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Questa sezione ospita soltanto notizie d'avvenimenti e produzioni che piacciono a me.
Troppo lunga, impegnativa, certamente lacunosa e discutibile sarebbe la dichiarazione dei principii che presiedono alle scelte redazionali, sono uno scansafatiche e vi rinuncio.
Di sicuro non troveranno posto qui i poeti lineari, i pittori figurativi, il teatro di parola. Preferisco, però, che siano le notizie e le riflessioni pubblicate a disegnare da sole il profilo di quanto si propone questo spazio. Che soprattutto tiene a dire: anche gli alieni prendono il taxi.

Una gita di Ubu


Agisce da tempo a Roma un Centro che propone un ragionamento complessivo aspro e birichino sul teatro d’oggi: Amnesia Vivace.
Ragionamento complessivo perché non solo estetico, ma anche politico con sferzanti interventi sul degrado della società italiana e sulle fatali ripercussioni che ha sulla vita del nostro teatro, specie quello lontano dalle protezioni della Casta… come? no, la Laetitia non c’entra.
Amnesia Vivace – il nome è tratto da un testo di Frank Zappa – nata nel 1998, dal 2001 è un’Associazione culturale che produce ogni anno spettacoli e rassegne teatrali, in modo continuo, dimostrando d’essere una struttura vera, non una delle tante improvvisate.
E’ editrice di Ubu Settete periodico di critica e cultura teatrale con una tiratura media di 5000 copie, esce tre volte l’anno, è distribuito nei teatri romani, nelle università, nelle biblioteche comunali, in alcune librerie.
AV è presente anche in Rete con un’omonima rivista telematica, curata nel web design da Costantino Belmonte, e, dal novembre 2007, pubblica su carta una collana teatrale di drammaturgia.
Amnesia Vivace e Ubu Settete – dopo i successi riportati in precedenti rassegne (ne trovate notizia sui loro siti web) – quest’anno propongono Ubu Fuori Porta: 6 giorni di programmazione, 8 spettacoli, 5 proiezioni video, 25 artisti coinvolti; teatro contemporaneo e video-art in programmazione a Marino, all’interno delle navate dell’ex Chiesa di Santa Lucia, adesso sede del Museo Civico “Umberto Mastroianni”.
A guidare contenuti, direzione artistica e organizzazione di “Ubu Fuori Porta”: Daniele Timpano (imperdibile il suo Dux in scatola da due anni in tournée); Fabio Massimo Franceschelli; Marco Andreoli; Francesca La Scala.

A Fabio Massimo Franceschelli, ho chiesto: qual è la caratteristica che distingue “Ubu Fuori Porta” dagli altri festival teatrali?

Non voglio decantare chissà quale originalità di questa rassegna rispetto ai tanti festival di teatro indipendente sparsi in Italia: onestamente “Ubu Fuori Porta” è ‘solo’ un ulteriore esempio del grande fermento e della vitalità nell’ambito del teatro indipendente, di ricerca, di contaminazione. Fermento e vitalità che, tra l’altro, riguardano in particolar modo Roma (dove noi organizziamo da sei anni la rassegna nazionale di “alterità teatrali” Ubu Settete). Semmai punterei l’attenzione sul fatto che “Ubu Fuori Porta” si svolga in un territorio – i Castelli Romani – dove c’è poca consuetudine con l’arte contemporanea. Un territorio dove il teatro è soprattutto quello dialettale o al più quello della “commediola” disimpegnata (a parte episodi sporadici, anche se significativi, come le esperienze di “Frammenti” a Frascati, del nostro “Ubu in Giardino” a Marino nel 2006, o l’attività del Teatro di Terra a Velletri). “Ubu Fuori Porta” offre al pubblico dei Castelli un’importante testimonianza del “nuovo” teatro italiano.

Per il programma: CLIC!

Ufficio Stampa: Chiara Fallavollita, 349 - 28 34 261; kioshichia@hotmail.it

“Ubu Fuori Porta”
Sagra di alterità teatrali
Marino (Roma)
1 – 7 luglio 2008


Al ritmo dei diluvi


E’ questo il titolo di un romanzo di Patrick Lowie scrittore ed editore belga.
Precedenti suoi lavori: “Je suis héros positif”; “La légende des amandiers en fleur”; “L'enfant du Kerala”; “Le Plongeoir” (teatro); “La tentation du lait et du miel”.

Al ritmo dei diluvi, ora in traduzione italiana a cura di Enrico Frattaroli, è una storia – manco a dirlo – tempestosa.
Si muove tra gorghi di sentimenti e flutti narrativi che non disdegnano le onde del giallo.
Nato nel 1964, Patrick Lowie, personaggio nomade per natura e poliglotta, ha attraversato tanti paesi e molti territori delle arti: dalla letteratura al video, dal teatro al cinema.
Avendo scoperto che alcuni suoi avi, in Belgio, alla fine del XVI secolo erano stati accusati di sorcellerie, decide d’intraprendere una ricerca sulla storia della sua famiglia, del suo nome e così comincia a scrivere: "Le Sorcier de Fromelles".
Nel 2005, ha fondato insieme con Hassan Charach le Edizioni Biliki.

A lui ho chiesto: in tante righe quante sono le lettere che compongono il tuo cognome, definisci il tuo profilo letterario

Scrivo perché mi piace sondare il genere umano, scardinare le porte del cuore, costruire ponti fra gli uomini; parlo di storie di vita comuni, di amori impossibili, a volte difficili da capire, troppo lontani dai successi chiassosi. Storie di uomini che si incontrano, che vogliono condividere insieme i propri sogni. La scrittura non é automatica, si é vero esce dal cuore, é immediata ma viene rivista, affinata, riequilibrata per poter essere di più facile fruibilità per i lettori. Il libro é un oggetto, che annuso, lo tocco, lo respiro e ci vivo dentro come se fosse la mia casa.

Per una scheda sul libro: QUI.

Patrick Lowie
“Al ritmo dei diluvi”
Traduzione di Enrico Frattaroli
Pagine 99, Euro 10:00
Edizioni Biliki


L'ateo sotto l’ombrellone


E’ uscito in questi ultimi giorni di giugno il nuovo numero del bimestrale L’Ateo diretto da Maria Turchetto.
Da dodici anni L’Ateo - voce dell’Uaar – propone temi centrali della laicità ospitando articoli che hanno il taglio di microsaggi sui plurali aspetti della pratica di una morale senza dio. Inoltre, è una preziosa fonte di segnalazione su pubblicazioni che, assai spesso, non trovano ospitalità nei media; documenta sia le attività in Italia e all’estero di gruppi che s’oppongono al pensiero unico sia commenti agli avvenimenti di cronaca dei tanti casi d’intolleranza; assiduo spazio critico è dato alla sessuofobia cattolica (ma pure d’altre religioni, specie monoteiste) di cui le donne sono le prime vittime.
Sulla rivista troviamo anche vignettisti quali Staino e Vauro con il loro sghignazzo.
Per l’Indice di questo numero: CLIC!
Tutti i numeri del periodico dei primi dieci anni sono consultabili online QUI.
Per conoscere le librerie dov’è possibile acquistare L’Ateo: consultate l'elenco.
E’ possibile, ovviamente, pure abbonarsi.
Sono 15 euro assolutamente ben spesi; modalità: sul sito Uaar.


Albero Gemello


Nei miei giri di lavoro, quando noto un albergo o un ristorante degno di rilievo mai manco di segnalarlo ai miei 26 lettori… quelli famosi di Manzoni erano 25?... sì? ‘mbè, io ne ho uno di più.
D’accordo, non si passa per Albano Laziale troppo spesso, ma può capitare qualche volta.
Albano, sta tra i riti vaticani di Castelgandolfo e quelli porchettari di Ariccia (preferisco questi a quelli), ed è città non troppo assistita da chi dovrebbe: il traffico in centro ha spesso momenti claustrofobici, poche le iniziative per attrarre turisti (il sito del Comune, per le attività culturali, segnala roba superata per date, e, talvolta, addirittura dal 2006).
Albero GemelloEppure se lì capitate per necessità, volontà o errore, un luogo che vi consiglio per trascorrere un soggiorno delizioso c’è.
Si chiama Albero Gemello (in foto, visto da un angolo del giardino) ed è un’oasi di pace e affabilità dovuta ai cordialissimi gestori: Mary, canadese, il figlio Marcello, e Mario, il marito architetto ed esperto antiquario.
Può essere un punto di partenza per fare gite nei dintorni perché il paesaggio merita d’essere visitato.
Per saperne di più, cliccate QUI.

Albano Laziale
Albero Gemello
B&B
Via Olivella 63
Tel – Fax: 06 – 93 06 613
Mail: mjmunari@bb-alberogemello.com


Un salto impossibile?


Avverrà mai il teletrasporto degli umani? Se sì, fra quanto tempo?
Due domande, al momento, senza risposte certe; specie la seconda.
Già, perché per la prima – anche se ancora nessuno è stato smaterializzato e di colpo rimaterializzato in località lontana, come avviene nella serie “Star Trek” – qualcosa s’è mossa in quella direzione. E’ stato possibile, ad esempio, teletrasportare un raggio laser. Un impulso decisivo verso nuovi traguardi scientifici è già in atto, ed è dato dalle possibilità che offre il computer quantico.
Insomma, il teletrasporto, lungi dall’essere considerato solo un elemento di fantascienza costituisce uno dei maggiori soggetti di ricerca tra i fisici di tutto il mondo che sono operativi nel campo della meccanica quantistica.
Un viaggio attraverso le ricerche in corso, attenendosi a informazioni scientifiche, spiegate in modo estremamente accessibile, lo ha compiuto l’astronomo e giornalista David Darling in un libro - edito da Bollati Boringhieri - intitolato Teletrasporto il salto impossibile.
Il lettore apprenderà che cosa renderebbe possibile quel salto, oggi, impossibile; quali laboratori e quali scienziati sul nostro pianeta compiono studi (e come li fanno) su quel tema; qual è stata la cronologia delle ricerche e degli esperimenti; quali conseguenze la realizzazione di quegli studi potrebbe avere nella storia dell’Uomo.
L’autore non trascura anche gli esiti che tale epocale accadimento determinerebbe sul piano filosofico, politico, giuridico, etico.
Chi, poi, dopo questa lettura, vuole approfondire ulteriormente la materia, è soccorso da una poderosa bibliografia sull’argomento.
E’ un libro che fa riflettere anche sui destini della ricerca scientifica, spesso, e non da oggi, osteggiata dalle religioni (specie quelle monoteiste), e anche da chi crede nel falso mito del buon selvaggio. E’ roba che affligge il mondo tutto, ma noi, in Italia, ne siamo particolarmente afflitti a causa della vicina presenza del Vaticano e, perfino, da posizioni politiche a base laica pronte ad opporsi ad ogni progresso scientifico e tecnologico.
Ma il mondo va avanti (purtroppo faticosamente grazie a quelli lì), senza di loro.
Kevin Warwick studia l'integrazione Uomo-Macchina innestando chip nel proprio corpo e pensa a nuove tappe del Cyborg Project dall'Università di Reading; in un tempo meno lontano di quanto s'immagini impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli d’esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli.
Speriamo con David Darling che la ricerca scientifica continui a vincere su chi vuole fermarla, altrimenti se Kirk capiterà sul pianeta Terra, dopo un’occhiata in giro non potrà che dire: “Tirami su Scotty, non c’è vita su questo pianeta!”

Per una scheda sul libro: ricerca su Darling nella Sez. Catalogo dell'Editrice.

David Darling
“Teletrasporto”
Traduzione di Angela Iorio
Pagine 231, Euro 25:00
Bollati Boringhieri


Fase Seconda


La casa editrice Adelphi ha ripubblicato un testo fondamentale della critica musicale del ‘900: Fase seconda di Mario Bortolotto.
Tempo fa, ho costretto Bortolotto a salire sull’Enterprise e lì gli ho posto alcune domande, cliccate QUI.
Non sono un musicologo, e per meglio offrire ai miei lettori un profilo del grande critico e l’importanza di quest’opera in nuova edizione, ho intervistato Guido Zaccagnini altro mio ospite in una traversata spaziale.
Guido Zaccagnini, musicista e musicologo, docente al Conservatorio di Perugia, è una delle voci più apprezzate di Radio Tre; tra le sue più recenti pubblicazioni: la traduzione e cura di La generazione romantica e Hector en Italie.

A lui ho chiesto di parlare di Bortolotto e di “Fase seconda”.

Nel 1969, per Einaudi, Mario Bortolotto pubblicò “Fase seconda”. Mai, prima di allora, uno studioso - e non solo italiano - aveva affrontato in modo tanto articolato e approfondito la musica del XX secolo: delle sue radici, dei suoi nessi, delle sue implicazioni teoretiche e sociali, delle sue prospettive. Da allora Bortolotto, anche nello svolgere attività di critico, direttore artistico, conferenziere, si è posto come un ineludibile termine di confronto per tutti coloro che si sono occupati negli ultimi cinquanta anni di esegesi e di analisi musicale inerenti la cosiddetta musica colta contemporanea.
Bene ha fatto Adelphi a riproporre questo testo a beneficio di coloro (davvero tanti) che per anni hanno inutilmente cercato in librerie, biblioteche, sul web, un libro imperdibile per chiunque voglia capire (o solo intuire) le vicende, i percorsi, le ragioni, gli esiti della musica conseguente alla Seconda Scuola di Vienna.
A quasi quarant'anni dalla sua prima uscita editoriale, “Fase seconda” rimane un punto di riferimento: sia per coloro che ne condividono gli assunti, sia – ‘a contraris’ – per i mentori di nuovi ‘verba’ musicali quali, solo per esemplificare, il neo-tonalismo o il minimalismo.
A fronte del dilagante, becero ed efferato slogan "Riprendiamoci il pubblico!", accomunante case discografiche, direttori artistici, compositori, sponsor, interpreti e giornalisti, il testo di Bortolotto ci insegna: o, meglio, si chiede e ci chiede: "Se i libri fossero la dissipazione dell'Essere?"
.

Per una scheda sul libro: QUI.

Mario Bortolotto
“Fase seconda”
Pagine 382, Euro 38:00
Adelphi


Schifano alla Gnam


La Galleria Nazionale d'Arte Moderna, a dieci anni dalla scomparsa di Mario Schifano (nacque a Homs, in Libia nel 1934), esponendo una visione d’insieme della sua opera, rende omaggio a uno degli artisti più complessi e importanti del secondo dopoguerra italiano.
Mario SchifanoIl curatore, Achille Bonito Oliva, in questo video – girato durante l’allestimento della mostra – ne traccia un profilo dell’opera.

Schifano ha improntato di sé la pittura italiana per quasi un quarantennio.
I monocromi dei primi anni sessanta, la scelta di soggetti, temi e icone che lo hanno accomunato alla Pop art nei secondi anni sessanta, la sperimentazione tra pittura, fotografia e film degli anni settanta, il ritorno alla pittura nei cicli degli anni ottanta e novanta, hanno fatto di lui un artista di riferimento nel panorama italiano sia per gli altri artisti sia per un pubblico larghissimo e ben più vasto di quello solitamente composto da critici, storici, collezionisti e appassionati. Il precoce successo di Schifano negli Usa negli anni sessanta è infatti continuato in Italia, dove l’interesse per l’artista si è mescolato con quello per l’uomo e le sue vicende personali legate al clima del momento, al jet set, allo scandalo e al suo furore creativo.

Per visitare il sito web dell’artista: QUI.

L’Ufficio Stampa Gnam è guidato da Carla Michelli
e-mail: cmichelli@arti.beniculturali.it

Mario Schifano
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna
Viale delle Belle Arti 131, Roma
Info: 06 322 98 221

Fino al 28 settembre 2008


I mestieri del libro


"Come leggeremmo l’Ulysses se non s’intitolasse Ulysses?”
Così si chiede Gérard Genette in una pagina di “Soglie”, vertiginoso saggio che indaga sul paratesto, cioè sulla funzione e il significato di prefazioni, dediche, copertine, titoli, ecc.
La scelta del titolo è, però, per l’editore solo una delle tante scelte (ognuna delle quali può rivelarsi felice o rovinosa) che il libro costringe a fare.
Anche dietro il libro più banale, perfino dietro quello che va dove lo porta il cuore, prima che arrivi al lettore suscita in chi deve pubblicarlo una serie d’interrogativi tecnici, reclama un insieme di specializzazioni professionali.
Spiega in modo eccellente, passo passo, tutto il percorso che fa un volume dalla penna dell’autore fino al banco in libreria, Oliviero Ponte di Pino con I mestieri del libro edito da Tea.
“Questo libro” – scrive Stefano Mauri nella prefazione – “concentra in poche pagine di onesta, precisa, spigliata e informata esposizione lo stato dell’arte dell’editoria italiana ai principi del XXI secolo, toccando gli ambiti più vari e soddisfacendo ogni genere di curiosità al riguardo”.
Lo fa partendo da una scheda sulla storia dell’editoria da Gutenberg a Internet, per poi illustrare i vari passaggi che un testo attraversa fin dall'iniziale presentazione alla casa editrice. Momento primo cui seguiranno i tanti temi e problemi che solleva: dalla composizione grafica al diritto d’autore, dalla distribuzione al marketing coinvolgendo decine di figure professionali; insomma mantiene largamenre le promesse in copertina: Di autori, agenti, editori, stampatori, distributori, librai, giornalisti, lettori. Ovvero tutto ciò che serve per pubblicare (e vendere) un bel libro.
Oliviero Ponte di Pino è uno che la sa lunga in materia, infatti, oltre ad essere noto come uno dei migliori critici teatrali italiani (dirige anche un ottimo webmagazine di cultura scenica: ateatro.it), è direttore editoriale della Garzanti.

Tempo fa, facemmo insieme un’avventurosa traversata spaziale nel corso della quale gli posi alquante domande, oggi gliene rivolgo una soltanto: a tuo parere, qual è l'errore più frequente commesso dagli editori?

Ci sono due errori speculari e ugualmente pericolosi per chi vuol fare l'editore.
Alcuni pensano che il libro sia solo merce, e di conseguenza cercano di omologarlo agli altri prodotti - in termini di ideazione e selezione, produzione, marketing...
Altri ritengono che il libro sia solo cultura, e che perciò non debba aver nulla a che fare con le vendite e con i conti, perché il libro è arte e bellezza, ispirazione ed espressione individuale.
Per i primi tutto dovrebbe essere prevedibile, per i secondi tutto dovrebbe essere genialità. La scommessa dell'editoria consiste nel combinare questi due errori in modo che si cancellino a vicenda. O almeno, visto che è quasi impossibile, esercitarsi affinché un errore limiti i danni dell'altro
.

Per una scheda sul libro, bio, bibliografia e sitografia dell’autore: QUI.

Oliviero Ponte di Pino
“I mestieri del libro”
Prefazione di Stefano Mauri
Pagine 239, Euro 9:00
Tea


Una controvisita guidata


“Un arcobaleno fissato a lungo diventa noioso” ha scritto Wolfgang Goethe.
Gli farà eco un secolo dopo Edward Morgan Forster che dirà: "Solo quello che vedi con la coda dell'occhio ti tocca nel profondo".
Quest’ultimo aforisma chiude un aureo librino di Alan Bennett, agilmente tradotto da Andrea De Gregorio, mandato da Adelphi in libreria con il titolo: Una visita guidata.
E’ una divertente conferenza tenuta nel 1993 dall’autore, allora assunto come “fiduciario” alla National Gallery di Londra, incentrata sul suo rapporto con le esposizioni d’arte.
In questo testo, usando un rigoroso filo critico infila perle aneddotiche e riflessioni condite di vis comica. Come quando nota che Mi è sempre sembrato che i santi e i loro simboli abbiano un lato comico […] Dato che per far colpo su Gesù aveva funzionato, è comprensibile che Maria Maddalena non si sia separata mai più dal vaso di unguento, tanto che nel quadro di Rogier van der Weyden mentre legge se lo tiene sempre a portata di mano, casomai ci sia qualche piede imprevisto da ungere.
Dopo aver attaccato Berenson – anche sul piano professionale e personale –, pure per via di quel suo sostare per ore davanti ad un’opera e pretendere che sia il solo modo di comprenderla (Confesso di non aver mai sperimentato un senso d’estasi stando in piedi di fronte a un quadro, tranne un certo dolor di gambe o, per citare Nathaniel Hawthorne “Quel freddo demone della spossatezza che infesta i grandi musei”), Bennett s’inoltra in una vertiginosa lezione dissacratoria.
La prima indicazione che viene fuori è quella di non lasciarsi intimidire dall’istituzione museale e dal nome del pittore, fosse pure famosissimo (Devo ammettere che non vado matto per i dipinti di Leonardo, dice), non cedere, insomma, alle forme terroristiche del turismo culturale.
Alan Bennett è nato a Leeds, nello Yorkshire, nel 1934. A Cambridge, comincia a scrivere sketch insieme a Michael Frayn, assai noto anche da noi per la commedia “Rumori fuori scena”. Si diploma, e gli ci vogliono due anni per decidere di non diventare pastore della chiesa anglicana. Crisi proficua, tanto che nel 1959 debutterà al Fringe Festival d’Edimburgo proprio con la parodia di un sermone. Nel 1965, dopo una fortunatissima serie di spettacoli insieme alla rivista “Beyond the Fringe”, viene ingaggiato dalla BBC come attore. Nel 1968 mette in scena il primo dei suoi grandi testi: “Forty Years On”. Seguiranno altri lavori teatrali, per la Tv e il cinema, tutti fortunatissimi.
Una sua pièce famosa è dei “The Madness of King George III”
E qui vi racconto un gustoso episodio ricordato da Morando Morandini. Da quel lavoro scenico fu tratto nel 1994 un film diretto da Nicholas Hytner. Incredibile ma vero: il "III" fu tolto dal titolo per non far credere che quel “III” si riferisse a una serie.

Per una scheda sul libro: QUI.

Alan Bennett
“Una visita guidata”
Traduzione di Andrea De Gregorio
Pagine 43, Euro 5:50
Adelphi


Second Life compie 5 anni


Oggi, torta (virtuale, s’intende) su Second Life che festeggia il proprio compleanno con cinque candeline (altrettanto virtuali).
Cosmotaxi, s’è collegato con il principale studioso italiano di SL: Mario Gerosa.
Nel 2006 ha stilato la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio architettonico virtuale e ha fondato Synthravels, la prima agenzia di viaggi per tour nei mondi virtuali.
Fra le sue più recenti pubblicazioni: nel 2007 Second Life e nel 2008 Rinascimento virtuale.
Titolo che darà nome ad una mostra corredata da convegni sul multiverso che si terrà dal 21 ottobre ‘08 al 7 gennaio ‘09 al Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze.

A Mario Gerosa – alias Frank Koolhaas in SL – ho chiesto: a 5 anni dalla sua nascita, quale momento attraversa SL? Quali le sue prospettive?

Credo che Second Life stia vivendo un importante fase di passaggio. L’anno scorso è coinciso con l’apice mediatico di Second Life e ha visto questo mondo virtuale declinato nelle forme più pittoresche, per creare notizia e stupire: al basso continuo delle aziende che ritenevano un imperativo etico crearsi una propria sede virtuale, si contrapponevano gli acuti di chi raccontava le stranezze del metaverso, spesso con occhi sgranati altrui.
Oggi la situazione si sta normalizzando, ma non significa che Second Life è meno interessante. E’ cambiato l’approccio a questo mondo che l’anno scorso ha vissuto soprattutto grazie ai media. Ora quel mondo vive finalmente da solo ed è più serio e professionale. Punta sulla creatività e sui contenuti. Farà parlare ancora di sé: molto. E le parole chiave saranno “arte”, “marketing di nuova generazione” e “e-learning”
.


La città del teatro


A Cosmotaxi piace segnalare il lavoro svolto da compagnie teatrali che lavorano lontano dalle grandi città con un impegno per quantità e qualità prodotte che non sempre è adeguatamente rispecchiato sui media, o almeno tanto quanto meriterebbero.
E’ il caso oggi di un luogo in cui artisti, studiosi e ricercatori in discipline dello spettacolo, delle arti visive e della produzione multimediale pongono al centro delle loro creazioni la relazione tra confronti di culture e linguaggi: La città del teatro.
La Città del Teatro, a Cascina, è una realizzazione che opera in un complesso di oltre cinquemila metri quadrati: tre sale di diverse forme e dimensioni (700 - 200 - 100 spettatori), aule e laboratori per la formazione, un centro studi, un anfiteatro all’aperto, laboratori tecnici, studi di registrazione audio e video, spazi espositivi, un music pub e un bar ristorante.
E’ sede della Fondazione Sipario Toscana, teatro stabile d’innovazione che, grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea, ha trasformato un’area industriale costruita negli anni ’50 in un centro di produzione plurimediale.
Le principali attività svolte: teatro contemporaneo, il Festival Metamorfosi, programmazioni di teatro per le scuole, master, convegni, mostre, performances, video installazioni, e ancora la rassegna (si videoascolti sul link che segue) Fosfeni: eventi e artisti di musica elettronica.
Sono soci fondatori la Provincia di Pisa, i Comuni di Cascina e San Giuliano Terme; contribuiscono alle attività il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Regione Toscana.
La Direzione artistica è di Alessandro Garzella; quella del Centro Studi e Formazione è affidata a Fabrizio Cassanelli; il Nucleo di progettazione e ricerca, oltre ai due prima citati, vede al lavoro Letizia Pardi; dell’Ufficio Stampa e Comunicazione si occupa Roberta Rocco.

Così ha risposto Alessandro Garzella a Cosmotaxi che gli chiedeva un profilo del Centro da lui guidato

La Città del teatro e dell’immaginario contemporaneo è un luogo di creazione e di incontro tra artisti e spettatori. Concepiamo il teatro come senso, spazio e forma della mutazione, come diversità artistica, come anomalia.
Cerchiamo d’essere un’antenna percettiva intergenerazionale capace di intercettare il futuro, le urgenze giovanili e i cambiamenti del sentire. Vorremmo stimolare confronti tra artisti che presentano particolari qualità di ricerca formale e opere che nascono in relazione ai luoghi del difforme, agli squilibri civili, esplorando i rapporti che intercorrono tra produzione d’arte e comunità, tra testimoni sociali e creatori.
Il nostro scopo è seguire sentieri che inducono sconfinamenti delle modalità creative, ponendo in luce ciò che è significativamente legato al presente per la sua forma poetica o per la qualità sovversiva della proposta culturale
.

La Città del Teatro si trova in Via Toscoromagnola 656 a Cascina, in provincia di Pisa.
Telefono 050 – 74 44 00; 050 – 74 42 98. Sito web: lacittadelteatro.it.


Fermenti in cellulosa


E’ dalla rivista Fermenti che nasce l’omonima Editrice nel 1973, con sede a Roma, guidata da Velio Carratoni.
Carratoni, nato a Latina nel 1942, appartiene alla schiera degli editori-scrittori; il suo esordio avvenne con “Mara” (1971), entrato nella rosa dei finalisti al Premio Viareggio di quell’anno.
Per un’estesa biobibliografia e giudizi critici sul suo lavoro: QUI.
Fermenti agisce una linea editoriale che esplora prevalentemente l’area della ricerca letteraria.
Oggi annovera centinaia di titoli dalla narrativa alla poesia, dalla saggistica alle monografie d’arte, a testi rari riproposti come documenti da recuperare, quali, per citare un solo esempio, una vera chicca: le lettere di Giovanni Verga a Paolina Greppi.
Tra gli autori e i critici proposti nelle varie collane, tanti i nomi noti ai lettori: da Dario Bellezza ad Aldo Nove, da Dacia Maraini ad Andrea G. Pinketts, da Luce d’Eramo a Vittorio Sermonti, a tanti altri.
A testimonianza dell’attenzione che Carratoni riserva alla ricerca linguistica, citerò qui la presenza in catalogo di due nomi: Antonio Pizzuto e Nanni Balestrini (recentissimo il suo “Sconnessioni”) entrambi usciti a cura di Gualberto Alvino.

Per visitare in Rete l’Editrice: CLIC!
Si rende assai urgente, però, un restyling di quel sito web.


Un ronzìo metallico


Da quarant’anni amo il lavoro di Sebastiano Vassalli. Perché credo che si tratti di uno scrittore – biografia QUI - dispettosamente unico.
Le ragioni di quell’avverbio che ho usato? Perché con sornione puntiglio, controcorrente, osserva le mode e le irride scrivendo al contrario di come quelle vorrebbero si scrivesse.
Ve lo dimostro passando attraverso alcuni momenti della sua storia letteraria.
Nel ’68, fu tra quelli che in un’orgia di scritture che tetramente s’applicavano in uno pseudo impegno politico (s’è visto poi quanti scrittori, e non, che ululavano allora bèlino oggi), lui ci dava un’opera sperimentale come Narcisso pubblicato in una preziosa collana Einaudi, purtroppo dalla breve vita, voluta da Giorgio Manganelli. Per poi, nel 2007 (ovviamente scansando le celebrazioni del quarantennio) riflettere sulle epoche politiche degli ultimi trent'anni, le luci, i valori, e anche le ombre: Archeologia del presente. Va di moda il romanzo con la trama caramella? Quello che va dove lo porta il cuore (sempre in un villaggio turistico con messa a mezzodì), semmai, ti dice di scusarlo se ti chiama amore (a proposito, pare che mai fu scusato da nessuna e nessuno)? E Vassalli, invece, riscrive vite e storie di poeti: La notte della cometa o Amore lontano.
Nasce il buonismo anche in letteratura? Ed ecco che rifila 3012 in cui va a teorizzare l’odio come motore del mondo.
Qualche buontempone s’inventa che esiste un nuovo romanzo italiano tanto ma tanto intellettuale, e lo scopre in furbetti del libricino che praticano il cosiddetto new italian epic (vale a dire biografie storpiate)? E lui – sempre st’antipatico di Vassalli – scrive, attraverso più titoli, la storia di un’Italia stracciona e dei cinici suoi abitanti – attraverso puntigliose ricerche storiche – come nel recente "L’Italiano" di cui mi sono occupato QUI.
Vi basta? No, perché sennò vado avanti.
Discorso a parte meriterebbe lo stile di scrittura con cui rende la pagina al tempo stesso tagliente e irridente; pare lo abbia fatto (purtroppo manca alle mie letture) una monografia critica di Cristina Nesi pubblicata da Cadmo.

Con quello stile, screziato e screanzato, esce presso Einaudi un volume dal titolo di lunghezza settecentesca Dio il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni che in tre parti riflette sulla stupidità, sulla violenza, sul destino degli umani in un futuro non lontano. Direi che aldilà della tripartizione scrittoria, il tema unificante è proprio la stupidità vista come epidemia fatale che colpisce la contemporaneità.
L’evoluzione darwiniana non è un interruttore che zac! rende tutti uguali, indossiamo un sistema nervoso centrale non troppo diverso da quello di millenni fa, poco c’è da fidarsi dell’umano, forse quella Mosca giustiziera che ronza metallica (un robot disinfettante?) nelle pagine finali del libro mi piace vederla più come promessa che come minaccia.
Grande libro. Necessario. Divertente. Unico.
Leggetelo e mi ringrazierete.

Per una scheda sul volume: CLIC!

Sebastiano Vassalli
“Dio il Diavolo e la Mosca nel grande caldo dei prossimi mille anni”
Pagine 146, Euro 16:50
Einaudi


Around the clock


Scrisse Marcel Proust: “Le canzonette, la musica da ballo, servono a conservare la memoria del passato, più della musica colta, per quanto sia bella".
Forse a questo ha pensato Franco Fabbri allorché ha scritto Around the clock Una breve storia della popular music che l’Utet ha mandato da poco in libreria.
Franco Fabbri insegna materie collegate alla storia e all’estetica della popular music e ai rapporti fra musica e media nelle università di Torino, Milano, Genova, e all’estero. È stato tra i fondatori della Iaspm (International Association for the Study of Popular Music) e n’è stato chairman internazionale. Fa parte delle redazioni delle riviste “Musica/Realtà”, “Popular Music”, “Radical Musicology”.
I suoi libri più recenti sono “L’ascolto tabù” (2005) e “Il suono in cui viviamo” (2008).
Né va dimenticato un altro suo prestigioso titolo: è stato chitarrista, cantante e compositore nel gruppo degli Stormy Six.
Sull’influenza di quel periodo sulla sua formazione di musicologo e di altro ancora parlai con lui durante un viaggio spaziale che facemmo insieme.
CopertinaAround the clock unisce due virtù scrittorie: è un’analisi di un genere composto da più generi ed è un catalogo.
Dal fado al rock psichedelico – passando attraverso la chanson, il cabaret, la bossa nova, il rap e altro ancora – sfilano i modelli della popular music con il suo fascino che va dagli strumenti cosiddetti acustici fino al computer. Alle nuove tecnologie, al loro apporto ad una musica che viene da lontano, è dedicato largo spazio sia sul piano espressivo e sia sull’influenza che hanno avuto sul mercato.

A Franco Fabbri ho chiesto: che cosa ti ha prevalentemente spinto a scrivere "Around the clock"?

Ho scritto un libro che mancava. Nel panorama editoriale (non solo italiano) ci sono infinite monografie su singoli artisti, molte storie ed enciclopedie del rock e del pop angloamericano, alcune sulla canzone italiana, un buon numero di saggi su generi e periodi, dal fado e dal tango al rap e alla techno. Ma non c’era finora un solo libro che mettesse insieme le informazioni essenziali e le riflessioni critiche fondamentali su tutta la popular music, inquadrando con precisione luoghi e date. Ovvio, tutto non c’è. Come non c’è tutta la storia della musica colta nella ‘Breve storia della musica’ di Massimo Mila. Eppure, non si chiede alla persona di cultura che vuole farsi un’idea di duemila anni di musica occidentale di leggere tutte le monografie sull’Ars Nova, su Bach, sul classicismo e il romanticismo, sull’opera da Monteverdi a Berio. Esistono le storie della musica, brevi o ampie. Per la popular music non esisteva. Ho provato a farla.

Per una scheda sul libro: CLIC!

Franco Fabbri
“Around the clock”
Pagine 247, Euro 14:50
Utet


La guerra dei cafoni


Nell’estate del 1975, nel Libano s’aggrava la guerra civile in corso, nel Bangladesh un colpo di stato porterà all’uccisione di Rahman e ad una feroce repressione, altri momenti sanguinosi qua e là non mancano sul pianeta, ma si svolge anche un’altra guerra che non sarà ricordata nella cronologia universale: La guerra dei cafoni. Scontro sulla costa salentina che, proseguendo una rissosa tradizione estiva, si rinnova ogni anno tra adolescenti benestanti e figli dei pescatori e contadini del luogo.
Se in altre terre il sangue scorre copioso, qui il combattimento avviene anche (ma qualche rivolo sangue non mancherà a séguito di scazzottate) in combattimenti tra le luci di un flipper.
Capitàno dei signori è Angelo (porta il soprannome d’un brasilero pedatore, Francisco Marinho), protagonista del romanzo di Carlo D’Amicis mandato recentemente in libreria da Minimum Fax.
Come sa chi generosamente legge questa mia rubrica web, dei romanzi mai narro la trama perché in una narrazione è il linguaggio che m’interessa. E qui molto mi ha interessato. Sospeso sapientemente tra il modo parlato e l’oggettivazione scritta restituisce ai lettori più metafore che vanno dall’esistenziale al sociale. Avvince fin dalla prima poderosa scena di cruento afrore animalesco fino all’ultimo capitolo dove sotto le luci del crepuscolo di una vita sfilano le figure che abbiamo conosciuto nelle pagine: ombre del ricordo, testimoni di tanto rumore per nulla.
Carlo D'Amicis (1964), vive e lavora a Roma. Ha pubblicato i romanzi “Piccolo Venerdì” (Transeuropa, 1996), “Il ferroviere e il golden gol” (Transeuropa, 1998, selezione Premio Strega), “Ho visto un re” (Limina, 1999, Premio Coni per la letteratura sportiva), “Amor Tavor” (Pequod, 2003). Per minimum fax, ha prima pubblicato Escluso il cane.
E’ autore selezionato per il Premio Strega; si sa, nessuno è perfetto.

A Carlo D’Amicis, ho chiesto: la guerra dei cafoni continua? E in che modo?

Pur essendo ambientato d'estate (e quindi luminoso, solare) "La guerra dei cafoni" è un romanzo crepuscolare, sul tramonto di un'epoca. Ma, di questo tramonto, è anche la fotografia: come tale resta immutabile, cristallizzata nel tempo. Del resto la fine dell'adolescenza è proprio così: da una parte un momento di perdita definitiva, dall'altra un'acquisizione perenne. Non penso, infatti, che crescere sia un fatto naturale, e che la giovinezza si riversi senza soluzione di continuità nell'età adulta; credo piuttosto che si verifichi un trauma, una scissione. Dentro di noi, da una parte, estinto e immortale al tempo stesso, rimane il ragazzo; dall'altra si sviluppa il cammino dell'adulto.
Ecco, la guerra che racconto in questo libro prelude proprio a questa separazione. Che corrisponde ad un momento unico, irripetibile. E come tale non può continuare, né riproporsi. O, per meglio dire, si ripropone costantemente (attraverso vicende diverse, ma in fondo analoghe a quelle raccontate nel romanzo) nella vita di milioni e milioni di individui. Ma una volta soltanto, e per sempre.
Poi c'è, ovviamente, il discorso sulla fine della lotta di classe, di cui "La guerra dei cafoni" vuole essere una colorita metafora. Anche qui, si può parlare contemporaneamente di estinzione e di radicamento del problema. Perché se è vero che il conflitto sociale tra "signori" e "cafoni" può dirsi superato, è anche vero che le disuguaglianze in esso contenuto sono esplose e si sono subdolamente conficcate, come schegge impazzite, nelle pieghe di ogni rapporto. In questo senso, la guerra dei cafoni continua più crudele che mai. E non si combatte più soltanto tra poveri e ricchi, ma anche (o soprattutto) tra "simili", nell'illusione che una gomitata ben assestata nel costato del vicino ci avvantaggi, e ci renda diversi
.

Per una scheda sul libro, interviste all’autore, altre recensioni: QUI.

Carlo D’Amicis
“La guerra dei cafoni”
Pagine 224, Euro 13:00
Minimum Fax


Rinascimento virtuale


In queste pagine c’è stata ad aprile una nota sul volume Rinascimento virtuale di Mario Gerosa, il maggiore studioso italiano di mondi virtuali.
Ora quel libro dà il titolo ad una mostra – ideata e diretta dallo stesso Gerosa – che si farà a Firenze (ottobre ’08 – gennaio ’09) al Palazzo di Storia Naturale e Antropologia.
Lì vedremo immagini fotografiche e video tratti da Second Life, e sono previsti convegni con l’intervento di specialisti italiani e stranieri del multiverso.

In occasione della prossima conferenza stampa di presentazione dell’avvenimento – si terrà in Second Life –, lo Staff di Fondazione Sistema Toscana, ha realizzato un video.

Per vederlo: CLIC!
Molto ben fatto. Ve lo consiglio.


Film d’artista


Un giorno Duchamp disse: “Da quando i generali non muoiono più a cavallo non vedo perché un pittore dovrebbe morire davanti a un cavalletto”.
Nonostante, con crudele determinazione, molti continuino a pittare sporcandosi di colori e insozzando tanti nostri sguardi, esistono artisti che colori e forme li usano in modo diverso.
Ad esempio, con immagini in movimento consegnate al cinema – ce ne sono cospicui esempi anche nella verde età di quell’arte – e, oggi in modo frequente affidate al digitale.
Il gruppo Fluxus, fin dagli anni’ 60 proiettò molte delle sue opere fuori delle cornici per rappresentarle dentro i margini dell’inquadratura di uno schermo. L’epoca digitale che viviamo vede infittirsi questi esempi, la semplicità d’uso delle tecnologie d'oggi ha indubbiamente favorito il fenomeno che, però, non è ascrivibile solo ad un fatto tecnico, ma ad una nuova filosofia dell’espressività che sempre più va verso la contaminazione dei generi, l’incrocio fra arte e scienze, l’intercodice.
Su questi temi, e in particolare sul rapporto arti visive-schermo, Maria Rosa Sossai ha scritto un libro imperdibile intitolato Film d’artista Percorsi e confronti tra arte e cinema mandato in libreria da Silvana Editoriale.
L’autrice, è una critica d’arte che fra le prime s’è occupata di questo particolare genere di produzione e già nel 2002 ha pubblicato Artevideo. Storie e culture del video d’artista in Italia. Collabora con il Man Museo d’Arte Contemporanea di Nuoro; curatrice di tante mostre, ne segnalo una ora in corso a Verona presso la Galleria Studio la città, è dedicata a Rossella Biscotti & Kevin van Braak.
Per articoli e interviste della Nostra: CLIC!
Ho notato con gioia che nel libro è ricordato Alberto Grifi – al quale mi legò forte amicizia – e il suo lavoro con Gianfranco Baruchello in un ben ragionato contributo di Marta Silvi che, negli apparati, ha curato anche un catalogo delle principali mostre arte/cinema.
Una curiosità che riguarda Grifi: per RadioRai, alla fine degli anni ’80, nel contenitore “Audiobox”, realizzò del film “La verifica incerta” una versione acustica intitolata “Se ci fosse una porta busserei” laddove momenti della colonna del famoso film erano intercalati dalla stessa voce di Alberto che narrava una cruda autobiografia.

A Maria Rosa Sossai ho chiesto: qual è il principale elemento di linguaggio che distingue il "film d'artista"?

Si tratta di un termine critico che include la vasta e complessa produzione di immagini in movimento all’interno del sistema dell’arte contemporanea. Oggi gli artisti visivi - ma ciò accadeva anche in passato, un esempio significativo e seminale è stato il lavoro di Marcel Brooathers negli anni ’70 - spaziano nei generi più diversi, dal musical, al trailer, al documentario, al reportage, sino alla narrazione cinematografica, in contesti come le mostre d’arte contemporanea, all’interno di musei e gallerie, ma sempre più spesso anche nell’ambito dei festival di cinema. Il film d’artista è caratterizzato da una forte componente concettuale.

A differenza del cinema di tradizione, Tempo e Spazio a quali destinazioni espressive principalmente rispondono nel film d'artista?

Nel cinema il tempo corrisponde al montaggio e al susseguirsi dei fotogrammi che creano una temporalità del simil reale. Ma anche lo spazio è entrato a far parte in maniera significativa delle opere filmiche e video, nel momento in cui gli artisti hanno sperimentato quello che Dominique Païni chiama il cinema installato, ovvero l’uso di dispositivi come la narrazione o proiezioni di formato cinematografico in proiezioni multi canale, che hanno inglobato lo spazio di proiezione, in chiave concettuale e fisica. La combinazione delle dimensioni spazio-temporali ha accresciuto le potenzialità di fruizione, diventate un’esperienza plurisensoriale.

Film d’artista – s’avvale di estese filmografia e bibliografia – si conclude con l’autrice impegnata in conversazioni con Dominique Gonzalez-Foerster – Erik Bullot – Ian White – Christian Merlhiot – Marco Senaldi – Carola Spadoni; Marta Silvi, intervista Gianfranco Baruchello e Fabio Mauri.

Per una scheda sul libro: QUI.

Maria Rosa Sossai
“Film d’artista"
Pagine 128, Euro 18:00
Silvana Editoriale


Asti Teatro


Asti Teatro, diretto da Salvatore Leto, compie trent’anni.
Pochi Festival in Italia possono vantare tanti anni di vita, e di successi.
Oggi il Festival conferma la sua tradizione che lo vede agire sul filo di una continuità caratterizzata da un intenso desiderio di ricerca espressiva e dall'ambizione di proporsi quale luogo di confronto delle ultime esperienze, delle innovazioni e delle tendenze della scena.
Questa 30ma edizione è l’occasione per sottolineare la continuità di un percorso da sempre rivolto alla scrittura scenica e alle nuove tendenze della drammaturgia contemporanea, dai grandi maestri della scena internazionale agli autori italiani – basti citare Bernard Maria Koltes, David Mamet, Antonio Tarantino, Angelo Longoni, Manlio Santanelli, Massimo Sgorbani, Alessandro Baricco.
Quest’anno Asti Teatro prosegue sulla stessa linea di lavoro, presentando in prima nazionale autori ancora poco noti in Italia ma già conosciuti a livello internazionale come Jane Martin, una tra i drammaturghi “culto” della scena statunitense, e Joanna Murray-Smith, australiana già rappresentata in tutto il mondo, per tornare infine a Sarah Kane, scrittrice icona della “nuova generazione degli arrabbiati” britannica.
Né mancano proposte d’autori e interpreti del panorama scenico italiano; qualche nome: Eleonora D’Urso, Ottavia Fusco, Maria Laura Baccarini, Valter Malosti, Laura Marinoni, Elio De Capitani, Tosca, Massimo Venturiello.
Tante insomma le occasioni per cogliere novità provenienti dall’Italia e dall’estero.
Fra queste, spicca la presenza del famoso gruppo La Fura dels Baus che presenta una nuova composizione di Alex Ollé e David Plana: Boris Godunov.
Si tratta del tragico episodio che avvenne allorché un gruppo di terroristi irruppe nel teatro Dubrovska di Mosca durante il musical ‘Nord-Ost’ nel 2002. prendendo in ostaggio il pubblico, gli attori e il personale.
La versione di Boris Godunov (in foto, un momento dello spettacolo) de La Fura dels Baus ha l’obiettivo d’immergere gli spettatori in un’esperienza estrema, riportare alla luce la funzione catartica del teatro e permettere al pubblico di vivere drammaticamente l’esperienza di una delle principali paure dell’era contemporanea: il terrorismo.

Per il programma: cliccare QUI.

Organizzazione: Anna Chiara Altieri, 0141 – 399 035 e 334 – 39 94 160; asti_teatro@yahoo.it
L’Ufficio Stampa è guidato da Simona Carlucci:
0765 – 42 33 64 e 335 – 59 52 789; carlucci.si@tiscali.it



Ilisso


A Nuoro, opera l’Editrice Ilisso che, nata nel 1985, s’è occupata per anni prevalentemente di reperire testi sul territorio, pubblicando anche preziosi volumi sull’architettura sarda. Da qualche tempo ha allargato il proprio campo d’intervento e s’è dotata di una collana che va oltre la Sardegna: Ilisso Contemporanei. Scrittori del mondo.
A dirigerla è Bastiana Madau che, per la narrativa italiana s’avvale della collaborazione di Filippo La Porta, saggista e critico letterario di grande acutezza di cui troviamo la firma su L’Unità, Repubblica, il Manifesto e che è stato di recente ospite di Cosmotaxi in occasione dell’uscita del suo libro “Maestri irregolari”
Bastiana Madau, nata ad Orani (Nuoro), è laureata in filosofia alla Sapienza di Roma con una tesi su “Simone de Beauvoir, la letteratura e la filosofia come impegno per la vita”. Prima di lavorare per la Ilisso, ha diretto per dodici anni la biblioteca di Orani, dal 1995 è passata ad Orgosolo dove ha fatto della biblioteca locale uno dei pochi centri di eccellenza culturale in Sardegna.
Ora, nella collana ‘Ilisso Contemporanei. Scrittori del mondo’ (attualmente ha all'attivo sedici titoli, sin qui soprattutto di letteratura araba, ma anche di area caraibica, africana, italiana) sono usciti due romanzi: Amore in esilio, dell'egiziano Bahaa Taher e Ti battezzo Rosso Disperazione del cubano francofono Eduardo Manet.

Altro libro recente di Ilisso, in altra collana, riguarda la fotografia
Tatiana Agliani e Uliano Lucas firmano il volume "Pablo Volta. La Sardegna come l'Odissea" che di recente ha vinto la IV edizione del premio ‘Tracce
di Territorio’ nella sezione ‘Narrare con l’immagine’.
Pablo Volta, nato a Buenos Aires nel 1926, esegue i primi scatti nella Berlino devastata dai bombardamenti. Rientrato in Italia si occupa di cronaca nera e di cinema, ed è tra i fondatori della Fotografi Associati, cooperativa di fotografi fondata per prima in Italia. Nel 1954 è a Orgosolo, al seguito di Franco Cagnetta. Trasferitosi a Parigi, fotografa artisti e intellettuali e, dopo una lunga esperienza alla Rai parigina, nel 1986 si stabilisce in Sardegna a San Sperate.
Il nucleo principale di immagini dal taglio etnografico e antropologico è centrato sulla Sardegna degli anni ‘50 e ‘60.
Orgosolo, Desulo, Laconi e Mamoiada sono agli occhi di Pablo Volta “comunità pastorali che si incontrano leggendo l’Odissea”.


Capelloni & Ninfette


I 40 anni trascorsi dal ’68 hanno scatenato un’ondata di pubblicazioni.
Poche, finora, quelle che si sono proposte d’analizzare quella svolta epocale senza cadere ora nell’apologetico ed ora nel tentativo di oscurarne le luci.
E’ da pochi giorni in libreria un volume che si distacca da quel confuso coro anche perché, pur largamente riferendosi a quell’anno, ragiona sul periodo che in Italia precedette il ’68.
Lo fa ricordando “Mondo Beat”, una delle più famose riviste di controcultura che nel biennio ’66-’67, nello spazio breve di pochi numeri, riuscì a documentare quanto di nuovo nel sociale e nell’arte andava profilandosi e a proporre modelli di comportamento che allora apparvero tanto scandalosi da attirare sulla pubblicazione e i suoi redattori attacchi della cosiddetta grande stampa, indignazioni di pseudomoralisti, repressioni poliziesche.
Si tratta di Capelloni & Ninfette Mondo Beat 1966-67: storia, immagini, documenti edito da Costa & Nolan.
Il libro – corredato da un Cd e da una imponente documentazione fotografica – è a cura di Gianni De Martino che non solo fu l’anima di quella rivista, ma anche un protagonista di quegli anni così come altri che nel libro ha chiamato a testimoniare sul periodo preso in esame.
Per conoscere la biobibliografia di De Martino, cliccate sul suo sito web.
Di lui, settimane fa, ho segnalato un altro recente libro di cui ha curato la riedizione Dallo sciamano al raver di Georges Lapassade.
Dice Matteo Guarnaccia nella prefazione riferendosi a 'Mondo Beat': “... in quel giornaletto ciclostilato, venduto per strada e sottoposto a censure e sequestri da parte delle autorità, trovarono posto i primi vagiti della contestazione, citazioni buddiste, tirate antimilitariste […] obiezione di coscienza, controllo delle nascite, preoccupazioni ecologiche, dubbi sul primato dell’Occidente, rifiuto di delegare ai partiti (anche quelli di sinistra) il proprio potere di cittadini, critiche alla famiglia patriarcale”.
Tutto questo incontrerà e in parte si scontrerà con il ’68.
Come e perché accadde? L’ho chiesto a Gianni De Martino.
Ecco la sua risposta.

Quegli anni immediatamente precedenti il ’68, rappresentarono il desiderio dei giovani d’allora di dare luogo a un processo spontaneo d’accomunamento. Successivamente, le tematiche esistenziali dei beats entrano in contatto con il movimento studentesco e operaio e ne nasce un corto circuito. Perché nasce l’esigenza d’organizzazione delle lotte e, quindi, si determina una settarizzazione. Sorgono dei gruppi chiusi, preoccupati della purezza dell’ideologia, attenti alla politicizzazione, si creano strutture per vigilare su infiltrazioni, eccetera. In questi gruppi del ’68, confluiscono esperienze anarchiche – come quelle dei ‘provos’ olandesi – e assistiamo, però, anche alla riscoperta di cose vecchissime come il marxismo-leninismo, lo stalinismo, tanto da far diventare punto di riferimento giovanile quel vecchione di Mao Tse Tung.
In questo “Capelloni & Ninfette” spero si ritrovi l’atmosfera di quegli anni, criticamente vissuta dal di dentro, si ritrovi la sensibilità di quel tempo presto sommerso dalle ideologie.
Quei lontani spunti, poi, li vedremo in parte riemergere nel movimento del ’77 con il suo stile creativo ed irridente
.

Capelloni & Ninfette
a cura di Gianni De Martino
Prefazione di Matteo Guarnaccia
Introduzione di Marco Grispigni
Pagine 308, Euro 19:80
Con accluso Dvd
Costa & Nolan


Le porte del Mediterraneo


Regione Piemonte propone Le Porte del Mediterraneo, un insieme di iniziative affidate alla curatrice e storica dell’arte Martina Corgnati.
Nucleo centrale dell’iniziativa sarà una grande mostra allestita in due spazi espositivi a Rivoli, che comprenderà una sezione storica alla Casa del Conte Verde volta a ricostruire attraverso dipinti, incisioni, disegni e immagini fotografiche le relazioni fra il Piemonte e il Mediterraneo; e una sezione contemporanea a Palazzo Piozzo caratterizzata dalla presenza di 17 artisti visivi e multimediali, che hanno fatto del Mediterraneo il loro tema, la loro vocazione e il loro progetto.
La rassegna sarà accompagnata da un catalogo, edito da Skira.

Martina CorgnatiMartina Corgnati (in foto) da molti anni si divide fra l’attività didattica (è docente di Storia dell’Arte Contemporanea all’Accademia Albertina di Torino), le collaborazioni giornalistiche e l’impegno critico: ha scritto fra l’altro per “Arte”, “Panorama”, “Flash Art”, “Anna”, “The Journal of Art”, “L’Indice”, “La Repubblica”, “Carnet Arte”, “Style” di cui è stata consulente di direzione.
Attualmente è titolare della rubrica d’arte di “Chi”.
Tante le sue pubblicazioni da rendere dissuasivo lo stendere un elenco, per alcuni fra i principali titoli: CLIC!
Da tempo dedica una speciale attenzione all’attività di artisti non-occidentali, arabi ed africani, e alla creatività artistica contemporanea nel mondo mediterraneo e nel vicino oriente. Potete ascoltare una sua intervista a tema: QUI.
Nel 2005 ha ideato e curato la mostra “Sud-Est. Incontri Mediterranei”, dedicata alla creatività contemporanea nel Mondo Arabo, alla Fondazione Horcynus Orca di Messina di cui, dal 2000, è consulente responsabile per l’arte d'oggi.
Suo è il progetto “Italia. Artisti arabi fra Italia e Mediterraneo”, mostra itinerante organizzata dal Ministero degli Esteri, attualmente in corso a Beirut (Villa Audi; itinerante a Damasco e Il Cairo).
Per la Regione Piemonte ha curato nel 2008 la I edizione di “Le porte del Mediterraneo” (Rivoli; Palazzo Piozzo e Casa del Conte Verde – catalogo Skira).
Nel 2001 è stata membro della Giuria Internazionale della VIII Biennale del Cairo e nel 2003 commissario italiano della Biennale di Alessandria d’Egitto (Bibliotheca Alexandrina).

L’ho incontrata all’ombra di una Piramide e le ho chiesto: come nasce “Le porte del Mediterraneo”? Quali le finalità che ti proponi?

La mostra è il secondo appuntamento di un progetto triennale dell’assessorato alla cultura della regione Piemonte intitolato “Piemonte Mediterraneo”. Dopo una prima puntata sul “Velo” ecco adesso una serie di appuntamenti dedicati ai confini, ai limiti, alle relazioni, quindi al Mediterraneo inteso come “porta” fra culture, lingue, religioni, popoli. Per quanto mi riguarda, come curatrice, da tempo mi occupo con particolare interesse delle espressioni artistiche e culturali mediterranee, specialmente inerenti al Mediterraneo arabo, e guardo ancora con speranza, se non con fiducia, alle possibilità di apertura e di discorso veicolate dall’arte. In particolare mi interessa provare a dar voce e favorire le componenti più aperte e avanzate che agiscono in società chiuse e in realtà difficili, per costruire le condizioni affinché possa prodursi una specie di “discorso”.

Che cosa particolarmente t'interessa fra i 17 artisti contemporanei che presenti quest'anno a Palazzo Piozzo? In che cosa si differenziano - se si differenziano - da altre esperienze dei nostri giorni?

I 17 artisti contemporanei selezionati per quest’appuntamento hanno fatto dei Mediterranei e del tema delle porte, delle soglie e delle relazioni la loro traccia poetica e operativa più significativa. Quasi tutti provengono da paesi affacciati sulle rive del Mediterraneo ma non necessariamente. Mi interessa la ricchezza e complessità dei loro punti di vista: dagli intrecci di storie private e di Storia pubblica affrontati da Khaled Hafez (egiziano) ai problemi dell’immigrazione clandestina studiati nei bellissimi video di Ursula Biemann (svizzera) e di Hala el Koussy (egiziana), alle inferriate che rendono problematico e ambiguo il rapporto fra interno ed esterno, allestite da Tsibi Geva (israeliano).

Ci sono presenze femminili? Ed esiste una caratteristica espressiva che le accomuna?

Fra gli artisti scelti ci sono molte presenze femminili, anzi è importante ricordare che nel mondo arabo e islamico in generale la creatività femminile è specialmente vivace, fervida e originale e va particolarmente sostenuta dato che affronta difficoltà maggiori. Non esiste però una caratteristica espressiva comune a tutte le artiste: ciascuna ha la propria esperienza e il proprio punto di vista. Le artiste come gli artisti sono figure immerse nella storia e in condizioni sociali ben concrete e questo condiziona i loro linguaggi.
In mostra ci sono sette presenze femminili
.

Per i redattori della carta stampata, delle radio-tv, del web:
Ufficio Stampa Stilema: Alessandra Valsecchi, Tel. 011 – 56 24 259
Mail: portedelmediterraneo@stilema-to.it

“Le porte del Mediterraneo”
Rivoli (Torino)
Info: numero verde (+39) 800 329 329
Fino al 28 settembre 2008


100 anni dopo


Tempo fa un maligno che non voleva bene a Lamberto Pignotti disse “Quando c’è lui di mezzo, finisce tutto a puttane!”.
E’ trascorso del tempo da quell’aspra battuta, ma per via d’un bizzarro destino, certi fatti sembrano dar ragione a quel tipo.
Vi racconto che cosa è successo.
Hanno compiuto cento anni "Les Demoiselles d'Avignon", le cinque ragazze del postribolo di Barcellona (Apollinnaire, Jacob e Salmon coniarono il primo titolo dell'opera "Le bordel philosophique", mentre quello definitivo fu dato alla tela negli anni della prima guerra mondiale), ritratte da Pablo Picasso in uno dei suoi lavori più celebri.
Lamberto PignottiLamberto Pignotti, è andato a trovare quelle ragazze, trovandole ancora in gran forma, e ha rivisitato quel famoso dipinto a modo suo riportando anche intime frasi a lui confessate da quelle sagge signorine.

Nella foto, una delle Demoiselles nella versione di Pignotti.

Per vederle tutte, nella cronaca verbovisiva che ne fa Lamberto, bisogna recarsi ad Ivrea presso il nuovo Museo della Carale Accattino dov’è in corso la mostra La parola mostra il suo corpo Forme della verbovisualità contemporanea, a cura di Adriano Accattino, Lorena Giuranna, Giancarlo Plazio.
Museo che inaugura la propria attività con un’ampia rassegna dedicata alle relazioni tra parola e immagine nell'arte contemporanea e che ricorda Luciano Caruso, Giuseppe Chiari, Eugenio Miccini, Adriano Spatola, Emilio Villa.
Tra gli amici già ospiti di questo sito che vedo impegnati nell’esposizione: Vittore Baroni, Giovanni Fontana, William Xerra.

Per un elenco completo, cliccate QUI.

“La parola mostra il suo corpo”
Museo Della Carale Accattino
Via Miniere 34, Ivrea
Info: tel. 0125 – 61 26 58
e-mail: adrianoaccattino@libero.it
Fino al 29 giugno ‘08


Sogni in celluloide


“Ehi, ma a che stavi pensando... sognavi?”
“Ah… un superattico, il deserto, baciarsi in una sala da ballo...”
“Allora sei stata ancora al cinema, ieri sera”
(Stephanie Farrow e Mia Farrow, cameriere in un ristorantino del New Jersey, parlano di cinema in “La rosa purpurea del Cairo”, 1985).

Woody Allen nel raccontare la sua giovinezza trascorsa nei pidocchietti di Brooklyn, ci ricorda come il cinema, per intere generazioni è stato “lo spazio ideale per immergersi in un mondo fatato dove i sogni diventavano realtà e la fantasia regnava sovrana”.
E uno dei più famosi tra i gonzo journalist, il visionario Lester Bangs, ha scritto: “Pochi sanno che i fratelli Lumière furono visitati nello stesso momento della stessa notte dallo stesso sogno: il cinema”.
Pasolini, a proposito del cinema, parlerà di “fisicità onirica”.

Ora Marsilio ha mandato in libreria un gran bel libro che indaga su cinema e sogno: Sogni in celluloide Reale e immaginario nel cinema.
N’è autore Roberto Campari, ordinario di storia e critica del cinema all’Università di Parma.
Tra i suoi libri pubblicati per Marsilio: “Il fantasma del bello. Iconologia del cinema italiano” (1997); “Il fascino discreto dell’Europa. Il vecchio continente nel cinema americano” (2001), “Cinema. “I film della memoria” (2005).
Per Mondadori, nel 2002: “Generi, tecniche, autori”.

A Roberto Campari ho chiesto: nell’aprire il tuo saggio, riferendoti alle origini del cinema identifichi due linee contrapposte: quella di Lumière “prototipo del racconto verosimile e quella di Meliès “prototipo di quello meraviglioso".
A cent’anni da allora, nel cinema contemporaneo, esiste ancora quella dicotomia?

Le due linee in realtà si sono sempre intrecciate, tanto che un regista problematico come Jean-Luc Godard è potuto giungere ad esprimere il famoso paradosso che non esiste cinema più fantastico di quello di Lumière e più realistico di quello di Méliès.
In effetti, è proprio questa la caratteristica del cinema (e anche dei linguaggi audiovisivi successivi) che mi ha indotto a scrivere il libro: da una parte il cinema è stato da subito accostato al sogno, inteso come immaginario, come sogno ad occhi aperti (non ho voluto affrontare il problema di tipo psicanalitico del sogno vero e proprio, quello collegato all’inconscio); ma dall’altra il rapporto con la realtà, già insito nella fotografia in movimento e poi potenziato dal sonoro e dal colore, è stato percepito da subito così fondamentale che proprio per questo motivo il cinema è stato a lungo disprezzato e considerato tecnica piuttosto che arte. Dunque la dicotomia esiste nel cinema contemporaneo come in quello antico proprio perché insita nel mezzo ed ho cercato di suggerire il concetto già dal titolo: sono “sogni”, ma necessariamente espressi con una materialità, emblematicamente la “celluloide”, che ha a che fare con la realtà del mondo
.

Per una scheda sul libro: QUI.

Roberto Campari
“Sogni in celluloide”
Con inserto foto in b/n
Pagine 137, Euro 9:90
Marsilio


CyBorg Film Festival

Cosmotaxi Special per CyBorg Film Festival

Anghiari, 4 - 8 giugno 2008


Cyborg Film Festival


Loro vorrebbero curarci… ma io dico che la cura siamo noi.

Da “X-Men 3: Conflitto Finale”, 2006


Cyborg Film Festival: vecchi cieli e nuovi orizzonti


Sono in molti a credere erroneamente che la fantascienza sia un genere narrativo nato nell’età contemporanea. In realtà, è, forse, tra i più antichi generi letterari se si considera che tracce di sci-fi si trovano già in “L’epopea di Gilgamesh” testo anonimo mesopotamico databile intorno al 2000 a. C.
Oppure più chiaramente nel greco Luciano (Samòsata, 120 – Atene 180 ca.) che nella sua “Storia vera” immagina un viaggio sulla Luna, quella stessa Luna che sarà visitata dalla fantasia di Ariosto nel 1532 nell’ “Orlando furioso”, dall’inglese Godwin nel 1638 in “The Man in the Moon”, da Savinien Cyrano de Bergerac dieci anni dopo con “Stati e Imperi della Luna”.
E che dire ancora di tanti autori dei secoli passati che hanno immaginato avventure tra creature aliene, solo per citare alcuni tra i più famosi: Swift, Voltaire, Mary Shelley…
I critici del genere fantascientifico, oggi, sono concordi nell’individuare la nascita della più moderna sci-fi alla fine del XIX secolo con l’affermarsi del cosiddetto ‘romanzo scientifico’ che vede in Verne e Wells i capostipiti.
Da allora, però, c’è stato un moltiplicarsi dei media che hanno incorporato la fantascienza, ciascuno rimodulandone storie e ritmi espositivi secondo il proprio specifico di linguaggio: la radio, i fumetti, il cinema, la tv, internet, i videogames, fino ad arrivare ai più recenti mondi virtuali vissuti in Rete (si pensi, ad esempio, a Second Life).
Immagine CyberpunkSe vero, quindi, che la sci-fi ha antiche origini, è altrettanto vero che fra tutti i generi di narrazione è quello che manifesta le maggiori innovazioni di struttura e rappresentazione.
E questo perché – come la cultura cyberpunk ha dimostrato – è la forma dell’immaginario che per prima ha avvertito e trasmesso il mutamento di rapporto fra Natura e Cultura.
Un tempo era la prima a condizionare la seconda, ora accade il contrario.
Le tecnologie (a partire da quelle domestiche originate dall’elettricità) si sono rese protagoniste essendo sempre più – e sempre più lo saranno in futuro – capaci di mutare il nostro orizzonte: dal trasformare il paesaggio a prevedere eventi, dal sostituire parti del corpo a ridurre distanze di spazio e tempo, fino a guidare le relazioni sociali fra noi umani.
E, in un tempo meno lontano di quanto s'immagini, impareremo codici capaci di svelare nuovi segreti della natura, passeremo la barriera dell'infinitamente piccolo, si dilaterà la concezione di Spazio, saremo capaci di percepire nuovi stati e livelli di esistenza, la nostra coscienza-mente-identità sarà più vasta e ne saremo consapevoli…quale uomo uscirà da queste acquisizioni, quale sarà l'atteggiamento esistenziale che più lo differenzierà da noi?
Qui s’intrecciano previsioni (ora catastrofiste, ora ottimistiche) alle quali la fantascienza – in questi ultimi tempi prevalentemente distopica – fornisce plurali ipotesi di fantasia avvincendo lettori, spettatori, gameplayers.


Cyborg Film Festival

Amore, desiderio, ambizione, fede: senza tutto questo la vita è molto più semplice.

Da “L’invasione degli ultracorpi”, 1956


Cyborg Film Festival: Schermi interattivi


Mi piace questo CyBorg Film Festival concorso cortometraggi e nuovi territori (dove per nuovi territori s’intendono futuribili scenari espressivi e sociali) perché propone, con buona umiltà e fervido studio, questioni che vanno imponendosi nel dibattito culturale dei nostri giorni precipitandolo sulle estetiche delle visioni dinamiche, vale a dire su uno dei più popolari fra i medium contemporanei.
Nella precedente nota accennavo ai videogames (ricchi d’avventure galattiche) e mi piacerebbe che la prossima edizione del Cyborg FF riflettesse più ampiamente su questo centrale tema che vede il cinema di sci-fi accostarsi e differenziarsi dai videogames.
Matteo BittantiUno dei maggiori esperti di questo campo è un italiano che insegna a Stanford: Matteo Bittanti.
In occasione del Festival d’arti elettroniche “Futuro Presente”, l’ho intervistato e qui ripropongo parte del suo stimolante intervento.

Nel tuo recente libro Schermi interattivi parli del rapporto tra cinema e videogames. Puoi illustrarne in sintesi affinità e differenze?

Anche se i due media usano gli stessi linguaggi e codici (immagini, parole, suoni), l'esperienza di fruizione di un film è più vicina a quella letteraria. Il videogioco non è un medium narrativo o, meglio, è ‘post-narrativo’: il fruitore di un testo ludico svolge contemporaneamente il ruolo di lettore e scrittore. Il cinema non offre questa ambivalenza. Detto altrimenti: i videogiochi non sono dei racconti "tradizionali" (e per molti non sono nemmeno racconti): essi consentono di simulare delle azioni all'interno di uno spazio virtuale, di navigare ambienti tridimensionali. Il videogame è un insieme di possibilità, un set di problemi da risolvere, un contesto di sperimentazione. Le azioni che si producono all'interno di questo spazio sono a) (potenzialmente) infinite e b) diverse, laddove gli eventi narrati in un film sono a) limitati e b) fissi. Va inoltre precisato che in alcuni videogiochi si verificano fenomeni di ‘gameplay emergente’, ovvero forme di interazione non previste dai progettisti stessi: il giocatore non si limita a seguire "itinerari" predisposti a monte, ma genera forme di gioco impreviste. Un film, per converso, ri-presenta sempre i medesimi eventi nell'ordine predisposto dal creatore del testo. Se non si tiene conto di questa differenza cruciale, si fraintendono alcune caratteristiche 'peculiari' dei due media.

Mi pare che questo sia un errore commesso da alquanti registi… la situazione, però, tu sostieni che va cambiando. Vorrei degli esempi…

Penso al film tratto da “Silent Hill” diretto da Christophe Gans e sceneggiato da Roger Avary, entrambi gamer dichiarati. Una pellicola afflitta da innumerevoli problemi, beninteso, ma che tuttavia presenta aspetti interessanti. Sta di fatto che nonostante i frequenti – e spesso clamorosi – insuccessi al botteghino, gli adattamenti videoludici si stanno imponendo come uno dei generi più popolari a Hollywood. In termini squisitamente numerici, stanno ormai eguagliando le sempreverdi traduzioni cinematografiche dei fumetti. In realtà, le due industrie non potrebbero essere più differenti: mentre le vendite di ’comics books’ sono in crisi da anni, specie negli Stati Uniti, i videogame stanno acquistando sempre maggiore popolarità e forza commerciale. Il passaggio dal monitor al grande schermo richiede che venga completamente ripensata la logica stessa dell'adattamento.


Cyborg Film Festival


La luce che arde col doppio di splendore brucia in metà tempo, e tu hai sempre bruciato la tua candela da tutte e due le parti."

Da "Blade Runner", 1982


Cyborg Film Festival: il logo, il luogo, il team


Il Cyborg Film Festival è una delle attività di Cyborg Produzioni che è al tempo stesso associazione culturale e impresa di produzioni diretta da Luisella Chiribini.
L’Associazione è nata nel 2007 ed è stata fondata da creature Borg di Anghiari.

Logo CFFIl 29 giugno 1440 la pianura antistante di Anghiari fu teatro di una famosa battaglia tra i Fiorentini alleati della Santa Sede da un lato, e i Milanesi dall'altro. Battaglia famosa ma pressoché incruenta, poche furono le vittime, però la vittoria che arrise ai toscani ebbe come conseguenza la riduzione delle ambizioni territoriali lombarde.
Leonardo da Vinci, su richiesta del governo fiorentino, iniziò un dipinto raffigurante lo scontro, da esporre al Palazzo Vecchio di Firenze. Sfortunatamente, il processo di dessiccazione ha distrutto molti dei dipinti leonardeschi, che sono andati persi. Sono rimaste alcune copie, fra le quale una di Rubens tuttora conservata a Parigi nel Museo del Louvre.

Tanti i collaboratori in loco e dall’estero del CFF, non li citerò tutti, ma è giusto ricordare i Borg più truculenti, oltre a Luisella Chiribini, crudelissima direttrice del Festival.
La direzione dei mezzi tecnici è affidata ad Alberto Vellati.
Ricezione e coordinamento tecnologico dei materiali: Sabino Mazzini.
L’assistenza organizzativa è di Stefano Carsena.
Le relazioni con l’esterno e l’Ufficio Stampa sono curati da Stefano Limoni.

In foto, il logo del Festival.

info@cyborgproduzioni.it


Cyborg Film Festival


A questo mondo tutto quello che ha un inizio ha anche una fine.

Da “Matrix Revolutions”, 2003


CyBorg Film Festival: Luisella Chiribini


Noi siamo i Borg. La resistenza è inutile. Voi sarete assimilati!

E’ questa la frase logo che accompagna il cartellone del Cyborg Film Festival.
Il CCF, giunto quest’anno alla sua terza edizione, è ideato e diretto da Luisella Chiribini.
Questo un suo autoscatto:

Sono nata nel 1969 ad Anghiari. Dopo varie esperienze “dietro le quinte”, nel campo del teatro e del cinema, per scelta ritorno al paesello e fondo CyBorg Produzioni. Per rimanere legata alle mie passioni metto in piedi il CyBorg Film Festival.
Ogni giorno penso: la resistenza è inutile? Ogni giorno il dubbio: verrò assimilata?

Questo un anagramma del suo nome: “Birichina, li illuse“.
Ora se ad essere illusi sono i Borg, i non Borg o altri di quell’ameno borg, non so dirvelo, so soltanto che non mi è possibile mostrare una sua foto… Borga miseria!... perché la Direttrice vuole anonimato d’immagine (una segreta legge Borg?) nonostante che in foto proprio nulla abbia da nascondere o temere considerando che la ragazza è leggiadra.
Sia come sia, ve ne faccio un rapido ritratto: aria da bambinaccia, gesti pigri, sguardi saettanti, sorriso sornione.
Poiché, però, una foto in questa nota andava messa, ecco l’immagine di una cosmonauta più disponibile all’obiettivo di Luisella Chiribini.
A quest’ultima ho chiesto: come nasce questo Festival? Quali le sue finalità?
Questo Festival nasce come progetto in progress con l’obiettivo di promuovere, informare, divulgare ed educare all’immagine cinematografica creando una vetrina di scambio e confronto sulle diversità creative e produttive dei linguaggi audiovisivi.
Cyborg come impresa produttrice di cultura. La progettualità proposta è dedicata al mondo dell’arte e della comunicazione. La coesistenza e fusione tra uomo e macchina, tra digitale e analogico, tra teatro e cinema, tra vecchi e nuovi codici di scrittura, di divulgazione, sono i punti d’incontro dei territori che esplora. Tali mezzi di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale, costituiscono la bottega di idee del CyBorg.
La struttura del festival mantiene una dualità degna dei cyborg stessi, mostrando una parte riservata al “concorso” di cortometraggi e una riservata ai “nuovi territori”, una sorta di vetrina promozionale per indagare su i nuovi processi di evoluzione nel campo della cultura.
Il tema dominante del festival è la fantascienza, scelta dovuta ad un innamoramento adolescenziale, per la scienza e per l’uomo. La fantascienza molto spesso ha illuminato la strada alla scienza, così come la scienza ha dato ispirazione alla fantascienza. Quella sete di conoscenza, quel voler credere che la ‘psicostoria’ poteva cambiare le cose.
CyBorg è un voler seguire le “cose” mentre queste cambiano, e le cose stanno cambiando
.

Com’è strutturato il cartellone? E chi giudicherà chi?
Quest’anno le sezioni competitive sono due: ‘sciente fiction’ e ‘anime’, la durata massima per ogni cortometraggio è di 40 minuti.
Ci sono circa 80 opere provenienti da tutto il mondo e verranno proiettate in lingua originale.
Le sezioni non competitive sono lo spazio “Nuovi territori” e quello “CyBorg off”.
La Giuria è composta da Enzo Aronica, regista, art director e ideatore di n(ever)land); Francesco Cortonesi, sceneggiatore e co-fondatore della Filmhorror; Corrado Rizzo, visual effects senior di Proxima.
Al Festival è associata una mostra del digital artist Francesco Mai con le sue ‘Alien sculptures’, opere che saranno esposte anche presso il CyBorg Cafè Book di via Garibaldi, aperto dalle ore 15 fin dopo la conclusione delle proiezioni
href="http://www.cyborgproduzioni.org/Mambo/index.php?option=com_content&task=view&id=45&Itemid=78 " target="_blank">QUI per il programma in dettaglio
.

Nessun dubbio, questa dichiarazione ha un nome, si chiama: Chiara Sintesi.


Cyborg Film Festival

Tornerò!

“Terminator”, 1984


CyBorg Film Festival

Cosmotaxi Special per CyBorg Film Festival

Anghiari, 4 - 8 giugno 2008

Fine


Correndo correndo


In meno di un anno, il CCCS (Centro di Cultura Contemporanea La Strozzina) – un nuovo spazio espositivo situato sotto il cortile di Palazzo Strozzi a Firenze – ha conquistato un posto d’eccellenza nello scenario delle arti visive contemporanee in Italia e sta progressivamente attirando l’attenzione d’artisti e musei stranieri.
Tutto ciò, grazie al sapiente lavoro di Franziska Nori che, ora in viaggio nel Cosmo, tra pochi giorni raggiungerà la mia taverna spaziale sull’Enterprise, per illustrare la sostanza e i traguardi che si propone come Project Director di quel luogo da lei diretto: undici sale per una superficie totale di 850 metri quadrati.
Giorni fa ho visitato l’installazione audiovisiva Exploded Views di Marnix de Nijs, uno dei più noti artisti multimediali olandesi.
Splendida occasione che centra in un colpo solo plurali temi della contemporaneità artistica: percezione, energia, rapporto dinamico tra fruitore ed opera, nuove tecnologie al servizio della visione.
L’opera è costituita da due tapis-roulant posizionati di fronte ad un grande schermo su cui scorrono in soggettiva - in parte filmate e in parte realizzate in computer grafica - le strade deserte di una Firenze virtuale. Ed è il fruitore stesso con il suo corpo a condizionare ciò che vede. È la forza fisica che egli impiega correndo sul tapis-roulant a far scaturire le immagini in 3D raffiguranti una Firenze onirica, caratterizzata da scorci reali di architetture che ad attraversarle però esplodono in un’infinità di pixel. La velocità con cui si corre, condiziona direttamente l’intensità dell’esperienza estetica vissuta. Il protagonista, nel lavoro di de Nijs, è il visitatore. Usando il proprio corpo come interfaccia tra sé e la macchina , egli ha modo di determinare in prima persona la scelta delle ambientazioni percorribili e l’intensità delle immagini che scoprirà volando su di esse.
Mentre il mondo visivo rappresentato si concentrerà sul concetto di vuoto, di assenza completa di tracce umane e sulla bellezza degli spazi, il livello supplementare, la dimensione acustica (ottimamente ideata dal belga Boris Debackere) aggiungerà un nuovo piano di presenza proponendo un compendio di suoni registrati nella stessa città di Firenze.

L’opera “Exploded Views” – dice Franziska Noriè stata prodotta espressamente per il CCCS ed è il primo di una serie di interventi per i quali invitiamo i protagonisti della scena internazionale artistica a Firenze per produrre opere site-specific che riflettano i più svariati aspetti della realtà di questa città.
Il materiale visivo in 3D è stato elaborato avvalendosi di una tecnologia altamente sperimentale sviluppata presso la Technische Universität di Darmstadt in Germania.
De Nijs è il primo artista che si avvale di questa tecnologia all’avanguardia che rende possibile la combinazione della qualità cinematografica di un film con l’interattività di un motore grafico. Il lavoro è stato realizzato con l’aiuto degli studenti del Corso specialistico di Communication Design dell’ISIA di Firenze. L’artista vive a Rotterdam ed è impegnato nell’esplorazione dell'incontro-scontro fra corpi, macchine e altri media. Cresciuto come scultore, de Nijs annovera fra le proprie opere principalmente macchine interattive che giocano con la percezione ed il controllo di immagini e suoni perciò è riconosciuto a livello internazionale come uno dei massimi esponenti dell’arte scultorea interattiva
.

L'intervento di Marnix de Nijs, in collaborazione con Fabbrica Europa, è stato sostenuto dall'Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi e rientra nel programma di “Olandiamo?” - Festival culturale in occasione dei 50 anni dell'Istituto Olandese di Firenze.

Ufficio Stampa CCCS: Lavina Rinaldi, Tel. 055 – 277 64 61/ 06
l.rinaldi@fondazionepalazzostrozzi.it

Marnix de Nijs
“Exploded Views”
La Strozzina
Palazzo Strozzi, Firenze
Fino al 30 Giugno ‘08


Convegno Modlet


La Società Italiana per lo Studio della Modernità Letteraria - in sigla: Modlet - è un’Associazione nata in area universitaria che si propone di diffondere gli studi sul presente delle lettere, di promuovere formazione e ricerca nell'àmbito didattico della lingua e della letteratura italiana dell'età contemporanea.
E’ presieduta da Angelo R. Pupino che s’avvale nel Comitato Direttivo di Alba Andreini, Silvana Cirillo, Fernando Gioviale, Rita Guerricchio, Nicola Merola, Giovanna Rosa affiancato da un Comitato Scientifico riportato dal sito Mod.
Negli anni, tanti i convegni e gli incontri di studi promossi e, ora, nel decennale della sua nascita, il Modlet propone, presso l’Università Roma 3, quattro giorni di riflessioni e dibattito su “Le forme del romanzo italiano e le letterature occidentali dal Sette al Novecento”: dal romanzo come genere della modernità a quello sperimentale e post-moderno; vi partecipano studiosi italiani e stranieri.
Il convegno è organizzato dalla Professoressa Simona Costa; biobibliografia: CLIC!
Il dettaglio del programma: QUI.
Dopo splendide stagioni, da molto tempo il romanzo – non solo quello italiano – costringe ancora la marchesa, poverina, ad uscire sempre alle cinque (senza meta ormai, e sapeste come sbuffa!); va dove lo porta il cuore (cioè in un villaggio turistico con messa a mezzogiorno).
Diceva Fernando Pessoa: “Il romanzo è la favola delle fate per chi non ha immaginazione”.
E Giorgio Manganelli: “Basta che un libro sia un ‘romanzo’ per assumere un connotato losco”.
Nuove risorse le vedo nell’ipertesto che ha sconvolto il modo di leggere e scrivere passando dal sequenziale al reticolare; stanno sorgendo non a caso forme di ‘scrittura mutante’ con le tecniche “wiki”; il web 2.0 promette nuove possibilità che fanno invecchiare il romanzo, quello finora conosciuto, quanto è invecchiato l’arazzo. Perché entra in crisi con le nuove tecnologie il concetto stesso di narrazione.

A Silvana Cirillo, (in foto), docente di Letteratura italiana moderna e contemporanea dell’Università La Sapienza di Roma, componente del comitato direttivo di Modlet, ho rivolto un paio di domande.
Colgo l’occasione per segnalare un’iniziativa, in più manifestazioni, da lei guidata che si svolge quest’anno, in occasione del centenario della nascita di Tommaso Landolfi; ne trovate qui una nota illustrativa.

Qual è, a tuo avviso, la principale colpa del romanzo italiano dei nostri giorni?

Silvana CirilloOggi scrivono tutti e tutti si definiscono scrittori. Una valanga di romanzi e racconti sul minimalismo quotidiano, sulle proprie esperienze e sensazioni, sulle proprie personalissime nevrosi che spesso non interessano a nessuno, guardando al proprio ombelico come fosse quello del mondo. Che non volano alto: bada, non è questione di sublimare, ma di universalizzare e insieme di sorprendere! Conta assolutamente la ricerca stilistica, non più certamente avanguardista, ma sperimentale accesa viva, imprevedibile: è indispensabile a qualificare la modernità di uno scrittore, purché comunichi (basta con il parlare solo a se stessi e a 10 altri lettori!!); così come ci vuole un sano senso dell’humour, il distacco dal meschino del mondo attorno, e dal troppo ”self”, che può assumere senz’altro una qualificazione etica, senza parlare direttamente del declino generale e stolido in cui la società si sta infilando e da cui nascono le mille nevrosi che lo affliggono.
Rimpiango molto il nostro Malerba!
Devo dire che anche chi esce con un libro ogni anno mi convince poco
.

Ha ancora un senso scrivere romanzi dopo gli "Esercizi di stile " di Queneau?

Scrivere è positivo, la letteratura rappresenta le dinamiche del mondo, dell’uomo, della storia, aspira ad essere ed è conoscenza.
Che diventi un rifugio, o un modello, o una proiezione o una ricerca: ha comunque, di volta in volta, dei precisi doveri verso il lettore. Non si dovrebbe scrivere a cuor leggero, ma soprattutto a cuor leggero pubblicare! E creare casi letterari su bolle di sapone! Anche questa è una forma di truffa!

“Romanzo italiano e le letterature occidentali dal Sette al Novecento”
Presso la Terza Università di Roma
Dal 4 al 7 Giugno


Accade a New York


D’accordo, New York non è proprio dietro l’angolo.
Ma non posso farci niente se Marco Abbamondi espone proprio lì e a me va di segnalare la sua mostra.

In foto, Material Explosion: Cement Paste, Acrylic & Cork, 39.4" x 39.4" x 4", Anno: 2007.

Le origini artistiche di Abbamondi si hanno quando, giovanissimo, si misura nell’arte presepiale che ha innovato attraverso procedimenti scenotecnici e luministici che, pur conservando classicità delle forme, s’avvalgono di contributi materici e uso di tecniche dell’arte contemporanea.
Successivamente, ha esteso i suoi interessi creativi e, insieme con Attilio Sommella, gestisce il centro di arti multimediali AbSo a Napoli.
Per saperne di più: QUI.

Marco Abbamondi
Gallery Location
530 West 25th St, Chelsea, New York
Tues - Sat 11am – 6pm


La Punta della Lingua


L’Associazione Nie Wiem (è un'espressione polacca che significa: "Non so") presenta la III edizione del Festival La Punta della Lingua.
Direzione artistica: Luigi Socci.
Trattandosi di poesia – genere di cui questo webmagazine non si occupa – segnalo solo la parte che è riservata ai video: La poesia che si vede, selezione internazionale di video poesia (filmati storici e le ultime novità dallo Zebra Poetry Film Festival di Berlino).
E, sempre nelle linee che questo notiziario web predilige, rilevo la presenza del tedesco Rayl Patzak (alias Rayl Da P-Jay) – già segnalato tempo fa su questo sito – fautore dell'ibridazione fra musica dance, hip hop e poesia di tutti i tempi da Shakespeare, Goethe e T.S. Eliot fino alle più recenti tendenze della slam, rap e dub-poetry.
Presenta, per la prima volta in Italia, il suo set poetico-musicale che da anni infiamma i dancefloor degli Stati Uniti e del nord Europa.
Per chi è interessato al resto del programma, clicchi QUI.

“La punta della lingua”
Ancona 5 - 8 giugno 2008


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