2006, con Matteo Bittanti) e Media, New Media, Postmedia (2010).
Ha ideato diverse mostre, fra cui: Holy Fire. Art of the digital Age (2008, con Yves Bernard) e Playlist. Playing Games, Music, Art (2009 - 2010).
È direttore del MINI Museum of XXI Century Arts e co-fondatore del Link Center for the Arts of the Information Age.
Domenico (in foto) è stato, inoltre, fra i primi analisti delle arti visive proposte su Second Life sia proponendo già nel 2006 artisti quali Gazira Babeli sia come redattore del blog Spawn of the Surreal.

Per entrare nel suo sito web: DRIIIN!

Adesso è uscito – lo annuncia il Centro per le Arti LINK – un suo libro: Nel computer.
Il volume è una raccolta di testi scritti tra il 2005 e il 2010 per cataloghi di mostre, riviste stampate e recensioni online: la versione tascabile di ciò che l'autore avrebbe salvato dal diluvio universale, in un mondo senza computer. Esso documenta la maggior parte dei campi di ricerca su cui si è concentrata la critica: dalla Net Art alla Software Art, dai videogiochi alle biotecnologie, al dibattito intorno curatela e posizionamento di New Media Art nel panorama contemporaneo.
Questo itinerario è tracciato attraverso una selezione di saggi, testi monografici e interviste con artisti e curatori: da Eva e Franco Mattes a Casey Reas, da UBERMORGEN.COM a Oliver Laric, da Cory Arcangel a Tale of Tales, da Jon Ippolito a Gazira Babeli.

Scrive l'autore nell'introduzione: Siamo nel mezzo di un grande cambiamento. Alla fine del processo, non solo il modo in cui viviamo, lavoriamo, viaggiamo e comunichiamo, ma anche le strutture economiche e politiche e l'organizzazione sociale saranno fondamentalmente diverse da quelle a cui siamo abituati. In arte, il cambiamento sarà completo quando il modo in cui creiamo, distribuiamo e comprendiamo l'arte sarà completamente diverso da quello odierno; e quando il modo in cui intendiamo la differenza tra copia e originale e tra arte e non arte si sarà adattato ai nuovi modelli introdotti dall'età dell'informazione. Il meglio che possiamo fare, per ora, è prendere tempo, adattarci alle nuove condizioni di vita, essere consapevoli del processo in corso e guardare alle proposte più radicali come indicazioni sul mondo a venire. Nella consapevolezza che probabilmente non dobbiamo guardare troppo lontano: questi segnali sono già qui, nei nostri computer.

Domenico Quaranta
In Your Computer,
LINK Editions, Brescia 2011
Soft cover, pagine 180, lingua inglese, euro 12.00,
Oppure lo si può comprare a euro 9.60 QUI.
E da quella pagina è anche scaricabile in File Download gratuito.



Fondazione Movimento Bambino

Sono tra i destinatari di una mail di Maria Rita Parsi che volentieri rilancio.

Carissimi Amici,

è con grande entusiasmo che v’invito ad incontrarci sul nuovo sito della Fondazione.
Abbiamo lavorato molto, grazie ai vostri suggerimenti e al vostro prezioso contributo per realizzare un nuovo spazio, per raccontarci ma soprattutto per incontrarci.
Troverete finestre aperte sul mondo Fondazione Movimento Bambino, potrete seguirci passo passo, condividere esperienze, incontrare le nostre realtà.
Sono tante le novità, come "Parla con Maria Rita", una sezione tutta dedicata al dialogo, al racconto, alle domande, alle esperienze.
Sempre più presenti, sempre più importanti gli spazi social, poi l'agenda, lo spazio libri e molto di più. Vi ringrazio per tutto l'affetto con cui ci sostenete da anni, il mio grazie come sempre è a nome di tutti i bambini.
Maria Rita
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La Parsi – in foto – è psicoterapeuta e scrittrice. Divenne nota al grande pubblico alla fine degli anni ‘70 con la pubblicazione di “Animazione in Borgata” (Savelli, 1976) cui fece seguito un libro di grande successo sugli adolescenti difficili: “Lo scarico” (Savelli, 1978) tradotto l’anno successivo in Germania dove conobbe una nuova affermazione.
E' degli anni ‘90 il volume “I quaderni delle bambine” (Arnoldo Mondadori Editore), una raccolta di testimonianze su casi di violenza.
Collabora a molti quotidiani e periodici con rubriche settimanali ed ha partecipato a numerose trasmissioni radiofoniche e televisive.
Al suo attivo ha molte pubblicazioni scientifiche e divulgative; nel 1986 stata insignita del titolo di Cavaliere al merito della Repubblica.
Forse non tutti sanno che ha avuto anche un’esperienza da astronauta sulla mia nave spaziale Enterprise

Basta un CLIC per visitare il nuovo sito della Fondazione Movimento Bambino.


12 che hanno detto no

Secondo la numerologia il 12 riveste importanza soprattutto nell’Apocalisse che nella terminologia della letteratura del primo ebraismo e Cristianesimo, indica una rivelazione di cose nascoste da Dio (abilissimo da sempre a nascondere le cose) per rivelarle poi sottovoce a un santo o a un profeta (scelti da lui, s'intende). Insomma a persone di fiducia.
E così dell’Apocalisse sono portate ad esempio le 12 porte della nuova Gerusalemme, i 12 angeli che la custodiscono, le 12 stelle sul capo della Donna, i 12 tipi di frutto dell’Albero della Vita, eccetera. Per non dire dei 24 (12+12) anziani seduti intorno al Trono celeste su 24 scranni, prudentemente in tal numero disposti affinché nessuno degli anziani restasse in piedi, e via enumerando.
Il 12, però, a chi si occupa di fatti terreni ricorda anche parecchie, diverse, altre cose.
Per esempio, furono soltanto 12, su oltre milleduecento, i professori universitari italiani che si rifiutarono di prestare giuramento di fedeltà al fascismo.
Ne trovate i nomi e la storia QUI.
In Italia, di questi tempi consiglio di dare uno sguardo a quel link, ripassare quella materia è assai utile.

Di 12 persone coraggiose parla anche un eccellente libro edito dalle edizioni e/o: 12 che hanno detto no La lotta per la libertà nella Russia di Putin.
Ne è autore Valerij Panjuskin nato nel 1969 a Leningrado. Ha lavorato come inviato speciale per i giornali “Kommersant” e “Vedomosti” e tiene una rubrica sul giornale “Gazeta.ru”. Per la sua attività di giornalista ha ricevuto il premio “Penna d’oro di Russia”.
Vive a Mosca, dove lavora come corrispondente per la rivista “Snob”.

Il volume tratta di quanto avvenne alla vigilia della Marcia dei Dissidenti il 15 aprile 2007 a San Pietroburgo; il giorno prima si era tenuta, o tentata, un’altra identica marcia a Mosca.
Il racconto – meglio definirlo resoconto giornalistico perché ogni parola riferita a generi narrativi potrebbe essere intesa come fiction – si svolge attraverso le figure di 12 attivisti di varie componenti dell’opposizione. A molti di noi i loro nomi possono dire poco, ma in verità uno assai noto fra i 12 c’è: il campione di scacchi Garry Kasparov, in quei giorni incarcerato, leader del Fronte Civico Unito.
Seguiamo i coraggiosi manifestanti nel loro trovarsi intrappolati dalle unità speciali in assetto di guerra degli “Omon”, da cordoni di poliziotti dello Fsb (a capo del quale è stato anche Putin fino al 1999 dopo essere stato agente del Kgb) erede proprio del servizio segreto sovietico.
Manifestanti che s’accorgono dei tanti infiltrati pronti a creare incidenti affinché l’opinione pubblica si convinca che gli oppositori del governo sono dei violenti.
Ne viene fuori un fosco quanto realistico ritratto della Russia dei nostri giorni con quel Putin tanto amato da Berlusconi, con spie dappertutto, con “sit in” permessi se fatti da una sola persona. A questo proposito, Panjuskin, che non manca d’umorismo, fa notare come sia stata escogitata dalla polizia una tattica che rende impossibile anche quella solitaria protesta: in cambio, infatti, di qualche bottiglia di vodka, alcuni barboni si associano all’improvviso a quell’unico manifestante che in tal modo non essendo più solo, si trova ad avere trasgredito la legge e ad essere arrestato. Ma queste sono cose che quasi sfiorano la gag, si pensi, invece, a casi inquietanti di persone messe a tacere per sempre, come, ad esempio, la giornalista Anna Politkovskaya, del quotidiano d’opposizione “Novaya Gazeta”, trovata assassinata e ad altre morti misteriose ma non troppo.

Questo libro ha la forza straordinaria di far comprendere come il potere in Russia, compromesso con parti criminali della società (… ma succede solo in Russia?) abbia creato una cortina d’acciaio intorno alle proprie illegalità dissuadendo tantissimi dall'interessarsi di politica prima ancora di reprimere quando lo ritiene necessario.
Un clima che viene da lontano e che fu illustrato benissimo dal profetico film “Taxi blues” (1990) di Pavel Lungin dove il crollo del comunismo seppelliva sotto le sue macerie non soltanto un regime, ma un’intera società.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Valerij Panjuskin
12 che hanno detto no
Traduzione di Claudia Valentini
Pagine 272, Euro 19
edizioni e/o


Creativa 12

Organizzata dall’Associazione "Oltre i limiti" in collaborazione con il Quartiere Uno di Firenze ed il patrocinio del Comune fiorentino, torna Creativa la cui ideazione e costanza di presenza nel tempo sono meriti che vanno riconosciti al poliartista Franco Piri Focardi (in foto); per una sua biografia: QUI .

Creativa da oltre dieci anni è un’immersione nei linguaggi delle arti contemporanee autoprodotte, si rivolge, cioè, a quanti nelle arti visive, nelle pubblicazioni periodiche, nell’editoria libraria, nel video, nella discografia, nelle performances teatrali, agiscono fuori dei circuiti tradizionali perfino di quelli off. A me pare che questa distinzione, però, è caduta perché le strette governative ai finanziamenti per la cultura – anche quelli minimi per piccole iniziative – hanno fatto sparire tante e tante di cose che il distinguo tra off e off off non c’è più.
Insomma più non esiste l’underground (oltre ai segni di crisi già da anni contenuti in quella fin troppo datata formula estetica e produttiva) perché il sottosuolo è già pieno di memorie che sono – con gioia dei grandi impresari della cultura – più ricordi cimiteriali che forme viventi di rinnovamento e antagonismo.
S’affronti il nuovo incontro – mancava dal Rinascimento – fra cultura umanistica e scientifica guidata da quest’ultima, i temi della futura (ma già ben presente con mille segnali) società postumana che va realizzando il superamento del biologico; basta con la difesa del “naturale” quasi in esso risiedesse ogni saggezza e verità. Queste cose rendono vecchi indifesi tanti – anche di giovane età – che non fanno, ma rifanno con affanno.
Intendo, quindi, che prima di rinnovarci fuori dobbiamo innovare dentro di noi.

E allora? E allora, ad esempio, produrre meno, molto meno, ma produrre meglio; abbandonare i canali tradizionali di diffusione cartacea o audiovisiva per concentrarsi sulle grandi occasioni praticabili in Rete: su YouTube ci sono più contenuti che su tutti i network tv messi assieme; assordare di cinguettii (… twitter cinguettìo è) invece che con sforzi di ruggiti afflitti da raucedine; si formino meno gruppi con gli appartenenti che si giurano amore eterno (quest’amore è più difficile di un sei al Superenalotto) per semmai divorziare drammaticamente un attimo dopo la conclusione del primo lavoro fatto insieme, si scelga, invece, la via delle unioni coscientemente provvisorie su piccoli precisati progetti per poi volutamente dividersi e unirsi ad altri soggetti ancora; si prenda atto che l’arte hanno tutti il diritto di fruirne, ma non può essere fatta da tutti ("Siamo tutti artisti!" sosteneva un infausto motto sessantottino che stiamo ancora pagando caro).
Diceva Longanesi “In troppi rispondono all’appello dell’arte senza essere stati chiamati”.
Spero che di questi temi, e di altri ancora in rima con questi, si discuta a Firenze che è la prossima città che ospiterà Creativa con la benvenuta allegria dei suoi colori, con le sue musiche, con le sue plurali voci.

Creativa
Firenze, Piazza Annigoni
Sabato 28 maggio 2011
dalle ore 15:00 alle 23:00


Rayon X

Il Festival Fabbrica Europa, avvalendosi dell’ottima direzione artistica di Maurizia Settembri, è giunto alle ultime battute della sua XVIII edizione realizzando un grande concorso di pubblico e consensi dei critici.
Attraverso un articolato programma di danza, teatro, musica, installazioni, workshop e incontri, il Festival è stato ancora una volta l'occasione per tracciare una mappa sempre più aggiornata delle riflessioni sulle nuove modalità espressive multicodice che attraversano il contemporaneo.

Lo spettacolo su cui mi soffermo oggi è intitolato Rayon X con la coreografia/regia di Karine Saporta.
Gli interpreti: Ginette Dunò , Simone Faloppa. Scenografia di Jean Bauer.
La drammaturgia è di Luca Scarlini che settimane fa è stato ospite di questo sito in occasione del suo recente libro Un paese in ginocchio.
Ecco come presenta “Rayon X”.

In un negozio che vende articoli erotici, una signora continua ossessivamente a tornare sui propri passi, relazionandosi con un commesso che vuole venderle articoli che dovrebbero farla star meglio, o anche rivelarla a se stessa. Una riflessione ironica su eros e gender, sulle punte di una coreografia che si presenta per quadri.
Il titolo dichiara fino dall'inizio una dimensione che vuole essere ironica e precisa a un tempo.
Il senso più esatto del termine è infatti quello di reparto per adulti, luogo in cui si possono acquistare tutte le più incredibili fantasie dell'immaginazione. La scenografia allude infatti a un sexy shop e la relazione che si instaura, è quella tra una cliente, ansiosa e onirica, e un commesso che giocano a vendere e rivendere le proprie visioni del corpo, in un tripudio di ricchi premi e cotillons.
Dodici situazioni legate a sogni, visioni, rappresentazioni e stereotipi, allegramente messi in discussione. Il materiale su cui si misura la creazione è in primo luogo quello del music-hall, della rivista, del cabaret: forme d'arte scenica, brevi, spesso brevissime, basate sulla struttura del "numero". Momento di teatro apparentemente concluso in sé stesso, che si lega a quelli che precedono e a quelli che seguono, stabilendo però una tensione tra differenti momenti della creazione, in cui risuonano echi dei lavori di Josephine Baker, Mistinguett e Tempest Storm.
Se da una parte il luccichio delle paillettes ha accompagnato lo spettacolo leggero da inizio secolo ad oggi, facendo brillare le sue protagoniste a simbolo femminile di vanità e splendore, dall'altra ha consolidato la propria essenza popolare da intrattenimento tout court, portando la figura femminile alla sua massima volgarizzazione. In questo senso agisce come punto di riferimento del pensiero scenico il celebre testo estremo di Valerie Solanas SCUM in cui, con lucidità tremenda, la scrittrice americana nota soprattutto per il clamoroso tentato omicidio di Andy Warhol, analizzava all'indomani del '68 in termini di terribile chiaroveggenza la relazione uomo-donna. Un lavoro, quindi, sospeso tra il divertimento di antiche situazioni di intrattenimento e lo scarto di una riflessione aguzza sulla rappresentazione del corpo oggi.
La femminilità esposta, erotizzata, è sempre soggetta ad essere oltraggio ed indecenza, come nei salotti parigini di inizio novecento e comunque secondo la cultura ufficiale allora contemporanea.
Se il desiderio parte dalla seduzione, la seduzione è una forza interiore, individuale, che si muove sul filo del rasoio, sull'abisso della natura, tra le pieghe di una camicetta, nell'affiorare di un sorriso, nel movimento di un piede, nel lampeggiare dell'incavo di un'ascella
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“Rayon X”
Stazione Leopolda – Firenze
Mercoledì 25/05/2011, ore 21:00


Sfiga


E’ di ieri la notizia di come Letizia Moratti sia goffamente caduta nella buca tesale da uno scherzoso milanese che, su Twitter, fingendosi indignato per la costruzione di una moschea in Via Puppa nel quartiere Sucate (località entrambe inesistenti) invece di vedere smascherata dalla signora Letizia la (fin troppo evidente) burla, ha avuto dalla sballottante sindachessa una solenne risposta: “Nessuna tolleranza per le moschee abusive. I luoghi di culto si potranno realizzare secondo le regole previste dal nuovo Pgt".
E’ chiaro che la Moratti più di un nuovo Ufficio Stampa, ha bisogno di una badante.

E sempre ieri a Milano (… che giornata!) succede un altro episodio che ha insidiosa rima con la beffa raccontata prima.
Da una giurìa è stato scelto il logo (in foto) dell’Expo di Milano del 2015.
Come si chiama il vincitore?... Andrea Puppa. Milanese. Ma non abita a Sucate.
La Moratti dovrà premiarlo. Immaginate i suoi dubbi, le sue perplessità, i suoi tormenti.
Certo, quando il diavolo ci mette la coda riesce a essere 'na carogna!


Videoinsight

Può un’opera d’arte contribuire allo sviluppo del benessere psicologico e alla risoluzione del disagio interiore? In altre parole: può anche curare?
Questo l’interrogativo posto dalla psicoterapeuta Rebecca Luciana Russo che definisce Videoinsight® “la presa di coscienza trasformativa provocata dalla visione di un’opera d’arte contemporanea”.
E Videoinsight® è anche il titolo di un suo recente libro pubblicato da Silvana Editoriale.

Rebecca Luciana Russo è Psicologa Clinica e Psicoterapeuta Familiare, con formazione Sistemico-Relazionale. Ha creato “Murales”, centro d’ascolto per adolescenti con disagio psicologico, e “Formae Mentis”, progetto per la formazione psicologica nell’età evolutiva. Ha condotto Corsi di Psicologia presso l’Università della Terza Età. È stata socia dell’Aedes, Associazione per la Cura e la Ricerca sulla Salute Psichica, nella quale ha svolto attività di ricerca, studio, formazione, sostegno e riabilitazione con adolescenti e giovani adulti con disturbo psicotico.
È collezionista di Arte Contemporanea, soprattutto di Fotografia e Video d’Artista. Nel 2010 ha creato a Torino il Centro Videoinsight®, spazio per la fruizione condivisa dell’opera d’arte contemporanea.
Fondamentali alcuni suoi incontri con artisti, ad esempio con Marina Abramovic.
L’autrice, in questo suo recente volume, dopo aver indagato i rapporti tra Arte e Vita, presenta quattordici esemplificazioni relative all’introduzione del Video d’Arte Contemporanea nei processi psicodiagnostici e psicoterapeutici.
A tale fine analizza i lavori di Masbedo, Ursula Mayer, Elena Kovylina, Regina José Galindo, Sophie Whettnall, Marzia Migliora, Sissi, Agnieszka Polska, Ali Kazma, Rä di Martino, Alice Cattaneo, Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, Tejal Shah, Nathalie Djurberg.

A Rebecca Luciana Russo ho posto alcune domande.
In sintesi, che cos'è Videoinsight®?

Videoinsight® è un concetto teorico, un progetto, un metodo di lavoro, un processo psicologico, una motivazione, una finalità.
Si basa sull’esperienza di scambio e d’integrazione fra l’opera d’arte contemporanea e la psicologia delle persone che con essa si rapportano.
Videoinsight® significa avere un insight attraverso la visione di un’opera d’arte.
Ho scelto il termine Videoinsight® per indicare il fine e l’effetto psicologico potenzialmente provocati dall’interazione con opere d’arte contemporanea.
Videoinsight® significa presa di coscienza attivata dalla visione di un’opera d’arte.
Eʼ il risultato dellʼattivazione di Transfert, cioè di proiezioni, rispecchiamenti, interiorizzazioni sul prodotto artistico e dell’elaborazione inconscia che porta alla trasformazione evolutiva.
“Insight” significa vedere dentro, prendere coscienza, avere un’intuizione, un’illuminazione, risolvere un problema con un’idea improvvisa, immediata, vissuta come esperienza interiore, che permette di visualizzare il problema nella sua globalità, raggiungendo in pochi attimi la soluzione cercata
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Qual è la differenza fra Videoinsight® e Arteterapia?

L’Arteterapia promuove la ricerca del benessere psicofisico attraverso l’espressione artistica dei pensieri, dei vissuti e delle emozioni.
L'arteterapeuta chiede al paziente di creare un disegno, un dipinto, un collage, una scultura. Il prodotto artistico viene interpretato a fini terapeutici.
Nel caso del Videoinsight® invece il terapeuta guarda un'opera d'arte contemporanea insieme al paziente. Le interpretazioni soggettive dell'opera hanno valore diagnostico e terapeutico.
L'opera d'arte in questa esperienza assomiglia al reattivo di Hermann Rorschach, il test costituito da dieci tavole con macchie d'inchiostro monocrome e colorate.
La Psicologia dell’Arte, attraverso tecniche sperimentali, studi comparativi e indagini cliniche, si occupa di analizzare la relazione fra l’artista e la sua opera, quella tra l’opera e il fruitore, il processo creativo, il prodotto artistico.
Il Videoinsight® rientra più nella Psicologia dell'Arte che nell'Arteterapia, in quanto indaga la relazione tra l'opera d'arte contemporanea e il fruitore
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E il significato di termini quali Fototerapia, Cineterapia, Videoterapia?

La Fototerapia consiste nell'analisi terapeutica delle fotografie quotidiane e familiari, potenti strumenti di comunicazione che mettono in evidenza paradossi, contraddizioni e ambiguità e che rivelano il Sé di chi le ha scattate e di chi è stato ripreso.
La Cineterapia prevede la visione di film con contenuto psicologico.
La Videoterapia si basa sull'analisi diagnostica e terapeutica delle riprese effettuate con una videocamera dal terapeuta nei confronti del paziente o dal paziente stesso
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Il libro si conclude con “Scrittura a quattro mani sull’arte come esperienza di condivisione”, un intervento dovuto alla storica dell’arte Maria Rosa Sossai e all’artista Giulio Squillacciotti.
Colgo l’occasione per ricordare che in queste pagine web invitai proprio la Sossai per presentare il suo importante libro: Film d'artista.

Per accedere sul web al Centro Videoinsight: DRIIIN!

Luciana Rebecca Russo
Videoinsight®
Pagine 316, Euro 25.00
95 illustrazioni
Silvana Editoriale


La morsa


La Soprintendenza Speciale P.S.A.E. e per il Polo Museale della città di Firenze, il Museo Nazionale del Bargello, l’Associazione “Amici del Bargello”, Firenze Musei, Firenze Estate 2011, il Teatro della Pergola hanno promosso e sostenuto un canone di lavoro di Sandro Lombardi che, periodicamente, ama incontrare attori, registi o coreografi con cui confrontarsi. Così è stato con David Riondino su Dante, con Iaia Forte su Testori, con Virgilio Sieni su Pasolini, con Roberto Latini su Pirandello.
Per La morsa, altro testo di Pirandello (allestito nel Cortile del Museo del Bargello), stavolta il partner sarà Arturo Cirillo, regista, oltre che interprete, accanto a Lombardi, per dar vita ai due protagonisti maschili del dramma, mentre il personaggio femminile è affidato a Marta Richeldi.
Per Sandro Lombardi è una felice occasione tornare al grande drammaturgo siciliano dopo avere interpretato il personaggio di Cotrone nei “Giganti della montagna” - regia di Federico Tiezzi (2007) - e l’“Uomo dal fiore in bocca”, realizzato insieme a Latini lo scorso anno sempre al Museo del Bargello.

La morsa di Luigi Pirandello è una commedia, o, come dice lo stesso autore, un epilogo in un atto, scritta nel 1892.
Il tema del dramma sarà ripreso nella novella “La paura” del 1897 e pubblicata con il titolo di “Epilogo” nel 1898 nella rivista “Ariel” fondata dallo stesso Pirandello.
La prima rappresentazione si ebbe a Roma, al Teatro Metastasio, il 9 dicembre 1910, ad opera della Compagnia del Teatro Minimo diretta da Nino Martoglio che la mise in scena insieme con l'atto unico “Lumie di Sicilia”.
Pirandello cedendo alle insistenze di Martoglio acconsentì a che La morsa e Lumie di Sicilia fossero rappresentate nella stessa serata. La sua perplessità ebbe ragione: i due atti unici ebbero diverso esito presso il pubblico, che accolse con favore “La morsa”, mentre non gradì “Lumie di Sicilia”.


Dice Sandro Lombardi - (qui in una foto scattata da Marcello Norberth) - a proposito del perché della scelta proprio di questo testo del grande drammaturgo.

“Posso riassumere in cinque punti i motivi di questa scelta.
1. Perché dopo L’uomo dal fiore in bocca desideravo tornare appunto al primo Pirandello, quello ancora tutto legato ai temi della vita e non ancora contaminato da eccessive preoccupazioni filosofiche;
2. Perché si tratta di un testo claustrofobico, con solo tre attori, adatto dunque a uno spazio non teatrale qual è quello del cortile del Bargello;
3. Perché c'era una comunanza di interessi sul testo con il regista Arturo Cirillo;
4. Perché esso incarna al meglio la tesi di Giovanni Macchia, che vede in Pirandello l'artefice di angoscianti "stanze della tortura": tutta la breve commedia si svolge in un'unica stanza di casa Fabbri, dove prima Giulia e il suo amante, Antonio Serra, si tormentano per capire se il marito sospetti o meno della loro relazione, e dove poi, arrivato il marito Andrea Fabbri, è questi a torturare se stesso e Giulia fino a portarla a confessare il suo tradimento;
5. Perché il tutto è calato in una società borghese asfittica e polverosa, dove parrebbe che le cose siano tutte al loro posto, immutabile e definito, e dove invece covano risentimenti, frustrazioni, desideri di fuga e cambiamento, ma tutto resta impigliato nelle afose nebbie di una palude, la palude che Andrea ha bonificato nella realtà, ma che è restata negli animi come una condanna da cui non si può sfuggire.
E poi, ancora una cosa mi va di dire: Pirandello venne considerato in vita più un ‘filosofante’ che un artista, più un pensatore capace di inventare spietati grovigli psichici che un creatore di intrecci scenici. In realtà egli seppe dire – e La Morsa lo dimostra – una parola originale e unica proprio relativamente alla realtà, all’essenza teatrale”.

Secondo il regista Arturo Cirillo: “La morsa è la messa in scena di quanto di più atroce la famiglia riesca a produrre. La morsa non è solo quella stretta interrogazione che un marito fa a una moglie che lo tradisce, ma è una condizione fisica e mentale nella quale tutti e tre i personaggi della vicenda (lui, lei e l'amante) sono compressi, coatti e costretti. Centro della vicenda è l'ipocrisia della media borghesia italiana, come solo Pirandello sa descrivere e far parlare: con quella lingua tutta allusiva, sospesa, sincopata. Appare un mondo di mediocri, incapaci di grandi sentimenti e generosità. Una tragedia del vuoto in cui i personaggi si esprimono attraverso una recitazione immedesimata e straniata allo stesso tempo, dando voce alle battute, ma, talvolta, anche alle didascalie. Così, una comune tragedia familiare che si consuma in una stanza di una casa di provincia, raccontata attraverso un insieme di oggetti rinchiusi in umide bacheche, diventa lo specchio di una condizione umana e sociale mummificata”.

Info: Compagnia Sandro Lombardi: Tel. 055 – 600 218; info@lombarditiezzi.it

Ufficio Stampa: Simona Carlucci, tel. 0765 – 22 184; 335 – 59 52 789; mail: info.carlucci@libero.it

Lo spettacolo è presentato in concomitanza con la prima esposizione monografica – intitolata “L’acqua, la pietra, il fuoco: Bartolomeo Ammannati, scultore” – nel V centenario della nascita dell'artista di cui il Bargello possiede buona parte delle opere scultoree. Il titolo allude alle tre importantissime Fontane, che Ammannati realizzò per commissione del duca Cosimo I: quella destinata al Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio; quella per la Piazza della Signoria (ovvero "del Biancone"); e quella per il giardino della Villa medicea di Castello.
La mostra, aperta l’11 maggio, durerà fino al 18 settembre e durante il periodo delle repliche di “La morsa” sarà visitabile gratuitamente prima e dopo lo spettacolo.

Luigi Pirandello
“La morsa”
Interpreti: Sandro Lombardi, Marta Richeldi, Arturo Cirillo.
Scene: Dario Gessati
Costumi: Giovanna Buzzi
Luci: Gianni Pollini
Suono: Antonio Lovato
Assistente alla regia: Fabrizio Sinisi
Regia di Arturo Cirillo

Firenze - Cortile del Museo del Bargello
dal 24 maggio al 12 giugno 2011 – ore 21.15
Lunedì riposo


Due libri di Dieter Schlesak

Poeta di madrelingua tedesca, saggista e romanziere, Dieter Schlesak – nato nel 1934 a Sighisoara in Transilvania, Romania – dopo gli studi universitari in germanistica a Bucarest ha subito la persecuzione del regime di Ceausescu per la sua attività di redattore della rivista “Neue Literatur”.
Nel 1969 si è trasferito a Stoccarda, in Germania, e dal 1973 vive in Toscana.
Membro del PEN Club, ha ottenuto numerosi riconoscimenti e premi letterari.
In Rete conduce due siti web: QUI e QUI.

Di questo autore (in foto), la Casa Editrice Garzanti ha pubblicato la ristampa di Il farmacista di Auschwitz e il recente L'uomo senza radici.
Autore prezioso non solo per la forza del suo stile, ma anche per il modo in cui restituisce i ritratti del dolore e della perdita.

In Il farmacista di Auschwitz racconta la storia vera di Viktor Capesius che con feroce indifferenza seleziona gli internati da mandare a morte fra i quali anche tanti suoi vicini di casa e perfino alcuni che in una lontana foto circondavano sorridenti quello che sarà il loro futuro carnefice.
Mai mi era capitato di leggere pagine così strazianti sull’universo concentrazionario che pure vanta una sconfinata bibliografia. Perché qui, il caso disperato descritto spinge a una riflessione sulla natura umana, su quel sistema nervoso centrale che indossiamo da millenni e che ci proietta, assai, troppo spesso, in territori ignoti che stanno oltre la malvagità.
“Il farmacista di Auschwitz”: un libro imperdibile, straordinario, unico.

L’uomo senza radici svolge altri temi della sofferenza: la perdita della terra in cui è nato il protagonista che quando sembra avere trovato un sia pur provvisorio approdo, è raggiunto dalla notizia di un'altra perdita: la morte della madre. E qui, a me è sembrato che quell’angosciato pellegrino, rifiuti la proposta psicanalitica che prescrive l’elaborazione del lutto, decida di convivere con esso in una discesa speleologica nella propria psiche, in una pluralità di tante piccole straziate solitudini. Se elaborasse il lutto, significherebbe per lui seppellire ancora una volta, definitivamente, la madre, quella creatura da lui tanto amata.


Nella drammatica storia raccontata in “Il farmacista di Auschwitz”, è invitabile pensare a quella nota definizione dell’Arendt, a proposito di Eichmann, circa la ‘banalità del male’.
In una conversazione telefonica avuta con l’autore, mi ha accennato anche alla ‘familiarità del male’.
A Dieter Schlesak ho chiesto di spiegare le ragioni di quelle sue parole.

“Il farmacista di Auschwitz” è stato scritto per questa da me definita "familiarità del male", della quale faccio parte. Perché, se avessi avuto 7 anni in più, avrei fatto anch’io il servizio militare nelle SS com’è accaduto ai miei zii che sono finiti tutti come ufficiali o soldati SS nei lager: Auschwitz, Flossenbürg, Dachau, Neuengamme... La familiarità del male!

In “L’uomo senza radici”, l’autobiografico protagonista di radici ne perde due importantissime: la madre che muore e la patria scomparsa.
Per continuare a vivere, a quali motivazioni, a quali elementi, si lega?

Il primo choc che ho provato, dopo il mio esodo dall’Est all’Ovest, è stato conoscere il mondo egoistico e freddo, senza credenze, essenze e valori veri della società capitalistica, quello choc è poi diventato sofferenza permanente e quotidiana.
Da allora niente è cambiato, anzi, dal 1969, mio primo anno in Germania, e dopo il 1973 quando sono “emigrato” in Italia, le cose sono peggiorate drammaticamente nel mondo intero. Per me la poesia, la vita scritta è divenuta – insieme con l’amore, l’amicizia e la meditazione – l’unica salvezza, pensando anche agli altri, ai lettori, a una microsocietà positiva.
Questo è anche il motivo per il quale scrivo. Non mi indebolisce l’atto creativo, anzi mi dà coraggio esistenziale. Sì, sono pochi i lettori ma sono di qualità, e spero anche di dare loro più coraggio e anche un po’ di difese contro la vita fredda e banale, una luce di anima per sopravvivere meglio.
Trovarsi senza radici è indubbiamente una debolezza, ma può essere trasformata in una forza
.

Dieter Schlesak

“Il farmacista di Auschwitz”
Pagine 450, Euro 11.90

“L’uomo senza radici”
Pagine 462, Euro 18.60

Entrambi i volumi sono tradotti da Tomaso Cavallo

Garzanti


Tante famiglie, tutte speciali

Le “famiglie” annunciate nel titolo di questa nota – precisarlo in apertura è meglio – non facciano pensare a quelle che indossano coppole storte e vedono, di frequente, fra i loro componenti sostenitori del nostro assetto politico o, addirittura, uomini impegnati in prima persona nella direzione del nostro sfortunato Paese.
Si tratta di altre famiglie.

La Casa Editrice Gribaudo ha pubblicato un libro per ragazzi – Tante famiglie, tutte speciali – che nel momento in cui viviamo in Italia, risulta una pubblicazione necessaria, tutta da elogiare.
Uno di quei libri che consiglio agli insegnanti perché ottimo spunto per informare i ragazzi nelle scuole sulle trasformazioni della nostra società, educando così alla convivenza, alla comprensione di costumi diversi dai nostri e da occasioni familiari, anche aspre, che spesso si presentano nella vita dei più giovani.
Questo libro esplora tutti i diversi tipi di famiglie – che possono essere composte di un solo genitore, da genitori divorziati e con un nuovo compagno, da coppie omosessuali, di razza mista, con figli adottivi o in affidamento – e trasmette l’insegnamento positivo che, a rendere speciale la propria famiglia, qualunque essa sia, sono l’amore e l’affetto che ci vengono dati.
Il piccolo volume insegna a conoscere e a rispettare le diverse tipologie di famiglia con cui si viene a contatto quotidianamente, incontrando anche persone di diverse culture.
In fondo c’è uno spazio in cui i bambini possono disegnare la propria famiglia.

Il libro si raccomanda anche perché può vantare un suo ulteriore merito.
Il ministro Giovanardi Carlo, mentre era ospite della trasmissione “Agorà”, sporgendosi dalla lapide tv, si è impegnato a parlare male di quel volumetto.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Rachel Fueller
Tante famiglie, tutte speciali
formato: 16,5x23 cm
Pagine 14, Euro 10,90
Edizioni Gribaudo


Generazione T/Q

Non lambiccatevi il cervello per indovinare che cosa significhi Generazione T/Q, ve lo dico io sùbito: quel T/Q sta per “Trenta/Quarantenni”.
Si tratta di un gruppo di autori che hanno quell’età.
Si sono dati appuntamento a Roma il 29 aprile per discutere sul ruolo degli intellettuali,fra i 30 e i 40 anni, nella società italiana di oggi.
Il tutto prende avvio da una proposta-manifesto.
Ne sono primi firmatari il linguista e scrittore Giuseppe Antonelli, il responsabile dell’Ufficio Stampa di Minimum Fax Alessandro Grazioli, lo scrittore e poeta Mario Desiati, e due scrittori ed editor: Nicola Lagioia e Giorgio Vasta.
Proprio a quest'ultimo mi sono rivolto per saperne di più. Ai più distratti ricordo che fra i suoi titoli più recenti si registrano Il tempo materiale e Spaesamento.

A Giorgio Vasta (in foto) ho chiesto: qual è la principale motivazione che vi ha spinto a riunirvi?

Un senso di disagio. L’impressione, cioè, di correre il rischio di un protratto galleggiamento e il bisogno, invece, di condividere un colpo di reni e un movimento in una direzione precisa. Da qui l’organizzazione di quello che è stato un incontro embrionale, necessariamente imperfetto e disordinato, per cominciare a discutere. Partendo da due denominatori comuni: il fatto di muoversi tutti in ruoli diversi all’interno dello stesso contesto (siamo tutte persone che lavorano con il linguaggio); e il fatto di avere condiviso, per ragioni anagrafiche, una specie di paradossale educazione all’intelligenza senza azioni. Mettere la nostra intelligenza al servizio di una pratica di cittadinanza ci sembra il recupero di un diritto-dovere del quale ci stavamo dimenticando.

A quali conclusioni siete giunti? E che cosa seguirà?

Come detto l’incontro del 29 aprile è stato un inizio. È servito a far incontrare persone che spesso si conoscono solo tramite la mediazione dei libri che scrivono o degli articoli che pubblicano sui giornali. Dunque ragionare su una conclusione è sostanzialmente impossibile. Siamo al principio di un lavoro in corso che ci auguriamo possa servire a qualcosa, ragione per la quale stiamo da subito riflettendo su cosa fare, come e con chi.

Avete deciso di tenere il convegno “Generazione T/Q” a porte chiuse.
La cosa, in me (ma anche in altri) ha suscitato qualche perplessità.
Puoi dirci il motivo di questa scelta?

Ci rendiamo conto che possa risultare una scelta impopolare. Ma ci sono circostanze precise che ci hanno indotto a procedere, in prima battuta, in questo modo. Prima di tutto lo spazio disponibile, la sala che la casa editrice Laterza ci ha messo a disposizione, è come ogni luogo uno spazio finito e non immaginario. Ci si sta in circa cento, sforzandosi e comprimendosi centoventi, poi lo spazio scoppia. Al di là di questo aspetto strettamente pratico ci serviva, come detto, un primo momento condiviso proprio da quelle persone che appartengono a una generazione formidabile sul piano speculativo e invece spessissimo disarmata su quello delle azioni concrete. È chiaro che tutto quello su cui abbiamo ragionato e ragioneremo ha un valore trasversale e che non ci interessa legittimare una generazione o metterla in conflitto con un’altra, tanto che prevediamo in tempi brevi di costruire dialoghi in direzioni diverse con chi non ha trenta o quarant’anni. Insomma, nessuna forma di isolamento o di esclusione, soltanto la necessità di darsi un metodo preliminare dal quale cominciare .


Cangura


"Il canguro" – come informa Wikipedia – "è un nome comune con cui s’indicano alcune delle circa 60 specie della famiglia dei macropodidi (ordine dei marsupiali); le più comuni sono il canguro rosso e il canguro grigio".
E’ necessario, però, adesso aggiungere a quelle note la nascita di un nuovo macropodide che si muove a balzi anfibi fra cellulosa e digitale: Cangura.
In verità, andrebbe scritto canGura così come suggerisce la grafica di Alessandra Maiarelli che ha creato una bellissima impostazione verbovisiva per questa rivista che rimanda anche, tra piegature, sacche (o marsupi?) e risvolti, alla Packaging Art.
E’ un quadrimestrale – sottotitolo: marsupio di parole, suoni e segni – che si compone di una parte stampata e un’altra audio affidata a un Cd.
E qui Luca Sossella – editore della pubblicazione – continua in quel lavoro che l’ha visto fra i primi in Italia (e certamente il primo a farlo meglio) a esplorare il territorio dell’editoria audiolibraria.
Propone ora una pubblicazione che, com’è detto nella presentazione, vuole “andare non solo oltre il libro, ma anche oltre la ‘rivista’. Semmai, sarà una ‘ascoltata’, che, invece di ripetere la visione, indichi le cose da vedere ancora (e da ascoltare, e da ri-ascoltare). Oltre l'autorialità: un progetto per chi si è liberato dell'’io’ e ha deciso di doppiarlo con un ‘tu’ che muta l'identità in differenza […] Il suo vero nucleo è un sito in Rete: un sito verso il quale le appendici materiali convergono, uno spazio del quale la carta e la plastica sono solo una sineddoche. Le parole che il lettore ha in mano sono una provocazione e una seduzione, un’istigazione a saltare oltre. Sono tracce, segnali: indicano la direzione in cui proseguire la ricerca”.
Felicissimi gli interventi, tra i quali segnalo quello di Gabriele Frasca (“Letteratura? No, grazie”), Mario Gamba (“Una nuova vocalità”, dedicato a Demetrio Stratos), Stefano La Via (“Con i Têtes de Bois, sulla riva delle cose reali”) e una creazione di Claudio Calia, fumetto b/n in appena 6 tavole che mi è piaciuto moltissimo.

"Cangura", quadrimestrale con cd audio, costa 8 euro


Anna Malagrida


Se a Modena vi trovate di passaggio o abitate lì oppure nelle vicinanze, non perdetevi una mostra di grande forza – allestita alla Galleria Civica di quella città – che merita anche una gita fatta apposta per vederla.
Si tratta della prima retrospettiva italiana dell’artista spagnola Anna Malagrida organizzata dalla Fundacion Mapfre di Madrid in collaborazione con la Galleria Civica di Modena e la Fondazione Cassa di Risparmio modenese.
La curatrice dell’esposizione è Isabel Tejeda.

(In foto, un’opera in mostra).

Nata a Barcellona nel 1970, protagonista della scena contemporanea spagnola, presente in numerose personali e collettive in tutta Europa e negli Stati Uniti, Anna Malagrida è un’artista che si esprime attraverso la fotografia, il video e l'installazione.

In occasione della mostra a Modena, ha donato un lavoro dal titolo "Rue Charenton", del 2008, alla Raccolta della Fotografia della Galleria Civica.
Un'installazione, intitolata "La sala de baile", collocata nella sala d'ingresso della Palazzina dei Giardini della Galleria, accoglie i visitatori della mostra.

Il catalogo, Tf. Editores, è in lingua spagnola, inglese e francese (con testi italiani in brochure allegata).
Nel volume, saggi di Rachida Triki, storica dell'arte all'Università di Tunisi, Martin Peran, critico e professore di storia dell'arte all'Università di Barcellona; testi di Isabel Tejeda, curatrice della mostra, e un'intervista all’artista.

Ufficio Stampa: Cristiana Minelli; galcivmo@comune.modena.it; 059 – 20 32 883.

Anna Malagrida
Galleria Civica di Modena
Palazzo Santa Margherita
Corso Canalgrande 103
Info: tel +39 059 – 20 32 911/2940

Fino al 6 giugno 2011


L’Ateo

In occasione della beatificazione di Wojtila, radiotv e giornali si sono fatti portatori di zaffate d’asfissiante incenso, perciò anche per chi non abita a Roma è stata dura, ma per chi come me vi abita, è stato peggio. L’orgia mortuaria fatta dal popolo della vita che s’esalta nello sniffare putrefazioni, è stata qualcosa a mezza strada fra la il voyeurismo da sala morgue e la storia del varietà.
Il primo maggio l’ho trascorso a casa per qualche ora in compagnia del nuovo numero del bimestrale L’Ateo diretto da Maria Turchetto.
Numero che, in modo non so se più malizioso o birichino, uscito in concomitanza con la “beatificazione”, ha dedicato la sua parte monografica proprio alla morte. Evento osservato dal punto di vista di chi non crede in alcun aldilà. Tale parte è stata causticamente contrassegnata dai versi scritti nell’”Adriano in Siria” dal Metastasio: Non è ver che sia la morte il peggior di tutti i mali / È un sollievo dei mortali / Che son stanchi di soffrir.
Nei vari articoli (mi permetto di suggerire di renderli meno lunghi, se possibile), usando strumenti della sociologia e dell’antropologia, la morte è trattata anche nelle sue configurazioni più aspre: dal suicidio all’eutanasia.
Rilevante, a cura della redazione, una bibliografia sul tema suddivisa per augomenti specifici; ad esempio: credenze e riti, medicine e bioetica, autodeterminazioni e scelte, e così via.
Nelle pagine – tutte punteggiate da azzecatissime vignette – dopo la parte monografica, è dato largo spazio alla voce dei lettori che hanno, spesso, il merito di prodursi in autentici microsaggi.
Un numero della rivista costa 2.80 euro. E’ in vendita nelle librerie Feltrinelli.


Solo il titolo è incoraggiante


Si sa che il titolo è assai importante per un libro, un esempio recente mi è dato da Non incoraggiate il romanzo Sulla narrativa italiana edito da Marsilio.
Ne è autore Alfonso Berardinelli.
Nato a Roma nel 1943, critico letterario e saggista, è collaboratore del "Corriere della Sera”, del “Sole 24 Ore”, del quotidiano “Il Foglio”.
Tra i suoi libri: “La poesia verso la prosa. Controversie sulla lirica moderna" (1994); “L'eroe che pensa. Disavventure dell'impegno” (1997), “Nel paese dei balocchi. La politica vista da chi non la fa” (2001); “Che noia la poesia. Pronto soccorso per lettori stressati” (con H.M. Enzensberger, 2006); “Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione (2007)”; “Che intellettuale sei?” (2011).
Con Marsilio ha pubblicato La forma del saggio (2002), per il quale ha ricevuto il Premio Viareggio.

Dicevo in apertura che importante è il titolo, ma non di minore rilievo è come si comincia il primo capitolo.
Sfolgorante ho trovato quello di Berardinelli: “Se solo potessero, gli editori darebbero il nome romanzo a tutti i libri che pubblicano. Sembra ormai che ogni tipo di libro spaventi il lettore: il romanzo no. I libri di storia li leggono gli storici. I libri di filosofia li sfogliano i filosofi. I poeti non si leggono neppure fra di loro. Le scienze sociali interessano poco: di società si parla sui giornali e la prosa sterilizzata dei sociologi respinge il lettore comune”.
Tutto giusto. E ancora giusta l’osservazione che se si dovessero liberare i nostri scaffali per far posto a libri nuovi, e conservare soltanto i dieci più importanti romanzi scritti nel Novecento, si terrebbero solo alcuni volumi scritti nella prima metà.
Poi, il primo inciampo. Laddove si sostiene che “il romanzo d’avanguardia è stato un episodio o un controsenso”.
A Napoli, dove sono nato, allorquando qualcuno manifesta segni di vaneggiamento, si suole dire “levate il vino dalla portata di… “ segue il nome di colui che dice insensatezze vittima di un’incipiente ‘mbriachezza (in questo caso, in dialetto, la cosa suonerebbe così: ’lluate ‘o vino ‘annanz’a Berardinelli.
Seguono altri capitoli alticci che offrono una panoramica sugli autori italiani, un viaggio attraverso le pagine dei grandi romanzieri del passato (tra i quali Gadda, Tomasi di Lampedusa, Landolfi) per arrivare ai più recenti Albinati, Busi, Calasso, Cordelli, Tabucchi, Simona Vinci che sono, chi più chi meno, maltrattati (e se lo meritano per il solo fatto – è una mia opinione – di avere scritto romanzi).
Si salva in parte Walter Siti del quale è, però, detto “che è (o era) un intellettuale e un critico”… Siti sta in campana!
Ci si rende conto, insomma, che Berardinelli non ce l’ha con il romanzo, ma solo (com’è suo pieno diritto di critico) con alcuni romanzieri.
Spara da una parte mentre (forse è un animalista) la preda sta da tutt’altra parte.
Intendiamoci, dei 40 romanzi pubblicati al giorno (dati dell'Aie) ce n'è pure qualcuno bello. Ma più che belli o brutti, sono inutili. Speravo di trovare questo in quel libro dall’incoraggiante titolo.
Manganelli diceva: Basta che un libro sia un "romanzo" per assumere un connotato losco .
Speravo in un’esplorazione delle nuove forme di narrazione nate da tutte quelle esperienze che non hanno origine sulla carta, cioè la e-literature.
“I testi della eLiterature”, come scrive Alessia Rastelli, “nascono già elettronici, quasi sempre interattivi, arricchiti da audio e video oppure animati da algoritmi che spostano singole lettere o interi capitoli sotto gli occhi di chi li guarda. Così la letteratura si spinge ai confini con l'arte e la fruizione sembra di volta in volta irripetibile”. Grazie a un apposito programma, ad esempio, la mescolanza di suoni, immagini e testo varia a ogni riproduzione in “The set of the U” del francese Philippe Bootz, uno dei padri del sottogenere della poesia elettronica. Oltre cinquecento combinazioni, invece, in “Bromeliads”, opera in prosa dell'americano Loss Pequeño Glazier, ritenuto con Bootz e lo statunitense Michael Joyce (scrittore d’ipertesti), tra i principali autori di eLiterature.
Tutte cose queste che mettono in crisi il romanzo su carta.
Faccenda preconizzata da Italo Calvino. Ricordo la sua invenzione del termine “iperomanzo” un luogo “d'infiniti universi contemporanei in cui tutte le possibilità vengono realizzate in tutte le combinazioni possibili"; dove può valere "un'idea di tempo puntuale, quasi un assoluto presente soggettivo"; dove le sue parti "sviluppano nei modi più diversi un nucleo comune, e che agiscono su una cornice che li determina e ne è determinata"; che funziona come "macchina per moltiplicare le narrazioni".
No, Berardinelli non guarda al futuro, colpito da torcicollo culturale fissa solo il passato lontano o vicino, vuole soltanto scoraggiare alcuni romanzieri.
Riprova di tutto questo sta in una parte del libro che è una lettera a Tiziano Scarpa; la lettera è lunga 11 pagine… e se Berardinelli avesse scritto a Rabelais o a Cervantes quanti tomi gli sarebbero occorsi?
Ancora una cosa. L’autore cita 10 volte il nome di Berlusconi. Per insultarlo? Com’è dovere di ogni cittadino italiano? Non proprio. Forse per amore di Ferrara… no, non mi riferisco alla città… forse perché le prime tre lettere del suo cognome uguali a quelli del premier, lo spingono a qualche solidarietà. Ecco come ne scrive a pagina 159: “Gli intellettuali ne sono ossessionati non meno di Cordelli e lo usano volentieri per recitare all’estero la parte degli eroici oppositori di un regime antidemocratico. Il nome di Silvio Berlusconi è diventato una potente formula magica pronunciando la quale si evocano le più nere ombre del passato e del presente”.
Che qualcuno avverta Berardinelli che Berlusconi ha già Ghedini che lo difende.

Alfonso Berardinelli
Non incoraggiate il romanzo
Pagine 288, Euro 21.00
Marsilio


Uno spettacolo necessario

E necessario soprattutto a Roma. Città protagonista e vittima della trascorsa orgia stampata e radiotelevisiva seguita a un non lontano strillo “Santo subito!”.
Insomma un’occasione per respirare liberando i polmoni dall’intossicazione d’incenso che ci è stata imposta. Mi riferisco a un lavoro che va in scena al Teatro Vascello – diretto da Manuela Kustermann – intitolato Il Vaticano cade.

Ne è autore Frank J. Avella.
Ha studiato Cinema alla New York University ed è membro del "Dramatists Guild". Direttore artistico del Newcockpit Ensemble, è critico e reporter per NewYorkcool.com. Molte sue pièces, fra cui “Iris”, “Turbulence & Turbulence”, “About Christine” sono state rappresentate sulle scene americane. Ha scritto anche sceneggiature, spesso tratte dai suoi lavori teatrali.
In “Il Vaticano cade” mette alla ribalta un dramma basato su racconti, fatti ed eventi realmente accaduti, è uno sguardo audace sulla nostra presa di coscienza, ma anche di perdono: lo scandalo che ha visto preti e vescovi accusati di abusi sessuali, messi a tacere come segreto pontificio dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, pena la scomunica.
Il lavoro è messo in scena da Komiko Production in collaborazione con TSI La Fabbrica dell'Attore.
Lo spettacolo – diretto da Enrico Maria Lamanna – è con gli attori Ludovico Fremont - Maria Rosaria Carli - Nicola Nicchi - Gabriele Galli - Giorgia Wurth - Alberto Alemanno - Gian Piero Rotoli - Michele Cesari.
Musiche originali di Claudio Simonetti.

Per un video trailer: QUI.

Ufficio stampa: Cristina D'Aquanno, promozione@teatrovascello.it

Teatro Vascello
Frank J. Avella
“Il Vaticano cade”
Dal 10 al 22 maggio 2011


In un mondo senza Dio

Cosmotaxi Special per “In un mondo senza Dio”


Genova, 6 – 8 maggio 2011


In un mondo senza Dio: presentazione

A Genova, da oggi a domenica 8, si svolgerà un convegno internazionale sulle concezioni etiche non confessionali in occasione dell’assemblea annuale della Fhe (Fédération Humaniste Européenne).

L'Uaar (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti), organizzatrice dell'edizione 2011 dell'assemblea, ha scelto Genova per lo spirito laico che caratterizza la città e per l’amichevole accoglienza che l'Amministrazione pubblica ha sempre dimostrato nei confronti delle sue iniziative.

Il tema del convegno è così presentato dall’Uaar.
Nel mondo attuale l’individuo è chiamato a vivere senza Dio o, per essere più precisi, nella consapevolezza che non ci si può affidare a congetture sulla sua esistenza. Gli esseri umani sono chiamati a una sfida nuova, a costruire una morale che prescinda da quelle che, fino a pochi anni fa, qualcuno preconfezionava per loro. Una sfida unica e impegnativa, su cui tutti siamo chiamati a confrontarci. I tre giorni di conferenze costituiscono, nello stesso tempo, il primo importante evento in cui si confronteranno autorevoli intellettuali e l’inizio di un dibattito filosofico che, verosimilmente, si prolungherà per decenni
L’incontro è destinato, oltre che agli ospiti stranieri, a tutti i cittadini interessati ai valori della laicità e a un'etica senza riferimenti religiosi
.

Per il programma in dettaglio: QUI.


In un mondo senza Dio

Gli ebrei sono cani e questi cani sono troppi a Roma nei nostri tempi, li sentiamo guaire per le strade e ci disturbano in ogni dove.

Pio IX, 1871


In un mondo senza Dio: una domanda

Cosmotaxi a rappresentanti del pensiero laico ha rivolto una domanda.

Qual è il significato di un’etica senza Dio?.

Rispondono: Gilberto Corbellini, Paolo Flores d’Arcais, Margherita Hack, Carlo Modesti Pauer, Valerio Pocar, Maria Turchetto, Federica Turriziani Colonna, Augusto Viano.


In un mondo senza Dio: Gilberto Corbellini

Per una sua bioblibliografia, cliccate QUI.
In occasione del suo più recente libro “Perché gli scienziati non sono pericolosi”, pubblicato da Longanesi, fu intervistato anche da Cosmotaxi.

Questo special vede i nostri ospiti intervenire in ordine alfabetico; tocca, quindi, a Corbellini aprire la serie delle risposte sul significato di un’etica senza Dio.

Dio serve a chi manca di un grado sufficientemente avanzato di autonomia, e a chi non riesce ad amare e rispettare sé stesso e gli altri, cioè a relazionarsi all’interno di sistemi sociali complessi e forieri di disagi psicologici, senza assumere che qualcuno, un’entità immaginaria, glielo sta comandando – qualcuno che ovviamente può anche comandargli, tramite i suoi rappresentanti, di sacrificarsi e di uccidere nel suo nome.
L’etica senza Dio, per una persona che la pratica senza fanatismo, è una conquista cognitiva ed emozionale molto appagante. Un insieme di esperienze affettive e conoscitive attraverso cui vengono vissuti i valori che vincolano ai propri cari, e che danno sostanza al sentimento della propria dignità e responsabilità nella sfera sociale. Non voglio dire che un credente non possa raggiungere analogo appagamento, ma penso che tra i credenti solo i mistici riescono, attraverso un percorso molto particolare, a liberarsi della soggezione psicologica che comporta il fatto di aver bisogno di un padre padrone o anche solo di una giustificazione esterna per manifestare o assumere un’etica
.


In un mondo senza Dio: Paolo Flores d’Arcais

Filosofo, direttore di MicroMega; sue note biobibliografiche QUI.
Nell’aprile scorso ha organizzato a Reggio Emilia le Giornate della Laicità.

Non esiste una etica senza Dio. Ne esistono tante, anche incompatibili. Un’etica che abbia come valore fondante l’eguale dignità di tutti gli appartenenti a “homo sapiens” è in conflitto mortale con un’etica che giustifichi la forza e il successo come criterio supremo, fino alle varianti della “razza eletta”.
“Senza Dio” si può essere per “giustizia e libertà” oppure per la santificazione del privilegio, anche il più selvaggio. L’unica cosa che hanno in comune le “etiche senza Dio” è che impediscono a chi se ne fa banditore di attribuire a “Dio” la responsabilità delle proprie scelte di valore. Si decida per l’eguaglianza o per l’oppressione, si è costretti a farlo in nome proprio, in prima persona, apertamente: a dichiarare senza più alibi la propria morale minima, quella cioè sulla quale si intende venga costruita la civile convivenza. L’etica “senza Dio” costringe all’assunzione di responsabilità
.


In un mondo senza Dio: Margherita Hack

Astrofisica nota sul piano internazionale, in un’intervista della Sez. Enterprise (così come in tante altre occasioni del web) troverete più diffuse informazioni e illustrazioni del suo pensiero scientifico e filosofico.

Io credo che Dio sia un’invenzione umana per spiegare tutto ciò che la scienza non sa ancora spiegare . L’etica di un ateo consiste nel rispettare tutte le altre forme di vita. Ama il prossimo tuo come te stesso, e non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.
Un’etica che è rispettosa degli altri non perché si aspetta una ricompensa dopo la morte, ma perché ha per comandamento il rispetto e soprattutto il rispetto dei più deboli
.


In un mondo senza Dio: Carlo Modesti Pauer


Sociologo, regista, è curatore dell'edizione italiana della Storia criminale del Cristianesimo di Karlheinz Deschner, pubblicato dalle Edizioni Ariele.
Il suo più recente libro è Romani all'opera.


L’etica senza dio prevede la totale assunzione di responsabilità personale e la convivenza pacifica con l’angoscia di morte. In questo quadro la conoscenza condurrebbe l’umanità verso lo svelamento definitivo (compiuto solo da pochi intellettuali), cioè la consapevolezza piena e serena dell’illusorietà della vita, assieme alla desiderabile necessità di viverla. Un percorso che l’uomo a una dimensione, per citare un vecchio best seller, non può e non vuole compiere.
Il vero problema è oggi come diffondere l’etica senza dio
.


In un mondo senza Dio: Valerio Pocar


E’ professore di Sociologia e di Sociologia del Diritto all’Università Milano Bicocca e presidente onorario dell’Uaar.
Più diffuse notizie QUI.
Le sue più recenti pubblicazioni, presso Laterza, sono intitolate Gli animali non umani e La famiglia e il diritto (con Paola Ronfani).


Un’etica senza dio significa, per me, affermare una cosa vera dando sollievo al mio buon senso, da un lato, e riappropriarmi della mia libertà e dunque assumermi le mie responsabilità, dall’altro lato. Dire una cosa vera, perché i princìpi etici sono frutto delle culture umane e con loro si evolvono e dio viene tirato in ballo solamente per rafforzare, con la minaccia di punizioni anche ultraterrene, l’osservanza di certi princìpi, talvolta magari anche condivisibili, cari a poteri spirituali o temporali che a una certa religione o a un certo dio pretendevano e pretendono di richiamarsi. Riappropriarmi della mia libertà, perché la scelta e l’interpretazione dei prìncipi etici che intendo condividere è lasciata a me solo e alla mia onestà, senza suggerimenti o imposizioni da parte dei citati poteri, e così acquisto il diritto di essere conseguente con me stesso e il dovere di assumermene la responsabilità, sicché nelle mie opinioni, anche in quelle morali, sono sovrano di me stesso e non suddito di altri.


In un mondo senza Dio: Maria Turchetto


Insegna Storia del pensiero economico ed Epistemologia delle scienze economiche e sociali presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Ca' Foscari di Venezia.
Il suo più recente libro: Carognate, cazzate e consigli.
Ricordo anche una sua traduzione di Il diritto alla pigrizia di Paul Lafargue.
Dirige L'Ateo bimestrale dell’Uaar.
Conduce un suo sito web in Rete.

Io mi chiedo piuttosto quale valore abbia un’etica con Dio. L’etica religiosa (quantomeno quella delle religioni bibliche) prevede infatti l’obbedienza a qualcuno che ha deciso al tuo posto cos’è bene e cos’è male. E quando si obbedisce a cattivi precetti cosa si risponde poi? Come le SS, “eseguivo solo degli ordini”? L’etica religiosa risponde a imperativi ipotetici, cioè ci si comporta in un certo modo in vista di premi o castighi: come i bimbi piccini! L’etica senza Dio è un’etica da adulti: comporta autonomia di giudizio, esercizio del giudizio (dunque un qualche sforzo per conoscere la situazione in cui si decide e si opera), responsabilità (nessuno ti perdona), imperativi categorici (si fa il bene perché è bene, senza se e senza ma). E’ un’etica più faticosa, ma senz’altro di qualità superiore. E poi ha un sacco di vantaggi: non devi perdere tempo a biascicare tiritere né partecipare a pantomime rituali, ti vesti come ti pare, tra adulti consenzienti fai sesso come vuoi e non ci sono tabù alimentari. La consiglio vivamente.


In un mondo senza Dio: Federica Turriziani Colonna


Si è laureata in Filosofia nel luglio 2010 con una tesi sulle radici dell’Evo-Devo Theory.
Ha tradotto il testo settecentesco di John Toland dedicato alla matematica alessandrina Ipazia; in questo video durante una presentazione del volume.

Domandare che senso abbia un’etica laica è un atteggiamento che rivela un presupposto vizioso, poiché sottintende che l’etica sia connessa di default a un sentire religioso. Senza pretendere di fornire definizioni su cosa sia l’etica – senza scadere dunque in un’assiomatica filosofica – chiediamoci piuttosto se sia ragionevole obbedire a terzi quando tentiamo di mettere in pratica un comportamento buono.
È evidente che il ruolo giocato dal divino nell’ambito della riflessione sui comportamenti umani sia analogo a quello svolto da un grande fratello in un regime totalitario: un’etica compromessa con qualsivoglia agenzia religiosa ha il medesimo valore di un apparato bio-politico di controllo. Al contrario, pensare all’etica in termini laici è l’atteggiamento intellettuale e pratico più ovvio: l’autonomia dell’agire non è negoziabile. Salvaguardare la laicità dell’etica, in senso collettivo, è un dovere cui ciascuno deve adempiere, a meno che non si voglia svendere la propria libertà a padroni.
In un momento storico in cui il concetto stesso di libertà viene abusato da parte politica o, al contrario, negato da un determinismo biologico ormai démodé, occorre preservare l’autonomia dei comportamenti – sia a livello individuale sia a livello comunitario - dall’ingerenza di chi finge di possedere l’autorità per legiferare al riguardo
.


In un mondo senza Dio: Carlo Augusto Viano


Filosofo, autore di importanti libri, per una sua biobibliografia cliccate QUI.
La dichiarazione che segue è tratta da una sua intervista rilasciata a questo sito in occasione della pubblicazione del volume “Laici in ginocchio”.

Spesso chi parla di un’etica senza dio fa tutto il possibile per dare l’impressione che, salvo il riferimento a dio, tutto resti tale e che resti in piedi il complesso edificio che di solito si appende alla divinità: leggi universali, valori, il bene comune e così via. Un po’ come se si potesse fare l’ammazzasette con la teologia purché non vengano meno le tutele della verginità delle ragazze. Un’etica senza dio deve invece dare il gusto della liberazione da credenze e superstizioni, la fierezza del rifiuto di autorità assolute, l’orgoglio di provare strade nuove, la capacità di fare a meno di consolazioni fittizie. Ma un’etica senza dio è anche il riconoscimento che non c’è un corpo uniforme di norme, facili da interpretare e applicare. Le persone sono diverse e hanno vincoli etici differenti: si tratta di capirli, più che di imporre comportamenti uniformi.


In un mondo senza Dio

L'umanità non sopporta il pensiero che il mondo sia nato per caso, per sbaglio, solo perché quattro atomi scriteriati si sono tamponati sull'autostrada bagnata. E allora occorre trovare un complotto cosmico, Dio, gli angeli o i diavoli.

Umberto Eco, Il pendolo di Foucault, 1988


In un mondo senza Dio

Cosmotaxi Special per “In un mondo senza Dio”


Genova, 6 – 8 maggio 2011


Fine


Packaging Art


Quando l’olandese Johan Huizinga (nato nel 1872, morì, deportato dai nazisti, nel gennaio ‘45) pubblicò “Homo Ludens” nel 1939 – apparirà in Italia nel 1946 – la filosofia idealistica subì uno dei più duri colpi della sua storia. In quel libro, infatti, un principio consolidato ai nostri giorni, sembrò addirittura oltraggioso, perché si affermò allora, come scrive Umberto Eco, “una nozione di cultura come complesso di fenomeni sociali di cui fan parte a pari titolo l’arte come lo sport, il diritto come i riti funerari”.
Fu smontata l’idea di cultura “alta” e di cultura “bassa”. La cosa non ebbe soltanto influenza sugli studi di sociologia e d’antropologia, ma anche nelle arti (e non soltanto in quelle visive). Non a caso molte opere letterarie, teatrali, musicali, performative hanno passaggi o addirittura temi ispirati alla moda, alla tv, alla pubblicità, alle canzonette e, in epoca più recente anche al packaging. Ma lo stesso packaging si avvale di architetti e artisti che ideano nuove forme di rivestimento d’oggetti tanto che la confezione sfugge al termine primario di imballaggio.

Palazzo Bertalazone ospita la mostra Packaging art: ritratti di marca di Giordano Redaelli a cura di Martina Corgnati.
Redaelli compone le proprie opere accostando il packaging dei più comuni prodotti di largo consumo e intervenendo su questi collage con la pittura.
È così che, ad esempio, le etichette di Coca Cola e Pepsi compongono una bandiera americana, oppure un astronauta barcolla sulle scatole delle "stelline" di pasta al poppante con tanto di martello che campeggia sul logo di noti omogeneizzati.
In questo senso Redaelli è un testimone del nostro tempo che gioca con gli strumenti forniti dall'advertising, consapevole del fatto che questa è una parte fondante della cultura contemporanea.

Ufficio stampa: Emanuela Bernascone, http://www.emanuelabernascone.com
Tel: +39 011 – 197 14 999;
Mail: info@emanuelabernascone.com /e/ press@emanuelabernascone.com

Giordano Redaelli
Packaging Art
a cura di Martina Corgnati
Palazzo Bertalazone di San Fermo
Torino
Dal 7 al 21 maggio 2011


Dall'improbabile all'infinito


Abraham Lincoln fu eletto al Congresso degli Stati Uniti nel 1846.
John F. Kennedy fu eletto al Congresso degli Stati Uniti nel 1946.

Abraham Lincoln fu eletto presidente nel 1860.
John F. Kennedy fu eletto presidente nel 1960.

Il segretario di Lincoln si chiamava Kennedy.
Il segretario di Kennedy si chiamava Lincoln.

Andrew Johnson, che fu il successore di Lincoln, nacque nel 1808.
Lyndon Johnson, che fu il successore di Kennedy, nacque nel 1908.

John Wilkes Booth, che assassinò Lincoln, nacque nel 1839.
Lee Harvey Oswald, che assassinò Kennedy, nacque nel 1939.

Una settimana prima che gli sparassero, Lincoln visitò Monroe, Maryland.
Una settimana prima che gli sparassero, Kennedy visitò… be’, l’avete capito.

E’ questo il folgorante inizio di un libro che le Edizioni Dedalo hanno mandato in libreria; titolo Dall’improbabile all’infinito Caos, coincidenze e altre sorprese matematiche.
Ne sono autori Edward B. Burger – Michael Starbird.
Burger è professore di matematica al Williams College in Massachusetts e si occupa di teoria dei numeri; nella sua attività di insegnamento coniuga metodi didattici innovativi e l’uso di supporti tecnologici.
Michael Starbird insegna ad Austin presso l’Università del Texas. Si occupa di topologia e di divulgazione della matematica.

Ai tanti occultisti esultanti dinanzi a quella lista di coincidenze fra Lincoln e Kennedy scorgendovi inquietanti messaggi del sovrannaturale, i due autori stanno lì a gelare quei bollori metafisici, spiegando com’è più facile matematicamente trovare coincidenze che non trovarle. Il fatto è che Lincoln e Kennedy sono personaggi noti, ma se esplorassimo le vite di tanti signori Bianchi e tanti signori Neri, verrebbero fuori altrettanti sorprendenti incontri di date.
Allora, fiducia assoluta nella statistica? No, per niente, ci consigliano gli autori. Perché la statistica non è neutra e, spesso, fuorvia i pur esatti dati matematici secondo il punto di vista con il quale è stata impostata la ricerca.
Il libro è denso di esempi divertenti e ha il merito di farsi capire perfino da uno come me che fui cattivo studente di matematica (grazie a pessimi professori avuti per quella materia), che ancora oggi impallidisce di fronte a una divisione a due cifre.
Eccellente esemplificazione di come Burger e Starbird riescano a far diventare comprensibile pure cose difficili, è il capitolo sulla quarta dimensione.
Lettura, insomma, allegra e istruttiva attraversando pagine dove s’incontrano rettangoli sexy, frattali fiammeggianti e contorsioni circensi dello spazio.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Edward B. Burger – Michael Starbird
Dall’improbabile all’infinito
Traduzione di Daniele A. Gewurz
Pagine 328, Euro 15.00


Disegnare il vento


Il 25 aprile 1911, presso la località “Valle di San Martino”, nella campagna alla periferia di Torino, una lavandaia trovò il corpo di un uomo che si era suicidato tagliandosi il ventre e la gola con un rasoio.
Quell’uomo era Emilio Salgari, nato a Verona il 21 agosto del 1862.
In occasione della mia prima comunione (che fu anche una delle ultime), a metà del secolo scorso, ebbi in dono ben dieci suoi libri che lessi entusiasmandomi.
Allora pronunciavo, come molti anche adesso, Salgari con l’accento sulla prima “a”, in realtà bisogna pronunciare Salgàri perché si tratta, infatti, di un cognome fitonimico, derivante cioè dal nome di una pianta: il salgàro, in veneto è così chiamato il salice.
Quelle letture hanno accompagnato adolescenza e prima gioventù di tanti ragazzi d’allora e, stando alle cronache di questo centenario della morte dell’autore, pare siano ancora, seppure con minore intensità, seguite ancora oggi.
La sua famiglia è stata segnata da più sciagure. Suicida il padre, suicida lui, e pure due suoi figli, Romero e Omar. La figlia Fatima, poi, nel 1914, giovanissima, rimase vittima della tisi, mentre, nel 1936, per le ferite di un incidente in moto morì l’altro figlio, Nadir, tenente di complemento del Regio Esercito.
Poco prima di togliersi la vita, Salgari fu sconvolto dal ricovero in manicomio della moglie Ida; le cattive condizioni economiche in cui versava non gli permisero un ricovero a pagamento sicché fu internata nel reparto dei poveri.
Ha descritto tante terre lontane, eppure viaggiò pochissimo, quelle pagine sono il frutto di sue meticolose documentazioni; diceva: Scrivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli.

La casa editrice Einaudi ha mandato da poco in libreria Disegnare il vento L’ultimo viaggio del Capitano Salgari, ne è autore Ernesto Ferrero che il caso vuole abiti nello stesso edificio che fu l’ultima dimora dello scrittore.
Ernesto Ferrero (Torino, 1938) ha lavorato a lungo nell'editoria, dove è stato tra l'altro direttore editoriale di Einaudi. Dal 1998 dirige la Fiera Internazionale del libro di Torino.
Per una sua biobibliografia: QUI.

“Questo romanzo con personaggi veri” – scrive Ferrero – “ mescola, come d’uso, persone, fatti, situazioni, documenti autentici e altri d’invenzione, che tuttavia si sforzano di riuscire verosimili e concorrere a quella ricerca di una verità umana e poetica in cui dovrebbe consistere il lavoro letterario”.
Aldilà dei tratti biografici, merito del libro, è la descrizione della Torino dell’epoca di Salgari che viveva nella città di suoi due contemporanei quali De Amicis e Lombroso. Una città attraversata dalla febbre dell’imminente Esposizione Internazionale che aprirà quattro giorni dopo il suicidio dello scrittore, una Torino che “celebra” – come ha scritto Gian Luca Favetto – “il progresso, la tecnica, il lavoro e cinquant’anni di Italia unita” e, inoltre, sotto l’influenza della cultura guglielmina, vede l’apertura di molte palestre dove s’esercitano ginnasti e ginnasiarche con instancabile spirito salutista e agonistico. Sarà proprio quest'ultima cosa a far nascere un magnifico libro di De Amicis "Amore e ginnastica".
Per chi volesse avvicinarsi per studio o per curiosità all’opera di Salgari, Ferrero, in una nota conclusiva del volume, traccia un’accurata panoramica di saggi sull’opera e lo stile dello scrittore nonché biografie pubblicate negli ultimi decenni e ricorda i principali convegni che si sono avuti.

Per concludere: due curiosità.
In occasione del centenario della morte di Salgari, il 23 aprile 2011 Poste Italiane ha realizzato un francobollo commemorativo dall’importo di 60 centesimi di Euro, stampato in 2.500.000 esemplari.
La Bamboo Production ha prodotto un video d’animazione con immagini che si rifanno all’epoca del film muto

Per una scheda su “Disegnare il vento”: CLIC!

Ernesto Ferrero
Disegnare il vento
Pagine 188, Euro 19.50
Einaudi


Un paese in ginocchio

Anni fa, in una fiera libraria, nel catalogo redatto per i visitatori, trovai riportata tra le regioni italiane presenti negli stands quella del Vaticano. D’accordo, un errore. Ma fino a un certo punto. Più comprensibile sarebbe stato trovare l’Italia tra i quartieri dello Stato Vaticano.
Questa mia riflessione poco immaginaria, e le sue conseguenze, trova conferma in un necessario volume, edito da Guanda, firmato da Luca Scarlini.
Rapidi capitoli (straordinario quello “Si fa ma non si dice: il sesso come negato centro dell’italica cattolica esistenza”), che bene illustrano come “la storia della chiesa è a tutti gli effetti la storia d’Italia”.

L’autore, saggista, drammaturgo, storyteller in scena, spesso insieme a cantanti, attori e anche in veste di interprete, insegna all’Accademia di Brera e in altre istituzioni italiane e straniere. Collabora con numerosi teatri e festival, in Italia e all’estero, e con RadioRai3; ha scritto in molti contesti delle relazioni tra musica e società, intervenendo nei programmi di sala di vari teatri europei, curando anche rubriche per il Regio di Torino.
Tra i suoi libri: La musa inquietante (Cortina); Equivoci e miraggi (Rizzoli); D'Annunzio a Little Italy (Donzelli); Lustrini per il regno dei cieli (Bollati Boringhieri); Sacre sfilate.
Scrive su “Alias” del Manifesto e su “L’Indice dei Libri”.

A Luca Scarlini ho rivolto alcune domande.
Che cosa principalmente ti ha spinto a scrivere questo libro?

Il fatto di essere a lungo vissuto in molti paesi stranieri e di essere stato identificato in quanto italiano, come cattolico, senza nessuna altra possibilità di spiegazione. Quando si vive all’estero il Belpaese prende immediatamente una dimensione folklorica, che è sempre, direttamente o indirettamente legata al Vaticano. I comportamenti sono davvero così inseriti nelle abitudini quotidiane da essere reputati l’unica risposta possibile a situazioni date. Da ciò l’idea di scrivere questo libro che è infine approdato a Guanda, dopo un precedente gemello, “Sacre sfilate”, in cui il fuoco dell’attenzione era sulla moda e sul fasto.

Quando ti sei accinto a scrivere "Un paese in ginocchio" quale cosa hai deciso era da fare per prima?

Certamente evitare le secche dell’anticlericalismo, che vuole sostituire la fede alla scienza. A me interessa la presenza del Vaticano nella vita italiana e non mi sognerei mai di mettere in discussione la necessità di una relazione con il sacro, che è assai importante anche per me. Io sono laico, ateo o agnostico poco importa, ma in ogni caso leggo i mistici della chiesa da sempre. Saint Thèrese mi appartiene come Meister Ekhart, Margherita Porete e Katharina von Emmerick. Forse quello che cerco in questi testi è una visione sull’altro da sé, ma questa eredità magnifica c’entra poco spesso con il potere politico.

“Il cattolicesimo” – scrivi – “è il DNA italiano, più del bel panorama, della pizza e dei maccheroni”. Fra i tanti guasti che questa malsana costituzione fisica ha determinato, vorrei da te conoscere quello che ritieni il peggiore.

La gerontocrazia, senza dubbio. L’Italia “non è un paese per giovani”, essere giovani da noi è senz’altro un vantaggio, anzi. Solo imitando ossessivamente gli anziani si riesce ad essere accettati. I pinguini in giacca e cravatta sono in sé repliche “civili” di tanti chierichetti, che debbono sempre avere l’uniforme in ordine, per essere anche solo presi in considerazione. Il Vaticano negli ultimi quattro secoli ha avuto uno stato dell’arte in cui la decrepitudine ha trionfato e vedere il futuro con la nuca, come vuole l’angelo della storia di Walter Benjamin, decisamente non aiuta molto a pensare positivo. Questo è forse il lascito più pesante, insieme all’altro della mancanza di trasparenza del potere, per cui quello che davvero conta è ciò che sta dietro, mai quello che si vede. Il potere occulto avvelena l’aria, impedisce di respirare.

Per una scheda sul libro: CLIC!
Per entrare nel sito web dell’autore: DRIIIN!

Luca Scarlini
Un paese in ginocchio
Pagine 160, Euro 13.00
Guanda


Primo Maggio


La drammatica situazione che vive l’Italia da anni e che va peggiorando di giorno in giorno precipitando in nuovi abissi morali e politici (da qui l’importanza di recarsi a votare SI’ al referendum del 12 e il 13 giugno), ha ispirato quest'amara birichinata che trae origine dal famoso quadro di Pellizza da Volpedo intitolato "Il quarto Stato" (realizzato nel 1901).
E’ di un’artista che ha l’elegante vezzo di firmarsi Senza Qualità.
Di qualità, invece, ne ha molta.
E’ stata ospite di questo sito nella sezione Nadir che vi consiglio di visitare perché S.Q. si produce in riuscite invenzioni.
Tiene al suo anonimato che qui rispetto.
Basta un CLIC! per vedere altre sue creazioni nel sito web che da troppo tempo - per noi tutti suoi fans - sta trascurando.


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