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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Macadamia Nut Brittle

E’ il nome di un gelato al gusto di vaniglia e noci Macadamia caramellate che diventa materiale rovente nell’omonimo spettacolo in tournée del tandem Ricci/Forte.
Stasera a Torino al Maneggio della Cavallerizza e prossima piazza: Venezia, 17 – 11.
Per conoscere successive tappe del duo, cliccate QUI.
Li vidi per la prima volta in “Troia’s discount”, ad un Asti-Teatro di anni fa e ne scrissi benissimo, fu il migliore spettacolo di quell’edizione astigiana.
I due, hanno poi conosciuto altri successi e si pongono oggi fra i protagonisti del nuovo teatro.
Per conoscere le loro origini: CLIC!
Elogiatissimo questo spettacolo dalla critica, s’avvale della regìa di Stefano Ricci, in scena: Anna Gualdo, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori, Mario Toccafondi che si muovono, gridano, cantano evocando atmosfere dello scrittore americano Dennis Cooper.

Ecco uno stralcio dalle note di regìa: Lo sguardo lisergico di Cooper si è intrecciato così con il nostro, nutrito dello stesso disagio, delle stesse mancanze, di identiche perdite. L’attesa notturna di quattro divoratori di gelato Haagen Dasz (il “Macadamia Nut Brittle” del titolo), in un reparto ospedaliero, su un aereo o in una casa dei giochi sull’albero, si materializza in un tamagotchi onirico, in cui si fanno i conti con un processo identitario che, se da una parte lascia liberi, dall’altra sviluppa un senso di estraniamento da un pianeta che ci scivola via sotto i piedi. Nella fluttuazione emotiva, privi di cintura di sicurezza, scendiamo in picchiata verso un libertinaggio imprevedibile che possa riappropriarci di un gusto, di un peso. La rumba degli strappi è iniziata; le lacerazioni segnano le figure trasformando in un incubo ad occhi aperti il sogno romantico della famiglia felice da Mulino Bianco.
Vittime, carnefici, protagonisti di questo snuff movie che la vita offre siamo noi, alla disperata ricerca di amore in un mondo impossibile: perché alla fine anche la Natura, come gli uomini, è troia e infedele
.

Ha scritto Giulio Baffi su Repubblica: “...spettacolo di chiara ambiguità, affascinante e provocatorio come lo sono gli spettacoli di Stefano Ricci; teatro d'immagini perfette, curate e costruite in meticolose architetture teatrali, inquietanti e colorate, impudenti e impudiche. Gioco di memorie possibili e invenzioni probabili, per intriganti confusioni di un linguaggio teatrale originale, quello di ricci/forte, che ha rapidamente conquistato un pubblico di appassionati spettatori. macadamia nut brittle inquieta e sorprende, spiazza ed emoziona; un invito rivolto a chi è stanco del solito teatro digestivo, di carta lucida da pacco regalo e vuole finalmente scartare la confezione per mettere le mani sul dono che contiene: il proprio cuore fibrillante”.

QUI una videointervista a Stefano Ricci.


Accadrà il 2 Novembre


Da AND AND AND ricevo un comunicato che volentieri rilancio.

“AND AND AND è un progetto curato da artisti che accompagna l'avvicinarsi della terza edizione di dOCUMENTA (13) nel 2012. Il progetto vuole riflettere sul ruolo che l'arte e la cultura possono avere oggi e a quale pubblico riferirsi. Le serie di interventi, situazioni ed eventi di artisti e gruppi internazionali, intitolate AND AND AND sono parte di dOCUMENTA (13) e comporranno una mappa di posizioni e questioni emergenti, e possibili punti di solidarietà.
Per il sesto evento, AND AND AND ha invitato Emilio Fantin - Luigi Negro - Giancarlo Norese - Cesare Pietroiusti che, con la collaborazione di Luigi Presicce, propongono di trasformare la tradizionale “Festa dei morti” in una nuova celebrazione, la ‘Festa dei Vivi (che riflettono sulla morte)’. Per l’inaugurazione di questa festa gli artisti invitano tutti a partecipare al pellegrinaggio più breve e più lento del mondo, una festa e un pellegrinaggio per celebrare la vita. Una riflessione sulla morte come trasformazione, soglia, mistero, ma anche come necessario orizzonte di senso. Un pellegrinaggio circolare che ritorna al punto di partenza: Lu Cafausu, a San Cesario di Lecce. Lu Cafausu è un luogo immaginario che esiste per davvero, anomalia architettonica ed esistenziale, sistema di potenzialità che produce metafore e narrazioni, perché non può essere definito senza provocare un nonsenso, perché esso è evidentemente portatore di una storia e di un qualche significato, ma nessuno sa esattamente quali siano.
«È il tempio della nullità, il monumento più eloquente al mondo dell'idea stessa di essere ‘lost in translation’. È l'opposto della torre di Babele, sulla soglia tutti parlano lingue diverse, ma non appena si entra gli idiomi si uniscono poiché all'interno di quella piccola casa non c'è più nulla da dire». (Steve Piccolo, Facebook, 23 aprile 2010, ore 10.22 pm).
Un luogo attorno a cui la morte aleggia ed è facilmente percepibile: la piccola e misteriosa costruzione potrebbe essere abbattuta da un giorno all’altro per lasciare spazio alle automobili, oppure potrebbe letteralmente sbriciolarsi per la sua propria fragilità. Persino la sua trasformazione in monumento non sarebbe altro che una forma di ibernazione.
Proprio a causa di questa condizione di incertezza e precarietà gli artisti hanno scelto Lu Cafausu come luogo ideale per la nuova festa, la Festa dei Vivi che, per dare senso alla vita, riflettono sulla morte: la propria, in primis. Durante il pellegrinaggio ci sarà modo di approfondire questi temi così come riecheggiano nell'idea di morte vitale, di surplace sulla soglia, di fisicità precaria, fluttuante, godibile.
Alle soste si alterneranno lentissimi avanzamenti a cui tutti i partecipanti contribuiranno spingendo una barca (arca o carretto) in cui i portati e i portatori si scambiano. Il pellegrinaggio più breve del mondo, dove per percorrere pochi metri necessitano molte ore. Una disfunzione temporale tra l'azione, l'intenzione e la realtà, in cui il tempo si deposita negli angoli, nei dettagli, nei centimetri dello spazio di un percorso circolare”.


La radio prima della radio


Il libro che presento oggi lo segnalo con particolare calore. E’ uno studio su di un mezzo che nella storia dei media precede la radiofonia: la telefonia circolare.
Finora nessuno aveva dedicato a questo argomento un intero libro, pochissimi lo avevano sfiorato e ha trovato soltanto in Peppino Ortoleva (per leggere una sua intervista rilasciata a questo sito, cliccate QUI) un acuto rilevatore del fenomeno al quale ha dedicato, infatti, due estese voci dell’Enciclopedia della Radio. Non a caso firma una brillante prefazione al volume cui mi sto riferendo: La radio prima della radio L’Araldo Telefonico e l’invenzione del broadcasting in Italia di cui è autore Gabriele Balbi.
Nato ad Alessandria nel 1979 è ricercatore post-doc in Storia e teoria della comunicazione presso l'Istituto di media e giornalismo dell'Università della Svizzera italiana di Lugano. Nel 2008 ha conseguito un dottorato di ricerca in Scienze della comunicazione con la tesi “Storia sociale del telefono in Italia (1877-1915)”, in corso di stampa per Bruno Mondadori. Sulla storia dei media e delle telecomunicazioni ha pubblicato vari contributi in libri e riviste nazionali e internazionali.

Nel tracciare la storia e l’importanza di quest’antenato della radio, l’autore fa scorrere parallelamente le vicende d’alterna fortuna dell’ingegner Luigi Ranieri, un geniaccio non solo in fatto di tecnica, ma pure uomo di grande intuito imprenditoriale. Sicché il libro, oltre alla sua originalità e ai pregi dell’investigazione semantica che contiene, è storico due volte raccontando l’esistenza di un mezzo e quella di un uomo che in Italia lo praticò. Il finale ha il colore del giallo politico (tutto rigorosamente documentato) e vede protagonista lo stesso Ranieri, qualche suo malfidato collaboratore, finti amici e il ministro fascista Costanzo Ciano.

A Gabriele Balbi ho rivolto alcune domande.
Nella storia dei media, qual è stata l’importanza della telefonia circolare?

Ci sono almeno quattro ragioni che permettono di assegnare alla telefonia circolare un posto rilevante nella storia della comunicazione. In primo luogo, la continuità diretta con la nascente radiofonia: fu la telefonia circolare ad inaugurare sia il modello di trasmissione da “uno-a-molti”, sia la logica, le strutture e i contenuti di quello che si sarebbe chiamato palinsesto. In secondo luogo, all’epoca la telefonia circolare fu un vero e proprio nuovo medium, con precise caratteristiche che fino a oggi erano state pochissimo studiate. In terzo luogo, la telefonia circolare è un medium “sconfitto” e il volume vuole fornire anche un’indicazione di metodo storiografico: studiare i mezzi di comunicazione “morti” significa calarsi nella mentalità del passato, riscoprirne un orizzonte di pensiero e una possibilità che oggi è scomparsa. Infine, la telefonia circolare rappresenta una nuova porzione della storia della “convergenza dei media”: è infatti il primo caso in cui s’intersecarono due macrosettori come contenuti editoriali (non a caso si parlò di “giornale telefonico”) e telecomunicazioni (il telefono).

In Italia, il modello dell’Araldo Telefonico, quale influenza ha avuto sui successivi palinsesti della radiofonia che seguì?

Anzitutto, in Italia, l’invenzione del ‘concetto’ del palinsesto si deve proprio all’Araldo Telefonico e a Luigi Ranieri che lo gestì: è l’idea, ricca di significati per la società del Novecento, di distribuire simultaneamente ai propri abbonati la stessa ‘sequenza predefinita’ di programmi. In secondo luogo, ci fu una netta continuità in quelli che oggi definiremmo i “generi”: l’Araldo codificò i vari programmi in diversi “generi” e la radiofonia sostanzialmente li mantenne. Infine i primi palinsesti dell’URI (l’antenata della RAI) furono identici a quelli dell’Araldo Telefonico, compreso l’immancabile segnale orario, ovvero il programma che nel 1924 venne votato come il preferito dal pubblico. Il palinsesto della prima radio, insomma, è figlio di quello dell’Araldo.

E’ possibile, anche fuori della radiofonia, rintracciare in altri mezzi orme nel broadcasting ideato dall’Araldo?

Trasmettere contenuti editoriali via cavo è un’idea latente nel corso di tutto il Novecento. Il più diretto erede del telefono circolare è forse la filodiffusione, un servizio nato alla fine del 1958 per iniziativa di RAI e SIP. L’abbonato dotato di apposito ricevitore poteva sintonizzarsi su diversi canali, alcuni dei quali, come quello di musica classica, realizzati per la filodiffusione e ascoltare la programmazione con un’elevata definizione (fedeltà) del suono. Tra gli altri eredi “spirituali” dell’Araldo considererei anche gli esperimenti di TV via cavo all’inizio degli anni ’70 del Novecento e i servizi audio via telefono come l’Audiotel degli anni ’90.

Per una scheda sul libro: QUI.

Gabriele Balbi
La radio prima della radio
Pagine 238, Euro 20.00
Bulzoni Editore


Storia portatile dell'universo


Lasciamo stare da dove veniamo e dove andiamo, chiediamoci solo dove stiamo.
Domanda praticabile. Dalla risposta, però, assai difficile.
Ricordo che Woody Allen ha le idee chiare al proposito e dice: “Sono sbalordito dalla gente che vuole conoscere l'universo, quando è già abbastanza difficile non perdersi nel quartiere cinese”.
Insomma, in quale punto dell’universo abitiamo? E’ possibile una mappa dell’universo? E, fosse possibile, dove metteremmo quel puntino colorato apposto sulle mappe dei grandi musei o fuori delle stazioni ferroviarie che recita: “Voi siete qui”?
E’ quanto si chiede Christopher Potter in un libro di grande fascino pubblicato da Longanesi: Storia portatile dell’universo.
L’argomento coinvolge più discipline dall’astrofisica alla filosofia, perché attraversa la cosmologia, scienza che ha come oggetto di studio l'universo nel suo insieme, del quale tenta di spiegare, in particolare, origine ed evoluzione e, in questo senso, è una branca della filosofia.

La prima domanda che sorge sull’universo è: ma è finito o infinito?
Rivolsi tempo fa la domanda in un’intervista su questo sito web all’astrofisica Margherita Hack che così mi rispose: Le osservazioni di cui disponiamo ci dicono che l’universo è “piano” cioè obbedisce alla geometria euclidea, lo spazio piano è per definizione infinito, mentre uno spazio curvo e chiuso, come l’analogo di una sfera è finito, e uno spazio curvo e aperto, come l’analogo di un iperboloide, o di una sella è infinito. Tutte le osservazioni hanno un certo margine di errore e il nostro spazio potrebbe essere quasi euclideo, cioè analogo a una sfera di raggio molto grande; osservando una porzione di questo spazio avremmo l’impressione che sia piano. Venendo allo spazio a due dimensioni, come la superficie della terra, noi sappiamo che è una superficie sferica ma se ci limitiamo a osservare una piccola regione questa ci sembrerà piana.
Come vedete non è facile stabilire questa prima cosa.
Potter fa notare anche la difficoltà concettuale per la nostra mente d’intendere distanze quali quelle che intercorrono nell’universo fra corpi celesti.
Basti pensare che la velocità della luce (300.000 km/s) faccia sì che un anno luce significhi percorrere circa 9460 miliardi di km.
La più vicina galassia alla nostra è quella di Andromeda, quindi, sta proprio a un passo, e quel passo si trova a una distanza di due milioni di anni luce. Fate un po’ il conto di quanto durerebbe quella gita fuori porta.
Ecco perché le nostre attuali tecnologie rendono impossibile un viaggio nel sistema extra solare; e volendo fare un’ipotesi immaginaria, sarebbe un viaggio senza alcuna possibilità di ritorno in vita (e, forse, neppure d’arrivo da viventi) per gli astronauti che si cimentassero oggi in quella missione.
Il problema delle distanze, delle misurazioni dei corpi celesti, credo che diventi al tempo stesso un tema etico perché se solo riuscissimo a intendere quanto poco rappresentiamo nell’universo molti comportamenti individuali e collettivi cambierebbero in meglio.
D’accordo, qui è nata la vita, ma Bertrand Russell (voglio ricordare un suo aforisma) ci ammonisce non senza umorismo: “Può sembrare strano che la vita sia un puro incidente, ma in un universo tanto grande è inevitabile che accadano degli incidenti”.
Libro avvincente questo di Potter che va dalle tesi degli antichi greci a quelle di Stephen Hawking, un viaggio che ha la finalità di stabilire il nostro ruolo nell’universo, fra le teorie che pongono il genere umano al centro di tutto, e quelle, più propriamente scientifiche, che negano tale assunto.

Ancora una cosa. Noi siamo qui e non riusciamo ancora a raggiungere altri abitatori dell’universo che, secondo il calcolo delle probabilità, è assai elevata la possibilità della loro esistenza. Ma perché i più tecnologicamente evoluti fra i cosiddetti alieni non ci raggiungono? Una buona risposta mi sembra venga dal cartoonist americano Bill Watterson: “La prova più evidente che esistono altre forme di vita intelligenti nell'universo è che nessuna di esse ha mai provato a contattarci”.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Christopher Potter
Storia portatile dell’universo
Traduzione di Elisa Faravelli
Pagine 336, Euro 17.60
Longanesi


Il vascello danzante

Il Teatro Vascello di Roma, con la direzione artistica di Manuela Kustermann è fra i pochissimi in Italia che può vantare una programmazione articolata su più campi espressivi, agendo più media.
Accanto al cartellone di prosa, infatti, troviamo incontri sulla letteratura, rassegne cinematografiche, teatro per ragazzi, mostre d’arti visive, concerti, laboratori.
Adesso è stata annunciata la stagione di danza con un eccellente cartellone.

Nel primo spettacolo (dal 5 al 7 novembre) Enzo Cosimi presenterà “Bastard Sunday” (ispirato alla figura e all’opera di Pier Paolo Pasolini) e sarà in scena insieme con Paola Lattanzi (in foto).

Sarà poi la volta (dal 9 al 14 novembre) di Walter Matteini con le sue “Parole sospese” sulle note della Sagra della Primavera d’Igor Stravinskij rielaborata da Paride Bonetta.

“Syrene”, in prima nazionale, è uno spettacolo della danzatrice e coreografa Maria Grazia Serandrea che sarà presentato fra video subacquei, foto, voce dal vivo di Barbara Eramo. Ne sapremo di più sulle seducenti e ambigue creature del mare martedì 16 e mercoledì 17 novembre.

Il 22 e il 23 novembre, l’Officina COREografica (non è un mio errore di battitura, è che si scrive proprio così) s’esibirà in “liberi exploit coreografici” come annuncia la loro scheda nel programma di sala. La pièce danzata s’avvale della musica di Ezio Bosso.

Il Collettivo Cinetico promette “No, non distruggeremo il Teatro Vascello”. Di Francesca Pennini.
Invito la Kustermann a non fidarsi troppo di queste facili promesse. Il Gruppo, infatti, si legge nella presentazione dello spettacolo: “…con gli occhi coperti e provvisto di mazze da baseball procede alla mappatura dello spazio. La presenza dei performers si articola a distanza millimetrica da persone e oggetti e vede convivere la minaccia dell’arma in potenza alla vulnerabilità dell’esposizione dei corpi. I comandi, basati sul sistema vettoriale, possono essere gestiti direttamente dal pubblico attraverso un software […] Le informazioni sono criptate in modo che sia possibile fornire indicazioni sempre eseguibili dai performer ma senza avere la possibilità di prevederne il risultato”.

Uscito indenne, come tutti ci auguriamo, dall’azione del Gruppo Cinetico, il Teatro Vascello ospiterà – dal 30 novembre al 5 dicembre – “Pulcinella”. Ideazione e regìa di Aurelio Gatti, coreografia di Roberta Escamilla Garrison, musiche di Marco Schiavoni. In scena: Gianna Beduschi, Annalisa D'Antonio, Gioia Guida, Carlotta Bruni, Rosa Merlino, Giorgio Napolitano (immagino sia un omonimo).

Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web, l’Ufficio Stampa è guidato da Cristina D’Aquanno: promozione@teatrovascello.it ; 06 - 5898031 e 06 - 5881021 – fax: 06 – 58 16 623.


Musicofilia


I libri di Oliver Sacks hanno un duplice aspetto: scientifico e letterario. Perché questo grande neurologo inglese (nato a Londra nel 1933, vive e lavora negli Stati Uniti), oltre a indagare, rari, particolari fenomeni che investono il rapporto tra sensi e cervello, scrive in modo tanto raffinato che le sue pagine sono di godibilissima lettura e hanno anche il pregio di fare comprendere complessi fenomeni psichici pure ai non addetti ai lavori.
Dal famoso “Risvegli” del 1973, passando per “L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello” (1985), “Un antropologo su Marte” (1995), “Zio Tungsteno - Memorie di un'infanzia chimica” (2001), tali virtù sono riscontrabili anche in Musicofilia – tradotto in modo eccellente da Isabella Blum – che Adelphi ha ripubblicato in una nuova edizione riveduta e ampliata.
Da qualche tempo non si crede più all'effetto Mozart, per cui sarebbe bastato ascoltare brani di quel compositore per raggiungere grandi prestazioni intellettuali, però la musica è di grande aiuto nello sviluppare il linguaggio, nel superare difficoltà dislessiche, riorganizzare movimenti del corpo alterati da patologie.
Nel descrivere storie cliniche da lui assistite, Oliver Sacks, anche in “Musicofilia”, impernia la sua trattazione sulla necessità di promuovere una scienza e una clinica che, pur nel loro assoluto rigore, non trascurino la fondamentale attenzione alla "dimensione umanistica" riposta nel senso delle necessità e dei bisogni della soggettività umana.
Ecco un illuminante passaggio: … quando le neuroscienze si sono occupate di musica, lo hanno fatto concentrandosi quasi esclusivamente sui meccanismi neurali prestando – fino a pochissimo tempo fa – una scarsa attenzione agli aspetti affettivi dell’apprezzamento e della comprensione musicali. Eppure la musica è anche essenzialmente emozionale, proprio com’è anche essenzialmente intellettuale.

Il volume – corredato da una poderosa bibliografia – è articolato in quattro parti: Tormentati dalla musica; Le dimensioni della musicalità; Memoria, movimento e musica; Emozione, identità e musica.
Nelle pagine scorrono casi che sembrano usciti da narrazioni della letteratura fantastica, ma riguardano uomini esistiti e fatti realmente accaduti, come – per citarne uno solo – l’episodio che racconta di un tale che mai aveva amato la musica classica, ma poi investito al volto da un fulmine, sopravvissuto all’incidente, approda in un nuovo mondo emotivo tanto da diventare concertista.
Attraverso una trattazione avvincente per osservazioni fatte e ipotesi di studio, Sacks dimostra come la musica coinvolga il cervello intero, interessandolo dal punto di vista emotivo, motorio e cognitivo. Fino ad assumere ruolo di protagonista in casi che sembrano ai confini della realtà.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Oliver Sacks
“Musicofilia”
Traduzione di Isabella Blum
Pagine 483, Euro 15.00
Adelphi


Autunno nero


L’autunno nero non è solo quello che stiamo vivendo in Italia, da noi, infatti, il “nero”, nella sua più cupa accezione, grazie ai nostri governanti, possiamo estenderlo anche alle altre stagioni dell’anno e da molti anni.
No, in questa nota ci si riferisce a un Festival internazionale che si chiama: Autunno nero e propone spettacoli, mostre, dibattiti e riflessioni sul gotico e l’horror.
Nato in letteratura, il filone gotico ebbe il suo iniziatore in Horace Walpole con il tenebroso romanzo “Il castello di Otranto” (1764).
Seguirono poi, lungo l’Ottocento, altre prove di altri autori, alcune maiuscole altre di debole segno, ma tutte popolate da forze misteriose e sovrumane.
Anche la nascita del cinema fu marcata da quel genere, basti pensare a Georges Méliès con il suo “Le manoir du diable” (1896) che si pensa sia il primo film horror della storia.
Non soltanto, però, la letteratura e il cinema si sono esercitati sul tema dell’Oscuro, nella seconda metà del secolo scorso, il gotico conobbe versioni espresse su altri media.
Il fumetto, ad esempio. Per restare in Italia, è da ricordare “Diabolik” (1962) considerato un'importante tappa della storia del fumetto nero internazionale. Nacquero subito dopo “Kriminal” e “Satanik” dalla penna di Max Bunker e dalla matita di Magnus e tantissimi altri. Tuttavia solo i tre citati, sono stati considerati realmente degni di attenzione, altre testate sparirono dopo pochi numeri.
Nel campo musicale i gruppi gotici compaiono in Gran Bretagna nel 1970 con Alice Cooper e Black Sabbath. E poi, nel 1980, Nine Inch Nail di Trent Reznor con un genere definito Industrial Gothic, fino ad arrivare agli Iron Maiden e a tanti altri gruppi minori.
Altro mezzo che s’è avvalso del gotico è il videogame con gli iniziatori Ravenloft e Vampire. Ora sono alquanti i videogiochi del tipo horror.
La Tv, per motivi di censura, è stata più impermeabile a quel genere. Divisi i critici nell’attribuire caratteristiche strettamente fantastiche nere su “Ai confini della realtà” (The Twilight Zone) e a “Twin Peaks” di David Lynch. Non va trascurata, però, la presenza di un personaggio goth, Abigail Sciuto, nella popolare serie televisiva NCIS (“Unità anticrimine”) analista forense rappresentato positivamente, molto capace nel suo lavoro a dispetto, o proprio grazie, alla sua eccentricità.

Sociologi e antropologi studiano da anni il fenomeno e il Festival “Autunno Nero” ha acquistato grande rilevanza in Italia avvalendosi d’esperti di più media, proponendo un ragionato scenario espressivo e critico sul gotico oggi.
L’edizione 2010 è stata presentata nella sede della Regione Liguria.

Angelo Berlangieri, Assessore al Turismo, Cultura, Spettacolo della Regione Liguria: Autunno Nero è una manifestazione in cui crediamo molto. Purtroppo la situazione se non proprio nera è quantomeno grigia, e ci scontriamo spesso con significativi tagli alla cultura a causa della manovra governativa. Nel bilancio 2011 questi tagli riguarderanno per noi il 30% quindi il quadro delle risorse che abbiamo a disposizione è complesso e difficile, ma noi resistiamo e cercheremo di fare il possibile per continuare a sostenere festival importanti come questo.

Il direttore artistico del festival, Andrea Scibilia, così si è espresso: In questa V edizione del nostro festival dedicata al tema “Metamorphosis – Miti, Ibridi e Mostri” abbiamo due eventi clou: la Halloween Gothic Fest nella cornice del borgo medievale di Dolceacqua nel weekend del 30 e 31 ottobre e il secondo convegno di studi sul folklore e il fantastico che si svolgerà il 13 e 14 novembre a Genova all’interno del Castello d’Albertis. Ma non abbiamo dimenticato di sorprendere il pubblico con alcune divertenti novità: la pubblicazione dell’albo speciale di Dampyr, “Lucrezia”, in collaborazione con la Sergio Bonelli Editore e un Contest in collaborazione con Metalitalia.com che permetterà ai vincitori di questo concorso di passare un po’ di tempo con i gli Epica, la band olandese che arriva per la prima volta in Liguria, per presentare in anteprima il nuovo album.

Il viaggio nel fantastico mondo di Autunno Nero 2010 comincia, quindi, da Dolceacqua, il cui borgo medioevale in occasione dell’Halloween Gothic Fest si trasformerà in un luogo magico e spettrale: il Regno dell’Ade, cui sarà possibile accedere attraversando il ponte nuovo e il ponte romano.
Marisa Zilli, vicesindaco di Dolceacqua, ha detto: Siamo molto lieti di ospitare per la prima volta un evento così prestigioso. E’ un evento culturale che coinvolge tutte le età attraverso scenografie, spettacoli teatrali, esposizioni di fumetto e concerti all’interno di un contesto medievale, il nostro borgo, dove si uniscono tradizione e storia e dove è possibile far convivere culture passate e presenti a favore di un turismo colto, di nicchia, un turismo slow che assapori i luoghi che si lasci pervadere dalle sensazioni dei carrugi. Questa scommessa a Dolceacqua, possiamo vincerla anche attraverso Autunno Nero.

Autunno Nero 2010 torna poi a novembre, come detto dal direttore artistico Scibilia, spostandosi a Genova con un altro appuntamento: la seconda edizione del Convegno di Studi sul Fantastico, in programma il 13 e 14 novembre, al Castello d’Albertis.
Recentemente un importante esponente politico ha detto che la cultura non si mangia. Eventi come questo, che siamo felici di ospitare a Genova, dimostrano invece che la cultura non solo riscatta l’uomo e diventa nutrimento per la mente ma può trasformarsi in volano per l’economia, perché rappresenta una offerta folkloristica a tutto tondo, che per molti aspetti diventa anche impresa culturale.
Così ha saggiamente dichiarato Giorgia Mannu consigliere del Comune di Genova.

Per il programma del Festival: QUI

Ufficio stampa:
Natascia Maesi, 335 - 1979414
Eleonora Sassetti, 335 - 1979742
Agenzia Freelance, info@agfreelance.it; 0577- 219228


I diritti degli animali


Già alcune volte in questa rubrica sono apparsi servizi sull’animalismo. Quest’anno, però, sarà dato ancora più spazio a quel tema che va sempre più acquistandolo, però mai tanto quanto merita. Non a caso, recente ospite nella mia taverna spaziale sull’Enterprise è Danilo Manardi, per incontrarlo cliccate QUI.
Il tema è reso ancora più attuale dallo sconcertante provvedimento approvato dall’UE a settembre che prevede la possibilità di usare per la sperimentazione (leggi pure vivisezione) cani e gatti "vaganti" (cioè randagi). Si noti che nell’ambigua dizione “vaganti” rientrano anche gli animali liberi nelle foreste.
Vivaci le proteste degli animalisti, 40 eurodeputati hanno abbandonano l'aula, ma l’improvvido provvedimento resta.

Ospite oggi di Cosmotaxi è un protagonista in Italia nella lotta per i diritti degli animali: Stefano Cagno.
Laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università Statale di Milano, lavora come Dirigente Medico Ospedaliero a Vimercate. È stato relatore in oltre 200 conferenze pubbliche e tiene frequenti incontri con studenti delle medie superiori. È autore di 6 libri e oltre 400 articoli riguardanti la vivisezione, i diritti degli animali, l'ingegneria genetica e la bioetica. È curatore della collana Scienza e animali per le Edizioni Cosmopolis .
Ha scritto “Gli animali e la ricerca. Viaggio nel mondo della vivisezione” Editori Riuniti, 2002; “Quando l’uomo si crede Dio: gli animali e l’ingegneria genetica”, Alberto Perdisa Editore, 2003; “Lou, Buc e tutti gli altri”, Editori Riuniti, 2007; “Sperimentazione animale e psiche: un’analisi critica”, Edizioni Cosmopolis, 2008; “Imparare dagli animali” Alberto Perdisa Editore, 2009.
La sua più recente pubblicazione è Dai diritti dell'uomo ai diritti dell'animale, Modern Publishing House, 2009.
E’ stato il responsabile scientifico della manifestazione Vivipet.

Benvenuto Stefano. Vorrei un tuo commento sulla direttiva UE che permette la cattura degli “animali vaganti” per metterli a disposizione della ricerca scientifica.

La Direttiva Europea che regola la vivisezione, approvata l’8 settembre scorso, rappresenta un clamoroso esempio in cui i politici sono stati sensibili alle lobby economiche piuttosto che alla volontà dei cittadini. Pur rappresentando un passo avanti, ma solo formale, rispetto alla precedente che risaliva al 1986, di fatto l’attuale Direttiva permette tutto: esperimenti senza anestesia e nella didattica, utilizzo più di una volta dello stesso animale, delle scimmie antropomorfe e persino degli animali vaganti, ossia dei randagi. Ricordo che in Italia tale eventualità è vietata dalla fine degli anni settanta e persino chi crede nella vivisezione ritiene pericoloso sperimentare sugli animali randagi poiché presentano caratteristiche biologiche non controllate. Insomma questa Direttiva non accoglie nemmeno le istanze più moderate degli antivivisezionisti e risulta ambigua persino nei confronti della sperimentazione sui cosmetici che, in teoria, dovrebbe essere definitivamente vietata dal 2013, ma che, non venendo esplicitamente menzionata una sua abolizione nel testo, lascia aperta la possibilità di un’ulteriore proroga.

Qual è la risposta, oltre a quello etica, che si può dare ai sostenitori della vivisezione sul piano strettamente scientifico?

Ogni specie animale possiede una propria anatomia, fisiologia, microbiologia e genetica, pertanto nessuna specie può essere modello sperimentale per nessun’altra specie. Se è vero che le basi biologiche di tutti gli animali sono comuni e altrettanto vero che il modo con cui si manifestano è differente. Un esempio per tutti: i cuori di un essere umano e di un coniglio svolgono la stessa funzione, tuttavia la frequenza cardiaca del cuore del coniglio è, a riposo, di 120-150 battiti al minuto. Se un essere umano avesse tale frequenza, entro breve andrebbe incontro a gravi patologie cardiache potenzialmente mortali. L’esistenza di farmaci ad uso umano ed altri ad uso veterinario dimostra che spesso le differenze tra le specie sono significative.

Credi che i progressi delle tecnologie (penso ad esempio alla risonanza magnetica neuronale) possa dare in un futuro sostegno a chi si oppone alla sperimentazione sugli animali. Se sì, oppure no, perché?

Sicuramente il progresso scientifico, e in particolare quello tecnologico, offre possibilità fino ad un recente passato impensabili e quindi contribuisce a rendere, agli occhi di chi vuole vedere, ancora più ingiustificabile la vivisezione. Tuttavia fino ad ora tutti i metodi di ricerca che non impiegano animali sono stati considerati dai vivisettori complementari e non sostitutivi e pertanto, di fatto, hanno permesso di risparmiare pochi animali. Le statistiche ufficiali dimostrano che il numero di animali vivisezionati ogni anno è stabile e in alcune nazioni, come ad esempio la Svizzera, persino in aumento.


I promessi sposi alla prova


Mentre, fino al 30 gennaio 2011, in Villa Manzoni a Lecco è in corso la mostra “Testori a Lecco” – un percorso tra due grandi amori testoriani: Alessandro Manzoni ed Ennio Morlotti – e mentre ancora proprio in questi giorni Archinto manda in libreria Testori 8.43, va in scena, a Milano, per la regìa di Federico Tiezzi, che ha curato la drammaturgia con Sandro Lombardi, uno dei testi di Giovanni Testori più stimati dalla critica: I promessi sposi alla prova.

Chi era Testori secondo Testori?
Quando ho detto che sono nato nel 1923, a Novate, cioè a dire alla periferia di Milano, dove da allora ho sempre vissuto e dove spero di poter vivere sino alla fine, ho detto tutto (da “Opere”, a cura di Fulvio Panzeri, Bompiani, 2003).
Fu Elio Vittorini a scoprirlo come scrittore nel 1954, pubblicando “Il dio di Roserio” e in seguito le raccolte di racconti “Il ponte della Ghisolfa” e “La Gilda del Mac Mahon”.
Il teatro entra, invece, nella vita di Testori nel 1960 con “La Maria Brasca” cui seguiranno, dopo il legame con Luchino Visconti, “L’Arialda” (1962) e “La Monaca di Monza” (1967) per la regia dello stesso Visconti.
“I promessi sposi alla prova” è un testo del 1984.
In questa nuova edizione sarà interpretato da Francesco Colella, Marion D’Amburgo, Iaia Forte, Sandro Lombardi, Matteo Romoli, Caterina Simonelli, Massimo Verdastro, Debora Zuin.
Coproduzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana, Teatro Stabile di Torino, Compagnia Sandro Lombardi.

Su un palcoscenico di fortuna (in foto il bozzetto dello scenografo Pier Paolo Bisleri), un capocomico all’antica si affanna a far interpretare a un gruppo di attori comicamente scalcagnati il capolavoro di Manzoni.
Interesse principale dell'autore del famoso romanzo fu quello d’immaginare uno specchio in cui riflettere i suoi "anni tribolatissimi" che, però, tribolatissimi, a ben vedere, sono anche i nostri. Oggi non si tratta più come allora di sconfiggere il flagello della peste, bensì i nuovi mali che affliggono la società: il degrado, l’omologazione del pensiero e delle coscienze, l'indurimento dei cuori, l’allontanamento dalla realtà, la chiusura alla diversità, alla comunicazione, al mondo.
A differenza delle reinvenzioni shakespeariane testoriane, sin dal titolo segnalate da una deformazione linguistica (L'Ambleto, 1972; Macbetto, 1974), resta intatta la dizione manzoniana. Testori vi aggiunge di suo solo la specificazione: "alla prova". In queste due parole sta non solo l'indicazione che il romanzo sarà spinto nel territorio del teatro, ma anche tutta l'immensa portata dell’opera, e forse dell'intera vita, di Testori: la verifica dei propri amori, delle proprie passioni, umane e culturali: "mettere alla prova".
Del resto, il "mettere alla prova" è, in tutti i sensi, il cuore del lavoro registico, nella direzione espressiva di "mettere in prova" la praticabilità teatrale di un testo o comunque di un'ipotesi scenica, e di "verificare" la sua tenuta in una situazione storica mutata. Su queste premesse si basa il lavoro di Tiezzi: non una spiegazione del romanzo ma, come desiderava Testori, una "lezione e un monito" perché I Promessi Sposi sono "il romanzo della storia, e il popolo incarna questa storia nella libertà più assoluta".
In una struttura pirandelliana simile a quella dei ‘Sei personaggi in cerca d'autore’, su di un palcoscenico nudo, si svolge la prova di una "commedia da fare" dove ai temi di riflessione sul teatro e sui suoi modi comunicativi, si mescolano i grandi motivi manzoniani della Pietà, della Grazia, del Male e della Morte, della Provvidenza e della Salvezza.
Con questo spettacolo Tiezzi affronta insieme Testori e Manzoni, al fine di dire anche una parola non retorica ma che parta dal basso, dagli umili, dai diseredati, da coloro che identificano la vita con il rispetto del prossimo, del mondo e della storia – una parola relativa al centocinquantesimo anniversario dell‘Unità d'Italia, quell’Unità che Manzoni contribuì a creare dal punto di vista linguistico-letterario, innestando la tradizione lombarda in quella toscana. Unità della lingua come unità di una nazione.

“I promessi sposi alla prova” saranno in tournée fino a marzo 2011 in molte città italiane tra cui Prato, Trieste, Ancona, Roma, Torino, Napoli, Genova, Bologna.

Ufficio Stampa Compagnia Sandro Lombardi:
Simona Carlucci: tel .0765 - 42 33 64 – 335 - 59 52 789; carlucci.si@tiscali.it

“I promesi sposi alla prova”
di Giovanni Testori
Regìa di Federico Tiezzi
Milano - Teatro Grassi
dal 26 ottobre al 14 novembre 2010


Lo zen del gatto


A proposito degli animali, ha scritto Stephen Fry: Abbiamo molto da imparare su di loro, ma molto, molto di più da imparare su di noi […] Tutti gli animali hanno questo in comune: a differenza dell’uomo, paiono impiegare ogni minuto di ogni ora di ogni giorno della propria vita a essere se stessi. Noi uomini siamo, raramente siamo, ciò che la natura ci chiede di essere: Homo sapiens.
Per niente sapienti si sono dimostrati coloro che di recente hanno approvato una direttiva UE che prevede la possibilità di usare per la sperimentazione (leggi pure vivisezione) cani e gatti "vaganti" (cioè randagi). Ma vaganti sono anche gli animali delle foreste prima d’essere catturati. Del provvedimento potranno beneficiare non solo le case farmaceutiche, ma anche quelle produttrici di cosmetici.
Vivaci le proteste degli animalisti, 40 eurodeputati hanno abbandonano l'aula, ma l’improvvido provvedimento resta.
“Dobbiamo dare noi agli animali la voce che non hanno” – ha detto Umberto Veronesi – “per fare valere i loro diritti”.
Già alcune volte in questa rubrica sono apparsi servizi sull’animalismo. Quest’anno, però, sarà dato ancora più spazio a quel tema che va sempre più acquistandolo, però mai tanto quanto merita. Non a caso, quindi, questo mese è ospite Danilo Mainardi nella mia taverna spaziale sull’Enterprise.

Tra gli animali domestici, adoro il gatto e naturalmente ne possiedo uno, o meglio lui possiede me, il suo nome è Fifì. Ecco anche perché ho particolarmente apprezzato un libro di grande dolcezza, ma anche estremamente ben scritto, un viaggio nel cuore felino, pubblicato da Ponte alle Grazie; è intitolato Lo zen del gatto, n’è autrice Ludovica Scarpa.
Per conoscere la sua biografia e altri libri che ha scritto, cliccate QUI.

Il gatto di cui parla si chiama Zorro, come quel celebre personaggio che nel 1919 fece la sua prima comparsa nel romanzo “The Curse of Capistrano” di Johnston McCulley, scrittore di riviste pulp. Il suo carattere, però, non conosce aggressività, non la spende per nessuna causa. Zorro non ha cause, esiste e insegna a esistere come fanno i gatti. Sono oltre quattromila anni che vivono con noi, nelle nostre case, eppure li conosciamo poco. Roger Caras, uno dei più grandi esperti in America dei gatti ha osservato che il gatto è entrato nella coscienza umana “senza rivelare nessun segreto dei propri sentimenti”. Forse per conoscere un gatto, bisogna fare come Ludovica Scarpa con Zorro (che neppure le appartiene, è di un vicino): non lo indaga, lo vive. Allora, ecco, che lei praticante di Tai Chi, nota come Zorro “vive una forma di continuo Tai Chi naturale. Sa dove sono le sue zampe, anzi non lo sa e non le ha, è le sue zampe”.
Il libro non è solo un’occasione per parlare di noi umani e della nostra mente, pur essendo ricco di riflessioni in tal senso, ma – e questo molto mi è piaciuto – la scrittrice si fa elegantemente da parte, il protagonista è lui: Zorro.
Acciambellato e placidamente rumoroso, con le sue fusa incredibili, mi pare quasi che provi compassione affettuosa verso il mio credere che esista quello che chiamo domanda, e perfino una qualche risposta, e verso il mio indefesso cercare: Zorro è la realtà che è come è e che mi sceglie, ogni tanto.
Zorro sta qui con me, mi mostra come si fa.
E un poco riesco a star qui con me anch’io
”.

Per visitare il sito web dell’autrice: CLIC!

Ludovica Scarpa
“Lo zen del gatto”
Illustrazioni e copertina di Florence Boudet
Pagine 80, Euro 10.00
Ponte alle Grazie


La scienza in cucina


Anche i grandi possono dire delle baggianate, ad esempio, un giorno Socrate disse: “Ti pare che un vero filosofo possa curarsi di piaceri come quelli del mangiare e del bere?”.
Non sappiamo se questo suo dire fu l’ennesima causa dei rimproveri che gli muoveva la collerica moglie sua Santippe. In questo caso, però, mi sento di dare ragione alla signora.
Il libro che presento oggi, pubblicato da Dedalo di gusto e di cucina parla sollevando temi di grande attualità.
Si chiama La scienza in cucina Piccolo trattato di gastronomia molecolare di Hervé This che è un fisico-chimico e il padre della gastronomia molecolare.
Scienza in cucina… gastronomia molecolare… a sentire queste espressioni sono in tanti a ritrarsi come un vampiro davanti ad una treccia d’aglio, ecco perché dicevo che il volume prima citato è di grande attualità: riporta a quel tema Natura vs Cultura che oggi rivive in una fitta rete d’equivoci dove, nonostante la modernità che circonda, serpeggiano convinzioni religiose più che scientifiche tanto da far dire a un grande scienziato dei nostri giorni, Umberto Veronesi: “Gli ostracismi alle staminali, alla fecondazione assistita e agli Ogm mi fanno paragonare questi nostri anni al Seicento, quando al genio di Newton, e Galileo si affiancò una profonda regressione culturale. Tanto per fare un esempio furono mandate sul rogo migliaia e migliaia di donne accusate follemente di stregoneria. Oggi non bruciamo più le donne, ma in tv sono tornati gli esorcisti, la superstizione”.
Esorcisti anche in cucina se ne trovano, purtroppo, tanti.
Nella prefazione, giustamente nota Dario Bressanini: … in Italia, le scienze in generale e la chimica in particolare sono viste da molti con sospetto se non con ostilità. Soprattutto in campo gastronomico, in un paese come il nostro dove modificare una ricetta della Tradizione (con la t maiuscola) è considerata quasi una blasfemia. Figuriamoci suggerire di usare in un piatto una sostanza chimica, un gelificante, sconosciuto ai tempi di Pellegrino Artusi. Tutti chiamano “l’Artusi” il famoso libro del gastronomo di Forlimpopoli. Ma il suo titolo completo è “La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene” segno che l’accostamento tra scienza e gastronomia alla fine dell’800 non creava scandalo.
Oggi, guai a cambiare le regole della Tradizione! In una recente intervista, Massimo Bottura (scusate un'autocitazione: fin dal 2003, sette anni prima che l’Espresso lo incoronasse quest’anno chef numero uno in Italia, io sapevo – e questo sito ne reca testimonianza - che era il migliore nel nostro Paese e, oggi, aggiungo, non solo in Italia) ha detto: “… tutto è in cambiamento: le cose, le opere, le persone. La cucina non è un museo. Quello che mi chiedo è come applicare quest’idea alle materie prime della mia terra utilizzandole con rispetto. Siamo sicuri che la tradizione abbia sempre avuto questo rispetto?”.
Ci sono poi quelli, catastrofisti di professione, che giudicano la cucina molecolare come avviso d’un nerissimo futuro e si chiedono sgomenti “quale sarà il cibo di domani?” immaginandolo farmaceutico. Affermare che il cibo futuro sarà fatto di pillole voluttuosamente ingerite da cyborg, a mio avviso, è cosa risibilmente innocente.
Di sicuro, la cucina molecolare ha il merito d’aver fatto un grande passo in avanti alla storia del gusto di noi umani, un passaggio epocale, dopo la “nouvelle cuisine” e alla “fusion”.
E il futuro? Lascio la parola a Hervé This: Il “costruttivismo culinario” sembra una tendenza promettente: si tratta di costruire le vivande in modo da realizzare effetti gustativi prestabiliti. Non è più necessario riprendere le idee tradizionali, ma concepire da zero la vivanda in ogni sua parte, basandosi sulle leggi fisiologiche, le abitudini culturali, e così via. La costruzione deve riguardare le forme, i colori, gli odori, i sapori, le temperature, ecc, ogni aspetto delle vivande… Con lo scopo di rendere felici, perché questo è un obiettivo degno degli sforzi dei cuochi!

Per una scheda sul libro, la bio dell’autore, l’Indice e leggere un brano del volume: QUI .

Hervé This
“La scienza in cucina”
prefazione di Dario Bressanini
traduzione di Luisa Doplicher
editing scientifico di Elena Joli
illustrazioni di Jean-Michel Thirier
Pagine 160, Euro 18.00
Edizioni Dedalo


Un nulla pieno di storie

Per la felicità di chi ama la scrittura di Sebastiano Vassalli (per una sua biobibliografia QUI e QUI), la casa editrice Interlinea manda in libreria Un nulla pieno di storie Ricordi e considerazioni di un viaggiatore nel tempo.
Si tratta di una lunga intervista condotta da Giovanni Tesio (per saperne di più su di lui, cliccate su questo sito web) con uno scrittore che, forse, è il più appartato d’Italia, ma non per questo meno noto e amato da tanti lettori fra i quali da molti anni appartiene chi scrive questa nota.
Appartato, dicevo, e anche per questo la conversazione ora pubblicata è un documento prezioso, perché – credo per la prima volta – Vassalli parla non soltanto di storia, di letteratura, di costume, ma pure della sua vita privata che (successo letterario a parte) non può dirsi troppo fortunata.
Ho letto quest’intervista come inscritta fra due parentesi. Si apre, infatti, con il racconto dell’infanzia e dell’adolescenza, si chiude con pensieri sulla morte e raccomandazioni per il “dopo”.
In mezzo troviamo un arsenale – uso un termine militare perché di pensieri esplosivi si tratta – di riflessioni aspre, risentite, illuminate da un “pessimismo ilare e atroce” come scrisse tanti anni fa di lui Guido Davico Bonino. N’è un esempio questo passaggio dedicato al "signor B.”: … se non ci fosse stato lui, sarebbe arrivato un altro con un'altra iniziale, o forse addirittura con la stessa iniziale. Quel “Signor B” che gli italiani hanno voluto, perché l’italiano (come ha scritto in un’indimenticabile pagina del volume “L’italiano”), è: animale socievole e non sociale, infantile, opportunista, simpatico, adattabile, ingegnoso, vigliacco, furbo, egoista, generoso, narcisista.
E inoltre, come scriveva nella Premessa a “La chimera” (Einaudi, 1990) Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla.
Una delle sue maggiori qualità, infatti, è la capacità attraverso la narrativa di rimandare alla scrittura saggistica, e questa a quella, spiazzandosi reciprocamente. Qualità che ha fatto dire a Giulio Ferroni ("Scritture a perdere", Laterza 2010): “…Vassalli, autore di romanzi non storici, ma di escavazione storica […] come sta facendo da alcuni anni, misura il polso del mondo, sembra come voler dare un’accorata radiografia delle minacce che ci sovrastano, con una scrittura che sa mostrare la dimessa e velenosa normalità dell’assurdo sociale e ambientale”.

Alla fine la speranza è riposta nella letteratura, e dice: Io credo che la grande letteratura, nonostante tutto, continuerà a esistere. Anche se l’arte del racconto, in quest’epoca dominata dalla religione dei numeri, sembra essere diventata completamente inutile. Il mondo oggi è una babele di storie che si raccontano, oltre che nei libri, sui giornali, alla radio, al cinema, in televisione, attraverso la rete… Ciò che in passato apparteneva ancora alla sfera del privato, nel presente tende a diventare pubblico e a farsi spettacolo.
Dappertutto si sentono applausi (anche ai funerali). Pifferai attraversano la scena seguiti da processioni di sonnambuli. Imbonitori reclamizzano le loro pietre filosofali e le loro panacee. C’è, nell’aria, un grande frastuono. (Il 'fragorìo' del presente di cui parla Leopardi, moltiplicato probabilmente per cento). Ma ancora ogni tanto comparirà sulla scena un libro della razza di cui parlava Nietzsche. Un libro che 'non è un uomo, ma è quasi un uomo': e incomincerà a camminare da una generazione all’altra, da un’epoca all’altra. Io continuo a credere nella letteratura
.

Concludendo questa nota, un elogio va rivolto all’intervistatore Giovanni Tesio che ha saputo essere delicato di fronte all’esposizione di molti dolori della vita di Vassalli senza accanirsi, alla maniera televisiva… pfui!… in domande morbose, e ha saputo essere duro indagatore allorché si è trattato di ricavare dalle risposte il pensiero dello scrittore sul profilo della nostra epoca, le polemiche editoriali, il rapporto con le nuove tecnologie, il giudizio sui comportamenti della società contemporanea, il destino di noi umani.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Sebastiano Vassalli
Giovanni Tesio
"Un nulla pieno di storie"
Pagine 160 con foto e illustrazioni
Euro 22.00
Edizioni Interlinea


Visionaria


Il cinema indipendente e i festival che lo presentano in Italia si giovano d’incoraggiamenti quanto il consumo di whisky in un paese islamico.
Del resto, siamo un paese governato da persone che – alla Commissione cinema del Ministero con delibera del 4 dicembre ‘09 – hanno riconosciuto a “Natale a Beverly Hills” la dizione di film d’“interesse culturale”, vale a dire con tutte le qualità per accedere non a contributi in denaro, ma a tutta una serie di agevolazioni, create per sostenere il cinema di qualità. Per esempio sgravi fiscali (tax credit), il riconoscimento di film d’essai, la possibilità per il distributore di attingere a un fondo – questo sì in denaro – riguardo agli incassi.
Ci sono voluti mesi di dibattito, articoli roventi, il sollevamento di critici, di alcuni produttori, e di distributori d’essai per stabilire (mentre rideva di noi mezzo mondo, e pure l’altro mezzo), che quel cinepanettone, amato dal ministro-poeta Bondi, non era un film d’autore.

Un video festival che presenta prevalentemente, ma non solo, autori italiani è quello che si svolge a Piombino e che merita elogi per la sua attenta selezione delle opere e per la sua continuità nel sostenere i giovani autori.
E’ giunto, infatti, quest’anno alla XIX edizione il Videofestival Internazionale del Cortometraggio Visionaria 2010 in programma dal 16 al 23 ottobre.
I cortometraggi in gara saranno proiettati presso il cinema Metropolitan e giudicati da una giuria presieduta da Pupi Avati, e composta dai nomi di Isa Barzizza, Claudio Carabba, Fabio Canessa e Francesca Lenzi.

Diciotto i titoli in gara in questo Videofestival - promosso dall’Associazione Culturale Visionaria con il contributo di: Comune di Piombino, Provincia di Livorno, Galsi, Cave di Campiglia e Unicredit.
Avati, al quale il Festival dedica una retrospettiva, è dall’8 ottobre sugli schermi italiani con il suo più recente lavoro: “Una sconfinata giovinezza“ (QUI foto e intervista con la protagonista Francesca Neri).

Schede autori e film presenti al Festival:CLIC!

Ufficio Stampa: Natascia Maesi; info@agfreelance.it - 335 – 197 94 14

Visionaria 2010
VideoFestival
Piombino
Dal 16 al 23 ottobre
Info: tel. e fax: +39(0)577.530803
mail: vision@visionaria.eu


Enhanced Book


Dopo gli e-book, la Newton Compton si lancia nel mercato degli enhanced book.
La storica casa editrice romana fondata da Vittorio Avanzini e ora diretta dal figlio Raffaello, ha da poco commissionato all’Enhanced Press, marchio della società Visual Creative Studio che si occupa di trasformare i prodotti editoriali cartacei in prodotti così detti Enhanced Book, 70 titoli da realizzare entro i primi di novembre 2010.
Sul sito dell’Editrice è in costruzione l'apposita sezione iPad simile a quella iPhone in cui sarà visibile il nuovo catalogo.
L'Enhanced Book è un framework (una sorta di software) per iPad che consente all'editore non solo di riportare il libro su piattaforma Apple, sotto forma di Applicazione, ma, qualora ne fosse provvisto, di aggiungere elementi multimediali, interattivi e didattici utili all'utente.
Per saperne di più, cliccate QUI.

Questa forma di editoria elettronica è una filiazione della cosiddetta Augmented Reality.
In questo caso, gli elementi (suono, foto, filmati, etc.) che possono accompagnare le pagine creano una nuova forma di lettura che richiamando quel fenomeno sensoriale noto come sinestesia, cambia, e non di poco, la fruizione di un’opera.

Inoltre, sarà interessante vedere quali ispirazioni potrà produrre nel campo creativo perché permette di commentare (attraverso audio e video) e, quindi, sostanzialmente cambiare, scene famose ottenendo effetti simili a quanto ricorda Umberto Eco (in “Povero Pinocchio”) a proposito dei turn ancillaries, così chiamate dai teorici della narrativa, cioè le espressioni che scandiscono i turni di dialogo. “La più comune” – scrive Eco – “è ‘disse'. Io ci sto, disse Piero. E’ chiaro che se, invece di disse ci fosse motteggiò o sogghignò, la frase di Piero cambierebbe senso”.
E proprio Eco riproduce, a mo’ d’esempio, la famosa scena dell’incontro tra Don Abbondio e i bravi, dove Don Abbondio diventa carnefice e i bravi due vittime.
In altre parole, prendete un classico, scelgo a caso…"L’amore vince sempre sull’invidia e sull’odio" una cosa è immaginare quelle luminose pagine con il sottofondo dell’inno di Forza Italia, altra cosa è leggerle accompagnate dalla musica di una marcia funebre, intercalate da un minigame, etc. Chiaro mo’?
La tecnologia, anche in letteratura, come già avvenuto in modo maiuscolo, ad esempio, nelle arti visive e nella musica, apre nuovi orizzonti che permettono interattività e rendono obsolete vecchie forme di scrittura.
Accade, invece, che si pubblichino ancora quaranta (40!) nuovi romanzi al giorno… la marchesa, puntualissima, esce ancora alle cinque… sigh!


Il matematico si diverte


Galilei diceva: “La Natura è un libro scritto in caratteri matematici”, e la cosa stava per costargli cara.
Darwin: “La matematica dota una persona di un nuovo senso”, e il Vaticano lo vede come persona da non invitare a cena.
La casa editrice Longanesi rende ora un gran servizio alla matematica mandando in libreria Il matematico si diverte 200 giochi ed enigmi che hanno fatto la storia della matematica di Federico Peiretti.
Peiretti è docente di Matematica e Fisica al Liceo classico Cavour di Torino, giornalista, collaboratore da molti anni del quotidiano La Stampa, è autore o coautore di una ventina di testi di matematica e informatica. Nel 2004 ha vinto il Premio Internazionale Pitagora. Direttore di Polymath, il progetto didattico per le medie superiori del Politecnico torinese, è vicepresidente dell’Associazione Subalpina Mathesis. È stato inoltre a Torino tra i fondatori del Museo del Cinema e dell’Associazione Italiana “Amici Cinema d’Essai”.

"Perché questo libro?” – scrive l’autore nella premessa – “Per portare in primo piano il lato divertente della matematica. Per dimostrare come attraverso il gioco si arrivi direttamente alla matematica e come questa, al di là di formule e calcoli, sia essa stessa un gioco, anzi, ne siamo convinti, il gioco più divertente inventato dall’uomo. Sono molti i matematici che dichiarano di sentire il loro lavoro più vicino all’arte che alla scienza e che fare matematica è divertente. L’invito è dunque di andare alla scoperta del suo fascino indiscreto, attraverso i giochi inventati dai grandi matematici. In questo modo potremo arrivare a capirne la bellezza. Questo è l’obiettivo del nostro lavoro, che si rivolge innanzitutto a chi non ha mai avuto un buon rapporto con la matematica, pur provando per essa una certa attrazione."
Già, perché la matematica è vista da tanti come un mondo arcigno e inospitale. Eppure, tutto il nostro mondo concettuale e sensoriale è governato dalla matematica, ma la gran parte di noi - non solo i giovani studenti - arretra di fronte ad essa, ci sgomenta, perché?
Lo chiesi tempo fa, durante un'intervista su questo sito, a Piergiorgio Odifreddi (firma la prefazione al libro di Peiretti) che così mi rispose: In parte le difficoltà sono oggettive. La matematica usa un suo linguaggio particolare, che bisogna imparare prima di poterne usufruire. Ma lo stesso vale per la musica.
Ci sono poi difficoltà soggettive. non tutti sono "portati" per la matematica, o per la musica. Ma molta colpa ricade sull'insegnamento e sui media. I professori delle scuole hanno per anni insegnato malamente programmi antiquati e poco interessanti, e i giornalisti che controllano i media portano con sé le cicatrici di questa mala educazione
.

Il libro di Peiretti ha il grande pregio di presentare, attraverso i secoli, la matematica in modo divertente. Dall’antico Egitto da cui ci giunge attraverso lo scriba Ahmes il Papiro di Rhind (databile al 2000 circa a. C.) fino ai nostri giorni con il popolare videogioco ‘Tetris’ inventato dal programmatore russo Aleksej Pažitnov; dai numeri figurati di Pitagora (575 ca. – 495 ca a.C.) ai numeri surreali del matematico vivente John Horton Conway nato a Liverpool nel 1937.
Ho scelto in apertura di questa nota proprio quel passaggio citato nella prefazione di Peiretti, perché lì si accenna al fatto che molti i matematici si sentano più vicini all’arte che alla scienza. Ne abbiamo prove, ad esempio, in Apostolos Doxiadis che ha studiato matematica alla Columbia University ed è un pioniere nello studio dell’interazione tra matematica e narrativa. Oppure nell’Oulipo che lavora su occasioni espressive derivate da strutture matematiche, famosi i Centomila miliardi di poesie di Raymond Queneau.
Oggi poi le arti visive (per non dire della musica tutta basata da sempre sulla matematica), il teatro, il cinema, i videogames si giovano di spettacolarità elettronica i cui risultati proprio alla matematica si devono.
Insomma, in questo volume il matematico si diverte e fa divertire i lettori che sono posti dinanzi a enigmi e guidati nelle soluzioni giovandosi anche di una serie d’illustrazioni.

Federico Peiretti
Il matematico si diverte
Prefazione di Piergiorgio Odifreddi
Pagine 336, Euro 18.00
Longanesi


Addio al calcio


Ha scritto Jorge Luis Borges: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio”.
E quando quel bambino smette di tirare quei calci?
E’ morto il calcio? E’ morto il bambino?
Di sicuro qualcosa si è spenta. E’ passata in quel luogo che chiamiamo Memoria, dove sfilano i ricordi che Cardarelli definì “ombre troppo lunghe del nostro breve corpo”.
Ricordi… quando son belli talvolta rattristano perché ormai trascorsi, quando brutti tali restano.
E a un mondo di ricordi appartiene un libro bellissimo scritto da Valerio Magrelli che di calcio parla, di un calcio da lui praticato e poi un giorno abbandonato.
Un libro sul calcio, dunque? Anche. Ma le pagine di Addio al calcio Novanta racconti da un minuto, edito da Einaudi, molto hanno a che fare con una riflessione sul tempo che ci passa addosso. Orologio che ci sopravvive eppure ci conclude. Non a caso il libro è immaginato con la scansione calcistica dei minuti dal 1’ al 45’ dei due tempi di una partita. E – sarà un caso? – l’autore non ha previsto recupero.
Eppure tante volte il gioco è stato interrotto (da episodi che Magrelli racconta allontanandosi provvisoriamente dal campo semmai per parlare di Subbuteo o di celebri formazioni d’un tempo), ma l’arbitro, risoluto, al 45’ del s.t. emette il triplice fischio finale.
Quando dette l’addio al calcio quel giocatore che impugna la penna? Forse fu un giorno, com’è detto nel libro, in cui un avversario dandogli del “lei” gli porse il pallone affinché tirasse una punizione. E allora, forse, non sbaglio tanto nel pensare che la breriana dea Eupalla, qui c’entra poco, come poco c’entra l’arrochita voce di Niccolò Carosio in fin troppe fantasiose sue radiocronache. C’entra, e molto, la giovinezza dietro le spalle di chi ci racconta quei 90 minuti in cui si gioca una partita ora con compagni sbruffoni (7’ del p. t. nel volume), ora con un umiliante palo colpito (1’ del s.t.), e altri episodi di gioco che passano come immagini di un puppentheater agito da pupi finiti oggi chissà dove. E che Magrelli conduca da tempo esercizi di tiptologia (titolo di una sua raccolta poetica) interrogando segni del passato mi pare confermato anche da una sua prova alquanto recente (2009) La vicevita in cui parla di suoi viaggi in treno per dire parecchio altro con nascosta e raffinata allegoria.
Accade anche in questo “Addio al calcio”, dove a tratti lampeggia la figura del padre (ovviamente di calcio appassionato) e quella del figlio alle prese con un sofisticato videogioco calcistico. Figure queste di una vita che l’autore guarda talvolta con appassionata memoria e straziata estraneità al tempo stesso.
Leggete questo “Addio al calcio” sia che voi giochiate ancora oppure abbiate smesso di giocare perché accrescerà il vostro sentimento della vita lontano da ogni sentimentalismo.
Anche chi ha scritto questa nota un tempo giocava al calcio ed ora non più, termino qui… stanno per cominciare le partite su Sky e non me le voglio perdere.

Per una scheda sul libro: QUI.

Valerio Magrelli
Addio al calcio
Pagine 114, Euro 17.00
Einaudi


I Luoghi delle Parole


Il Festival Internazionale di Letteratura I Luoghi delle Parole giunge quest’anno alla VII edizione.
Undici comuni della provincia di Torino si uniscono in una kermesse per celebrare libri e autori attraverso un ricco programma d’incontri, reading, workshop e spettacoli, con l’obiettivo di offrire cultura concepita come dialogo tra gli scrittori ospiti e il pubblico.
I Luoghi delle Parole, nel 2009, è stato insignito della medaglia d’onore della Repubblica Italiana a testimonianza della qualità del lavoro svolto in questi anni; un programma di divulgazione e approfondimento che ha portato nei Comuni coinvolti grandi scrittori italiani e stranieri facendo conoscere il territorio e le sue risorse.

Orchestrerà nuovamente questa VII edizione del Festival una direzione artistica “corale” coordinata da Giorgio Vasta.
Ricordo ai più distratti che Vasta ha pubblicato Il tempo materiale
(minimum fax 2008), selezionato al Premio Strega 2009, finalista al Premio Dessì, al Premio Berto e al Premio Dedalus. Ha curato diverse antologie, tra le quali Anteprima nazionale (minimum fax 2009). Sta ottenendo un crescente successo il suo più recente titolo “Spaesamento”; cliccando QUI potete saperne di più su quella pubblicazione.
E proprio a Giorgio Vasta ho chiesto: quali le idee che guidano il percorso di quest'edizione del Festival?

I Luoghi delle Parole 2010 si articola attraverso quattro sezioni principali, ognuna corrispondente a un’idea e a un percorso. Si parte con la dedica, che quest’anno si concentrerà sull’opera di Gianni Rodari: a novant’anni dalla sua nascita e a trenta dalla sua scomparsa, ricordare i suoi libri, il suo pensiero e il suo straordinario lavoro sui meccanismi dell’immaginazione ci è sembrato indispensabile.
Si prosegue con l’approfondimento della letteratura spagnola, in un dialogo con alcuni tra i migliori scrittori della nuova generazione, da Javier Calvo a Fernando Clemot a Andreas Neuman.
La sezione “musica dei libri” è invece quella fondata sull’idea che ogni narrazione può essere pensata anche come una orchestrazione di suoni: i “direttori d’orchestra” coinvolti per farci raccontare il loro lavoro sulla lingua saranno, tra gli altri, Domenico Starnone, Benedetta Cibrario, Davide Longo, Andrea Bajani, Luca Ragagnin, Matteo B. Bianchi, Enrico Remmert. A inaugurare nel modo migliore questo percorso ci sarà Giulio Rapetti Mogol, “paroliere” e poeta che ha plasmato buona parte del nostro immaginario, musicale e non solo.
Infine, la quarta sezione è quella che coincide con le Cartoline: ancora una volta dieci scrittori italiani visitano e raccontano i dieci comuni coinvolti nella manifestazione; la loro esperienza culmina in dieci reading musicali.
A tutto questo si salda il progetto scuole, vero e proprio festival nel festival, ricchissimo di stimoli e suggestioni. Per concludere, la nostra proposta di ragionamenti sulla lettura e sulla scrittura ha come obiettivo quello di fare dei “luoghi” fisici della manifestazione – e dunque delle diverse comunità che vivono in quei luoghi – zone attive, focolai di un dibattito culturale che deve riuscire a rendere ogni luogo nodale e rilevante
.

Per il programma in dettaglio: CLIC!

Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web, il Festival s’avvale dell’Ufficio Stampa guidato da Emanuela Bernascone.
Email:info@emanuelabernascone.com
Tel. +39 011- 197 14 998; 335- 25 68 29
Fax + 39 011 - 197 91 935

I Luoghi delle Parole
Fondazione Novecento - Fondazione ECM - SBAM - Nord Est
Palazzo “Luigi Einaudi” - Lungo Piazza D’Armi 6
Chivasso (Torino)
tel 011 - 91 03 591; fax 011 - 91 73 764
info@fondazione900.it – www.fondazione900.it

Dall’11 al 17 ottobre 2010


Ad alta voce

Ogni anno, in ottobre, i libri escono dagli scaffali e vanno a Bologna, a Cesena e a Venezia per farsi ascoltare in luoghi insoliti: alla stazione ed alle Poste, in autobus e in vaporetto, nelle calli, sotto i portici, nelle case di riposo e nelle ex aree industriali, nelle scuole, nelle carceri. Li portano là i loro autori chiamati a partecipare a Ad alta voce, la maratona di lettura organizzata nelle tre città da Coop Adriatica per promuovere Ausilio per la Cultura. Libri a casa per chi non può uscire, libri registrati su audiocassetta per chi ha problemi di vista: questo vuole essere, ed è, Ausilio per la Cultura .
Ogni anno, in ottobre. Questo, però, è un anno speciale perché si festeggia un particolare compleanno dalla cifra rotonda: dieci anni di vita di “Ad alta voce”.
La prima edizione, infatti, si tenne il 10 novembre 2001 a Bologna; da allora quanti personaggi hanno letto, quante pagine sono state sfogliate!
E numerosi, ben 130 lettori illustri, saranno anche in quest’edizione particolare che si chiuderà il 23 ottobre all’Aquila.

Nell’occasione del decennale, Lamberto Pignotti, ha realizzato l’opera celebrativa (qui in foto). Figure che s’intrecciano e si prendono per mano, come nei ritagli fatti dai bambini; le labbra di una giovane donna da cui spunta un fiore che allude allegoricamente a una comunicazione insolita; una lavagna con formule matematiche iniziatiche e il messaggio: Ad alta voce, questa volta non resterete senza parole .

Una nuova occasione per lui, già docente alla facoltà di Architettura di Firenze e al Dams di Bologna, uno dei padri della poesia visiva e artista noto anche all’estero, di riproporre un concetto che da sempre l’ha ispirato: “Cerco la cooperazione del lettore, dell’osservatore. Se c’è un tipo di comunicazione che interessa il fruitore, allora si instaura un rapporto di curiosità e non solo di venerazione da parte dello spettatore nei confronti dell’opera d’arte. Anche in questo caso, dunque, invito alla collaborazione chi sta di fronte all’opera. Utilizzo collage di materiali riciclati, d’immagini che possono riferirsi all’oggi oppure a icone del passato, magari invecchiate dal tempo. Quasi un’operazione ecologica, anti consumistica. La poesia visiva, fonde insieme parole e immagini per fornire una comunicazione diversa, che non sia più né la poesia classica, tradizionale, né la pittura. È un’arte nata negli anni ’60, che però può richiamare anche cose antichissime, come il codice miniato, o che ritroviamo nel futurismo. Ho sempre bisogno del pubblico. Spesso distribuisco schede con frasi o dialoghi, mischiate, tra la gente. Poi, chi vuole, sale sul palco con me e così escono cose paradossali, ironiche, vere, false, non di rado divertenti. Di sicuro non leggerò la solita poesia a rime baciate, sia pur moderna; dopo la terza o quarta dizione, si sa, vengono a noia ”.

Ricordo che di recente gli è stata dedicata a Brescia, alla Fondazione Berardelli, un’antologica con opere dal 1945 al 2010, vedi QUI.
Creatore di eventi poetici in cui mescola segni linguistici e verbali che coinvolgono lo spettatore in modo plurisensoriale, Pignotti considera “Ad alta voce” il frutto della sensibilità del mondo Coop: “Non posso che pensarne bene. Ci sono operazioni, a volte pur solleticanti, cui non mi va di partecipare, mentre questa la vedo come consanguinea, contigua”.
Così vicina che alle 18.15 del 16 ottobre sarà all’Università di Bologna nell’Aula Magna di Santa Lucia con una sua performance.


Accademia dello Scompiglio

Se è vero com’è vero che il nuovo per essere tale ha il diritto, e anche il dovere, di scompigliare, ecco un progetto che, investendo energie sul nuovo nelle arti, merita proprio il nome che s’è dato: Accademia dello Scompiglio.
Tale progetto è nato sulle colline di Lucca - su iniziativa dell’artista e performer Cecilia Bertoni -per avviare un processo d’interrelazione fra cultura e natura, un disegno volto a dare voce a varie ricerche che si propongono di contaminare àmbiti apparentemente diversi, ma in realtà complementari.
Da un lato, la cultura qui vissuta nei linguaggi del teatro sperimentale, della musica, della performance, della poesia, della video arte, delle installazioni, dello studio e della ricerca; dall’altro lato, la natura proposta come sede d'equilibrio ecopaesaggistico: agricoltura biologica, sperimentazione agraria, creatività culinaria.
La Tenuta Dello Scompiglio, (in foto: un suo angolo con un albero secolare riflesso in uno stagno) in un’area di 50 ettari, comprende un parco con villa seicentesca, spazi agricoli, case coloniche, boschi e zone di transizione fra natura boschiva e antichi terrazzamenti in terra e pietra che costituiscono un distintivo segno architettonico di questo paesaggio.
Né manca l’angolo enogastronomico perché presso la Cucina dello Scompiglio, subito fuori le mura della Tenuta, si può pranzare o fare uno spuntino, oppure prendere un aperitivo, domenica sera e lunedì esclusi.

In occasione della Giornata del Contemporaneo – alla sua sesta edizione realizzata da Amaci –, sabato 9 e domenica 10 ottobre 2010, dalle 10.30 alle 18, nella Tenuta dello Scompiglio sarà presentato, in anteprima italiana, il video Alice ou les petites évasions, (con Florence Stoll nel ruolo di Alice), di Claire Guerrier.
Guerrier (sarà presente alle proiezioni del suo lavoro), è nata nel 1969 a Strasburgo, ha studiato prima al Conservatorio di Mulhouse e in seguito Scienze teatrali a Parigi alla Nuova Sorbona.
Fino al 2002 ha lavorato come attrice in molte produzioni internazionali. Dall’autunno del 2002 si è dedicata alla regia. Dal 2005 ha realizzato performance con video.
“Alice ou les petites évasions“ è, per Claire Guerrier, un work in progress; un progetto che vede impegnata da diverso tempo quest‘artista versatile, che occasionalmente tiene anche letture erotiche, inframmezzate da video proiezioni e interventi culinari, nel centro degli affari di Basilea, città dove vive dal 2002.

Nel corso delle due giornate è anche possibile visitare la mostra collettiva Il Cimitero della Memoria a cura di Angel Moya Garcia con Cecilia Bertoni: otto opere realizzate da altrettanti giovani artisti invitati a proporre una visione e un’interpretazione del proprio rapporto con la memoria: Clara Conci, Davide Orlandi Dormino, Silvia Giambrone, Pablo Rubio, Chiara Scarfò, Gian Maria Tosatti, Enrico Vezzi, Claudia Zicari.

Ufficio stampa: Giovanna Mazzarella; mail: mazzarella@fastwebnet.it

Tenuta dello Scompiglio
Via di Vorno 67, Vorno (Lucca)
Informazioni: tel 0583 – 97 14 75; 338 – 78 84 145
info.ac@delloscompiglio.org
9 e 10 ottobre 2010
Ingresso libero


Pilade secondo Pasolini

Ha scritto Giulia Regoliosi Morani: Nella formazione di Pier Paolo Pasolini la cultura classica gioca un ruolo fondamentale: ne forma l’ordito culturale, con cui s’intreccia la trama fornita da diverse suggestioni novecentesche; presenta generi letterari, miti attraverso cui leggere la realtà, personaggi in cui identificarsi o attraverso cui purificarsi, un passato in cui tutto è già avvenuto. Fornisce soprattutto una tradizione, a cui l’autore dalle molte patrie (Bologna, il Friuli, Roma) sente essenziale ancorarsi, e ancorare una società dispersa, al di là di ideologie che dividono soltanto.

E Guido Davico Bonino, nella prefazione a “Pier Paolo Pasolini. Il teatro” (Garzanti), così dice: Pilade non è tanto un dramma 'dialettico' contro il potere, quanto epico-lirico sul potere. Non ne metaforizza il contrasto con l'individuo quanto ne descrive l'inarrestabile ascesa. A dispetto dell'infittirsi degli episodi, dell'accrescersi dei personaggi (ma anche questi, in Pasolini, così avverso al plot, sono segnali; per negativo, molto parlanti), Pilade è di una estrema linearità: non ha più novità strutturale (non la struttura ad eclisse, d'improvviso tronca, di Orgia: non quella a cerchi concentrici di Calderón; è una sorta di (rassegnata?) appendice dell'Orestiade eschilea (tradotta da Pasolini nel 1960); ma il timbro e il ritmo stesso della scrittura sono piuttosto quelli di un'aspra e pessimistica epitome: e, per di più, epitome (cioè, compendio) del già accaduto, che si contempla a ritrovo con l'amara consapevolezza che il "tempo" ci "ha lasciati indietro".

Il Teatro Vascello di Roma – direzione artistica di Manuela Kustermann, in foto – inaugura la stagione 2010 /’11 presentando una nuova edizione del lavoro pasoliniano con la regìa di Bruno Venturi.
La produzione: TSI La Fabbrica dell'Attore e La Nuova Complesso Camerata.
Gli interpreti: Antonio Piovanelli, Manuela Kustermann, Oreste Braghieri, Salvatore Porcu.
Scene e costumi di Lino Frongia.

Nelle note di regìa, tra l’altro si legge: "… si è molto lavorato sulla riduzione del testo, per portarlo alla sua essenza, tenendo conto delle scritture e riscritture compiute dallo stesso Pasolini […] Siamo entrati su Pilade in punta di piedi. Mi accingo a dar svolgimento ad una ‘regia lirica’, a compiere, cioè, la ‘messa in scena’ di un’opera lirica e duramente ‘politica’, nel completo rispetto di essa".

Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web:
Ufficio Stampa di Cristina D'Aquanno; promozione@teatrovascello.it - Tel: 06/ 58 98 031

Teatro Vascello
“Pilade”
di Pier Paolo Pasolini
Da oggi al 24 ottobre
Poi in tournée


Paradise now!


Fu probabilmente un’ingenuità credere che il Paradiso tanto colpevolmente celeste potesse rispondere a quell’innocente grido sulfureo del ’68, ma aldilà degli esiti immediati quasi tutti neutralizzati, quell’anno resterà nella Storia come svolta epocale per ciò che ha prodotto proprio su tempi lunghi allora non previsti. Né auspicati, perché si voleva, e si credeva, che fosse possibile ottenere tutto e sùbito.
Sul piano strettamente politico molte di quelle speranze si sono spente, ma non così è accaduto con il rinnovamento che si ebbe nell’espressività che da allora ha conosciuto, in modo rifondativo, e anche largamente innovativo, slanci e conquiste appartenute prima alle avanguardie storiche. Dalla letteratura alla musica, alle arti visive, al teatro, alla grafica, c’è stato un fiorire di nuovi linguaggi e d’interlinguaggio.
Una grande testimonianza di ciò che accadde in quegli anni ci viene dal cinema di allora, specie quello praticato dai cineasti vicini o interni al movimento. Ne troviamo una preziosa ricostruzione storica e critica in un libro pubblicato da Marsilio: Paradise now! Sulle barricate con la macchina da presa Cinema e rivoluzione negli anni sessanta e settanta.
L’autore è Maurizio Fantoni Minnella, critico cinematografico e saggista, dirige il festival La settimana del Documentario; l'Associazione culturale FreeZone, da lui presieduta, dispone di un Archivio del Documentario, con centinaia di opere consultabili QUI.
Personalmente dispone di una videoteca di circa 4000 opere in cui spicca particolarmente la sezione latinoamericana con oltre 160 film inediti.
E’ autore, inoltre, del film lungometraggio documentario “Caos totale la marcia perduta di Gaza” (2010), presentato in alcuni festival nazionali e internazionali, e del video monologo Freedom Flotilla: la rabbia e la ragione di Joe Fallisi, 2010.

A Maurizio Fantoni Minnella, ho chiesto: esiste una differenza tra il cinema antagonista prodotto sull’onda del ’68 e quello del ’77? Se sì, in che cosa la identifichi?

Non esiste un cinema di movimento che per radicalità possa essere paragonato alla radicalità stessa del movimento del ’77. Può anche sembrare un gioco di parole ma è proprio così: anche il cinema indipendente che veniva prodotto sull’onda del sessantotto fu per sua natura e scelta assolutamente minoritario. Pochi esempi noti del resto lo caratterizzano. Esso in rari casi fu autentica emanazione di un collettivo o di un movimento in quanto cinema di lotta, In compenso intorno ad esso si creò un dibattito, talora dai toni fortemente polemici, su che cosa significasse fare cinema politico, ma il discorso sarebbe troppo lungo….

Accanto al cinema che si proponeva finalità esclusivamente politiche, alla fine degli anni ’60, dapprima negli Stai Uniti, poi in Europa, si sviluppò un cinema innovativo nel linguaggio, rivoluzionario cioè in senso estetico, anche se in alcuni autori non venne meno l’impegno civile. Come interpreti questa sostanziale divisione d’interesse nei cineasti di allora?

Negli Stati Uniti nel ’68 nasceva il Nuovo cinema americano che si limitò a rinnovare le tematiche e l’approccio alla realtà rispetto alla vecchia Hollywood. In altre parole veniva affermandosi un nuovo punto di vista critico sulla realtà americana. Ma fin dai primi anni sessanta vi era un cinema ben più radicale nel linguaggio o underground che era destinato a non incontrare il consenso del grande pubblico.
In Europa dopo il ’60, si sviluppò un cinema d’autore, fortemente innovativo nel linguaggio ma al tempo stesso profondamente politico . Edoardo Bruno lo definì politico-poetico., in netta contrapposizione di quel cinema civile, di argomento politico ma alquanto tradizionale nella forma
.

Telegraficamente: i film italiani d’oggi che ti sembrano si siano espressi meglio sugli anni ’60 e ’70…

A memoria cito un film italiano e uno spagnolo, anzi, catalano: “La prima linea” e “Salvador 26 anni contro”.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Maurizio Fantoni Minnella
“Paradise now! Sulle barricade con la macchina da presa”
Pagine 192, Euro 17.00
Marsilio


Filosofie di Avatar

La casa editrice Mimesis nella collana Postumani ha pubblicato un volume di saggi a cura di Antonio Caronia (direttore della collana; il prossimo mese sarà ospite della Sez. Enterprise di questo sito) e Antonio Tursi intitolato Filosofie di Avatar Immaginari, soggettività, politiche dedicato a plurali riflessioni sul famoso film di James Cameron che tanto meritato successo ha riscosso.
Per conoscere com’è nato il film, qual è stata la lunga storia della sua produzione, tecniche di ripresa usate, aneddoti, dichiarazioni del regista, personaggi, interpreti e i loro doppiatori italiani, cliccate QUI.

“Avatar” non è soltanto un grande, e nuovo, spettacolo cinematografico, ma propone riflessioni sulla mutazione, tutto e tutti nel film passano da uno stato all’altro, è, quindi, anche una narrazione metaforica sul passaggio dal passato al futuro.

Gli autori dei saggi contenuti nel libro, oltre ai due curatori, sono: Alberto Abruzzese, Massimo Canevacci, Massimiliano Cappuccio, Pier Luigi Capucci, Giuseppe Frazzetto, Gino Frezza, Derrick de Kerckhove, Giuseppe O. Longo, Michel Maffesoli, Franco Marineo, Mario Pireddu, Alberto L. Siani, Luisa Valeriani, Slavoj Žižek.

Per saperne di più su “Filosofie di Avatar”, ho rivolto un paio di domande a Antonio Tursi.
Perché tu e Caronia avete deciso di dedicare questo vostro lavoro al film di Cameron?

Si tratta del prodotto dell’industria culturale che più attenzione ha ricevuto dai pubblici globali negli ultimi anni. Sicuramente, l’operazione promozionale ha inciso nel destare tale attenzione. Ma forse c’è qualcosa di più: la capacità di condensare un immaginario che, a fronte dei processi di globalizzazione, si sta polverizzando e individualizzando. Avatar rappresenta così il compimento – cioè il culmine ma anche l’esaurimento – di una vicenda iniziata a fine Ottocento e capace di coinvolgere masse di fruitori: quella dell’immaginario collettivo. Infatti, ormai, viviamo in tempi di “code lunghe”, cioè di prodotti che parlano solo a nicchie. Inoltre, Avatar ha un merito specifico riguardo all’immaginario del nostro tempo: mostra come sua cifra caratteristica l’ibridazione, la metamorfosi, la combinazione. L’immaginario del nostro tempo è ricco di soglie infrante. In Avatar, quelle tra Na’vi, uomini, macchine. Aver saputo cogliere, anche solo in modo iconologico, questa caratteristica non poteva lasciare indifferenti un gruppo di studiosi che già in passato ha lavorato sull’orizzonte postumano che si dispiega di fronte a noi.

Qual è la principale novità che presenta "Avatar"?

La vera novità di Avatar non è l’uso del 3D bensì la capacità di cogliere i bisogni espressivi del presente. Il 3D infatti era stato provato negli anni ’50 senza successo. Oggi invece soddisfa un desiderio globale di massa (atomizzata), quello di essere dentro lo spettacolo, di essere protagonisti dei mondi spettacolari, di essere performers. Un desiderio che è cresciuto e si è consolidato nell’ultimo quarto di secolo quando l’immersione dentro un nuovo mondo, il cybermondo, è divenuta un’esperienza quotidiana di ciascuno di noi. Sulla Rete non siamo spettatori passivi ma navigatori proattivi. Il 3D, da parte sua, induce la manipolazione, sollecita ad allungare la mano per spostare qualche comparsa del film o a inclinare il busto per schivare qualche arbusto.
La tridimensionalità di Pandora ci ha permesso immersioni dentro lo spettacolo
.

Qui una presentazione video del volume: CLIC!

Per una scheda sul libro e le biografie dei curatori: QUI.

A cura di
Antonio Caronia – Antonio Tursi
“Filosofie di Avatar”
Pagine 200, Euro 16.00
Mimesis Edizioni


L'anarchico Schirru

Nell’ondata di revisionismo che, specie negli ultimi vent’anni, sta distorcendo verità storiche (vedi al proposito il bel libro di Del Boca La storia negata), si è fatta consistente l’idea del fascismo come regime sostanzialmente generoso con gli avversari. Niente di più falso. Aldilà degli omicidi degli squadristi, oltre agli assassinii – Giorgio Amendola, Piero Gobetti, Don Minzoni, Matteotti, Carlo e Nello Rosselli – compiuti in Italia e all’estero, con l’Istituzione del Tribunale Speciale per la Sicurezza dello Stato avvenuta il 25 novembre 1926 (contro le sue sentenze non era possibile alcun ricorso o altra impugnazione), furono inflitte condanne per oltre 27.700 anni di carcere, 3 ergastoli, 42 a morte (31 eseguite).

La Garzanti, con encomiabile decisione, ha ripubblicato in questi giorni un libro di Giuseppe Fiori dedicato alla biografia di uno di quei fucilati: L'anarchico Schirru L'uomo giustiziato per aver pensato di uccidere Mussolini. A proposito di Giuseppe Fiori, va ricordato che al suo libro “Il venditore”, dedicato a Berlusconi, accadde quel che potete leggere QUI.

Michele Schirru, nato a Padria, vicino Sassari, il 19 ottobre 1899, dopo un periodo trascorso negli Stati Uniti dove prese la cittadinanza (cosa che non sarà tenuta in conto dal Tribunale né vide gli americani reclamarne la titolarità; erano già stati giustiziati Sacco e Vanzetti), dopo la frequentazione di ambienti anarchici, decise autonomamente che avrebbe ucciso il duce.
Dopo alcuni appostamenti di preparazione dell'attentato, tutti goffamente falliti, si scoraggia e accantona il progetto; nel frattempo, s’innamora della ballerina ungherese Anna Lucovszky e l’idea dell’omicidio politico vieppiù s’allontana. Il momento politico, però, richiedeva una vittima e fu trovata in Schirru.
Arrestato, dichiarò il suo odio per il fascismo e il comunismo.
Dopo un processo brevissimo che fu una mostruosità umana e giuridica (condanna a morte per un’intenzione non realizzata da cittadino dalla doppia nazionalità!) l’anarchico, condannato il 28 maggio 1931, rifiutata la domanda di grazia e gli uffici religiosi, sarà fucilato il giorno dopo da militi sardi offertisi volontari, mentre grida “Viva l’anarchia!".
Nella sentenza è scritto:«Chi attenta alla vita del Duce attenta alla grandezza dell'Italia, attenta all'umanità, perché il Duce appartiene all'umanità».

Il libro di Fiori esplora passo passo non solo la biografia di Schirru, ma attraverso una rigorosa documentazione fatta con rapporti di polizia, note d’informatori, dispacci ministeriali, documenta l’attività degli antifascisti negli anni ’30, chi si distinse e chi tradì. Nessuna concessione a ipotesi romanzesche, nuda e terribile cronaca che va anche oltre la morte di Schirru dove appare la maschera cinica di tante storie umane. Il fratello di Michele, Ninnino, sacerdote, chiede a Mussolini “per cancellare l’onta che grava sul mio nome” di diventare cappellano: lo accontentano. Il padre dell’anarchico, dopo un anno dalla fucilazione del figlio, chiese la tessera del partito fascista. Gli fu concessa. Recava il numero 1503200.

Per una scheda sul libro CLIC!

Giuseppe Fiori
“L’anarchico Schirru”
Pagine 224, Pagine 290
Garzanti


Manifesto degli Espatriati

In queste pagine web, a giugno, presentai Vivo altrove con un’intervista a Claudia Cucchiarato autrice di quel libro edito da Bruno Mondadori.
Un vivacissimo ritratto della situazione dei nostri giovani costretti a espatriare da un’Italia governata da chi non ha in nessun conto le potenzialità che quei giovani rappresentano per il Paese.
“Vivo altrove” ha avuto un lusinghiero successo in seguito al quale la Cucchiarato ha lanciato dal suo sito in Rete – in collaborazione con il blog La Fuga dei Talenti – un'iniziativa rivolta a chi vive fuori dell'Italia: il Manifesto degli Espatriati; un atto di denuncia del perché sempre più professionisti lasciano l'Italia, per non farvi più ritorno.
Con un ultimo punto, nel quale gli espatriati stessi s’impegnano per il cambiamento.
Cliccare QUI per leggere il testo.


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